IL TRIBUNALE
   In  funzione  di  giudice  del lavoro, pronunciandosi nel giudizio
n. 491/2007  rgl,  discusso  all'udienza  28  marzo  2008,  rileva ed
osserva:
     a  mezzo  del  ricorso  depositato il 21 settembre 2007, Alberto
Costantino  esercitava contro l'INAIL azione di condanna al pagamento
di differenze retributive.
   Avvocato,  dipendente dell'Istituto, presso l'Avvocatura regionale
Toscana,  sede  di  Siena,  il  lavoratore  ricorrente  ha contestato
l'applicazione  operata  dal  proprio  datore  di lavoro dell'art. 1,
comma 208, legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Finanziaria 2006):
     «(Pubblica   Amministrazione:   avvocatura   interna)  Le  somme
finalizzate  alla  corresponsione  di compensi professionali comunque
dovuti  al  personale  dell'avvocatura  interna delle amministrazioni
pubbliche  sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da
considerarsi  comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di
lavoro».
   In   particolare,   l'Istituto,   nella   doglianza  dell'avvocato
Costantino,  dal  primo  quadrimestre  dell'anno  2006  (I,  II e III
quadrimestre),   avrebbe  illegittimamente  operato  una  trattenuta,
commisurata  all'aliquota  del  31,113%  (composta  per il 22,020% da
contributi INPS, per lo 0,093% per contributi ENPDEDP, per lo 0,5% da
contributi  INAIL,  per  l'8,5%  dall'IRAP),  del  31,613%  dal  2007
(comprensivo del IV quadrimestre 2006)(ricorso pp. 8, 13).
   Applicata,  inoltre,  secondo  il  metodo  dello «scorporo», cioe'
sulla  base  imponibile  della  somma  gia'  ridotta,  la  trattenuta
comporta  una ritenuta aggiuntiva effettiva del 23,72% (24,01% dal 1°
gennaio   2007)   sull'ammontare  lordo  dei  compensi  professionali
(ricorso  pp.  8,  14)  e  addirittura  superiore,  per  effetto  del
meccanismo  adottato,  all'effettivo  ammontare  degli  stessi  oneri
riflessi  (v.  piu'  ampiamente  ricorso pp. 30-31), determinando una
«decurtazione sostanziale» del «complessivo trattamento retributivo».
   Secondo  i  calcoli  sviluppati  nelle  p. 14 ss., 28 del ricorso,
l'avvocato Costantino avrebbe perduto dal I al III quadrimestre 2006,
rispettivamente € 2.093,64 + 2.546,14 + 3.015,56 = 7.655,34 (per
la  trattenuta contributiva), oltre, rispettivamente, € 571,72 +
694,70  +  2.126,48  =  3.392,90  (per  la  trattenuta  Irap),  quale
conseguenza  solo  immediata, senza considerare gli ulteriori effetti
pregiudizievoli  su  altri istituti, destinati altresi' ad aggravarsi
nel corso del tempo.
   Per mezzo di questa trattenuta, denuncia l'avvocato Costantino, e'
stata   attuata   una  decurtazione  del  «trattamento  retributivo»,
composto  dallo  stipendio  tabellare  e  da  «quote di retribuzione»
(onorari  legali  e compensi professionali degli avvocati), incidendo
direttamente   su   questa   seconda  voce,  parte  integrante  della
retribuzione.
   La  composizione  della  voce  in  discorso e' stata disciplinata,
secondo l'analitica descrizione offerta dal ricorrente nelle p. 3 ss.
dell'atto introduttivo del giudizio, anzitutto dall'art. 26, comma 4,
legge 1975/n. 70.
   Quindi  dagli  accordi  sindacali,  cui  la  norma rinvia, a mezzo
dell'art. 30, comma 2, d.P.R. 1976/n. 411.
   Successivamente  dal d.lgs. 1993/n. 29 e infine dal d.lgs. 2001/n.
165.
   Coerentemente  alla  previsione  dell'art.  69,  comma 1, TUPI, la
materia  ha  trovato regolamentazione dapprima a mezzo del C.C.N.L. 6
luglio  1996,  relativo  al  periodo 1994/1997, quindi per il periodo
1998/2001 nel C.C.N.L. 16 febbraio 1999, art. 33, ancora nel C.C.N.L.
dell'8 gennaio 2003, art. 6.
   Con  deliberazione  25/9/03, l'Inail ha approvato conformemente il
proprio «Regolamento per la corresponsione dei compensi professionali
degli avvocati».
   Per  effetto del descritto quadro normativo gli avvocati dell'Ente
hanno  diritto  sia  ai  compensi  professionali posti a carico delle
controparti   e   riscossi   dall'Ente   (art.  3)  sia  ai  compensi
professionali a carico dell'Ente in caso di transazione dopo sentenza
favorevole e/o compensazione delle spese in caso di soccombenza (art.
4),   previa  confluenza  in  apposito  fondo  (art.  2),  e  secondo
determinate modalita' di riparto (art. 5).
   Indiscutibile  la  natura  retributiva  delle  quote in questione,
sulla  quale concorda lo stesso Istituto, costituitosi in giudizio, e
cfr. del resto Cons. Stato, sez. 6, sent. 2002/n. 3219 («l'art.30 del
Regolamento   per   il   trattamento   di  previdenza  del  personale
dell'INAIL, approvato con d.m. 30 maggio 1969 stabilisce che ove, con
provvedimenti di carattere generale, siano apportate variazioni nelle
retribuzioni  pensionabili  del  personale  di servizio le pensioni a
carico  del  Fondo  in corso di godimento sono riliquidate, assumendo
come  base  la  nuova  retribuzione  prevista  per  la qualifica e la
posizione  in  cui  l'impiegato si trovava nell'atto della cessazione
dal  servizio,  e' applicabile anche alla quota onorari del personale
del  ruolo  legale  dell'I.N.A.I.L.  collocato  a riposo, costituendo
parte integrante della retribuzione»; cfr. Cons. Stato, sez. 6, sent.
1999, n. 1246).
   Non  controverso  anche  tra  le  parti, sul piano della rilevanza
della  questione  che veniamo sollevando, che il prelievo retributivo
contestato  dall'avv.  Costantino  proceda  espressamente  ex art. 1,
comma 208, legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Finanziaria 2006).
   Secondo la lettura che piu' linearmente si profila della norma, il
legislatore  -  per  una  fondamentale esigenza di contenimento della
spesa  pubblica,  da  nessuno  ignorata  -  ha  introdotto una deroga
all'art. 2115 c.c., che prevede per l'imprenditore e il prestatore di
lavoro   la   contribuzione  in  parti  eguali  alle  istituzioni  di
previdenza e di assistenza.
   Si  tratta  di  un principio in altro senso gia' derogato dal d.l.
1946/n.  142, che addossava integralmente al datore di lavoro l'onere
contributivo,   rettificato   quindi  dalla  successiva  legislazione
speciale  con  lo  spostamento in quota minoritaria al lavoratore del
relativo onere.
   La  norma  afferma,  in  ogni  caso,  un principio di ripartizione
contributiva,  certamente  modulabile («salvo diverse disposizioni di
legge»,  apre  la  lettera  dell'art.  2115  c.c.), ma non totalmente
annullabile,  con  imposizione soggettivamente rovesciata, tra datore
di  lavoro e lavoratore, secondo l'intenzione dell'art. 1, comma 208,
legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Finanziaria 2006), pena la violazione
di  un  principio  di  solidarieta'  sotteso alla norma civilistica e
valorizzato  dalla  Costituzione,  nell'art.  2, che si pone pertanto
come prima norma violata.
   Ma  e'  soprattutto  l'art.  3  della  Costituzione  a  risultarne
ignorato.
   Infatti,  la denunciata deroga colpisce una ristretta categoria di
lavoratori,   una  ristretta  cerchia  di  pubblici  dipendenti,  «il
personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche».
   Viene   pertanto   ad   essere  posta  in  discussione  la  stessa
ragionevolezza  di  simile  intervento  di  contenimento  della spesa
pubblica,  che  si  atteggia  piuttosto  come  penalizzazione  di una
piccola  categoria  di pubblici dipendenti sproporzionata rispetto al
fine legislativo prefisso, con un profilo ulteriore di diseguaglianza
nei confronti del personale della medesima amministrazione percettore
di  trattamenti  retributivi  pari  se  non  piu'  elevati,  nei  cui
confronti  non  viene  attuato analogo prelievo patrimoniale, analoga
diminuzione retributiva sensibile.
   Dubbi di ragionevolezza dell'operazione normativa discendono anche
dalla  sottoposizione  alla  medesima  imposizione  di compensi dalla
diversa  struttura e funzione, quali i compensi professionali posti a
carico   delle   controparti   e  riscossi  dall'Ente  (art.  3,  del
Regolamento) e i compensi professionali a carico dell'Ente in caso di
transazione dopo sentenza favorevole e/o compensazione delle spese in
caso di soccombenza (art. 4).
   Ne'  la  disparita',  contrastante  con  una  razionale istanza di
omogeneizzazione della disciplina contributiva, e' circoscritta ad un
regime  transitorio  da  superarsi  in  tempo ragionevole (cfr. Corte
costituzionale sent. 1994/n. 378, ord. 2000/n. 252).
   Toccando  altro  profilo,  l'intervento legislativo qui denunciato
incide  su  materia,  quale  il  trattamento  economico  del pubblico
dipendente, regolamentata dalla contrattazione collettiva, che l'art.
2,  d.lgs. 2001/n. 165, Testo Unico del Pubblico impiego, colloca nel
disegno  riformatore in posizione di preminenza; pur nei limiti delle
disponibilita' in base ai vincoli di bilancio ex art. 48.
   Nel  caso  concreto,  il  «Regolamento  per  la corresponsione dei
compensi  professionali  degli avvocati», approvato con deliberazione
25  marzo  2003  dell'Inail,  procede  coerentemente dalla previsione
dell'art.  69,  comma  1 TUPI, dapprima a mezzo del c.c.n.l. 6 luglio
1996,  relativo al periodo 1994/1997, quindi per il periodo 1998/2001
nel  c.c.n.l.  16  febbraio  1999,  art. 33, ancora nel c.c.i. dell'8
gennaio 2003, art. 6.
   Non  casualmente  l'art.  1,  comma  208,  legge 23 dicembre 2005,
n. 266  (Finanziaria  2006)  si  pone  in  contrasto  con «specifiche
previsioni contrattuali».
   L'alterazione  del sistema delle fonti in materia, la compressione
della  sfera  riservata  alla  contrattazione  collettiva,  «naturale
proiezione  della  capacita'  contrattuale  in  forza  della quale le
pubbliche  amministrazioni  costituiscono,  regolano  ed estinguono i
rapporti   individuali  di  lavoro»,  si  atteggia  quale  violazione
dell'art.  39 Cost., nel quale trova fondamento la generale autonomia
collettiva,  altresi'  in un assetto ordinamentale di delegificazione
della   materia   e  secondo  caratteristiche  di  specialita'  della
contrattazione  collettiva nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni,  cui  la legge riserva, anche sul piano processuale,
il trattamento tipico degli atti normativi.
   Possiamo  compiere  riferimento  in materia alla sent. 2007/n. 189
della  Corte  costituzionale  che  ha  dichiarato «costituzionalmente
illegittimo  l'art. 16, comma 2, della legge della Regione Sicilia 17
marzo  2000,  n. 8, nella parte in cui prevede che la qualifica ed il
trattamento  contrattuale  di  capo  servizio  si  applica  anche  ai
componenti  degli uffici stampa degli enti locali. La norma censurata
-  osserva  la  Corte  costituzionale  -  si pone in contrasto con il
generale  principio  secondo  il  quale  il trattamento economico dei
dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro e' stato «privatizzato»
deve  essere  disciplinato  dalla contrattazione collettiva, dato che
detto  principio di diritto privato - fondato sull'esigenza, connessa
al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformita'
nel  territorio  nazionale  delle  regole fondamentali di diritto che
disciplinano  i  rapporti  fra  privati  - si pone quale limite anche
della  potesta'  legislativa  esclusiva  che  l'art. 14, lettera o) ,
dello   statuto   di  autonomia  speciale  attribuisce  alla  Regione
Siciliana in materia di «regime degli enti locali"».
   Sull'esigenza  di  uniformita'  in  materia cfr. le sentenze 2007,
n. 95, 2005/n. 106, 2004/n. 282.
   Il  principio  della regolazione mediante contratti collettivi del
trattamento  economico dei dipendenti pubblici privatizzati si impone
anche  alle Regioni a statuto speciale, cfr. le sentenze 2006/n. 308,
2003/n. 314.
   Con sentenza 2007/n. 40 la Corte costituzionale, «circa i rapporti
tra  la legge e l'autonomia collettiva garantita dall'art. 39 Cost.»,
ha  ricordato  che  «questa  Corte  ha piu' volte affermato che detta
autonomia  puo'  essere legittimamente compressa o annullata nei suoi
esiti  concreti  dal  legislatore  solamente quando essa introduca un
trattamento  deteriore  rispetto a quanto previsto dalla legge ovvero
quando  sussista  l'esigenza  di  salvaguardia di superiori interessi
generali  (sentenze  n. 393  del  2000,  n. 143  del 1998, n. 124 del
1991).  Nella  presente fattispecie, tuttavia, le norme impugnate dal
Commissario   dello   Stato  non  contengono  ne'  compressione,  ne'
tantomeno  annullamento  degli  esiti della contrattazione collettiva
riferiti  al  rapporto  di  lavoro  del personale del Corpo forestale
della Regione siciliana».
   Ben  diversamente,  nel  caso  oggetto  di  esame,  e' necessitato
pervenire  alla  conclusione  che  l'attivita'  legislativa  statuale
espressa  dall'art.  1,  comma  208,  legge  23 dicembre 2005, n. 266
(Finanziaria   2006),   abbia   compresso  indebitamente  l'autonomia
negoziale  collettiva, introducendo una modificazione sostanziale del
trattamento retributivo del pubblico dipendente.
   Nel   caso   concreto,   anche  per  le  ulteriori  considerazioni
precedentemente  esposte,  non  riteniamo  la  violazione sorretta da
razionale   giustificazione,   in.   particolare   dall'esigenza   di
salvaguardia di superiori interessi generali.
   Gia'  nella  sentenza  2000/n.  393 della Corte costituzionale, si
ribadiva  che «l'autonomia collettiva non esclude la configurabilita'
di  limiti  legali,  potendo  essa  venire  compressa o, addirittura,
annullata  nei  suoi  esiti  concreti,  non  solo quando introduca un
trattamento  deteriore  rispetto  a  quanto  previsto dalla legge, ma
anche   quando  sussista  l'esigenza  di  salvaguardia  di  superiori
interessi generali (sentenze n. 143 del 1998, n. 124 del 1991 e n. 34
del 1985). E cio' tanto piu' se la cura e la regolamentazione di tali
interessi   costituiscano   attuazione   di  precetti  costituzionali
(sentenze n. 697 del 1988 e n. 120 del 1963) (...) talche', una volta
riconosciuto  come,  del  resto,  non  manca  di  ammettere lo stesso
giudice  a quo che la norma denunciata si pone come espressione della
tendenza,   ormai   radicata   nell'ordinamento,  ad  assegnare  alla
previdenza  integrativa il compito di concorrere, in collegamento con
quella   obbligatoria,   alla  realizzazione  degli  scopi  enunciati
dall'art.  38,  secondo  comma,  della  Costituzione, non possono non
trovare  giustificazione  i limiti ed i vincoli addotti all'autonomia
collettiva,   per   quanto  attiene,  segnatamente,  alla  disciplina
dell'accesso  ai  relativi  trattamenti  (...)  in  contrasto  con la
assolutezza  del  postulato dal quale sembra muovere il giudice a quo
il   recupero   della   piena   competenza  sulla  materia  da  parte
dell'autonomia  collettiva in momenti in cui si pone l'esigenza della
concreta  ponderazione  degli  effetti complessivi, non ultimi quelli
finanziari (...)».
   Nella  diversa  materia  sottoposta all'attenzione del giudicante,
nella  peculiarita'  della  struttura,  funzione  e  disciplina della
contrattazione  collettiva  nel pubblico impiego, questi non puo' che
limitarsi  a  sollevare  il  dubbio, non manifestamente infondato, di
legittimita'  della  norma anche sotto lo specifico profilo da ultimo
toccato.