Sentenza
nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 231,
232  e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2006), promosso con ordinanza del 12 dicembre 2007 dalla
Corte  dei  conti,  Sezione  terza  centrale  d'appello,  sul ricorso
proposto  dal Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale
per la Regione Puglia contro Centrone Giovanni, iscritta al n. 75 del
registro  ordinanze  2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 14, 1ª serie speciale, dell'anno 2008.
   Visti  l'atto  di costituzione di Centrone Giovanni nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 10 giugno 2008 il giudice relatore
Paolo Maddalena;
   Uditi   gli   avvocati  Vincenzo  Caputi  Jambrenghi  e  Francesco
Muscatello  per  Centrone Giovanni e l'avvocato dello Stato Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -   Con  ordinanza del 12 dicembre 2007, notificata in data 24
gennaio  2008  ed  iscritta  al  n. 75 del registro ricorsi dell'anno
2008,  la Corte dei conti, Sezione terza centrale d'appello, solleva,
in   riferimento   all'art.   3   della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della
legge  23  dicembre  2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006),
«nella  parte  in  cui»,  secondo  il  diritto  vivente delle Sezioni
riunite  della  Corte  dei  conti,  «consentono  che,  in presenza di
appelli  contrapposti  della parte pubblica e delle parti private, la
richiesta  di  definizione  del  procedimento,  se previamente estesa
dalla  parte  privata,  in  replica all'appello della parte pubblica,
all'eventuale  successiva  maggior condanna, possa essere esaminata e
definita dopo l'esame e la definizione degli appelli».
   1.1.  -  L'art.  1, comma 231, della legge n. 266 del 2005 prevede
che  «Con  riferimento  alle  sentenze di primo grado pronunciate nei
giudizi  di  responsabilita'  dinanzi  alla Corte dei conti per fatti
commessi  antecedentemente  alla  data  di  entrata  in  vigore della
presente  legge,  i  soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata
sentenza  di  condanna  possono  chiedere  alla competente sezione di
appello,  in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito
mediante  il  pagamento  di una somma non inferiore al 10 per cento e
non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza».
   Il  successivo  comma 232 aggiunge che «La sezione di appello, con
decreto  in  camera  di consiglio, sentito il procuratore competente,
delibera  in  merito  alla  richiesta  e,  in  caso  di accoglimento,
determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del
danno  quantificato  nella  sentenza  di  primo  grado, stabilendo il
termine per il versamento».
   Il  comma  233  dispone  che  «Il  giudizio  di appello si intende
definito  a  decorrere  dalla  data  di  deposito  della  ricevuta di
versamento presso la segreteria della sezione di appello».
   2.  -  In  punto  di fatto la rimettente Sezione terza centrale di
appello della Corte dei conti:
     chiarisce  di dovere decidere, in udienza camerale, l'istanza di
definizione  agevolata  del  giudizio  di  appello  proposta ai sensi
dell'art.  1,  commi  231, 232 e 233, della legge n. 266 del 2005, da
Giovanni  Centrone,  con  offerta  del  pagamento  di  una  somma non
superiore  al  10  per  cento  del  danno quantificato nella sentenza
appellata;
     precisa  che  la  predetta  sentenza  e'  stata appellata in via
principale  dal  pubblico  ministero  e  in  via incidentale (tra gli
altri)   dallo   stesso   Centrone,   attesa  la  parziale  reciproca
soccombenza;
     rileva  che le disposizioni impugnate non regolano espressamente
tale ipotesi, lasciando incertezza sulla stessa ammissibilita', sugli
effetti  e  sulla  disciplina  della definizione agevolata in caso di
appello da parte del pubblico ministero contabile;
     riferisce  che,  in  una  prima  udienza  camerale,  il pubblico
ministero,  proprio  in  ragione della mancata espressa previsione di
tale  ipotesi,  ha  eccepito,  in  via principale, l'inammissibilita'
della  domanda  di  definizione  agevolata  mentre,  in subordine, ha
chiesto  che  sia posto a carico dell'appellante incidentale Centrone
il 30% delle somme di cui alla sentenza appellata, oltre le spese dei
due gradi di giudizio;
     espone  di  avere sospeso il giudizio in detta prima udienza, in
attesa che si pronunciassero le Sezioni Riunite, gia' investite della
soluzione  del contrasto interpretativo emerso sulla questione tra le
varie sezioni della Corte dei conti;
     riferisce  la  soluzione individuata dalle Sezioni riunite della
Corte  dei  conti (sentenza 25 giugno 2007, n. 3/QM/2007), secondo le
quali  «l'esame  della  definizione agevolata del giudizio di appello
richiesta   dalla   parte   privata  appellante  in  presenza  di  un
contrapposto  appello  della  parte pubblica non puo' essere preclusa
dalla  proposizione  dell'appello  della parte pubblica ma tale esame
non  possa  a sua volta precludere quello di detto appello. Pertanto,
nel  caso  di  appelli contrapposti sulla quantificazione della somma
dedotta nella sentenza di condanna, la definizione della richiesta se
previamente  estesa dalla parte privata, in replica all'appello della
parte  pubblica,  all'eventuale successiva maggior condanna, avverra'
dopo  l'esame  dei due appelli riuniti. L'accertamento in giudizio di
un  maggiore  importo  sara'  oggetto  della  sentenza  di  condanna,
eventualmente  condizionata  al  mancato  tempestivo  pagamento della
minor  somma determinata in applicazione della normativa agevolata di
cui  ai  commi 231, 232, 233 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005,
ove  ne  ricorrano  i  presupposti.  In mancanza dell'accoglimento di
entrambi gli appelli la sentenza eventualmente condizionata, avra' ad
oggetto  l'importo  della  condanna  di  primo grado al quale, ove ne
ricorrano i presupposti, si applichera' la normativa agevolata»;
     precisa,  infine,  che  nell'udienza camerale successiva a detta
pronuncia  delle  Sezioni Riunite, la parte pubblica ha confermato le
conclusioni  gia'  rese, mentre la parte privata, dopo avere chiarito
di  avere  proposto la istanza di definizione agevolata limitatamente
alla  partita di danno per la quale vi era stata la condanna in primo
grado,   ha  eccepito  la  inapplicabilita'  alla  fattispecie  della
sentenza  delle Sezioni Riunite, ha insistito nella domanda e, in via
subordinata, ha chiesto che l'istanza della definizione agevolata sia
rinviata alla definizione del merito.
   2.1.  -  In  ordine  alla rilevanza della questione, il rimettente
chiarisce  che nel caso di specie « sia pure limitatamente ad un capo
della sentenza impugnata, pende sia l'appello della parte privata che
l'appello  della  parte  pubblica», e sostiene che la richiesta della
parte  privata,  «sia  pure in via subordinata», dell'esame congiunto
dell'istanza  di  definizione  agevolata con l'esame dell'appello del
procuratore regionale varrebbe implicitamente ad estendere «l'istanza
di  definizione  all'eventuale  successiva  maggiore condanna», cosi'
come richiesto dalle Sezioni Riunite.
   2.2.  -  Ai  fini  dell'ammissibilita'  della questione il giudice
rimettente   sostiene,   inoltre,   che,  per  l'autorevolezza  della
decisione  delle Sezioni Riunite (che si sono pronunciate proprio per
dirimere  un  contrasto interpretativo in materia), questa posizione,
sebbene   espressa  da  una  unica  pronuncia,  costituisca  «diritto
vivente» e che non possa, pertanto, essere disattesa.
   Il  rimettente  sostiene  che  solo  un'eventuale  declaratoria di
illegittimita'   delle   disposizioni   censurate,   nella   riferita
interpretazione   datane  dalle  Sezioni  riunite,  consentirebbe  di
superare  questo  indirizzo  e  quindi  di pervenire ad una soluzione
diversa, che sia conforme a Costituzione.
   2.3.  - In ordine alla non manifesta infondatezza della questione,
il  rimettente  afferma, anzitutto, che il semplificato rito camerale
della  definizione  agevolata  sia  stato introdotto dalle previsioni
impugnate  per  ragioni finanziarie (in specie, l'immediato realizzo,
seppure  in misura ridotta, delle entrate derivanti dalle sentenze di
responsabilita'  amministrativa  di  primo  grado),  ma  anche in una
logica  deflattiva  del  contenzioso.  Questo  spiegherebbe,  d'altra
parte,  il pacifico indirizzo giurisprudenziale, il quale ritiene che
per  accedere  alla  definizione  agevolata  la  parte  privata debba
rinunciare   alla   definizione  dell'appello  e  che  l'accoglimento
dell'istanza provochi l'estinzione del giudizio di appello.
   Il giudice a quo sostiene, poi, che la interpretazione data a tali
disposizioni  dalle  Sezioni  riunite  della  Corte dei conti, con la
sentenza  n. 3/QM/2007,  sia  irragionevole per incongruenza rispetto
alla   ratio   legis,   dato  che,  posticipando  e  subordinando  lo
svolgimento del giudizio sulla definizione agevolata allo svolgimento
del  giudizio  di  appello, si accentuerebbe l'effetto premiale delle
previsioni   a  favore  della  parte  privata  ed,  al  contempo,  si
eliminerebbero  a  danno  della  parte  pubblica i vantaggi derivanti
dalla  semplificazione  delle  forme  e  dalla  riduzione  dei  tempi
processuali.
   Il   rimettente  sostiene,  inoltre,  che  dal  dispositivo  della
richiamata   sentenza  delle  Sezioni  Riunite  ed,  in  particolare,
dall'inciso  «in mancanza di accoglimento di entrambi gli appelli» si
ricaverebbe  «la  posticipazione  e  la  subordinazione» del giudizio
sulla   definizione   agevolata   «non   soltanto   allo  svolgimento
dell'appello  del  pubblico  ministero  ma anche allo svolgimento del
giudizio  sull'appello  della  parte  privata,  appello  che, quindi,
potra'   essere   accolto   o   totalmente  o  parzialmente,  con  la
conseguenza,  nel  primo caso, di una completa riforma della condanna
e,  nel  secondo  caso,  di  una definizione rapportata ad una minore
somma  rispetto  a quella quantificata nel dispositivo della sentenza
di primo grado».
   Questa circostanza non solo sarebbe irragionevole per incongruenza
con la ratio legis, ma determinerebbe una disparita' di trattamento a
favore  dei privati appellanti che siano anche appellati dal pubblico
ministero. Questi, infatti, in caso di parziale accoglimento del loro
appello,  potrebbero  definire la propria posizione pagando una somma
rapportata ad un importo inferiore a quello risultante dalla sentenza
di  primo  grado  e  quindi  inferiore  a quella che pagano i privati
(parzialmente  o  interamente  soccombenti) non appellati dalla parte
pubblica,  i  quali  per  accedere  alla  definizione  agevolata  non
potrebbero che rinunciare alla definizione del proprio appello.
   2.4.  -  La  rimettente  Corte dei conti, Sezione terza di appello
chiede,    pertanto,   che   venga   dichiarata   la   illegittimita'
costituzionale   dell'interpretazione   dei  commi  231,  232  e  233
dell'art.  1  delle legge n. 266 del 2005 fatta propria dalle Sezioni
Riunite  della  Corte  dei  conti,  con  la  sentenza 25 giugno 2007,
n. 3/QM/2007.
   3.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  depositato  una  memoria,  nella quale chiede che la
questione sia dichiarata inammissibile od infondata.
   3.1.  -  La  questione  sarebbe  inammissibile,  in  quanto tesa a
censurare  una  interpretazione  delle  disposizioni  impugnate  che,
tuttavia,  non  costituirebbe ancora «diritto vivente». Per la difesa
erariale  un'unica  pronuncia,  per  quanto  autorevole  possa essere
l'organo  che  l'abbia  resa,  non sarebbe mai idonea a rappresentare
quel  consolidato indirizzo interpretativo, in cui deve identificarsi
il concetto di «diritto vivente».
   3.2.  -  La  questione  sarebbe,  poi,  infondata,  sia perche' le
situazioni  comparate  dal  rimettente sarebbero tra loro disomogenee
sia  perche' questo avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni
censurate.  Le  varie  argomentazioni  sviluppate  nell'ordinanza  di
rimessione,  infatti, muovono tutte dalla premessa che la definizione
agevolata  ponga in essere un automatico meccanismo premiale a favore
della parte privata di un giudizio di responsabilita'.
   Sennonche'  le  sentenze  n. 183  e  n. 184  del  2007 della Corte
costituzionale avrebbero escluso tale natura dell'istituto introdotto
dalle   disposizioni   impugnate  e  ricondotto,  invece,  lo  stesso
nell'ambito della tradizionale discrezionalita' decisionale spettante
al  giudice  contabile nella determinazione del danno da addossare al
convenuto.
   4.  -  E intervenuto  in giudizio Giovanni Centrone, parte privata
del  giudizio  a  quo,  che  ha  depositato  una memoria, nella quale
sostiene  che  l'accoglimento  della domanda di definizione agevolata
dovrebbe  comportare  l'improcedibilita'  dell'appello proposto dalla
parte   pubblica   e  chiede  che  le  disposizioni  impugnate  siano
dichiarate   illegittime   nella   parte  in  cui  non  prevedono  il
differimento  del termine per proporre l'appello della parte pubblica
all'esito dello spirare del termine per presentare l'istanza da parte
del soggetto condannato dal primo giudice.
   4.1.  -  L'intervenuto  argomenta  tale  tesi,  sostenendo  che vi
sarebbe  piena  coerenza  tra  l'improcedibilita'  dell'appello della
parte   pubblica,   a  seguito  dell'accoglimento  della  domanda  di
definizione  agevolata,  e la sostanziale rinuncia al proprio appello
che la parte privata effettua nel presentare siffatta domanda.
   Sul  presupposto  di  una omogeneita' funzionale tra la disciplina
della  definizione  anticipata  introdotta degli impugnati commi 231,
232 e 233 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005 e gli istituti (pur
riconosciuti  come  straordinari)  del condono edilizio e del condono
fiscale, l'intervenuto rileva come la domanda del soggetto privato di
condono  edilizio  estinguesse ex lege il processo penale relativo ai
reati  edilizi  e  la  domanda di condono fiscale impedisse qualsiasi
ulteriore   procedimento   volto   all'accertamento   di  un  maggior
imponibile.
   Sul   presupposto  di  una  omogeneita'  funzionale  tra  pubblico
ministero   contabile  e  pubblico  ministero  penale,  l'intervenuto
richiama, poi, la sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale,
dalla  quale trae elementi per sostenere l'ammissibilita', nei limiti
della   ragionevolezza,   di  una  disciplina  piu'  restrittiva  per
l'appello  della parte pubblica (e quindi di una non assoluta parita)
rispetto all'appello della parte privata.
   4.2.  - La proposta pronuncia additiva servirebbe, invece, secondo
la  difesa  dell'intervenuto, a conservare l'effetto deflattivo della
definizione  agevolata  e ad assicurare le ragioni economiche sottese
all'introduzione di tale istituto.
   L'intervenuto    censura,   infine,   l'indirizzo   interpretativo
inaugurato della richiamata sentenza delle Sezioni riunite, rilevando
che  esso  si  scontrerebbe  con il principio del giusto processo, in
quanto  attribuisce  la  cognizione dell'appello pubblico allo stesso
giudice investito dell'istanza di definizione agevolata. La decisione
sull'appello  proposto dalla parte pubblica sarebbe, infatti, secondo
l'intervenuto,  inevitabilmente  influenzata  «dalla  circostanza che
l'importo della condanna trovera', comunque, un decremento tutt'altro
che trascurabile per manifesta volonta' proveniente - secondo legge -
dal [...] debitore stesso».
                       Considerato in diritto
   1.  -  La  Sezione  terza centrale d'appello della Corte dei conti
solleva,  in  riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della
legge  23  dicembre  2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006),
«nella  parte  in  cui»,  secondo  il  diritto  vivente delle Sezioni
riunite  della  Corte  dei  conti,  «consentono  che,  in presenza di
appelli  contrapposti  della parte pubblica e delle parti private, la
richiesta  di  definizione  del  procedimento,  se previamente estesa
dalla  parte  privata,  in  replica all'appello della parte pubblica,
all'eventuale  successiva  maggior condanna, possa essere esaminata e
definita dopo l'esame e la definizione degli appelli».
   1.1.  -  L'art.  1, comma 231, della legge n. 266 del 2005 prevede
che  «Con  riferimento  alle  sentenze di primo grado pronunciate nei
giudizi  di  responsabilita'  dinanzi  alla Corte dei conti per fatti
commessi  antecedentemente  alla  data  di  entrata  in  vigore della
presente  legge,  i  soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata
sentenza  di  condanna  possono  chiedere  alla competente sezione di
appello,  in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito
mediante  il  pagamento  di una somma non inferiore al 10 per cento e
non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza».
   Il  successivo  comma 232 aggiunge che «La sezione di appello, con
decreto  in  camera  di consiglio, sentito il procuratore competente,
delibera  in  merito  alla  richiesta  e,  in  caso  di accoglimento,
determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del
danno  quantificato  nella  sentenza  di  primo  grado, stabilendo il
termine per il versamento».
   Il  comma  233  dispone  che  «Il  giudizio  di appello si intende
definito  a  decorrere  dalla  data  di  deposito  della  ricevuta di
versamento presso la segreteria della sezione di appello».
   2.  - La rimettente Sezione terza di appello della Corte dei conti
contesta la soluzione data dalle Sezioni Riunite della medesima Corte
(sentenza   25   giugno   2007,  n. 3/QM/2007)  ad  un  contrasto  di
giurisprudenza    sorto    tra    le    varie   sezioni   in   ordine
all'ammissibilita' della definizione agevolata in appello dei giudizi
di   responsabilita'  amministrativa,  nel  caso,  non  espressamente
regolato   dalle  previsioni  censurate,  in  cui  vi  sia  stata  la
proposizione  dell'appello  anche  da  parte  del  pubblico ministero
contabile.
   Le  Sezioni  Riunite,  nella  pronuncia  indicata,  affermano  che
«l'esame   della   definizione  agevolata  del  giudizio  di  appello
richiesta   dalla   parte   privata  appellante  in  presenza  di  un
contrapposto  appello  della  parte pubblica non puo' essere preclusa
dalla  proposizione  dell'appello  della parte pubblica ma tale esame
non  possa  a sua volta precludere quello di detto appello. Pertanto,
nel  caso  di  appelli contrapposti sulla quantificazione della somma
dedotta nella sentenza di condanna, la definizione della richiesta se
previamente  estesa dalla parte privata, in replica all'appello della
parte  pubblica,  all'eventuale successiva maggior condanna, avverra'
dopo  l'esame  dei due appelli riuniti. L'accertamento in giudizio di
un  maggiore  importo  sara'  oggetto  della  sentenza  di  condanna,
eventualmente  condizionata  al  mancato  tempestivo  pagamento della
minor  somma determinata in applicazione della normativa agevolata di
cui  ai  commi 231, 232, 233 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005,
ove  ne  ricorrano  i  presupposti.  In mancanza dell'accoglimento di
entrambi gli appelli la sentenza eventualmente condizionata, avra' ad
oggetto  l'importo  della  condanna  di  primo grado al quale, ove ne
ricorrano  i  presupposti,  si  applichera'  la normativa agevolata».
Tutto  cio', ovviamente, nel presupposto che la definizione agevolata
costituisca un beneficio per l'istante e che, non potendo esso essere
negato,  sia  necessario  posporre  il  rito  camerale al giudizio di
merito, allungando cosi' la durata della vicenda processuale.
   2.1. - La rimettente ritiene che tale soluzione sia irragionevole,
dato  che,  in  base ad essa, si viene a riconoscere al dipendente il
beneficio  della  definizione agevolata anche dopo lo svolgimento del
giudizio  di  appello e quindi in assenza di vantaggi processuali per
la parte pubblica.
   Sostiene,  inoltre,  che  tale  interpretazione  provochi  effetti
discriminatori  a vantaggio degli appellati che potrebbero cumulare i
vantaggi  della  propria  domanda  di  appello  (cui  non  dovrebbero
rinunciare e che verrebbe decisa prima della domanda di agevolazione)
e i benefici dell'istanza di definizione agevolata.
   Chiede, pertanto, che ne venga dichiarata la contrarieta' all'art.
3 della Costituzione.
   3.   -   La   parte   privata   intervenuta   contesta   anch'essa
l'interpretazione fatta propria dalle Sezioni Riunite, ma propone una
diversa  lettura,  nel senso della inammissibilita' dell'impugnazione
della  parte pubblica, in caso di domanda di definizione agevolata da
parte  del dipendente condannato in primo grado. Cio' sull'assunto di
una  omogeneita'  tra l'istituto della definizione agevolata e i vari
condoni (edilizi e fiscali) che la legislazione recente ha conosciuto
e  sull'assunto di una omogeneita' tra il processo contabile e quello
penale   e   tra   la   definizione   agevolata  ed  il  cosi'  detto
patteggiamento.
   La parte privata, inoltre, chiede una pronuncia additiva che valga
ad  imporre  la  sua  opzione  interpretativa, e, specificamente, una
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  delle disposizioni
censurate,  nella  parte  in  cui  non  prevedono il differimento del
termine  per  proporre l'appello della parte pubblica all'esito dello
spirare  del  termine  per presentare l'istanza da parte del soggetto
condannato dal primo giudice.
   4.  -  La  questione  proposta dal rimettente e quella prospettata
dalla   parte   privata   intervenuta   sono   inammissibili:  quella
prospettata  dalla  parte  privata  e'  del  tutto irrituale, perche'
questa  non  puo'  ampliare  o  modificare  l'oggetto del giudizio di
costituzionalita',   quale  definito  dall'ordinanza  di  rimessione;
quella proposta dalla rimettente Sezione terza di appello della Corte
dei conti e', anch'essa inammissibile, in quanto tesa a censurare una
interpretazione   giurisprudenziale,   priva  di  quei  caratteri  di
costanza  e  ripetizione necessari per integrare un «diritto vivente»
valutabile  ai  fini  del  giudizio  di  costituzionalita'  (vedi, ex
plurimis,  sentenze  nn.  146 e 64 del 2008, n. 321 del 2007 e n. 376
del 2004).
   Il   giudice   a  quo,  inoltre,  nel  ritenere  irrimediabilmente
vincolante  la  impostazione fatta propria dalle Sezioni riunite, non
si   da'   carico   di   sperimentare   altre  soluzioni  conformi  a
Costituzione, ne' prende in esame la coeva giurisprudenza della Corte
costituzionale,  secondo  la  quale  le  disposizioni  impugnate  non
prevedono  nessun beneficio economico, in quanto la riduzione fino al
trenta per cento della condanna di primo grado non e' automatica, ne'
dipende  dall'applicazione  al  caso  di  specie  di  nuovi, benevoli
criteri   di  giudizio  (dei  quali  non  v'e'  traccia  nelle  norme
impugnate),  ma  scaturisce  unicamente  da  un esame della Corte dei
conti  in  sede  camerale,  condotto  in  base  al normale potere del
giudice  contabile  di  determinare  equitativamente quanta parte del
danno  accertato  debba essere addossato al convenuto (vedi: artt. 82
ed 83 della legge di contabilita' generale dello Stato e sentenze nn.
183 e 184 del 2007, della Corte costituzionale).
   In  altri termini, secondo detta giurisprudenza costituzionale, la
ratio  delle  norme  in  esame  e'  soltanto  quella  di ottenere una
accelerazione  del processo, nonche' un rapido incameramento da parte
dell'Erario  almeno  delle  somme  di minore entita', e non quello di
configurare una ipotesi di condono.