Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 87, comma 3,
del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 438 e 440 del
medesimo  codice,  promosso,  con ordinanza dell'8 novembre 2005, dal
Giudice   per   le  indagini  preliminari,  in  funzione  di  Giudice
dell'udienza  preliminare,  del Tribunale di Sassari nel procedimento
penale  a  carico  di C. S., iscritta al n. 60 del registro ordinanze
2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, 1ª
serie speciale, dell'anno 2006.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 21 maggio 2008 il Giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che,  con  l'ordinanza  in  epigrafe,  il Giudice per le
indagini   preliminari,   in   funzione   di   Giudice   dell'udienza
preliminare,  del  Tribunale di Sassari, ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 87, comma 3, del codice di procedura penale,
in relazione agli artt. 438 e 440 dello stesso codice, nella parte in
cui  «dispone  l'esclusione di ufficio del responsabile civile quando
il giudice accoglie la richiesta di giudizio abbreviato»;
     che  il  giudice  rimettente  premette che il pubblico ministero
aveva richiesto il rinvio a giudizio nei confronti di diverse persone
imputate,  tra  gli  altri, dei reati di associazione per delinquere,
truffa  e  appropriazione indebita, per essersi appropriate «di somme
di  denaro loro consegnate dai clienti contattati senza provvedere al
versamento  [...] per le operazioni di investimento richieste» ad una
societa' di intermediazione mobiliare;
     che,  in  apertura  dell'udienza  preliminare,  numerose persone
offese  si  costituivano  parti  civili e chiedevano la citazione del
responsabile  civile,  «individuandolo  nel rappresentante legale pro
tempore della societa»;
     che  tale  richiesta  - respinta una prima volta per la ritenuta
insussistenza dei presupposti legittimanti la chiamata in causa della
societa'  -  era stata poi reiterata all'esito degli interrogatori di
alcuni  imputati;  uno di essi, in particolare, in relazione alla sua
pluriennale  attivita'  di  promotore  finanziario  della societa' in
questione,  ammetteva  di  aver  realizzato  una  gestione  parallela
illegale  delle  somme  investite, per suo tramite, da oltre duecento
persone: somme che egli non aveva mai versato alla societa' medesima;
     che,  tuttavia,  «nelle more della decisione e dell'adozione del
relativo  provvedimento»,  alcuni degli imputati chiedevano di essere
giudicati  con  il  rito  abbreviato,  disposto il quale - afferma il
rimettente  - «e' stata dichiarata l'inammissibilita' della richiesta
di  citazione  del  responsabile civile non essendo consentita la sua
presenza  nel  processo  celebrato  con le forme del rito abbreviato;
tanto che, ai sensi dell'art. 87, comma 3, cod. proc. pen., una volta
radicato il rito de quo il responsabile civile deve essere estromesso
anche se gia' costituito nell'udienza preliminare»;
     che  il  difensore  di parte civile chiedeva quindi di sollevare
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 87, comma 3, cod.
proc.  pen.  per  contrasto  con  gli artt. 24 e 111 Cost.: eccezione
che -  secondo  il rimettente - merita di essere coltivata, stante la
non manifesta infondatezza delle censure prospettate;
     che,  in proposito, il giudice a quo - in esito ad una minuziosa
ricostruzione   delle  vicende  legislative  e  della  giurisprudenza
costituzionale  che  hanno riguardato il rito abbreviato - rileva che
«il  nuovo  abbreviato e' radicalmente diverso da quello previsto dal
codice  del 1988»: e cio' soprattutto a seguito dell'introduzione, ad
opera   della   legge   16  dicembre  1999,  n. 479,  della  facolta'
dell'imputato  di  richiedere un'integrazione probatoria e del potere
del  giudice  di  acquisire  tutti gli elementi ritenuti necessari ai
fini della decisione (art. 441, comma 5, cod. proc. pen.);
     che -  argomenta ancora il giudice a quo - il modello originario
del  rito  in  questione  risultava  perfettamente  coerente  con  il
disposto della norma oggetto di censura, attesa la necessita' di «non
appesantire»,  con  la  presenza del responsabile civile, un giudizio
allo   stato  degli  atti  caratterizzato  dalla  massima  celerita';
tuttavia,   tale   armonia  «e'  ora  venuta  meno  ed  e'  diventata
contrasto»,   posto   che   il   «nuovo»   giudizio  abbreviato,  per
caratteristiche  ed  impatto  statistico, deve essere considerato «un
vero e proprio giudizio di merito, alternativo a quello ordinario» ed
attivabile comunque solo da parte dell'imputato;
     che,  pertanto, a fronte di tali nuove e diverse caratteristiche
del rito, l'esclusione del responsabile civile disposta dall'art. 87,
comma  3,  cod.  proc.  pen.  si  porrebbe  in evidente contrasto con
diversi parametri costituzionali;
     che risulterebbe, innanzitutto, violato l'art. 3 Cost., sotto il
profilo  della «disparita' di trattamento riservata alla parte civile
sul piano delle pretese risarcitorie»;
     che, inoltre, sarebbe leso, in capo alla stessa parte civile, il
diritto di agire in giudizio, tutelato dall'art. 24 Cost., nonche' il
principio  della  durata  ragionevole del processo, sancito dall'art.
111  della Carta: principio «che deve essere inteso come garanzia non
solo  per  l'imputato,  ma  per  tutte  le parti processuali e per la
collettivita' in generale»;
     che,  in ordine alla rilevanza della questione, il giudice a quo
afferma  che  essa  «appare con evidenza», avuto riguardo alle stesse
contestazioni elevate contro gli imputati;
     che   nel   giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o infondata;
     che  la difesa erariale ritiene, quanto all'ammissibilita' della
questione,  «assolutamente apodittiche» le censure del giudice a quo;
mentre,  con  riferimento  alla non manifesta infondatezza, evidenzia
come  il  giudizio  abbreviato  costituisca  ancora  oggi  -  dopo le
modifiche recate dalla legge n. 479 del 1999 - un rito alternativo al
dibattimento,  connotato da esigenze di celerita'; a fronte di queste
ultime  non  sarebbe dunque manifestamente irragionevole l'esclusione
del responsabile civile, prevista dalla norma censurata;
     che,  per  altro  verso,  tale  esclusione non determinerebbe un
vulnus  al diritto di agire in giudizio della parte civile, abilitata
a tutelare le proprie ragioni nel giudizio civile;
     che,   infine,  la  disciplina  censurata  non  si  porrebbe  in
contrasto  con  il  principio  della durata ragionevole del processo,
posto  che,  secondo  l'Avvocatura  generale,  l'esclusione  disposta
all'esito  dell'udienza  preliminare  non ostacolerebbe in alcun modo
l'azione   nei   confronti  del  responsabile  civile,  non  trovando
applicazione,  in  tale  ipotesi,  il disposto dell'art. 75, comma 3,
cod.  proc.  pen.: norma che, in caso di esercizio dell'azione civile
successivamente alla costituzione della parte privata in sede penale,
prevede  la  sospensione del processo civile fino alla definizione di
quello penale con sentenza irrevocabile.
   Considerato  che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari,  in
funzione  di  Giudice  dell'udienza  preliminare,  del  Tribunale  di
Sassari  dubita,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24  e  111  della
Costituzione,  della  legittimita' costituzionale dell'art. 87, comma
3,  del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 438 e 440
dello  stesso  codice,  nella  parte  in  cui dispone l'esclusione di
ufficio  del  responsabile  civile  quando  il  giudice  accoglie  la
richiesta di giudizio abbreviato;
     che  l'eccezione  di illegittimita' costituzionale e' formulata,
in  riferimento  all'art. 3 Cost., sotto il profilo della «disparita'
di  trattamento  riservata  alla parte civile sul piano delle pretese
risarcitorie»;  in relazione all'art. 24 Cost., per la violazione del
diritto  della  parte  civile  di agire in giudizio; con riferimento,
infine,  all'art.  111  Cost.,  sotto  il  profilo  che - pur essendo
legittimato all'esercizio dell'azione civile nel processo penale - il
danneggiato  verrebbe poi costretto ad intraprendere in altra sede un
nuovo  processo,  a fronte dell'estromissione del soggetto chiamato a
garantire  l'effettiva soddisfazione del suo diritto: con inevitabile
incidenza sulla ragionevole durata del processo;
     che  la  questione  proposta e' manifestamente inammissibile per
difetto del requisito della rilevanza;
     che,  infatti,  il giudice a quo afferma espressamente di avere,
dopo  l'adozione  del  rito abbreviato, dichiarato l'inammissibilita'
della  richiesta  di  citazione  del responsabile civile, non essendo
consentita  la  sua  presenza  nel processo celebrato con le forme di
detto rito: cio' sul presupposto che, ai sensi dell'art. 87, comma 3,
cod.  proc.  pen., una volta radicato il rito de quo, il responsabile
civile  debba essere estromesso anche se gia' costituito nell'udienza
preliminare;
     che,  pertanto,  il  giudice  a  quo  ha  gia'  fatto definitiva
applicazione  della  norma  della cui legittimita' costituzionale ora
dubita,   cosi'  consumando  il  proprio  potere  decisorio:  con  la
conseguenza di rendere ininfluente, sotto il profilo della rilevanza,
un'eventuale pronuncia di incostituzionalita' della norma stessa.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma  2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.