LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha   emesso   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 14101/06,
depositato l'11 dicembre 2006:
     avverso  silenzio  rifiuto  istanza  rimborso IRPEG 1982, contro
Agenzia  Entrate - Ufficio Milano 1, proposto dal ricorrente: Ginepro
S.r.l.,  via  della  Signora  n. 2/A - 20122 Milano, difeso da: prof.
dott.   Marco  piazza  dott.  Guido  Luigi  Elefante,  avv.  Patrizia
Castellano,  Studio Associato piazza, Gallere Passerella n. 1 - 20122
Milano;
     avverso  silenzio  rifiuto  istanza  rimborso IRPEG 1985, contro
Agenzia  Entrate  - Ufficio Milano 1, proposto dal ricorrente Ginepro
S.r.l., via della Signora n. 2/A-20122 Milano, difeso da: prof. dott.
Marco  piazza  DR.  Guido  Luigi  Elefante, avv. Patrizia Castellano,
Studio Associato Piazza, Galleria Passerella n. 1-20122 Milano.
                      Svolgimento del processo
   Con  il  ricorso  indicato  in epigrafe la societa' Ginepro S.r.l.
impugna  il  silenzio  rifiuto dell'Agenzia delle Entrate, Ufficio di
Milano 1, in relazione all'istanza di rimborso di crediti IRPEG degli
anni 1982 e 1985, spedita a mezzo di raccomandata il 22 luglio 2005 e
ricevuta dall'ufficio il 26 luglio 2005.
   La  ricorrente  afferma che nella dichiarazione dei redditi del 29
dicembre  1982,  relativa al periodo d'imposta 1981, aveva chiesto il
rimborso  dell'IRPEG  risultante a credito per lire 30.551.000. Anche
nella  dichiarazione  presentata  il  28  febbraio  1986, relativa al
periodo  di  imposta  1984  era risultato un credito di IRPEG di lire
71.623.000 del quale aveva chiesto contestualmente il rimborso.
   Rilevata  l'inottemperanza dell'amministrazione finanziaria, il 25
novembre   2004   aveva  chiesto  informazioni  e  aveva  sollecitato
l'esecuzione   dei   rimborsi.   Non  avendo  ricevuto  risposta,  la
ricorrente  aveva  inviato  altra raccomandata in data 22 luglio 2005
con  nuova  richiesta  di  informazioni  e  sollecito  di  pagamento,
raccomandata a cui l'Amministrazione non aveva dato alcuna risposta.
   Considerato che i crediti di cui si chiedeva il rimborso non erano
stati  mai  contestati  e  pertanto  erano  diventati  certi,  e che,
nonostante  i  solleciti  inviati dalla ricorrente, l'Amministrazione
Finanziaria,   contravvenendo   all'obbligo   di   dare  informazioni
(previsto  dagli  articoli  5  e  8  della  legge  n. 241/1990)  e di
restituire  le  somme versate in eccedenza (previsto dall'articolo 38
del  d.P.R.  n. 602/1973),  non  ha ancora provveduto ai rimborsi, la
ricorrente  chiede  che  l'Agenzia  delle  Entrate  sia condannata al
pagamento  di  Euro  15.778,27 (pari a lire 30.551.000) per Irpeg del
1982,  e  di  Euro  36.990,19  (pari a lire 71.623.000) per Irpeg del
1985,  oltre  che  degli  interessi  dovuti  per legge sulle predette
somme.
   Si  e'  costituito  in giudizio l'Ufficio di Milano 1 dell'Agenzia
delle    Entrate,    il    quale   in   via   preliminare   eccepisce
l'inammissibilita'  del  ricorso  per  inesistenza  del provvedimento
impugnato e violazione degli articoli 18 e 19 del decreto legislativo
n. 546/1992.
   L'ufficio  fa rilevare che il citato articolo 19 elenca in maniera
tassativa  gli  atti  avverso i quali puo' essere proposto il ricorso
davanti alla Commissione tributaria Provinciale. In modo improprio la
ricorrente   ha   ritenuto   che   il  silenzio  dell'Amministrazione
finanziaria  sulla sua «istanza di rimborso» possa rientrare al punto
g) dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 546/1992.
   L'istanza  di  controparte  (ovvero  quella inviata il 25 novembre
2004 e reiterata il 22 luglio 2005), con cui si sollecita il rimborso
dei  crediti  risultanti dalle dichiarazioni, non e', giuridicamente,
un'istanza  di  rimborso  ex articolo 37 e 38 del d.P.R. n. 602/1973.
Infatti  l'articolo  37  disciplina i casi di rimborso delle ritenute
dirette, mentre l'articolo 38 regola i casi di rimborso di versamenti
diretti.  In entrambi i casi il presupposto giuridico per il rimborso
e' l'essere il contribuente caduto in «errore materiale, duplicazione
o inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento».
   Nella  fattispecie  in  esame la ricorrente chiede il rimborso del
credito  risultante  dalla propria dichiarazione e, quindi, non di un
versamento effettuato per errore. Dunque, ad avviso dell'ufficio, non
sono applicabili gli articoli 37 e 38 del citato d.P.R. n. 602/73.
   Le  istanze  inoltrate nel 2004 e nel 2005 non sono altro che atti
stragiudiziali diretti all'interruzione del termine di prescrizione e
non gia' atti prodromici diretti al fine di ottenere un provvedimento
amministrativo   (o  l'equivalente  silenzio-rifiuto)  «autonomamente
impugnabile», ai sensi dell'art. 19 decreto legislativo n. 546/1992.
   Per  mero  tuziorismo  l'ufficio  segnala  che l'unico caso per il
quale,  nell'ipotesi  di  credito  risultante dalla dichiarazione, e'
ammessa  l'istanza  di  rimborso  (in  senso  tecnico),  sulla  quale
l'amministrazione  finanziaria  deve pronunciarsi, e' quello previsto
dall'articolo  4,  comma  40,  del  d.P.R. n. 42/1988 che riguarda il
credito da riporto poi non utilizzato.
   Anche   la   giurisprudenza  e'  costante  nell'affermare  che  la
procedura prevista dall'articolo 38 d.P.R. n. 602/1973 e' applicabile
soltanto   alle   ipotesi   di  errore  nella  dichiarazione  che  ha
determinato   un   versamento   in   eccesso   (in  alternativa  alla
dichiarazione  integrativa  quando i termini per la sua presentazione
fossero gia' scaduti); giammai per ottenere il rimborso di un credito
esposto  in  dichiarazione  e  non  ancora erogato. A questo riguardo
l'ufficio  richiama la sentenza n. 3728 in data 14 gennaio 2005 della
Corte di cassazione (sezione tributaria) e quella numero 11830 del 12
marzo 2002 della stessa sezione.
   Inoltre,   se   si  considerasse  applicabile,  anche  ai  crediti
risultanti dalla dichiarazione, la procedura del silenzio rifiuto, il
contribuente  potrebbe  ottenere  un titolo di condanna esecutivo che
costringerebbe  l'amministrazione  ad  adempiere  pur  in presenza di
crediti   non  esigibili.  Infatti  la  procedura  amministrativa  di
liquidazione  dei  rimborsi  subordina  l'erogazione  ad una serie di
ulteriori  condizioni che il giudice non e' tenuto a verificare, come
quelle   previste   dalla  circolare  n. 45/2004  (conformita'  della
liquidazione  ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973, inesistenza di altri
crediti  erariali,  assenza di accertamenti per l'annualita', assenza
di  provvedimenti  di  fermo  amministrativo,  esistenza di eventuali
cessioni  del  credito, ecc.). Infine la convalida e l'erogazione dei
rimborsi  si  svolge  in  ordine  cronologico,  ordine  che  verrebbe
sconvolto  dalla  esistenza  di una sentenza di condanna, creando una
sorta  di  corsia  preferenziale  a  danno  di altri contribuenti che
fossero in attesa di rimborsi per annualita' precedenti.
   Nel  merito l'ufficio eccepisce l'estinzione del credito Irpeg del
1984,  che  e' stato rimborsato con l'ordinativo di pagamento n. 1756
del  10  giugno 1996, capitolo di spesa 3521, capitale lire 1.756.000
(cfr.  all.  n.1)  (manca  l'allegato),  e ordinativo n. 1458, del 10
giugno  1996,  capitolo  di  spesa 3500, interessi per lire 1.633.000
(cfr. all. n. 1) (manca l'allegato). Da cio', ad avviso dell'Ufficio,
si deve dedurre che l'ex Centro di servizio di Milano aveva liquidato
la   dichiarazione   per   l'anno  1984  e  aveva  riconosciuto  solo
parzialmente il rimborso risultante dalla dichiarazione, ma non nella
misura richiesta.
   L'ufficio  mette  in  evidenza anche le seguenti circostanze: «Dai
controlli eseguiti sui dati presenti in Anagrafe tributaria e' emerso
che  le dichiarazioni dei redditi relative agli anni d'imposta 1981 e
1984  non  sono  state  archiviate  su  supporto informatico, perche'
trattasi   di  annualita'  troppo  vecchie.  Inoltre,  non  e'  stato
possibile  reperire  il  cartaceo  delle stesse, dal momento che esse
sono andate al macero».
   «Del  resto - prosegue l'ufficio - risulta davvero incomprensibile
come  sia  possibile  che  una  societa'  che  vanta  un  credito  da
dichiarazione fin dal 1981 abbia aspettato ben ventitre anni prima di
ricordarsene,  e  solo  in  data  25 novembre 2004 abbia mandato agli
uffici  una  richiesta  di informazioni sullo stato del rimborso, ben
sicura   del   fatto   che  l'ufficio  non  poteva  eccepire  nessuna
prescrizione,  tenuto  conto  del  dettato dell'articolo 2, connna 58
della legge n. 350/2003».
   «Stando  cosi'  le cose l'Ufficio eccepisce che la controparte non
ha provato il diritto alla pretesa di restituzione.»
   Afferma  inoltre  di  non  poter  riconoscere  alla documentazione
allegata   al  ricorso  (ovvero  alle  fotocopie  delle  ricevute  di
presentazione  delle dichiarazioni e alle copie di uno stralcio delle
dichiarazioni  in questione) «una forza probatoria tale da dimostrare
l'avvenuta presentazione delle dichiarazioni e in particolare la loro
presentazione   in   conformita'  dei  dati  contenuti  nell'asserita
fotoriproduzione».
   «Il  mancato  riscontro,  con  canoni  di assoluta certezza, della
veridicita'   dei   fatti,   sostenuta   dalla  ricorrente,  potrebbe
comportare  il  rischio  di un indebito riconoscimento del credito di
imposta  con  evidente  danno per l'Erario. Cio' vale soprattutto per
l'anno  1984,  tenuto  conto del fatto che l'ufficio ha effettuato un
rimborso seppure parziale».
   Nella   ripetizione   dell'indebito  opera  il  normale  principio
dell'onere   della   prova   a   carico   del  creditore.  Ad  avviso
dell'Ufficio,  nel  caso  in  esame spetta alla ricorrente dimostrare
l'esistenza  dell'intero  importo  del  credito.  «Diventa necessaria
l'esibizione,   da   parte  della  societa',  degli  originali  delle
dichiarazioni  con  i  relativi  allegati,  copia  -  del  bilancio e
l'esibizione di prove idonee a documentare il preteso rimborso, anche
in  considerazione  del  fatto  che  per  gli  anni in questione tale
documentazione   doveva   essere   allegata  alla  dichiarazione.  In
particolare  si  doveva  allegare documentazione giustificativa delle
ritenute d'acconto subite e del credito d'imposta sui dividendi».
   Quindi  l'ufficio  chiede  che  il  ricorso  sia rigettato perche'
improponibile, inammissibile e comunque infondato, con condanna della
controparte al pagamento delle spese processuali.
   Con  memoria  di  replica depositata il giorno 11 dicembre 2006 la
societa'  ricorrente  afferma  che  «la giurisprudenza e' unanime nel
qualificare  come  ipotesi di silenzio rifiuto la mancata risposta da
parte   dell'ufficio   alla   domanda  di  rimborso  contenuta  nella
dichiarazione  dei  redditi,  per  il  fatto di non avere concluso il
procedimento entro il termine previsto dall'art. 36-bis, comma 1, del
d.P.R.  n. 600/1973  e 42-bis, comma 2, del d.P.R. n. 602/1973, e per
non  avere  dato alcuna comunicazione al contribuente, secondo quanto
previsto dall'articolo 6 dello Statuto del Contribuente».
   «In   particolare   e'   stato   precisato   che,   qualora  dalla
dichiarazione  emerga un credito d'imposta, l'ufficio deve contestare
e  rettificare  la  dichiarazione  negando  in  tutto  o  in parte la
sussistenza  del  credito  fiscale, ovvero provvedere al rimborso; in
caso  di  mancanza  di  tale  comportamento si configura l'ipotesi di
silenzio-rifiuto  impugnabile  ai  sensi dell'articolo 19 del decreto
legislativo  n. 546/1992  (cfr.  C.T.P.  di  Milano,  sez. 15, del 13
luglio  2004  n. 159  e C.T.P. di Torino, sez. 13, in data 19 ottobre
2004,  n. 31).  Negare  tale  possibilita' significherebbe attribuire
all'Ufficio  il diritto (o meglio) l'arbitrio di mantenere ad libitum
la disponibilita' delle somme che il contribuente ha provvisoriamente
anticipato,  e  cio'  contrasta  in  maniera stridente con i principi
generali  dell'ordinamento  tributario,  sanciti  nell'art.  1  dello
Statuto del Contribuente».
   Nel  merito  la  ricorrente fa rilevare che l'ufficio e' caduto in
errore   laddove   ha  considerato  rimborsato  il  credito  relativo
all'Irpeg  del 1984, mente i crediti di cui si discute riguardano gli
anni 1982 e 1985.
   Inoltre  afferma  che  l'ufficio  non  puo'  negare  il diritto al
rimborso di un credito mai contestato ne' fatto oggetto di rettifiche
o   di  accertamenti,  facendo  unicamente  leva  sul  fatto  che  la
ricorrente ha prodotto la documentazione in copia e lo stralcio delle
dichiarazioni  in  questione,  poiche'  trattasi  di documentazione a
disposizione della amministrazione finanziaria e prodotta a suo tempo
con la dichiarazione dei redditi.
   Infatti,   la   richiesta   di  documentazione  gia'  in  possesso
dell'amministrazione  vilorebbe  l'articolo 6, comma 4, dello statuto
del  contribuente.  Anche la Cassazione ha chiarito che l'onere della
prova  e'  a  carico dell'ufficio, il quale deve produrre in giudizio
ogni  documento,  anche  favorevole  al  contribuente, che sia in suo
possesso (cfr. Cass. 2 marzo 2004, n. 4239).
   Infine  la  ricorrente  fa  rilevare che «I crediti ai quali si fa
riferimento   risalgono  a  ben  venti  anni  fa,  cosicche'  sarebbe
contrario  alle  norme  civilistiche  (art. 2220 del codice civile) e
fiscali  (art.  22 del d.P.R. n. 600/1973) richiedere alla ricorrente
detta documentazione».
   Con il suo ragionamento l'ufficio vorrebbe far credere che l'onore
della  prova  spetti  alla  ricorrente,  ma  cosi' non e'. Infatti si
tratta  di  crediti  diventati  certi  proprio perche' mai contestati
dall'amministrazione  finanziaria nonostante le numerose opportunita'
di  farlo  sia  in  sede  di liquidazione della dichiarazione, sia in
occasione dei solleciti verbali e scritti gia' documentati. L'ufficio
aveva  il dovere di controllare e liquidare le dichiarazioni entro il
31  dicembre  dell'anno successivo a quello di presentazione. In tale
situazione  l'inversione  dell'onere  della  prova e' ingiustificata,
perche'  il  diritto  al rimborso della societa' e' ormai maturato da
tempo, considerato che da oltre venti anni, nonostante le istanze e i
solleciti  verbali e scritti, l'ufficio non ha mai negato l'esistenza
dei crediti.
   «Il  fatto  che  l'ufficio non abbia effettuato il rimborso non e'
dimostrazione  dell'inesistenza  dei  crediti,  ma  anzi e proprio il
fatto  di  non  aver  mai  messo  in  discussione  la loro spettanza,
nonostante  i numerosi  solleciti  dalla contribuente, che ne attesta
l'esistenza».  A  questo  riguardo  la ricorrente richiama i principi
stabiliti  dalla  Corte  di cassazione con le sentenza n. 6245 del 16
marzo 2007, n. 5066 dell'11 marzo 2004, dove si afferma che quando il
contribuente  della  dichiarazione  dei  redditi  ha  evidenziato  un
credito di imposta, al fine di ottenere il rimborso non deve compiere
altro  adempimento  ma  deve soltanto attendere che l'Amministrazione
finanziaria   eserciti  il  potere-dovere  di  controllo  secondo  la
procedura  di  liquidazione  delle  imposte,  prevista  dall'articolo
36-bis   del  d.P.R.  n. 600/1973,  ovvero  con  lo  strumento  della
rettifica.
   Pur  ritenendo  di  avere gia' maturato il diritto al rimborso dei
crediti  richiesti  con le dichiarazioni (crediti mai contestati, ne'
rettificati,  ne'  compensati,  ne'  ceduti  a  terzi), tuttavia, per
scrupolo  difensivo  la  ricorrente produce copia delle dichiarazioni
dei  redditi, dei bilanci, dei certificati della societa' partecipata
SIDAS  S.r.l.  concernenti  il versamento dei dividendi e le ritenute
d'acconto  (da  cui  derivano in buona parte i crediti di imposta), e
copia  delle  raccomandate  inviate al Centro di Servizio in risposta
alle richieste di documenti ex articolo 36-bis d.P.R. n. 600/1973.
                       Motivi della decisione
   Preliminarmente  va  precisato  che  non e' fondata l'eccezione di
inammissibilita' del ricorso, sollevata dall'ufficio.
   La questione e' stata esaminata dalla Corte di cassazione, sezione
tributaria,  con  la  sentenza  n. 11830  del  12  marzo 2002, che ha
enunciato il seguente principio di diritto:
     «In  tema  di imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia
evidenziato nella dichiarazione un credito d'imposta, non occorre, da
parte  sua,  al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento
(quale,  in  particolare,  l'istanza  ex articolo 38 del d.P.R. n. 29
settembre  1973 n. 602, estranea alla fattispecie anzidetta), ma deve
solo  attendere  che l'amministrazione finanziaria eserciti, sui dati
in dichiarazione, il potere-dovere di controllo, secondo la procedura
di liquidazione delle imposte prevista dall'art. 36-bis del d.P.R. 29
settembre 1973 n. 600, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo
strumento  della  rettifica  della  dichiarazione.  Una  volta che il
credito  si  sia consolidato - attraverso un riconoscimento esplicito
in  sede  di  liquidazione,  ovvero  per effetto di un riconoscimento
implicito  derivante  dal mancato esercizio nei termini del potere di
rettifica  - l'amministrazione e' tenuta ad eseguire il rimborso e il
relativo   credito   del  contribuente  e'  soggetto  alla  ordinaria
prescrizione  decennale,  decorrente  dal  riconoscimento del credito
stesso».  Questo  orientamento  e' stato confermato da altra sentenza
della  stessa  sezione della Corte di cassazione, numero 3718 in data
14   gennaio   2005.  Entrambe  sono  menzionate  anche  dall'ufficio
nell'atto  di  costituzione in giudizio, sebbene esse siano contrarie
alla eccezione di inammissibilita'.
   Nella  motivazione  della  prima sentenza e' detto chiaramente che
l'articolo  38  del d.P.R. n. 602/1973 non e' applicabile all'ipotesi
di  credito  di  imposta  risultante dalla dichiarazione dei redditi,
perche'  essa  riguarda  situazioni di fatto totalmente differenti, e
«cioe'  quando si sono verificati fatti che impongono al contribuente
di   attivarsi  entro  un  determinato  termine  per  fare  conoscere
all'amministrazione  sia la fonte del preteso diritto al rimborso che
la  volonta'  di  ottenere  il  rimborso.  Tali fatti, per previsione
espressa   e  tassativa  dell'articolo  38  d.P.R.  n. 602/1973  (che
sancendo  una  decadenza  e'  norma  di stretta interpretazione) sono
l'errore  materiale, la duplicazione, l'inesistenza totale o parziale
dell'obbligo  di versamento. Nessuno di questi fatti si e' verificato
nel  caso  sottoposto  ad  esame,  sicche'  la norma invocata risulta
totalmente estranea ed indifferente».
   Dunque  non e' necessaria l'istanza di rimborso per determinare il
silenzio rifiuto della amministrazione quando siano decorsi i termini
per  la liquidazione, ex articolo 36-bis d.P.R. n. 600/1973, e quello
per l'accertamento ex articolo 43 del medesimo decreto.
   Questo  non significa pero' che il contribuente non possa proporre
il  ricorso  previsto  dagli articoli 18 e 19 del decreto legislativo
n. 546/1992,  al  fine  di  ottenere il rimborso del credito indicato
nella  dichiarazione.  Se  si  fosse  di contrario avviso si dovrebbe
ravvisare  un  conflitto  di  tali  norme  con  l'articolo  113 della
Costituzione,  che garantisce la tutela giurisdizionale dei diritti e
degli   interessi  legittimi  dinanzi  agli  organi  della  giustizia
ordinaria   o   amministrativa.  Dunque,  il  fatto  che  il  credito
risultante  dalla dichiarazione dei redditi non possa rientrare nelle
ipotesi di silenzio-rifiuto previste dall'articolo 38 primo e secondo
comma   del   d.P.R.   n. 602/1973,  non  significa  affatto  che  il
silenzio-rifiuto non possa risultare in altro modo ed in particolare,
dalla  mancata  liquidazione  del  credito  di  imposta  nei  termini
previsti   dall'articolo   36-bis  del  d.P.R.  n. 600/1973.  Infatti
l'articolo   19,  lettera  g)  del  decreto  legislativo  n. 546/1992
considera   impugnabile   «il   rifiuto   espresso   o  tacito  della
restituzione  di  tributi,  sanzioni  pecuniarie ed interessi o altri
accessori   non  dovuti»,  concetto  ben  ampio  e  non  strettamente
correlato  al  procedimento  descritto  nell'articolo  38  del d.P.R.
n. 602/1973 che, peraltro, assoggetta l'istanza di rimborso a termini
di  decadenza  non suscettibili di estensione all'ipotesi di rimborso
di  credito  risultante  dalla  dichiarazione. Infatti in questo caso
l'istanza di rimborso viene formulata con la stessa dichiarazione dei
redditi da cui risulta il credito d'imposta.
   Va  da se' che, come precisato nelle medesime sentenze della Corte
di  cassazione, il credito risultante dalla dichiarazione e' soggetto
alla  ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento
anche implicito del credito stesso, ovvero dalla scadenza dei termini
per  la  comunicazione  di  una  liquidazione della dichiarazione con
esito  diverso  da quello prospettato dal contribuente o, in mancanza
di  questa, dalla scadenza del termine per la notifica dell'avviso di
accertamento.
   Dunque  il  ricorso  e'  ammissibile.  Tuttavia  resta  aperta  la
questione  preliminare  della  eventuale  prescrizione del diritto al
rimborso  che, nel caso in esame, si e' verificata perche', sia dalla
scadenza  del  termine  fissato  per la liquidazione ex 36-bis d.P.R.
n. 600/1973,  sia  da  quella  per  l'accertamento ex articolo 43 del
medesimo  decreto,  (per  la  dichiarazione  del  1986  detto termine
scadeva,  secondo  la legislazione allora vigente, il 31 dicembre del
quinto anno successivo a quello della dichiarazione stessa, ovvero il
31  dicembre  del 1991) sono trascorsi piu' di dieci anni prima della
presentazione  del  ricorso.  E'  pur  vero  che  la ricorrente aveva
inviato  in precedenza ben due richieste di chiarimenti e sollecitato
la  liquidazione  e  il rimborso di quanto dovuto, ma entrambe queste
richieste  (astrattamente  idonee  ad  interrompere  il  corso  della
prescrizione),  sono  intervenute  il  25 novembre 2004 e il 21luglio
2005,  ovvero  quando  erano gia' trascorsi (alla data del 1° gennaio
2002)  piu'  di  dieci  anni  dall'inizio del termine di prescrizione
sopra indicato.
   L'eventuale  estinzione  del diritto per prescrizione e' rilevante
nel  presente  giudizio  perche',  a  causa  del  tempo trascorso dal
periodo  di  imposta  in  questione l'ufficio non e' piu' in grado di
verificare   l'esito  delle  attivita'  di  liquidazione,  posto  che
all'epoca  non  era  stata  ancora  introdotto il sistema informatico
dell'amministrazione  tributaria;  solo in alcuni casi e' in grado di
rilevare  l'esistenza  di rimborsi effettuati molti anni dopo, ma non
ha  la  impossibilita' di stabilire con certezza che alti crediti non
siano  stati rimborsati; in ogni caso non e' in grado di verificare e
riferire l'esito delle attivita' di liquidazione perche' si tratta di
pratiche  amministrative i cui fascicoli sono stati gia' destinati al
macero.   Peraltro   l'obbligo   della pubblica  amministrazione,  di
custodire  la  documentazione  delle pratiche fiscali, fuori dai casi
della  esistenza  di  controversie  in  corso,  non puo' certo essere
prolungato  oltre il termine ordinario di prescrizione, cosi' come e'
stabilito  per i privati dall'articolo 2220 del codice civile, con la
deroga   prevista   dall'articolo   22,   secondo  comma  del  d.P.R.
n. 600/1973.
   Dunque  questa  oggettiva  impossibilita',  per  l'amministrazione
finanziaria,  di  contrastare  nel  merito  la pretesa del ricorrente
dovrebbe  comportare,  qualora  non  fosse  eccepita la prescrizione,
l'accoglimento  del  ricorso  e  la condanna dell'Agenzia al rimborso
delle cospicue somme risultanti, come crediti di imposta, dalle copie
delle   dichiarazioni  prodotte  dalla  ricorrente.  Copie  che  sono
indubbiamente   utilizzabili   come  prova,  salvo  che  non  ne  sia
esplicitamente  contestata  la  conformita' agli originali (art. 2719
del  codice  civile).  Questa  contestazione non e' stata prospettata
dall'ufficio  (che  deduce  soltanto  la  loro inutilizzabilita' come
mezzo  di  prova) e non potrebbe in alcun modo essere dedotta proprio
perche'  manca  la  disponibilita'  degli originali (presentati a suo
tempo al Centro di servizio) e la possibilita' di un confronto.
   Dunque  la  questione relativa alla prescrizione del diritto e' di
importanza risolutiva per la definizione del giudizio.
   L'estinzione del diritto per prescrizione non puo' essere rilevata
di  ufficio  dal  giudice  (art.  2938  del  codice  civile),  ma  e'
necessario  che  sia  eccepita  dalla  parte  che  vi  ha  interesse.
L'ufficio  si  e' astenuto dal sollevare l'eccezione di prescrizione,
in  ossequio  al  disposto  contenuto nell'articolo 3, comma 58 della
legge  24  dicembre  2003  n. 350 (Disposizioni per la formazione del
bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato) che cosi' dispone: «Nel
quadro   delle   iniziative  volte  a  definire  le  pendenze  con  i
contribuenti,  e  di  rimborso delle imposte, l'Agenzia delle entrate
provvede  alla  erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in
base  alle  dichiarazioni  dei  redditi  presentate fino al 30 giugno
1997,  senza  far  valere  la  eventuale prescrizione del diritto dei
contribuenti».
   Questa norma e' palesemente contraria a principi costituzionali di
uguaglianza,  di  ragionevolezza,  di  tutela  giurisdizionale  e  di
organizzazione dei pubblici uffici secondo criteri di buon andamento,
di  imparzialita'  e  di  efficienza  della pubblica amministrazione.
(Articoli 3, 113 e 97 della Costituzione).
   E' contraria al principio di eguaglianza perche' discrimina tra le
parti   del   processo  e  tra  diverse  categorie  di  contribuenti.
Certamente  non  trova altro esempio in tutta la legislazione vigente
il  caso  di  un  norma  (come quella in esame) che vieta solo ad una
delle  parti  il  potere  di  dedurre ed eccepire fatti e circostanze
rilevanti  ai  fini  della  decisione.  La  struttura  della norma e'
singolare   e   irragionevole  perche',  pur  incidendo  sui  diritti
soggettivi  ed  in particolare sull'obbligo della p.a. di eseguire un
rimborso,  perviene  a  questo  risultato non modificando le norme di
diritto  sostanziale sulla prescrizione (eventualmente prolungando la
durata  del  termine), ma alterando i poteri processuali di una delle
parti  in  causa. L'anomalia e' ancora piu' evidente ove si consideri
che essa non modifica la disciplina del processo in modo indifferente
per  le  parti  ma  si  rivolge  soltanto  ad un organo interno della
pubblica  amministrazione  vietandogli  di  esercitare  una  facolta'
prevista  in  generale  dall'ordinamento  processuale,  che  resta in
apparenza inalterato.
   Con    questo    singolare    meccanismo   normativo   si   incide
sostanzialmente   sull'istituto   della  prescrizione  con  efficacia
retroattiva   e   in   violazione   dei  principi  generali,  sanciti
dall'articolo  3  della  legge 27 luglio 2000 n. 212 (Disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente), il quale stabilisce
che  le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo e che i
termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d'imposta
non possono essere prorogati.
   La  norma  e'  in contrasto con il secondo comma dell'articolo 113
della  Costituzione  perche'  esclude la tutela giurisdizionale della
stessa  pubblica  amministrazione  per determinate categorie di atti.
Infatti  essa  vieta  all'Agenzia  delle  Entrate  di  far  valere la
prescrizione  soltanto  per  «le eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in
base  alle  dichiarazioni  dei  redditi  presentate fino al 30 giugno
1997».
   La  norma  e'  contraria  al  principio  di ragionevolezza perche'
estendendo il divieto ai rapporti derivanti da tutte le dichiarazioni
anteriori  al  30  giugno  1997 senza alcun limite iniziale, offre ai
contribuenti   la   possibilita'  di  riaprire  ad  libitum  rapporti
giuridici di credito anche risalenti al passato remoto.
   E'   contraria   al  principio  di  ragionevolezza  anche  perche'
l'espressione,  «Nel  quadro  delle  iniziative  volte  a definire le
pendenze  con  i  contribuenti»,  e'  priva  di  senso e di contenuto
precettivo,  e  si  presenta come una giustificazione incongrua della
speciale   deroga   alla  generale  applicazione  delle  norme  sulla
prescrizione.  Infatti  l'espressione  suddetta  non  puo'  che  fare
riferimento  o  a  rapporti  sub iudice, e quindi non suscettibili di
prescrizione  (giacche'  il  termine  di  prescrizione  resta sospeso
durante  tutto il corso della lite e fino alla conclusione definitiva
del  processo, articolo 2945 secondo comma del codice civile), oppure
a  rapporti  tributari  per  i quali siano ancora aperti i termini di
accertamento,  per  i  quali  ovviamente  non puo' essersi verificata
alcuna prescizione.
   Ugualmente   privo   di  senso  e'  l'inciso,  «Nel  quadro  delle
iniziative  ...  di  rimborso  delle  imposte», perche' l'espressione
«iniziative  di rimborso delle imposte» non puo' fare riferimento che
al  rimborso  di  ufficio,  previsto  dall'articolo 42-bis del d.P.R.
n. 602/1973,  e, in virtu' del rinvio contenuto nella suddetta norma,
al  potere  dovere  dell'ufficio di procedere alla liquidazione delle
dichiarazioni  dei redditi ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973. Ma, nel
senso  suddetto,  il  riferimento  all'iniziativa dell'ufficio non ha
alcun  significato  normativo,  anche  perche'  la  liquidazione deve
avvenire  entro  un termine piu' breve e percio' non puo' mai essersi
verificata  una  prescrizione del diritto del ricorrente. Se poi, per
assurdo, si volesse estendere la classe delle «iniziative» a tutte le
richieste di rimborso provenienti dai contribuenti, la norma dovrebbe
significare  che  di  fronte  a  qualunque  rivendicazione  tardiva e
remota,  l'Agenzia  delle  Entrate  non  potrebbe piu' opporre alcuna
difesa. Questo confermerebbe la censura di totale irragionevolezza.
   Dunque   il   divieto  rivolto  agli  uffici,  di  far  valere  la
prescrizione,  puo'  fare  riferimento  soltanto  al  rimborso  delle
imposte  il  cui  diritto sia stato gia' definitivamente riconosciuto
dalla  amministrazione in uno dei modi sopra specificati dalle citate
sentenze della Corte di Cassazione.
   Ma  sotto  questo  profilo  non si comprende quale possa essere la
ragione  di  politica  legislativa  per  cui  lo  Stato  abbia voluto
rinunciare  ad  una  eccezione  fondata sulle norme di diritto comune
(valevoli  per  tutte le situazioni di prolungata inerzia dell'avente
diritto),   peraltro   favorendo   soltanto   alcune   categorie   di
contribuenti  a  discapito  di  altri,  a cominciare da quelli le cui
dichiarazioni  fossero state presentate dopo il 30 giugno 1997. Ed e'
questo   il   secondo  profilo  della  violazione  del  principio  di
uguaglianza, sancito dall'articolo 3 della Costituzione.
   Inoltre  la  norma  rivela  la  sua assoluta irragionevolezza e il
contrasto  inconciliabile con l'articolo 97 della costituzione ove si
considerino  gli effetti perversi che essa produce, perche' da' adito
a vere e proprie frodi in danno dell'erario.
   Infatti   occorre   tenere  presente  che  la  liquidazione  della
dichiarazione,  prevista  dall'articolo  36-bis del d.P.R. n. 600 del
1973,  non prevedeva e non prevede tuttora che il disconoscimento del
credito  di  imposta,  esposto nella dichiarazione dei redditi, debba
essere  formalmente  comunicato  al  dichiarante.  Infatti, mentre il
primo  comma  stabilisce  che  all'esito della liquidazione l'ufficio
deve  provvedere  ad effettuare i rimborsi eventualmente spettanti in
base  alle dichiarazioni, il comma terzo stabilisce soltanto che, «ai
fini  delle  correzioni,  esclusioni  e  riduzioni previste dal comma
secondo»,  l'ufficio  deve  invitare  il contribuente, «anche a mezzo
telefono  o  a  mezzo  posta, a fornire chiarimenti in ordine ai dati
contenuti  nella dichiarazione e ad esibire o trasmettere ricevute di
versamento  e altri documenti indicati nella dichiarazione ma ad essa
non allegati o difformi dai dati forniti da terzi.»
   Vero  e'  che  la  legge  n. 212/2000  (statuto  dei  diritti  del
contribuente)  all'articolo  6 comma 2 stabilisce: «L'amministrazione
deve  informare  il  contribuente  di  ogni fatto o circostanza a sua
conoscenza  dai  quali possa derivare il mancato riconoscimento di un
credito  ovvero  l'irrogazione  di  una  sanzione,  richiedendogli di
integrare   o   correggere  gli  atti  prodotti  che  impediscono  il
riconoscimento,  seppure parziale, di un credito.» Anche questa norma
pero'  non  prevede  l'emanazione, dopo la richiesta di chiarimenti e
della  esibizione di documenti, di un vero e proprio provvedimento di
rigetto  della  richiesta  di  rimborso.  Ma  quand'anche  si volesse
affermare  che  da  essa scaturisce l'obbligo dell'amministrazione di
comunicare   il  rifiuto  del  rimborso  del  credito  esposto  nella
dichiarazione,  si  deve rilevare che essa non puo' esplicare effetti
sul  passato e sui procedimenti definiti prima dell'entrata in vigore
della citata legge n. 212/2000.
   Dunque,  in  precedenza,  e  specificamente  all'epoca  in  cui si
procedeva alla liquidazione delle dichiarazioni presentate negli anni
1982   e   1986,   il   dichiarante   poteva   essere  informato  del
disconoscimento  del  credito solo indirettamente; quando riceveva un
rimborso  inferiore  alla  somma  da  lui esposta nella dichiarazione
oppure  quando  la liquidazione metteva in evidenza non un credito ma
un  debito  di imposta. Viceversa, quando l'ufficio, anche dopo avere
chiesto  chiarimenti  e  documenti,  si  limitava  a  disconoscere il
credito  di  imposta, non era tenuto ad eseguire alcuna comunicazione
al  dichiarante. Si tratta certamente di una carenza normativa, a cui
tuttavia  non  e' possibile porre rimedio con la legge n. 212 entrata
in vigore nel 2000.
   Questa  deficienza  va  poi  messa  in relazione con la situazione
determinatasi  con  il  riordino  degli  uffici  dell'amministrazione
finanziaria  e  con  la  soppressione  dei centri di servizio, che in
passato   erano   deputati   alle  attivita'  di  liquidazione  delle
dichiarazioni  dei  redditi  e  di  rimborso e recupero delle imposte
liquidate.  Ma  soprattutto  si  deve  tenere conto delle esigenze di
buona  organizzazione  e  di  economicita'  nel  funzionamento  degli
uffici,  esigenze  che impongono la eliminazione della documentazione
cartacea  risalente  ad annualita' remote e a rapporti ormai definiti
ovvero non fatte oggetto di controversie pendenti. A cio' si aggiunga
che   anche   i   dati   informatici   relativi   alle  dichiarazioni
ultradecennali  talvolta  non  sono  stati mai archiviate su supporto
informatico,  talaltra  sono  stati  eliminati  quando si trattava di
dichiarazioni  non  assoggettate ad accertamento e/o a contestazione.
Sta  di  fatto  che  le  interrogazioni  al  SIAT  non  consentono di
conoscere l'esito di dichiarazioni relative ad annualita' antecedenti
al decennio.
   Queste  circostanze  hanno  determinato la concreta impossibilita'
dell'ufficio  di  risalire agli atti di liquidazione compiuti in anni
remoti  e  di  giustificare  la non spettanza del rimborso per quelle
dichiarazioni risalenti agli anni 80. Infatti in altro caso analogo a
quello  qui  in  esame  (vedi  nota  1)   l'ufficio  ha semplicemente
replicato   che   «trattandosi   di   annualita'   pregresse,   dalle
interrogazioni  al  SIAT non e' possibile verificare ne' i dati delle
dichiarazioni   dei  redditi  modello  760,  ne'  i  risultati  delle
liquidazioni effettuate dal Centro di Servizi di Milano».
   Risulta   percio'  evidente  come  taluni  contribuenti,  malgrado
l'inerzia  serbata  ben oltre il decennio della prescrizione, possano
approfittare  di questa situazione di impotenza della controparte per
rispolverare  vecchie  dichiarazioni che si chiudevano con un credito
di imposta a suo tempo non riconosciuto e, malgrado la consapevolezza
dell'insussistenza  del  diritto,  pretendere ora il rimborso, quando
l'amministrazione  finanziaria non e' piu' in grado di contrastare la
pretesa  a  causa  della sicura distruzione delle pratiche cartacee e
dell'improvvida  preclusione  dell'eccezione di prescrizione, imposta
dall'articolo 3, comma 58 della legge 24 dicembre 2003, n. 350.
   Percio',  sotto  questo aspetto deve ravvisarsi un conflitto della
predetta   norma  con  i  principi  sanciti  dall'articolo  97  della
Costituzione,  secondo  cui  gli  uffici  pubblici  sono  organizzati
secondo  disposizioni  di legge, in modo che siano assicurati il buon
andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione.
   Che  l'ipotesi, di una capziosa reviviscenza di crediti di imposta
a  suo  tempo non riconosciuti, non sia del tutto teorica, e' provato
dal  fatto  che  in  taluni  casi, secondo le deduzioni dell'ufficio,
dalle  interrogazioni  al SIAT risulta riconosciuto (e talvolta anche
eseguito)  il  rimborso di una somma inferiore a quella richiesta dal
ricorrente,  con  specifica  indicazione  della  data  e  del  numero
dell'ordinativo  di  pagamento.   (vedi  nota  2)  Cio' nonostante il
ricorrente  ha  chiesto  ugualmente  il  rimborso dell'intero credito
risultante   dalla  dichiarazione.  I  dati  menzionati  dall'ufficio
resistente risultano soltanto dal sistema informativo, ma il silenzio
del  ricorrente  su  queste  specifiche deduzione fa ritenere ammesso
l'effettivo   rimborso   parziale   del   credito   e,   dunque,   la
consapevolezza del disconoscimento del credito residuo e la pregressa
tacita accondiscendenza al rifiuto del rimborso per la parte residua.
   Tuttavia,  dopo  la  promulgazione  della  legge  24 dicembre 2003
n. 350,   che   inibisce   agli  uffici  di  opporre  l'eccezione  di
prescrizione,  questi  contribuenti si sono d'improvviso ricordati di
questi  remoti crediti di imposta derivanti da dichiarazioni non piu'
soggette  ad accertamento (e dunque del tutto estranee a qualsivoglia
contenzioso), per rivendicare dallo Stato somme che a suo tempo erano
state  disconosciute,  secondo  gli  ordinari  canoni di liquidazione
delle  dichiarazioni.  L'inerzia  serbata  per oltre dieci anni prima
della   novella   del  dicembre  2003  dimostra  che  essi  si  erano
rassegnati a  non  esigere piu' il rimborso essendo consapevoli della
insussistenza del credito residuo.
   Dunque,  l'improvvido divieto di eccepire la prescrizione, rivolto
soltanto  agli  uffici  finanziari e contenuto nel citato articolo 2,
comma  58, della legge n. 350/2003, da un lato non ha una ragionevole
spiegazione normativa, dall'altro finisce soltanto con il favorire la
soddisfazione di ingiuste richieste di rimborso.
   Pertanto   e'   necessario   sollevare  di  ufficio  questione  di
legittimita'  costituzionale  della predetta norma, in relazione agli
articoli  3,  97 e 113 secondo comma della Costituzione, posto che la
norma   impedisce   all'Agenzia   delle   Entrate   di   eccepire  la
prescrizione.


(1)  Si  veda il ricorso n. 14104/2006, ricorrente Lambro S.r.l., per
il  quale  e'  stata  sollevata la stessa questione di illegittimita'
costituzionale.
(2)  La  predetta  circostanza  non  e' in contrasto con quanto prima
specificato    circa    la   cancellazione   dei   dati   informatici
pluridecennali,  perche' i database relativi ai rimborsi, ovvero alle
erogazioni  di denaro da parte dell'Erario, seguono regole diverse da
quelle sui dati generali attinenti alle dichiarazioni dei redditi.