Ordinanza
nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 443, comma 1,
del  codice  di  procedura  penale, come modificato dall'art. 2 della
legge  20  febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento),  e  degli artt. 2 e 10 della stessa legge promossi,
nell'ambito  di  diversi  procedimenti  penali,  con  ordinanze del 6
aprile  2006  dalla  Corte  militare  d'appello  di  Napoli,  del  19
settembre  2006 dalla Corte d'appello di Torino, del 19 febbraio 2007
dalla  Corte  d'appello  di Brescia, del 22 febbraio 2007 dalla Corte
d'appello  di  Venezia  e del 22 maggio 2007 dalla Corte d'appello di
Bari,  rispettivamente  iscritte  ai nn. 125, 198, 495, 603 e 784 del
registro  ordinanze  2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica  nn.  13,  15,  26,  35 e 48, 1ª serie speciale, dell'anno
2007.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 16 aprile 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che  la  Corte militare d'appello di Napoli (r.o. n. 125
del  2007),  nonche'  le  Corti  d'appello di Torino (r.o. n. 198 del
2007)  e  di  Brescia  (r.o.  n. 495  del  2007)  hanno sollevato, in
riferimento  agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 443 codice di procedura penale,
come  modificato  dall'art.  2  della  legge  20 febbraio 2006, n. 46
(Modifiche   al   codice   di   procedura   penale,   in  materia  di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), nella parte in
cui  esclude che il pubblico ministero possa proporre appello avverso
le   sentenze   di  proscioglimento  emesse  a  seguito  di  giudizio
abbreviato;
     che  analoga questione e' sollevata, in riferimento agli artt. 3
e  111  Cost., dalle Corti d'appello di Bari (r.o. n. 784 del 2007) e
di  Venezia (r.o. n. 603 del 2007), che censurano direttamente l'art.
2 della legge n. 46 del 2006;
     che  le  Corti rimettenti, ad eccezione della Corte d'appello di
Brescia,  censurano,  in  riferimento  agli artt. 3, 111 e 112 Cost.,
anche  l'art. 10 della legge n. 46 del 2006, nella parte in cui rende
applicabile  la nuova disciplina ai procedimenti in corso, stabilendo
altresi'  che  l'appello  proposto  dal pubblico ministero contro una
sentenza di proscioglimento prima della entrata in vigore della legge
e' dichiarato inammissibile;
     che  la Corte militare d'appello di Napoli - chiamata a delibare
l'ammissibilita'   dell'appello   proposto   dall'organo  dell'accusa
avverso  una sentenza di assoluzione perche' il fatto non costituisce
reato,  pronunciata,  all'esito  del giudizio abbreviato, dal Giudice
per  le  indagini  preliminari,  in  funzione di Giudice dell'udienza
preliminare,    del    Tribunale    militare   di   Napoli -   rileva
preliminarmente    che    l'appello    dovrebbe   essere   dichiarato
inammissibile  in  forza  di quanto previsto dall'art. 10 della legge
n. 46 del 2006;
     che,  tuttavia, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto
con  diversi parametri costituzionali e, in primo luogo, con l'art. 3
Cost. per violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza;
     che,  in  particolare,  l'eliminazione dell'appello del pubblico
ministero    sarebbe   irragionevole,   in   quanto   «impedisce   al
rappresentante  della  pubblica  accusa  di  dare,  nell'ambito della
sequenza    processuale,    concreta    attuazione    al    principio
dell'obbligatorieta' dell'azione penale»;
     che  la  lesione  del  principio di eguaglianza sussisterebbe in
relazione  al  potere  di  impugnare  le  sentenze di proscioglimento
riconosciuto alla parte civile;
     che  sarebbero, inoltre, violati i principi della parita' fra le
parti  e  della  ragionevole durata del processo, sanciti dal secondo
comma dell'art. 111 Cost.;
     che,   infatti,   il  principio  di  parita'  impone  che  siano
assicurati   alle   parti   tutti   gli   strumenti   funzionali   al
raggiungimento  degli scopi che il processo deve garantire e che, per
l'organo  dell'accusa,  ineriscono  alla  completa  attuazione  della
pretesa punitiva;
     che,  sotto il secondo profilo, il sistema derivante dalle norme
censurate  -  prevedendo  la  natura  esclusivamente  rescindente del
giudizio  per  cassazione  in esito al ricorso del pubblico ministero
ed,  in  caso  di  accoglimento, la regressione del processo al primo
grado -   comporterebbe   una  evidente  dilatazione  dei  tempi  del
processo, non sorretta da alcuna giustificazione;
     che  le  norme  denunciate risulterebbero, inoltre, in contrasto
anche  con  l'art.  112  Cost.,  posto  che il potere di impugnazione
dell'organo  dell'accusa  costituirebbe  «una  delle espressioni» del
principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale;
     che,  infine,  la Corte rimettente evidenzia «l'irragionevolezza
interna» del regime transitorio disciplinato dall'art. 10 della legge
n. 46  del 2006 in relazione alla particolare situazione del pubblico
ministero,  il  cui  appello  andrebbe dichiarato inammissibile anche
quando abbia gia' chiesto ed ottenuto, in tale fase, «l'ammissione di
nuove prove decisive, circostanza che nel nuovo assetto consentirebbe
di   coltivare  l'impugnazione  di  merito  avverso  le  sentenze  di
proscioglimento»;
     che  la  Corte  d'appello  di  Torino  -  premesso che, in forza
dell'art.  10  della citata legge n. 46 del 2006, dovrebbe dichiarare
l'inammissibilita'   dell'appello  proposto  dal  pubblico  ministero
avverso  una  sentenza  di assoluzione, emessa ex art. 442 cod. proc.
pen., dal Giudice per le indagini preliminari, in funzione di Giudice
dell'udienza   preliminare,   del   Tribunale   di   Verbania  -  nel
prospettare, in riferimento all'art. 111 Cost., una analoga questione
di  legittimita'  costituzionale  evidenzia,  in primo luogo, come il
principio della parita' tra le parti, lungi dall'applicarsi alla sola
fase  dell'istruzione  probatoria, debba improntare l'intero iter del
processo «dalla notizia di reato e fino alla sentenza definitiva»;
     che  la  disciplina censurata sottrarrebbe al pubblico ministero
lo  strumento  processuale per la realizzazione della propria pretesa
punitiva,  cosi'  alterando l'equilibrio dei poteri processuali delle
parti,  fino  a  pregiudicare  l'assolvimento  del  compito assegnato
all'organo della pubblica accusa dall'art. 112 Cost.;
     che   il  principio  della  parita'  fra  le  parti  -  pur  non
richiedendo  una  totale  simmetria di poteri - postula che eventuali
diversita'   di   trattamento   siano  giustificate  dalla  peculiare
posizione   istituzionale   dell'organo  dell'accusa  o  da  esigenze
connesse  alla corretta amministrazione della giustizia (si richiama,
al riguardo, l'ordinanza n. 421 del 2001 sui limiti all'appello delle
sentenze di condanna emesse all'esito di giudizio abbreviato);
     che   tali   ragioni  giustificative  non  potrebbero  ritenersi
sussistenti  in  relazione alla radicalita' dell'ablazione dei poteri
del  pubblico  ministero  conseguente alla riforma dell'appello delle
sentenze di proscioglimento, oggetto di censura;
     che  anche  la  Corte  d'appello di Brescia dubita, in relazione
agli artt. 3 e 111 Cost., della legittimita' costituzionale dell'art.
443,  comma  1, cod. proc. pen. come modificato dalla legge n. 46 del
2006,  «nella parte in cui priva il pubblico ministero della facolta'
di  appellare  le  sentenze di proscioglimento pronunciate in sede di
giudizio abbreviato»;
     che  la Corte rimettente rileva che la Corte costituzionale, con
la   sentenza   n. 26   del   2007,  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1 della legge n. 46 del 2006, nella parte in
cui  - sostituendo l'art. 593 cod. proc. pen. esclude che il pubblico
ministero  possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, per
contrasto   con  il  «canone  della  ragionevolezza»  e  i  «relativi
corollari di adeguatezza e proporzionalita»;
     che  in  relazione  alla  sentenza  di  proscioglimento emessa a
seguito  di  giudizio abbreviato ricorrerebbero i medesimi «elementi»
posti   a   base   della   richiamata   pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale;
     che  anche  la  Corte  d'appello di Bari - nel sollevare analoga
questione   di   legittimita'   costituzionale   nell'ambito   di  un
procedimento  instaurato a seguito dell'appello proposto dal pubblico
ministero  avverso  una  sentenza di assoluzione emessa, all'esito di
giudizio  abbreviato,  dal  Giudice  per  le indagini preliminari, in
funzione  di  Giudice  dell'udienza  preliminare,  del  Tribunale  di
Trani -  muove dalla citata sentenza n. 26 del 2007 per rilevare come
la   perdurante   limitazione   del  potere  di  appello  dell'organo
dell'accusa  avverso le sentenze emesse all'esito del rito abbreviato
risulti   oggi,  proprio  in  esito  a  tale  pronuncia,  ancor  piu'
ingiustificata e, dunque, in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.;
     che,  infatti,  il  pubblico  ministero  non  soltanto  non puo'
opporsi  alla richiesta di rito abbreviato avanzata dall'imputato, ma
e'  privo  anche  dei  poteri  di  impulso probatorio di cui, invece,
dispone nel rito ordinario;
     che,   peraltro,   essendo  il  rito  abbreviato  essenzialmente
«cartolare» sia in primo che in secondo grado, verrebbe meno anche il
principale   argomento   a   sostegno   dell'eliminazione,  nel  rito
ordinario,  del potere di impugnazione del pubblico ministero: vale a
dire  la  pretesa  ingiustizia  della  condanna  fondata  sulla  mera
rilettura   delle   carte  processuali  dopo  un'assoluzione  fondata
sull'assunzione diretta dei mezzi di prova;
     che  la  Corte  d'appello  di  Venezia - chiamata a pronunciarsi
sull'appello  proposto  dal pubblico ministero avverso la sentenza di
assoluzione resa, in esito a rito abbreviato, dal Tribunale di Verona
in  composizione  monocratica - richiama a sua volta integralmente le
motivazioni  svolte  dalla  Corte costituzionale nella sentenza n. 26
del   2007   e  ritiene  che  tali  argomentazioni  «debbano  trovare
applicazione  anche  per  quanto  concerne  la  disposizione  di  cui
all'art.  2  della  legge n. 46 del 2006 che priva il P.M. totalmente
soccombente  in  primo  grado  del  potere  di  proporre  appello nel
giudizio abbreviato»;
     che  l'ablazione  del  potere  di appello del pubblico ministero
integrerebbe  una  «sperequazione radicale tra le parti del processo»
che, ad avviso della Corte rimettente, «supera di gran lunga i limiti
della   ragionevolezza»;   infatti,  solo  formalmente  essa  sarebbe
compensata  dall'analoga  preclusione  sancita  per  l'imputato e non
troverebbe  neppure  giustificazione  nelle  particolari  esigenze di
celerita'  del  rito  speciale,  le  quali  «non possono assumere una
rilevanza   talmente  preponderante  da  giustificare  l'eliminazione
generalizzata ed unilaterale dell'appellabilita' da parte del P.M. di
tutte le sentenze di proscioglimento»;
     che,   invero,   tale  situazione  comporterebbe,  per  l'organo
dell'accusa,  l'impossibilita' di adempiere, in una fase fondamentale
del  processo,  «alla  funzione  istituzionale  dell'esercizio  di un
potere   a   tutela   degli   interessi  collettivi,  alla  quale  e'
pacificamente riconosciuta rilevanza costituzionale»;
     che  la  menomazione  del  potere  di  impugnazione  della parte
pubblica,  secondo  la  Corte  rimettente,  eccederebbe  il limite di
tollerabilita'  costituzionale  «in  quanto non sorretta da una ratio
adeguata  in rapporto al carattere radicale, generale e "unilaterale"
della menomazione stessa», cosi' violando gli artt. 3 e 111 Cost.;
     che  a  tale  questione  risulta legato e connesso il profilo di
illegittimita' costituzionale dell'art. 10 della medesima legge n. 46
del 2006, il quale, anche in relazione al giudizio abbreviato, impone
al giudice, in via transitoria, di dichiarare inammissibile l'appello
del   pubblico   ministero   proposto,   contro   una   sentenza   di
proscioglimento   pronunciata   a   seguito   di   tale  rito,  prima
dell'entrata in vigore della medesima legge.
   Considerato che il dubbio di costituzionalita' sottoposto a questa
Corte  ha  ad  oggetto  la  preclusione  -  conseguente alla modifica
dell'art.  443,  comma  1,  del  codice  di procedura penale ad opera
dell'art.  2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice
di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di
proscioglimento)  -  dell'appello  delle  sentenze di proscioglimento
pronunciate  a  seguito  di giudizio abbreviato da parte del pubblico
ministero,  e  l'immediata  applicabilita'  di  tale regime, in forza
dell'art. 10 della medesima legge, ai procedimenti in corso alla data
della sua entrata in vigore;
     che,  stante  l'identita'  delle  questioni proposte, i relativi
giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
     che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte,
con  la  sentenza  n. 320  del  2007,  ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella
parte  in  cui,  modificando  l'art.  443,  comma  1,  del  codice di
procedura  penale,  esclude che il pubblico ministero possa appellare
contro  le  sentenze  di proscioglimento emesse a seguito di giudizio
abbreviato,  e dell'art. 10, comma 2, della stessa legge, nella parte
in  cui  prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima
dell'entrata   in   vigore   della  legge,  contro  una  sentenza  di
proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato e' dichiarato
inammissibile;
     che,  alla  stregua  della richiamata pronuncia di questa Corte,
gli  atti devono pertanto essere restituiti ai giudici rimettenti per
un nuovo esame della rilevanza delle questioni.