Sentenza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 del
decreto-legge  20  marzo  2007,  n. 23  (Disposizioni  urgenti per il
ripiano  selettivo  dei  disavanzi  pregressi  nel settore sanitario,
nonche' in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di
assistenza specialistica ambulatoriale), sia nel testo originario che
in  quello  risultante  all'esito  delle  modifiche  apportate  dalla
relativa legge di conversione 17 maggio 2007, n. 64, promossi con due
ricorsi  della  Regione  Veneto  e  con  due  ricorsi  della  Regione
Lombardia  notificati  il  18  maggio  ed il 13 ed il 19 luglio 2007,
depositati  in  cancelleria il 24 e il 26 maggio 2007, il 19 ed il 26
luglio  2007  ed  iscritti  ai  numeri  25,  26, 32 e 34 del registro
ricorsi 2007.
   Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 6 maggio 2008 il giudice relatore
Alfonso Quaranta;
   Uditi  gli  avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione
Veneto,  Beniamino  Caravita  di  Toritto  per la Regione Lombardia e
l'Avvocato  dello  Stato  Raffaele  Tamiozzo  per  il  Presidente del
Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso  depositato  in  cancelleria il 24 maggio 2007
(ricorso  n. 25 del 2007), la Regione Veneto ha promosso questioni di
legittimita'  costituzionale  degli  artt. 1 e 2 del decreto-legge 20
marzo  2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei
disavanzi  pregressi  nel  settore  sanitario),  per violazione degli
artt. 3, 32, 97, 117 e 119 della Costituzione, nonche' «del principio
di  leale  collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della
legge  costituzionale  18  ottobre 2003, n. 3» (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione).
   2.  -  Anche  la  Regione  Lombardia,  con  ricorso  depositato in
cancelleria  il  26 maggio 2007 (ricorso n. 26 del 2007), ha promosso
questione  di  legittimita' costituzionale del medesimo decreto-legge
n. 23  del 2007, ipotizzandone l'illegittimita' per contrasto con gli
artt. 3, 32, 117, terzo e quarto comma, 119 e 120 della Costituzione,
nonche'   «per   violazione   del   principio   di   buon   andamento
dell'amministrazione  (art.  97  Cost.),  dell'obbligo di partecipare
alle spese pubbliche in ragione della capacita' contributiva (art. 53
Cost.)   e   della   riserva  di  legge  in  materia  di  prestazioni
patrimoniali» (art. 23 Cost.).
   3.  - Entrambe le Regioni hanno, inoltre, impugnato anche la legge
17  maggio  2007, n. 64 (Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto  legge 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per
il  ripiano  selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario,
nonche' in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di
assistenza specialistica ambulatoriale).
   In  particolare,  la  Regione  Veneto,  con  ricorso depositato in
cancelleria  della  Corte il 19 luglio 2007 (ricorso n. 32 del 2007),
censura  la  predetta legge assumendone la contrarieta' agli artt. 3,
32,  97,  117,  118  e  119  Cost.,  nonche'  al  principio  di leale
collaborazione  «di  cui  agli  artt.  5 e 120 Cost. e 11 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».
   Del   pari,  la  Regione  Lombardia,  con  ricorso  depositato  in
cancelleria  della  Corte il 26 luglio 2007 (ricorso n. 34 del 2007),
ha  impugnato  la  legge  n. 64  del  2007, limitatamente all'art. 1,
ipotizzando  il contrasto con gli artt. 3, 32, 77, secondo comma, 81,
quarto  comma,  117,  terzo  e  quarto  comma,  118, 119 e 120 Cost.,
nonche'    la   «violazione   del   principio   di   buon   andamento
dell'amministrazione  (art.  97  Cost.),  dell'obbligo di partecipare
alle spese pubbliche in ragione della capacita' contributiva (art. 53
Cost.)   e   della   riserva  di  legge  in  materia  di  prestazioni
patrimoniali» (art. 23 Cost.).
   4.  - Preliminarmente, entrambe le ricorrenti illustrano, nei suoi
tratti essenziali, la disciplina oggetto di censura.
   Sottolineano,  pertanto,  che  le  disposizioni oggetto di censura
stabiliscono,  innanzitutto, che lo Stato - in deroga all'obbligo per
le Regioni di coprire gli eventuali disavanzi di gestione con oneri a
proprio  carico  -  concorre  «al  ripiano dei disavanzi del Servizio
sanitario  nazionale  per  il  periodo  2001-2005»,  in  favore delle
Regioni che soddisfino, pero', alcuni requisiti (art. 1, comma 1). Si
richiede,  in  particolare,  che «al fine della riduzione strutturale
del   disavanzo  nel  settore  sanitario»  le  Regioni  sottoscrivano
«l'accordo con lo Stato per i piani di rientro», nonche' accedano «al
fondo transitorio di cui all'articolo 1, comma 796, lettera b), della
legge  296  del  2006»  (lettera  a  comma 1 del predetto art. 1). E'
necessaria,  poi,  «al  fine  dell'ammortamento del debito accumulato
fino   al   31   dicembre   2005»,  ed  «in  via  ulteriore  rispetto
all'incremento   nella   misura  massima  dell'addizionale  regionale
all'imposta   sul  reddito  delle  persone  fisiche  e  dell'aliquota
dell'imposta  regionale sulle attivita' produttive», la destinazione,
da  parte  delle  Regioni,  «al  settore sanitario in modo specifico,
anche in via alternativa», di «quote di manovre fiscali gia' adottate
o  quote di tributi erariali attribuiti alle regioni stesse», ovvero,
«nei  limiti  dei  poteri  loro attribuiti dalla normativa statale di
riferimento  ed  in  conformita'  ad  essa»,  di  «misure  fiscali da
attivarsi   sul  proprio  territorio,  in  modo  tale  da  assicurare
complessivamente  risorse  superiori  rispetto a quelle derivanti dal
predetto  incremento  nella  misura  massima» (lettera b del medesimo
comma 1 dell'art. 1).
   E'  stabilito, inoltre, che, «per il periodo di imposta successivo
al 31 dicembre 2006 e per i periodi seguenti fino all'anno 2010», per
quelle  Regioni  -  le  quali  approvino  l'accordo  «stipulato con i
Ministri  della  salute  e  dell'economia  e  delle finanze, ai sensi
dell'articolo  1,  comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e
dell'articolo  1, comma 796, lettera b), secondo periodo, della legge
27   dicembre   2006,   n. 296»   -  «l'addizionale  all'IRPEF  e  le
maggiorazioni  dell'aliquota  dell'IRAP  si  applicano  nella  misura
prevista al comma 174, ultimo periodo, dell'articolo 1 della medesima
legge  30  dicembre  2004,  n. 311»; tali incrementi, invece, «non si
applicano nelle regioni nelle quali sia scattato, in modo automatico,
l'innalzamento    dell'addizionale    regionale    all'IRPEF    della
maggiorazione   dell'aliquota   dell'IRAP»   e   -   a   seguito  del
raggiungimento  dell'accordo  con  il  Governo  sulla  copertura  dei
disavanzi  di  gestione  del  servizio  sanitario  regionale, accordo
previsto  «all'articolo  1,  comma  1-bis, del decreto-legge 7 giugno
2006,  n. 206,  convertito,  con modificazioni, dalla legge 17 luglio
2006,  n. 234» - «tale innalzamento non sia stato applicato» (comma 2
dell'art. 1).
   Infine,  e'  previsto  che  lo  stanziamento  per il ripiano delle
situazioni  debitorie  accumulate dalle Regioni nel settore sanitario
sia  pari  a 3.000 milioni di euro per l'anno 2007, da ripartire «tra
le regioni interessate con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze,  di  concerto  con  il  Ministro  della  salute,  sentito il
Ministro  per  gli  affari  regionali  e  le  autonomie  locali»;  in
particolare,  poi,  i  criteri  per  l'erogazione  dello stanziamento
verranno  definiti  «sulla  base  dei  debiti  accumulati  fino al 31
dicembre   2005,   della   capacita'   fiscale   regionale   e  della
partecipazione   delle   regioni   al  finanziamento  del  fabbisogno
sanitario»,   prevedendosi,   conclusivamente,   che  alla  copertura
finanziaria  degli  oneri derivanti dal decreto si provveda «mediante
corrispondente  riduzione  dello  stanziamento  iscritto, ai fini del
bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unita' previsionale di
base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze per l'anno 2007» (comma 3
dell'art. 1).
   5. - Assumono le Regioni ricorrenti, nello svolgere censure per la
massima  parte  coincidenti,  che  tale  disciplina  si  porrebbe  in
controtendenza rispetto alla piu' recente evoluzione legislativa - la
quale,  sebbene  non  abbia  «escluso  l'intervento  dello  Stato nel
percorso  di  risanamento  del  deficit  sanitario delle Regioni», ha
comunque   subordinato   tale  partecipazione  «a  misure  fortemente
indicative  della  progressiva  responsabilizzazione  delle  Regioni»
(cio' in coerenza «con la soppressione dei trasferimenti erariali» in
favore  delle stesse relativi «al finanziamento della spesa sanitaria
corrente  e  in  conto capitale disposta dall'art. 1, lettera d), del
d.lgs.  n. 56  del  2000»)  - e sarebbe, inoltre, in contrasto con la
Costituzione.
   5.1.  -  Viene  dedotta, in primo luogo, la violazione dell'art. 3
Cost.,  sotto  il profilo sia della disparita' di trattamento che del
difetto di ragionevolezza.
   Ed  invero,  la contestata disciplina, «disconoscendo il principio
di   responsabilita'  finanziaria»  delle  Regioni,  pregiudicherebbe
«qualita'  e  quantita' delle prestazioni» rese da quelle tra di esse
che,  come  le  ricorrenti,  hanno  contenuto la spesa sanitaria «non
dilatando  oltre  il  lecito le proprie azioni concrete», chiamandole
«alla sopportazione degli oneri generali di una spesa inefficiente ed
eccessiva» alla quale non hanno concorso, cio' che determinerebbe una
«discriminazione  irragionevole»  che «genera disuguaglianza» (cosi',
in particolare, il ricorso n. 25 del 2007 della Regione Veneto).
   Tale  disciplina, difatti, «agendo con metodo selettivo, opera una
vera  e  propria  discriminazione  fra soggetti istituzionalmente fra
loro  equiordinati  quali  sono le Regioni, selezionandone alcune nei
confronti  delle quali lo Stato concorre al ripiano del disavanzo nel
settore  del Servizio sanitario nazionale, escludendone altre che non
avranno  acceso ai benefici» (cosi', in particolare, i ricorsi nn. 26
e  34 della Regione Lombardia). In tal modo, dunque, si attribuiscono
«risorse  economiche  solo  ad alcune Regioni, pur oberate da gravi e
tuttavia  evitabili  (doverosamente evitabili) situazioni di debito»,
non  consentendo  invece,  proprio  «alle  Regioni che quei disavanzi
hanno  saputo  evitare», di «utilizzare le risorse statali stanziate,
per  il  miglioramento  del  proprio  servizio  sanitario, su basi di
effettiva e reale parita' istituzionale» (in tal senso, i ricorsi nn.
26 e 34 della Regione Lombardia).
   Inoltre,   la   disciplina   in   esame  risulterebbe  affetta  da
irragionevolezza, sia perche' la previsione del ripiano selettivo del
disavanzo  sanitario  «sana  retroattivamente  i  disavanzi di alcune
Regioni   senza   preoccuparsi   di  agire  sulle  cause  strutturali
determinanti i risultati negativi di gestione», sia perche' «tradisce
il principio di responsabilita' delle singole Regioni per la gestione
della  sanita' e per la copertura degli eventuali relativi disavanzi,
regola  costantemente  riaffermata  dallo  Stato  stesso,  sia  nella
propria  produzione  normativa sia in sede di accordo e intesa con le
Regioni  e  le  Province  autonome,  e divenuta ormai imprescindibile
cardine  per  la  corretta  attuazione  del  disegno  costituzionale»
(cosi',  in  particolare,  il  ricorso  n. 32  del 2007 della Regione
Veneto).
   Infine,   il   difetto  di  ragionevolezza  sarebbe  ulteriormente
confermato  dalla  «genericita»  e dalla «inadeguatezza» dei «criteri
recati  dal  decreto  ai fini della quantificazione del finanziamento
attribuito  alle  Regioni»  (in tal senso i ricorsi nn. 26 e 34 della
Regione Lombardia).
   5.2.  -  E' dedotta, poi, dalla Regione Veneto la violazione degli
artt. 32 e 97 Cost.
   Si  assume, difatti, che la scelta legislativa - gia' censurata ai
sensi  dell'art.  3  Cost.  - di chiamare anche le Regioni "virtuose"
«alla sopportazione degli oneri generali di una spesa inefficiente ed
eccessiva» alla quale non hanno concorso, determinerebbe non solo una
«discriminazione irragionevole» che «genera disuguaglianza», ma anche
la   mortificazione   del   buon  andamento  del  Servizio  sanitario
nazionale,  incidendo, infine, sul diritto alla salute di chi risiede
in   tali   Regioni   (ricorso  n. 25  del  2007),  giacche'  costoro
soffrirebbero   «della   contrazione   del   livello   qualitativo  e
quantitativo delle prestazioni sanitarie che inevitabilmente consegue
al  rilevante spreco delle risorse» complessivamente destinate a tale
settore (ricorso n. 32 del 2007).
   5.3.  -  Sempre  l'art.  97  Cost.  - ma in combinato disposto con
l'art.  119,  oltre  che  «in relazione agli artt. 23, 53 e 32» della
medesima   Carta   fondamentale  -  e'  evocato  pure  dalla  Regione
Lombardia.
   Si assume, infatti, che la contestata disciplina costituirebbe «un
grave ostacolo al conseguimento di prassi amministrative ordinate, in
grado  di  fronteggiare con efficacia la complessita' delle richieste
che  i  cittadini,  in  materia di tutela della salute, devono vedere
soddisfatte»,   con   conseguente  «lesione  del  generale  principio
costituzionale  relativo  al  "buon  andamento"  dell'amministrazione
pubblica»,  nonche'  di  quello  «per  il quale l'onere relativo alle
spese pubbliche e' finanziato in ragione della capacita' contributiva
di ciascuno» (art. 53 Cost.).
   Detta  disciplina  inoltre  violerebbe  -  dal momento che neppure
precisa  «l'entita'  delle  misure  fiscali  da  attivare» e, dunque,
«l'entita'  della  compartecipazione  fiscale che verra' richiesta ai
cittadini» - il principio (art. 23 Cost.) della «riserva di legge» in
materia  tributaria  (ricorsi  nn. 26 e 34 del 2007), il quale, esige
che  «la  concreta  entita' della prestazione imposta sia chiaramente
desumibile  dagli  interventi  legislativi che riguardano l'attivita'
dell'amministrazione» (ricorso n. 34 del 2007).
   Infine,   la   violazione   del   principio   del  buon  andamento
dell'amministrazione  deriverebbe  anche  dal  fatto  che,  «a fronte
dell'oggettiva  rilevanza  dello stanziamento» disposto dal censurato
decreto-legge,   «le   modalita'   di  monitoraggio  e  di  riscontro
dell'estinzione  dei debiti» risultano disciplinate solo «nell'ambito
dei  piani  di  rientro», con conseguente omissione, pertanto, «degli
indispensabili  strumenti  di  monitoraggio  e  di controllo sull'uso
delle  risorse»,  delle  «pur  necessarie sanzioni in caso di mancato
conseguimento   degli   obiettivi»,  nonche'  della  «quantificazione
dell'aumento  del  prelievo fiscale» e, soprattutto, della «eventuale
riduzione   del  finanziamento  in  caso  di  mancato  rientro  delle
situazioni  deficitarie»,  oltre che delle «modalita' di restituzione
del  finanziamento dalle Regioni allo Stato» (ricorsi nn. 26 e 34 del
2007).
   5.4.  -  E'  dedotta, poi, da entrambe le ricorrenti la violazione
dell'art. 117 Cost.
   Si  evidenzia,  difatti,  che  la contestata disciplina non appare
riconducibile  a  nessuno dei titoli di competenza, pur astrattamente
invocabili  dallo  Stato  (e  cioe'  la  determinazione  dei  livelli
essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
ovvero  la competenza a porre principi fondamentali nell'ambito della
tutela  della  salute e del coordinamento della finanza pubblica), ed
in particolare: non al primo, in quanto gli interventi legislativi di
ripiano  dei  disavanzi  di gestione del Servizio sanitario nazionale
andrebbero   valutati   «nel   quadro  della  competenza  legislativa
regionale  concorrente  in  materia  di  tutela della salute», ne' al
secondo, visto che la disciplina in esame, lungi dal recare «principi
fondamentali»,  «si  segnala, invece, per il suo carattere minuzioso,
dettagliato,  autoapplicativo, dal momento che indica quali Regioni e
secondo   quali  modalita'  potranno  beneficiare  del  finanziamento
statale   per   ripianare   i  propri  debiti  sanitari»  (cosi',  in
particolare, il ricorso n. 25 del 2007).
   5.5.  -  La  sola  Regione  Veneto,  nel secondo dei suoi ricorsi,
ipotizza  il contrasto dell'impugnata disciplina anche con l'art. 118
Cost.,  atteso  che  la  previsione di un intervento finanziario «del
livello   di   governo  centrale»  si  risolverebbe  «in  un'indebita
interferenza  nella  gestione  piu'  propriamente organizzativa della
sanita',   ossia,   in   concreto,   nell'esercizio   delle  funzioni
amministrative  che  l'art. 118 Cost. vuole distribuire tra i diversi
enti territoriali» (ricorso n. 32 del 2007).
   5.6.  - L'illegittimita' costituzionale della censurata disciplina
deriverebbe,  poi,  dal contrasto - dedotto da ambedue le ricorrenti,
seppure con argomenti diversi - con l'art. 119 Cost.
   Esclusa,  difatti,  la  possibilita'  di  ricondurre  l'intervento
realizzato dal censurato decreto-legge n. 23 del 2007 alla materia di
cui  all'art.  117,  secondo comma, lettera m), Cost. (giacche' «tale
titolo  di legittimazione legislativa non puo' essere invocato se non
in  relazione  a  specifiche  prestazioni  delle  quali  la normativa
statale  definisca il livello essenziale di erogazione»), entrambe le
ricorrenti  concordano  nel  ritenere  che  la  contestata disciplina
darebbe  vita,  in  una materia - la tutela della salute - oggetto di
potesta'  legislativa  concorrente,  ad  un  finanziamento vincolato,
destinato,  dunque,  a  risolversi  in  «uno  strumento indiretto, ma
pervasivo,  di  ingerenza  dello  Stato nell'esercizio delle funzioni
delle  Regioni  e  degli  enti  locali, nonche' di sovrapposizione di
politiche   e   di   indirizzi   governati   centralmente   a  quelli
legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria
competenza» (cosi', in particolare, i ricorsi nn. 26 e 34 del 2007).
   La  sola  Regione  Lombardia  deduce,  altresi', la violazione del
comma  sesto dell'art. 119 Cost., giacche' la contestata disciplina -
in  contrasto,  appunto,  con  la  norma costituzionale che limita la
«possibilita'  di Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni di
ricorrere  all'indebitamento per il solo finanziamento delle spese di
investimento»  -  «autorizza l'indebitamento di talune Regioni per la
copertura  dei disavanzi sanitari pregressi per il periodo 2001-2005,
autorizzando,  a  tal  fine,  una  spesa  ancora  non determinata, ma
sicuramente  rilevante  (ricavabile  dalla  sommatoria  dei  piani di
rientro)  a  carico dello Stato, a titolo di "regolazione debitoria"»
(ricorsi nn. 26 e 34 del 2007).
   5.7.  -  Entrambe  le  ricorrenti  deducono  la  violazione  anche
dell'art.   120   Cost.,   giacche'   la  censurata  disciplina,  pur
predisponendo  un  intervento  «sostitutivo»  ai sensi di detta norma
costituzionale, «non pone per legge criteri oggettivi di monitoraggio
del  finanziamento  e  per  l'estinzione  del  debito contratto dalle
Regioni»,  ne'  altresi'  individua  «condizioni, garanzie e relative
sanzioni».
   Ad  avviso delle ricorrenti, la giurisprudenza costituzionale, per
contro, ha sottolineato la necessita' che «che l'esercizio dei poteri
sostitutivi  sia  previsto  e disciplinato dalla legge, la quale deve
altresi'   definirne   i   presupposti  sostanziali  e  procedurali»,
evenienza  non  verificatasi  nel  caso  in  esame,  con  conseguente
violazione  dell'art.  120  Cost., in quanto, se e' vero che i poteri
sostituivi  «concorrono  a  limitare  l'autonomia  dell'ente  nei cui
confronti opera la sostituzione, e' evidente che tale compressione di
autonomia  debba  sottostare  da un lato a forme e procedure certe e,
sotto  altro  profilo, debba svolgersi secondo modalita' congrue alle
finalita' per le quali e' posto in essere» (ricorso n. 26 del 2007).
   5.8. - La sola Regione Lombardia, nel secondo dei suoi ricorsi (n.
34  del  2007),  deduce,  infine,  la  violazione  di  due  ulteriori
parametri, e cioe' degli artt. 77, secondo comma, e 81, quarto comma,
Cost.
   5.8.1.  -  Quanto,  in particolare, alla prima di tali censure, si
ipotizza l'assenza dei presupposti previsti dalla Costituzione per il
ricorso   alla   decretazione   d'urgenza,   vizio   che   la   Corte
costituzionale   ha  escluso  possa  ritenersi  sanato  dall'avvenuta
conversione  in  legge  del decreto (e' citata la sentenza n. 171 del
2007).
   Ed  invero, a dire della ricorrente, «le situazioni di deficit che
il    provvedimento    intende    ripianare,   non   possono   essere
realisticamente  riguardate  come  "caso  straordinario"», atteso che
«rappresentano  l'esito  non  improvviso  ne'  imprevedibile,  quindi
scontato»,  di  «crisi  gestionali  e  amministrative  evidenziate da
talune amministrazioni regionali».
   Ne', d'altra parte, la sussistenza dei presupposti ai quali l'art.
77  Cost.  subordina  il ricorso alla decretazione d'urgenza potrebbe
desumersi  -  sottolinea  la  Regione  Lombardia  - dal preambolo del
censurato   decreto-legge   (che  conterrebbe  solo  quell'apodittica
enunciazione  dell'esistenza  delle ragioni di necessita' ed urgenza,
gia'  censurata  dalla  menzionata  sentenza n. 171 del 2007), ovvero
dalla relazione governativa al disegno di legge di conversione.
   Non   veritiera,   in  particolare,  risulterebbe  la  circostanza
riferita  in  detta  relazione,  secondo  cui l'urgenza di provvedere
sarebbe derivata dall'impossibilita' di una tempestiva sottoscrizione
di  tutti  i  piani  di rientro dai disavanzi, giacche' proprio «alla
data  di  emanazione  del  decreto-legge  (20 marzo 2007), i piani di
rientro delle Regioni ammesse al finanziamento risultavano ampiamente
definiti», persino «sul punto dell'entita' della partecipazione dello
Stato al ripiano dei disavanzi regionali».
   Significativo,   poi,  sarebbe  il  fatto  che,  mentre  il  piano
intervenuto  il  6  marzo  2007  tra  lo  Stato  e  la  Regione Lazio
subordinava  l'efficacia  dello  stesso,  tra le altre condizioni, al
«concorso  straordinario  dello  Stato  in  favore  delle Regioni con
elevati  disavanzi»  (e  dunque  ad  un  finanziamento  statale, illo
tempore,   «non   ancora   autorizzato  e  regolato  da  alcun  testo
normativo»), tra i requisiti che il d.l. n. 23 del 2007 «richiede per
l'accesso  al  finanziamento  dello Stato» vi sia «proprio la stipula
dei  piani  di  rientro»;  si  assiste,  cosi',  «ad un irrisolvibile
tecnica  di  rimando  per  cui  i  piani  di  rientro  richiedono  un
provvedimento futuro del Governo con cui si dispone la partecipazione
dello   Stato   al   ripiano   dei  deficit  regionali  (ed  anzi  lo
"presuppongono")   e   il  provvedimento  del  Governo  (e  cioe'  il
decreto-legge  convertito qui impugnato) subordina l'erogazione delle
somme stanziate alla stipula dei piani di rientro».
   5.8.2.  - Quanto, poi, alla dedotta violazione anche dell'art. 81,
quarto  comma,  Cost.,  a  dire  della  Regione  Lombardia  la scelta
compiuta  dal  censurato  decreto-legge,  di  «non  prevedere  misure
puntuali  relative  alla  restituzione  delle somme erogate», sarebbe
destinata  a  tradursi  «nella  mancata  previsione  di  una adeguata
copertura finanziaria per i costi che il provvedimento comportera».
   Ed  invero,  le modalita' di riscontro dell'estinzione del debito,
assunto    dalle    «Regioni    interessate»    dall'erogazione   del
finanziamento,  risultano  disciplinate  soltanto  «nell'ambito»  dei
piani   di   rientro,   cio'   che  significa  che  questi  «dovranno
semplicemente  rendere  conto  dell'effettivo e progressivo ripiano»,
senza,  invece,  «nulla  dire  sulle  modalita'  e  sui tempi (che al
contrario  dovrebbero  essere definiti e certi) circa la restituzione
allo Stato delle somme erogate».
   Risulterebbe,  pertanto, violata la suddetta norma costituzionale,
la cui finalita' «non puo' essere solo quella volta ad assicurare che
ad  ogni spesa sostenuta corrisponda un'adeguata copertura», essendo,
invece,  «necessariamente  piu' ampia» e consistendo, in particolare,
«nel  necessario  bilanciamento  tra  flussi  in  uscita  e flussi in
entrata,  volto  a  realizzare sul piano finanziario un equilibrio di
sistema nel lungo periodo».
   6.  -  Si  e'  costituito  in  tutti  i  giudizi il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale   dello   Stato,   concludendo   per   l'inammissibilita'  e
l'infondatezza di ciascuno dei ricorsi.
   La  difesa erariale evidenzia, difatti, come il contributo statale
previsto  dal  censurato  d.l.  n. 23 del 2007 risulti «assolutamente
necessario  ad  accompagnare finanziariamente le Regioni impegnate in
piani  di  rientro  dai  deficit  strutturali,  affinche' il peso del
debito  pregresso  non  comprometta il raggiungimento dell'equilibrio
economico e finanziario della gestione corrente».
   Detto  contributo,  poi,  oltre  a  giustificarsi  in ragione «del
principio  di  leale  collaborazione  tra  gli enti territoriali» (il
quale  «ha  accompagnato  il consolidarsi nel settore sanitario di un
nuovo  spirito  cooperativo  incentrato  sulla  stipula  periodica di
"patti di stabilita'" tra lo Stato e le Regioni per la fissazione del
fabbisogno   sanitario   e  il  riparto  delle  spese  disponibili»),
troverebbe  il  proprio  fondamento  costituzionale  nella competenza
esclusiva  statale  nelle  materie  di  cui alle lettere e) ed m) del
secondo comma dell'art. 117 Cost.
   La  disciplina censurata recherebbe, difatti, «disposizioni tese a
perseguire  il  piu'  efficiente funzionamento del Servizio sanitario
nazionale»,   in  un  quadro  nel  quale  «il  concorso  statale  nel
risanamento  strutturale  dei disavanzi pregressi e' subordinato alla
sottoscrizione,  da  parte  delle Regioni interessate, di un apposito
accordo  con lo Stato per i piani di rientro, nonche' all'attivazione
di specifiche misure fiscali, ovvero all'utilizzo di quote di manovre
fiscali gia' adottate o di tributi erariali».
   Cio' premesso, la difesa dello Stato rileva come la giurisprudenza
costituzionale  abbia  «in piu' occasioni affrontato le problematiche
afferenti  al concorso statale alla riduzione del deficit dei servizi
sanitari  regionali»; in particolare, con la sentenza n. 98 del 2007,
la  Corte  costituzionale, «con specifico riferimento alla violazione
dell'autonomia  legislativa  in  materia  di  tutela  della  salute e
dell'autonomia  finanziaria regionale», avrebbe evidenziato che, «pur
in  deroga  all'obbligo espressamente previsto dalla legislazione sul
finanziamento del Servizio sanitario nazionale che siano le Regioni a
coprire  gli  eventuali deficit del servizio sanitario regionale», e'
legittimo  uno «speciale contributo finanziario dello Stato», purche'
sia «subordinato a particolari condizioni finalizzate a conseguire un
migliore  o  piu'  efficiente  funzionamento del complessivo servizio
sanitario».
   Principio,  questo,  si  rileva, gia' affermato sin dalla sentenza
n. 36   del   2005,  con  la  quale  e'  stata  ritenuta  conforme  a
Costituzione   la  scelta  del  legislatore  statale  di  subordinare
«l'accesso  delle  Regioni  al finanziamento integrativo del Servizio
sanitario  nazionale  all'osservanza di determinate condizioni», e si
e'  precisato  in  particolare - prosegue sempre la difesa erariale -
«che  l'incremento delle risorse per il Servizio sanitario nazionale,
accompagnato  da  specifici  adempimenti  a  carico delle Regioni, va
letto in termini di "carattere incentivante del finanziamento statale
ai fini del conseguimento degli obiettivi di programmazione sanitaria
e del connesso miglioramento del livello di assistenza"».
   Pertanto, quella censurata non sarebbe «un'invasione di competenze
da parte dello Stato», bensi' «un'erogazione condizionata al rispetto
di   obiettivi   precisi   stabiliti   a  livello  centrale,  la  cui
realizzazione  sara'  monitorata  periodicamente  attraverso appositi
nuclei di affiancamento formati da rappresentanti del Governo e della
Conferenza  delle  Regioni»,  da ritenere, quindi, costituzionalmente
legittima,  essendo  oltretutto  «prerogativa  del  Governo quella di
garantire  l'unita'  della  Repubblica  nella fruizione di un diritto
costituzionale come quello della salute».
   Ed  invero, essendo compito dello Stato «garantire il diritto alla
salute,  agli  stessi  livelli,  su  tutto  il territorio nazionale»,
risulterebbe   «di   tutta   evidenza   che   negare   il  contributo
straordinario»  (previsto  dalla censurata disciplina) equivarrebbe a
vanificare  tale  compito,  creando  «un  danno  per l'intero sistema
sanitario  nazionale»  e dando luogo «ad un perverso effetto a catena
assolutamente  negativo:  il  merito  di  credito  delle  Regioni  in
difficolta'   crollerebbe  visti  i  volumi  delle  cartolarizzazioni
sanitarie,  ne soffrirebbe inevitabilmente anche il merito di credito
della Repubblica».
   Inoltre,   conclude  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  «nelle
Regioni in difficolta' il sistema sanitario rischierebbe di diventare
ingovernabile e si potrebbero verificare fenomeni quali il fallimento
delle  aziende  sanitarie  e  con esso dell'intero settore produttivo
collegato»,   senza   contare  che  i  «governi  regionali  sarebbero
disincentivati  dall'intraprendere  il  grande  sforzo codificato nei
piani  di  rientro  e  il bisogno di salute resterebbe un problema di
cui,  in  ogni  caso,  lo  Stato  centrale  sarebbe  chiamato a farsi
carico».
   6.1. - In prossimita' dell'udienza pubblica, la difesa dello Stato
ha   depositato,  per  ciascuno  dei  quattro  giudizi,  un'ulteriore
memoria, ribadendo le eccezioni e difese gia' proposte.
   Con  riguardo  alle  specifiche  censure  formulate  dalle Regioni
ricorrenti   la   difesa   dello   Stato   -   previamente   eccepita
l'inammissibilita'  delle  questioni  «non direttamente riconducibili
alle  norme costituzionali che regolano la competenza regionale» - ha
dedotto quanto segue.
   Non  sussisterebbe  la  violazione del principio di uguaglianza di
cui  all'art. 3 Cost., in quanto il concorso al ripiano del disavanzo
e'  disposto  nei confronti delle Regioni che sottoscrivono l'accordo
per  il  rientro  dai deficit, che attivano la leva fiscale dell'IRAP
sul loro territorio e l'addizionale regionale dell'IRPEF nella misura
consentita  dalla  legislazione vigente, ed inoltre, che destinano al
settore sanitario ulteriori risorse.
   In  riferimento  alla  dedotta  violazione  dell'art. 97 Cost., si
rileva come le norme impugnate, a differenza di quanto ritenuto dalle
ricorrenti,   sarebbero   dirette  ad  eliminare  definitivamente  le
condizioni di cattiva amministrazione che hanno dato luogo ai deficit
in questione.
   Con  riguardo  alla  prospettata  lesione  dell'art. 117 Cost., si
rileva che le disposizioni in esame, poiche' non tendono a realizzare
nuova  offerta  sanitaria,  ma  solo  a  consentite l'ammortamento di
debiti  cumulati  fino  al  31 dicembre 2005, non inciderebbero sulla
materia della salute intesa in senso ampio.
   Non    appare,   altresi',   leso   il   principio   della   piena
responsabilita'  ed autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli
enti,  ai  sensi  dell'  art.  119  Cost.,  in  quanto, al fine della
responsabilizzazione  delle  Regioni  interessate,  alle  stesse sono
state  richieste  misure di copertura pluriennale e di attivazione di
risorse  regionali  ulteriori, mentre l'intervento statale ha la mera
funzione  di  consentire  la  effettiva  realizzazione  dei  piani di
rientro.
   Ne'  sussiste  violazione  del  divieto  di  indebitamento  per il
finanziamento della spesa corrente.
   Con  riguardo  alla  prospettata violazione dell'art. 23 Cost., si
rileva  che  l'obiettivo  dell'intervento  statale  sarebbe quello di
consentire  una gestione dei servizi regionali interessati improntata
a  principi  di  economicita'  e di buona amministrazione, al fine di
garantire  l'erogazione  dei  livelli  essenziali  di  assistenza  in
condizioni di efficienza ed appropriatezza.
   Ne'  vi  sarebbe  la lesione del principio di leale collaborazione
fra  Stato  e  Regioni, in quanto nessun accordo e' stato cercato ne'
raggiunto  con  tutte  le  Regioni  a giustificazione dell'intervento
statale.
   Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato non puo', altresi',
condividersi  la  tesi dell'irragionevolezza della norma, desunta dal
carattere  «retroattivo»  che  si evince dal riferimento ai disavanzi
pregressi.
   In  ordine alla prospettata assenza dei requisiti di necessita' ed
urgenza  dell'impugnato  decreto-legge,  nella  specie, l'esigenza di
intervenire   sul  contenimento  della  spesa  pubblica  sarebbe,  al
contrario, del tutto idonea a giustificare lo strumento prescelto.
   A  sostegno  di  tali  ultime  argomentazione  sono  richiamate le
sentenze della Corte costituzionale n. 171 del 2007 e n. 29 del 1995,
che   hanno   affermato   come   l'esistenza   dei   requisiti  della
straordinarieta'  del  caso  di  necessita'  e  d'urgenza puo' essere
oggetto  di  scrutinio  di  costituzionalita', ma quest'ultimo non si
sovrappone  ne'  si  sostituisce  a  quello  iniziale del Governo e a
quello successivo del Parlamento.
   Non  si  ravvisa,  inoltre, contrasto con l'art. 119, sesto comma,
Cost.,  in  quanto detta norma pone un limite alle Regioni e non allo
Stato che intervenga in loro ausilio.
   Le  norme  impugnate,  infine,  sarebbero  rispettose dei principi
enunciati  dagli  artt. 23 e 53 Cost., in quanto la riserva di legge,
in tal caso relativa, consentirebbe al legislatore statale di fissare
i parametri contenuti nel testo censurato.
   Non  risulterebbe,  in  ultimo,  ne'  fondata,  ne' ammissibile la
censura  basata  sulla dedotta violazione dell'art. 81, quarto comma,
Cost.,   poiche'   l'indebitamento  previsto  dalla  norma  impugnata
concerne  un impegno statale rispetto al quale ogni conseguenza esula
dalla  questione  attinente  al  rispetto  della  sfera di competenza
regionale.
   7.  - In  data 23 aprile 2008, la Regione Veneto ha depositato due
memorie, di identico contenuto.
   Previamente  ribadito  il contenuto delle disposizioni censurate e
le   ragioni   della  proposte  impugnazioni,  la  ricorrente  reputa
necessario   prendere  posizione  sulla  pregiudiziale  eccezione  di
inammissibilita' dei ricorsi sollevata dall'Avvocatura generale dello
Stato.
   Evidenzia, pertanto, di aver «chiaramente indicato» quali siano le
proprie   competenze,   costituzionalmente   garantite,   lese  dalla
censurata  disciplina  recata  dal  d.l.  n. 23  del  2007  (e  dalla
successiva  legge  di  conversione  n. 64  del  2007), e segnatamente
«quelle  legislative,  amministrative e finanziarie di cui agli artt.
117,   118   e  119  Cost.»,  precisando,  inoltre,  di  avere  anche
evidenziato  come  le  impugnate  disposizioni risultino «in grado di
incidere  pesantemente  sulla  realta' e sulle potesta' della Regione
anche in via indiretta».
   Difatti,  la ricorrente e le altre Regioni che sono state in grado
di controllare la propria spesa sanitaria, si vedrebbero «costrette a
contribuire all'ennesima massiccia elargizione di risorse finanziarie
a  Regioni  che, invece, per anni, hanno dimostrato di non operare in
conformita'  ai  principi di buon andamento e responsabilita», con la
duplice  conseguenza non soltanto di subire un immediato pregiudizio,
dovendo   provvedere   in   qualita'  di  «coobbligate  solidali»  al
finanziamento,   ma   anche   di  patire,  nel  prossimo  futuro,  le
conseguenze  dannose  «determinate  dalla diminuzione ulteriore delle
risorse  finanziarie  a  disposizione  per  l'erogazione dei Servizio
sanitario».
   Cio'  premesso in via generale, la ricorrente precisa nuovamente i
termini  delle  proposte  questioni  di  legittimita' costituzionale,
illustrando le ragioni poste a fondamento delle singole censure.
   In  tale  prospettiva,  essa  sottolinea - quanto, in primo luogo,
alla  dedotta  violazione dell'art. 117 Cost. - che non condivisibile
dovrebbe  ritenersi  la  tesi sostenuta dalla difesa statale, secondo
cui  la  disciplina  in contestazione troverebbe il proprio titolo di
legittimazione  nelle  previsioni  di  cui  alle lettere e) ed m) del
secondo comma dell'art. 117 Cost.
   Al  riguardo, premesso che gli interventi di ripiano dei disavanzi
nel  settore  sanitario  dovrebbero essere valutati «nel quadro della
competenza  legislativa  regionale  concorrente in materia di salute»
(la  Regione Veneto cita le gia' richiamate sentenze n. 98 del 2007 e
n. 36  del  2005  della  Corte  costituzionale), la ricorrente deduce
l'impossibilita'   di  considerare  la  disposizioni  censurate  come
espressive di un principio fondamentale di tale materia, giacche', se
cosi'  fosse, le stesse «sancirebbero la irresponsabilita' degli enti
regionali   in   materia   sanitaria,  in  aperto  contrasto  con  la
Costituzione  e  la  legislazione, anche e soprattutto, nazionale sul
punto».    Esclude,   poi,   che   l'ambito   materiale   interessato
dall'intervento legislativo in esame possa essere identificato, oltre
che  in  quello  della  determinazione  dei  livelli essenziali delle
prestazioni concernenti diritti civili e sociali (per le ragioni gia'
esposte   nei   due   ricorsi),   nella  perequazione  delle  risorse
finanziarie  (art.  117, secondo comma, lettera e, Cost.), atteso che
essa  coinciderebbe  con  la «distribuzione di ricchezze che lo Stato
opera  prima  ed  in  funzione  della  concreta  gestione dei servizi
regionali  tra  i  diversi enti, non - come qui accade - a posteriori
per sanare i bilanci in rosso».
   In  merito,  poi, alla dedotta violazione dell'art. 119 Cost., nel
ribadire  che quello realizzato dalla censurata disciplina sarebbe un
intervento   finanziario  a  destinazione  vincolata,  la  ricorrente
esclude che lo stesso possa ritenersi giustificato, alternativamente,
ai sensi dei commi terzo e quinto di detto articolo.
   Per un verso, infatti, di tale intervento «beneficeranno Regioni i
cui  problemi  finanziari  non  sono  stati determinati da una minore
capacita' fiscale degli abitanti sul territorio» (come esige il terzo
comma  dell'art.  119 Cost.), «ma da una gestione della cosa pubblica
inefficace, inefficiente e antieconomica»; per altro verso, poi, esso
non  risulta  diretto  «a  "provvedere  a  scopi  diversi dal normale
esercizio"  delle  funzioni  regionali»,  ne' puo' ritenersi idoneo a
promuovere  «la  solidarieta' sociale» (condizioni entrambe richieste
dal  quinto  comma  del  medesimo  art.  119),  giacche', anzi, detto
intervento minerebbe «alle radici il federalismo c.d. solidaristico»,
suscitando  nelle  Regioni,  chiamate  a  contribuire alla produzione
delle  risorse  distribuite  con  provvedimenti  del  tipo  di quello
impugnato,  «una crescente ostilita' nei confronti di quegli enti che
di  quel  tesoro  beneficiano, e che dovrebbero impegnarsi a gestirlo
secondo il principio del buon andamento».
   La  Regione  Veneto,  poi, sottolinea nuovamente l'esistenza della
dedotta  violazione  degli artt. 3, 32, 97 e 118 Cost., rimarcando in
particolare  l'irragionevolezza delle scelte compiute dal legislatore
statale,  specialmente  per  aver  previsto  quello  che  appare  «un
finanziamento  a  "fondo  perduto",  sprovvisto  di  controlli  circa
l'effettivo  utilizzo  a ripiano del deficit», ed oltretutto inidoneo
ad attingere lo scopo avuto di mira. In tale prospettiva, difatti, la
ricorrente  segnala  che  l'art.  2, commi da 46 a 49, della legge 24
dicembre  2007,  n. 244  (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato -  legge  finanziaria  2008) ha
previsto  «l'ennesimo  intervento  finanziario  statale di rientro di
deficit  sanitari  regionali»,  mentre  il  decreto-legge 31 dicembre
2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative
e  disposizioni  urgenti  in  materia  finanziaria),  convertito, con
modificazioni,  dall'art.  1,  comma 1, della legge 28 febbraio 2008,
n. 31,  «ha  cancellato  l'automatico  incremento fiscale (di IRPEF e
IRAP)  previsto  a  carico  delle  Regioni inadempienti agli obblighi
assunti   nei   propri   piani  di  rientro  del  debito  pregresso»,
eliminando,     cosi',     la     regola    «della    responsabilita'
normativa-gestionale-finanziaria delle Regioni in materia sanitaria».
   Infine,  la  ricorrente  pone in luce quella che definisce come la
«pesante  violazione  del  principio  di leale collaborazione operata
dalla   disciplina   normativa   impugnata»,   giacche'  l'amplissima
competenza  legislativa,  ed ancor piu' amministrativa e finanziaria,
delle  Regioni  in materia sanitaria avrebbe richiesto «che i diversi
livelli di governo chiamati a gestire la salute collaborino lealmente
tra  loro». Di conseguenza, secondo la Regione Veneto, ogni decisione
legislativa   in  materia  avrebbe  dovuto  «essere  oggetto  di  una
preventiva  verifica  ed accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni,
accordo  che,  invece, la normativa impugnata non contempla ne' nella
fase  di  deliberazione  del finanziamento, ne' in quella di concreta
individuazione  degli  (e  distribuzioni agli) enti beneficiari dello
stesso».
   8.  -  La  Regione  Lombardia ha depositato, egualmente in data 23
aprile   2008,  un'unica  memoria  relativa  ad  entrambi  i  giudizi
instaurati.
   Essa,  in  particolare,  dopo  aver  sinteticamente  rammentato il
contenuto  della disciplina in contestazione - non senza evidenziare,
peraltro,  come  nelle more della conversione in legge del d.l. n. 23
del  2007,  con  provvedimento  ministeriale del 4 maggio 2007, siano
state individuate le Regioni destinatarie delle misure di ripiano del
disavanzo  per  il periodo dal 2001 al 2005 (essendosi destinate alle
Regioni  Campania, Lazio, Molise e Sicilia, rispettivamente, le somme
di  euro  144  milioni,  363 milioni, 2079 milioni, 202 milioni e 212
milioni)  -  ha  inteso soprattutto sottolineare come tale disciplina
costituisca  «un  grave  episodio di "finanza derivata" in materia di
risorse  per  la  sanita', che va in direzione diametralmente opposta
all'attuazione del cd. federalismo fiscale e allontana sempre di piu'
il pur necessario (in quanto imposto dalla Costituzione) ripensamento
dell'intero sistema di relazioni finanziarie tra i differenti livelli
di governo».
   Su  tali  basi, pertanto, la ricorrente ribadisce l'illegittimita'
costituzionale    della    censurata   disciplina,   rimarcando,   in
particolare,  il grave vulnus che essa recherebbe all'art. 119, sesto
comma,  Cost.,  giacche',  nell'autorizzare  «a titolo di regolazione
debitoria» la spesa statale di 3.000 milioni di euro per l'anno 2007,
contravverrebbe a tale norma costituzionale che consente alle Regioni
di  ricorrere all'indebitamento per il solo finanziamento delle spese
di investimento.
   Ne',  d'altra  parte, tale prospettiva risulterebbe corretta dalle
successive  scelte  legislative,  se e' vero che la gia' citata legge
n. 244  del 2007 ha previsto lo stanziamento, da parte dello Stato ed
in  favore  delle medesime Regioni Campania, Lazio, Molise e Sicilia,
di  un  ammontare  complessivo  di  9.100 milioni di euro, al fine di
anticipare alle stesse «la liquidita' necessaria per l'estinzione dei
debiti  contratti  sui  mercati  finanziari  e dei debiti commerciali
cumulati  fino  al  31 dicembre 2005, (...) al netto delle somme gia'
erogate  a titolo di ripiano dei disavanzi». Il tutto, nel dichiarato
intento  - secondo quanto riferito dal Ministro della salute, in sede
di audizione parlamentare - di favorire «la trasformazione dei debiti
contratti  dalle  regioni a tassi molto elevati in debiti trentennali
verso  lo  Stato»,  cio'  che  imporrebbe  di  includere  anche  tale
intervento  legislativo - evidenzia la ricorrente - tra quelle «norme
fortemente  derogatorie del principio di finanziamento delle funzioni
regionali con risorse regionali».
   Del  resto,  osserva ancora la ricorrente, che il ripiano da parte
dello   Stato   dei   disavanzi  regionali  stia  «programmaticamente
tramutandosi  in  vero  e  proprio  metodo ordinario di finanziamento
statale,  con  valenza  generale,  da  applicare in futuro a tutte le
Regioni  che dovessero trovarsi in situazioni deficitarie», e' quanto
avrebbe  nuovamente  confermato  il  Ministro  della salute nel corso
della  menzionata  audizione  parlamentare, cio' che evidenzierebbe -
conclude sul punto la Regione Lombardia - la definitiva vanificazione
di  «quel carattere "incentivante" piu' volte individuato dalla Corte
costituzionale  in  relazione  al  finanziamento  statale ai fini del
conseguimento  degli  obiettivi  della programmazione sanitaria e del
connesso  miglioramento  del  livello  di  assistenza» (e' citata, in
particolare, la sentenza n. 36 del 2005).
   Alla  medesima  logica, infine, sarebbe da ricondurre l'intervento
compiuto  dal  gia'  citato  d.l.  n. 248  del  2007, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  n. 31  del 2008, e segnatamente dal suo
art.  8,  comma  1,  lettera  a). Esso, nello stabilire che in quelle
Regioni  -  per  le  quali si e' verificato il mancato raggiungimento
degli   obiettivi   programmati   di   risanamento   e   riequilibrio
economico-finanziario  contenuti nello specifico piano di rientro dai
disavanzi   sanitari  (di  cui  all'accordo  sottoscritto,  ai  sensi
dell'art.  1,  comma  180,  della  legge  30 dicembre 2004, n. 311, e
successive  modificazioni)  -  non si applichino gli effetti previsti
dall'art.  1,  comma  796,  lettera b), sesto periodo, della legge 27
dicembre 2006, n. 296, ha sancito - osserva sempre la ricorrente - il
venir  meno,  nell'ipotesi di mancato rispetto da parte delle Regioni
delle  obbligazioni  assunte nei relativi piani di rientro dal debito
pregresso,  dell'automatica  applicazione  dell'addizionale  IRPEF  e
dell'aliquota   IRAP   oltre   i   livelli   massimi  previsti  dalla
legislazione   vigente,  fino  all'integrale  copertura  dei  mancati
obiettivi.
   Risulterebbe, dunque, vieppiu' confermata quella che la ricorrente
definisce  come  la  «insana propensione del legislatore ad un minore
controllo   della   spesa,   con  ripercussioni  gravi  e  facilmente
prevedibili  in  riferimento alla esigibilita' dei livelli essenziali
di assistenza e alla effettiva attuazione, nel settore sanitario, del
sempre rinviato federalismo fiscale».
                       Considerato in diritto
   1.    -   Vengono   all'esame   della   Corte   quattro   ricorsi,
rispettivamente  proposti, due dalla Regione Veneto (ricorsi nn. 25 e
32  del  2007) e due dalla Regione Lombardia (ricorsi nn. 26 e 34 del
2007),  avverso  il  decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni
urgenti  per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore
sanitario,  nonche'  in  materia  di quota fissa sulla ricetta per le
prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), impugnato sia
nel  testo  originario,  che  in  quello  risultante  all'esito delle
modifiche  apportate  dalla  relativa  legge di conversione 17 maggio
2007, n. 64.
   Dei  suddetti  ricorsi  va disposta, preliminarmente, la riunione,
attesa la loro connessione.
   Le  questioni qui in esame investono, nella sostanza, il solo art.
1  del  citato decreto-legge, atteso che, per un verso, l'impugnativa
dell'art.  1-bis  -  effettuata  unicamente  dalla Regione Veneto nel
secondo  dei suoi ricorsi (ricorso n. 32 del 2007) - forma oggetto di
un  separato  giudizio,  mentre,  per altro verso, nessuna censura e'
indirizzata  nei  confronti  dell'art.  2  (norma, peraltro, comunque
richiamata,  formalmente  in entrambi i ricorsi della Regione Veneto,
ed   implicitamente  nel  primo  di  quelli  proposti  dalla  Regione
Lombardia,   indirizzandosi   lo   stesso   avverso   l'intero  testo
dell'impugnato  decreto-legge),  che  si  limita  a  disciplinare  le
modalita' di entrata in vigore del medesimo decreto.
   Molteplici sono i profili di illegittimita' costituzionale dedotti
dalle  ricorrenti;  la loro disamina, tuttavia, deve essere preceduta
dalla   specifica   indicazione   del  contenuto  delle  disposizioni
censurate.
   E'  da  premettere che, secondo le ricorrenti, il decreto-legge in
questione  si  pone  in  controtendenza  rispetto  alla  piu' recente
evoluzione legislativa avutasi in materia, poiche', pur essendo stato
ammesso,  piu'  volte,  l'intervento  dello  Stato  nel  percorso  di
risanamento  dei  deficit  sanitari regionali, tale partecipazione e'
stata,  di  regola,  subordinata  alla  adozione di misure fortemente
indicative della progressiva responsabilizzazione delle Regioni; cio'
in  coerenza  con la soppressione dei trasferimenti statali in favore
delle   stesse,  relativi  al  finanziamento  della  spesa  sanitaria
corrente  e  in conto capitale, disposta dall'art. 1, lettera d), del
decreto  legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia
di  federalismo  fiscale,  a  norma  dell'articolo  10 della legge 13
maggio 1999, n. 133).
   Anche  alla  luce  di  tali rilievi, pertanto, si deve chiarire la
portata delle disposizioni impugnate.
   2.  - Al riguardo, l'art. 1 del decreto-legge in esame stabilisce,
innanzitutto, che lo Stato - in deroga all'obbligo per le Regioni «di
coprire  gli  eventuali  disavanzi  di  gestione  con oneri a proprio
carico»  -  concorre «al ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario
nazionale  per  il  periodo  2001-2005»,  in favore delle Regioni che
soddisfino,  pero',  alcuni  requisiti  (comma  1).  Si  richiede, in
particolare,  che, «al fine della riduzione strutturale del disavanzo
nel  settore  sanitario»,  le Regioni sottoscrivano «l'accordo con lo
Stato per i piani di rientro», nonche' accedano «al fondo transitorio
di  cui  all'articolo  1,  comma 796, lettera b), della legge 296 del
2006»  (lettera a del predetto comma 1). E' necessaria, poi, «al fine
dell'ammortamento del debito accumulato fino al 31 dicembre 2005», ed
«in  via  ulteriore  rispetto  all'incremento  nella  misura  massima
dell'addizionale  regionale  all'imposta  sul  reddito  delle persone
fisiche   e  dell'aliquota  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'
produttive»,  la  destinazione,  da  parte delle Regioni, «al settore
sanitario  in modo specifico, anche in via alternativa», di «quote di
manovre  fiscali gia' adottate o quote di tributi erariali attribuiti
alle  Regioni  stesse»,  ovvero, nei limiti dei poteri loro assegnati
dalla  normativa statale di riferimento ed in conformita' ad essa, di
«misure  fiscali da attivarsi sul proprio territorio, in modo tale da
assicurare  complessivamente  risorse  superiori  rispetto  a  quelle
derivanti  dal  predetto  incremento nella misura massima» (lettera b
sempre del comma 1).
   E'  stabilito, inoltre, che, «per il periodo di imposta successivo
al 31 dicembre 2006 e per i periodi seguenti fino all'anno 2010», per
quelle  Regioni  -  le  quali  approvino  l'accordo  «stipulato con i
Ministri  della  salute  e  dell'economia  e  delle finanze, ai sensi
dell'articolo  1,  comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e
dell'articolo  1, comma 796, lettera b), secondo periodo, della legge
27   dicembre   2006,   n. 296»   -  «l'addizionale  all'IRPEF  e  le
maggiorazioni  dell'aliquota  dell'IRAP  si  applicano  nella  misura
prevista al comma 174, ultimo periodo, dell'articolo 1 della medesima
legge  n. 311  del 2004)»; tali incrementi, invece, «non si applicano
nelle   regioni   nelle  quali  sia  scattato  formalmente,  in  modo
automatico, l'innalzamento dell'addizionale regionale all'imposta sul
reddito  delle  persone  fisiche  e della maggiorazione dell'aliquota
dell'imposta  regionale sulle attivita' produttive» e - a seguito del
raggiungimento  dell'accordo  con  il  Governo  sulla  copertura  dei
disavanzi  di  gestione  del  servizio  sanitario  regionale previsto
«all'articolo  1,  comma  1-bis,  del  decreto-legge  7  giugno 2006,
n. 206,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006,
n. 234» - «tale innalzamento non sia stato applicato» (comma 2).
   Infine,  e'  previsto  che  lo  stanziamento  per il ripiano delle
situazioni  debitorie  accumulate dalle Regioni nel settore sanitario
sia  pari  a 3.000 milioni di euro per l'anno 2007, da ripartire «tra
le regioni interessate con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze,  di  concerto  con  il  Ministro  della  salute,  sentito il
Ministro  per  gli  affari  regionali  e  le  autonomie  locali»;  in
particolare,  poi,  i  criteri  per  l'erogazione  dello stanziamento
dovranno essere definiti «sulla base dei debiti accumulati fino al 31
dicembre   2005,   della   capacita'   fiscale   regionale   e  della
partecipazione   delle   regioni   al  finanziamento  del  fabbisogno
sanitario»,   prevedendosi,   conclusivamente,   che  alla  copertura
finanziaria  degli  oneri  derivanti dallo stesso decreto si provvede
«mediante  corrispondente  riduzione  dello stanziamento iscritto, ai
fini   del  bilancio  triennale  2007-2009,  nell'ambito  dell'unita'
previsionale  di  base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato
di  previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno
2007» (comma 3).
   3.  -  Cosi'  precisato,  nelle sue linee essenziali, il contenuto
della disciplina in contestazione, deve osservarsi come le ricorrenti
lamentino,   in  sostanza,  che  tale  disciplina  determinerebbe  il
paradossale risultato di penalizzare quelle Regioni «le cui capacita'
gestionali  e amministrative» hanno garantito «situazioni di maggiore
equilibrio  e  maggiore  efficienza»,  non  di rado «anche attraverso
percorsi  di responsabilizzazione della collettivita' regionale, come
il  ricorso  alla  leva  fiscale». Per contro, il legislatore avrebbe
compiuto  una  scelta  che  si  traduce  in «un forte disincentivo al
reperimento   di   risorse   nell'ambito   della  finanza  regionale,
finalizzate  al  mantenimento  di un servizio sanitario efficiente ed
economicamente   sostenibile»,   tradendo   cosi'   quel   «carattere
incentivante»,    piu'   volte   individuato   dalla   giurisprudenza
costituzionale  «in  relazione  al  finanziamento statale ai fini del
conseguimento  degli  obiettivi  di  programmazione  sanitaria  e del
connesso miglioramento del livello di assistenza» (sono richiamate le
sentenze  di questa Corte n. 98 del 2007 e n. 36 del 2005) e «finendo
in realta' per incoraggiare soltanto politiche di minor rigore».
   Orbene,  su  tali  basi  entrambe  le ricorrenti ipotizzano, sotto
svariati  profili,  l'illegittimita'  costituzionale della disciplina
del  decreto-legge  n. 23  del  2007,  anche nel testo emendato dalla
legge di conversione n. 64 del 2007, per contrasto, complessivamente,
con  gli  artt.  3, 23, 32, 53, 77, 81, 97, 117, 118, 119 e 120 della
Costituzione, nonche' con il principio di leale collaborazione.
   4.  -  Cio'  premesso  in via generale, deve essere, innanzitutto,
dichiarata   la  inammissibilita'  delle  questioni  prospettate  con
riferimento  ai  parametri  diversi da quelli ricavabili dal titolo V
della  parte  seconda della Costituzione non attinenti specificamente
alla  produzione  di  fonti normative, poiche' la loro evocazione non
risulta,  prima  facie,  destinata a far valere una menomazione delle
attribuzioni costituzionalmente spettanti alle ricorrenti; cio' vale,
in  particolare, per i parametri di cui agli artt. 3, 23, 32, 53 e 97
della Costituzione.
   Secondo,  infatti,  «un consolidato indirizzo della giurisprudenza
costituzionale  (si  vedano, tra le altre, le sentenze numeri 116 del
2006; 383 del 2005; 287, 196, e 4 del 2004; 274 del 2003), le Regioni
sono  legittimate  a  censurare,  in  via di impugnazione principale,
leggi  dello  Stato esclusivamente per questioni attinenti al riparto
delle  rispettive competenze», essendosi «ammessa la deducibilita' di
altri  parametri  costituzionali  soltanto  ove  la  loro  violazione
comporti    una    compromissione    delle   attribuzioni   regionali
costituzionalmente  garantite»  (cosi',  in particolare, oltre quelle
gia'  richiamate, la sentenza n. 401 del 2007); l'evenienza da ultimo
indicata  deve,  pero',  escludersi nel caso di specie, atteso che la
dedotta  violazione,  da parte delle ricorrenti, di parametri diversi
da   quelli   contenuti  nel  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione  non  si risolve nella denuncia di una menomazione delle
proprie competenze legislative, amministrative o finanziarie.
   Allo  stesso  esito, sostanzialmente per le medesime ragioni, sono
destinate  anche le questioni relative al sistema di produzione delle
fonti normative, proposte dalla sola Regione Lombardia in ordine alla
legge  n. 64  del  2007,  di  conversione del decreto-legge n. 23 del
2007,  sospettata  di illegittimita' costituzionale per contrasto con
gli artt. 77, secondo comma, e 81, quarto comma, Cost.
   Quanto, infatti, al primo di tali parametri, se e' vero che - come
rammenta  la  stessa  ricorrente  -  il  sindacato  della Corte sulla
sussistenza  dei presupposti della necessita' ed urgenza, ai quali e'
subordinato  l'esercizio  del  potere  di  decretazione d'urgenza, e'
venuto  ulteriormente precisandosi (essendosi in particolare escluso,
con  la sentenza n. 171 del 2007, che l'avvenuta conversione in legge
di  un  decreto-legge  valga,  di per se', a sanare tale vizio; nello
stesso  senso,  di  recente,  anche  la  sentenza  n. 128  del 2008),
nondimeno  anche  tale  profilo di illegittimita' deve tradursi - nei
giudizi  in  via principale promossi dalle Regioni - nella lesione di
competenze regionali (ex multis, sentenza n. 116 del 2006).
   Gli  stessi  rilievi  valgono  anche  per il dedotto contrasto con
l'art. 81, quarto comma, Cost., in relazione al quale, peraltro, deve
notarsi  che il comma 2 dell'art. 1 del censurato decreto-legge n. 23
del  2007,  comunque,  individua  i  mezzi  per fare fronte all'onere
finanziario derivante dal contributo statale al ripiano dei disavanzi
maturati in sede regionale nel settore della sanita'.
   5. - Del pari inammissibili, ma per motivi diversi da quelli sopra
indicati,  sono  anche  le  questioni  di legittimita' costituzionale
fondate sulla diretta evocazione di disposizioni contenute nel titolo
V della parte seconda della Costituzione.
   6. - In proposito, va premesso, in linea generale, che nei giudizi
di  legittimita'  costituzionale  proposti  in  via  principale, deve
necessariamente  sussistere,  nel  soggetto ricorrente, un interesse,
attuale  e concreto, a proporre l'impugnazione, in mancanza del quale
il ricorso stesso e' inammissibile.
   In  particolare,  ai sensi dell'art. 127, secondo comma, Cost., la
Regione   e'  legittimata  a  promuovere  questione  di  legittimita'
costituzionale  quando  una  legge  o  un atto avente forza di legge,
dello  Stato  o  di altra Regione, «leda la sua sfera di competenza».
Allo  stesso modo l'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 9
febbraio  1948, n. 1, dispone che quando una Regione «ritenga che una
legge  od atto avente forza di legge della Repubblica invada la sfera
della   competenza   ad  essa  assegnata  dalla  Costituzione»,  puo'
«promuovere  l'azione  di  legittimita'  costituzionale  davanti alla
Corte».
   E  nella  medesima  prospettiva  si  pone l'art. 32 della legge 11
marzo  1953, n. 87, secondo il quale la «questione della legittimita'
costituzionale  di una legge o di un atto avente forza di legge dello
Stato  puo'  essere  promossa dalla Regione che ritiene dalla legge o
dall'atto  invasa  la  sfera  della competenza assegnata alla Regione
stessa dalla Costituzione e da leggi costituzionali».
   Analoga  previsione, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra
Stato  e Regioni e' contenuta nell'art. 39 della medesima legge n. 87
del 1953.
   Dall'esame  delle  suddette disposizioni, in sostanza, emerge come
l'unico  interesse  che  le Regioni sono legittimate a far valere sia
quello alla salvaguardia del riparto delle competenze delineato dalla
Costituzione;  esse,  pertanto, hanno titolo a denunciare soltanto le
violazioni  che siano in grado di ripercuotere i loro effetti, in via
diretta   ed   immediata,   sulle   prerogative  costituzionali  loro
riconosciute dalla Costituzione.
   Da  cio'  consegue  che  e'  in tale quadro - caratterizzato dalla
necessita'  che  l'iniziativa  assunta  dalle  Regioni ricorrenti sia
oggettivamente  diretta  a conseguire l'utilita' propria, ovviamente,
del  tipo  di giudizio che, di volta in volta, venga in rilievo - che
deve  essere  valutata  la  sussistenza  dell'interesse  ad agire, da
postulare  soltanto  quando  esso  presenti  le caratteristiche della
concretezza e dell'attualita', consistendo in quella utilita' diretta
ed  immediata  che  il  soggetto  che  agisce  puo'  ottenere  con il
provvedimento richiesto al giudice.
   7. - Alla luce dei suddetti principi, deve ritenersi che i quattro
ricorsi  oggi  all'esame  della  Corte  -  anche laddove essi evocano
parametri   desumibili   dal  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione - siano inammissibili.
   In  sostanza,  le ricorrenti non lamentano la violazione, ad opera
della  normativa  statale  impugnata,  delle  norme sul riparto della
competenza  legislativa  tra lo Stato e le Regioni, qual e' delineato
dall'art. 117 Cost.
   Esse,  in  particolare,  non  si dolgono di una presunta ingerenza
dello Stato, mediante l'adozione del contestato decreto-legge e della
relativa  legge  di  conversione,  nella  potesta'  legislativa  loro
riconosciuta  dalla  Costituzione;  ne'  deducono  la  menomazione di
alcuna  loro prerogativa legislativa nella materia della tutela della
salute.  E  neppure  deducono  che, in via di principio, lo Stato non
avrebbe avuto alcuna legittimazione a dettare la normativa impugnata,
ma  si limitano a contestarne il contenuto senza l'affermazione di un
loro autonomo titolo ad emanare quella stessa normativa.
   Le  Regioni  Veneto  e  Lombardia,  in  definitiva,  si limitano a
contestare  la  scelta  legislativa  di  destinare, ad altre Regioni,
determinate   risorse   finanziarie,   sul   presupposto   che   essa
pregiudicherebbe  la  «qualita'  e  quantita' delle prestazioni» rese
dalle  ricorrenti  nel settore sanitario, chiamandole, inoltre, «alla
sopportazione  degli  oneri  generali  di  una  spesa inefficiente ed
eccessiva»   (alla   quale   non   hanno   concorso)   che   pertanto
determinerebbe   una   «discriminazione  irragionevole»  che  «genera
disuguaglianza».
   A  questo  riguardo,  pertanto,  non  puo'  che rilevarsi come non
spetti  a  questa  Corte  effettuare  valutazioni  diverse  da quelle
afferenti,   sul   piano   costituzionale,  al  corretto  riparto  di
competenze legislative tra Stato e Regioni.
   Cio'  premesso, proprio le considerazioni poc'anzi svolte, circa i
limiti  della  legittimazione  delle Regioni ad impugnare leggi dello
Stato,  inducono  a  ritenere  che  i  quattro  ricorsi in esame, non
investendo  il  riparto  di  competenze legislative tra lo Stato e le
Regioni, non possano essere considerati ammissibili.
   Sotto altro aspetto, non meno rilevante, va osservato - ancora con
riferimento  al  suindicato  parametro  costituzionale - come nessuna
utilita'  diretta  ed  immediata le ricorrenti potrebbero trarre, sul
piano  sostanziale,  da  una eventuale declaratoria di illegittimita'
costituzionale  della  contestata disciplina legislativa statale, per
violazione del parametro in questione.
   Una  tale  declaratoria,  infatti,  non sarebbe comunque idonea ad
arrecare  alcun  vantaggio,  giuridicamente  rilevante,  ne'  per  le
finanze  delle  ricorrenti,  ne'  per la loro capacita' gestionale in
materia sanitaria, ne' per il miglioramento dei livelli di assistenza
sanitaria   alla   popolazione   che  esse  gia'  assicurano,  ma  si
tradurrebbe  unicamente  in un danno per quelle «Regioni interessate»
(cui   fa   riferimento   il  comma  3  dell'art.  1  del  contestato
decreto-legge)  alle  quali  viene  imputata,  dalle  ricorrenti, una
gestione  dei  servizi  sanitari di propria competenza non oculata e,
dunque,  causa  principale, se non esclusiva, dei deficit di bilancio
oggetto  di  parziale ripiano mediante l'intervento finanziario dello
Stato.
   In definitiva, dunque, la eventuale declaratoria di illegittimita'
costituzionale   della   normativa   statale   oggetto   di   censura
presenterebbe,   sul   piano   effettuale,  quella  portata  di  puro
principio, di massima o accademica, inidonea ad integrare l'interesse
ad agire.
   Neanche  puo'  ritenersi  sussistente una astratta idoneita' della
disciplina  in  contestazione  ad influire sull'autonomia finanziaria
delle  Regioni  ricorrenti, di cui all'art. 119 Cost., in particolare
limitando  il  reperimento  di risorse da destinare alla gestione del
servizio  sanitario  regionale. Quello previsto dalle norme impugnate
e',  infatti,  un intervento che, da un lato, favorisce altre Regioni
e,  dall'altro,  e'  effettuato  con  oneri a carico della fiscalita'
generale,   sicche'  la  eventuale  caducazione  di  tali  norme  non
comporterebbe  -  anche per l'assenza di un fondo sanitario nazionale
(ora  soppresso,  come  rammentano  le  stesse  ricorrenti) destinato
esclusivamente   al   finanziamento   della   spesa  sanitaria  -  la
ridistribuzione  di  maggiori  risorse  in favore di tutte le Regioni
(Veneto e Lombardia comprese).
   Infine,  nella stessa prospettiva, assume valore la constatazione,
piu'  volte  ribadita  da  questa  Corte, che l'autonomia finanziaria
delle  Regioni  delineata  dal novellato testo dell'art. 119 Cost. si
presenta,  in  larga  misura,  ancora  in fieri. Ed e' evidente come,
nell'attuale   fase   di   perdurante   inattuazione   della   citata
disposizione   costituzionale,   le   Regioni   siano  legittimate  a
contestare   interventi   legislativi  dello  Stato,  concernenti  il
finanziamento  della  spesa sanitaria, soltanto qualora lamentino una
diretta   ed  effettiva  incisione  della  loro  sfera  di  autonomia
finanziaria; evenienza, questa, neppure dedotta in giudizio dalle due
ricorrenti.
   Resta,  tuttavia, fermo che, a prescindere dalla stessa attuazione
dell'art.  119  Cost.,  potra'  pur  sempre  trovare  applicazione la
disposizione del quinto comma di detto articolo, secondo cui, al fine
di  «promuovere  lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta'
sociale,  per  rimuovere  gli  squilibri  economici  e  sociali,  per
favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti  della  persona, o per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni,
lo  Stato  destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali
in  favore  di  determinati  Comuni, Province, Citta' metropolitane e
Regioni».
   Da  ultimo,  il  riferimento  anche  agli  artt.  118  e 120 della
Costituzione,  pure  prospettati  come parametri violati, si presenta
del tutto inconferente e parimenti inammissibili sono le censure.
   Quanto  al  primo, deve rilevarsi come, nella specie, si versi non
in  un'ipotesi di allocazione a livello statale di funzioni regionali
o  di  altri enti territoriali, bensi' di un intervento diretto dello
Stato,  a  livello  legislativo,  destinato  ad  interessare soggetti
diversi dalla Regioni ricorrenti, e quindi privo di un'incidenza - se
non mediata - sulle funzioni da esse svolte.
   Analogamente,   quanto   al   secondo,   deve   rilevarsi  che  il
monitoraggio  del  finanziamento  di  cui  alla  normativa  impugnata
(monitoraggio,  in  particolare, previsto dal comma 3 dell'art. 1 del
decreto-legge  n. 23  del 2007), nemmeno astrattamente puo' integrare
un  intervento  di  controllo  sostitutivo dello Stato sulle Regioni,
costituendo,   invece,   una   misura  diretta  alla  verifica  della
regolarita'  della utilizzazione, da parte delle Regioni interessate,
del  finanziamento  stesso,  concesso  dallo  Stato  per  il parziale
ripiano  dei  deficit  di bilancio verificatisi nel settore sanitario
nel periodo preso in considerazione dallo stesso decreto-legge.