TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 189 del 2007
proposto  da Stenico Clara, rappresentata e difesa dall'avv. Beatrice
Tomasoni  ed  elettivamente domiciliata nel suo studio in Trento, via
Grazioli n. 5;
   Contro  il  Ministero  della  giustizia  - Sottocommissioni I e II
esami per avvocato - sessione 2006/2007 c/o Corte Appello di Trento e
Commissione  esame  per  avvocato  sessione 2006 c/o Corte Appello di
Perugia,  in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura  distrettuale dello Stato di Trento nei cui uffici in
largo  Porta Nuova n. 9, e' per legge domiciliata, per l'annullamento
del  verbale  delle Sottocommissioni per gli esami di avvocato presso
la  Corte  di  appello  di  Trento,  sessione  2006,  con il quale la
dott.ssa S.C. non e' stata ammessa alla prova orale ed, altresi', del
presupposto  verbale  della prima sottocommissione presso la Corte di
appello di Perugia, nonche' di ogni atto connesso o presupposto.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio dell'amministrazione
intimata;
   Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Uditi  alla  pubblica  udienza  del  17 gennaio 2008 - relatore il
consigliere   Mario   Mosconi  -  l'avv.  Beatrice  Tomasoni  per  la
ricorrente,    l'avvocato    dello    Stato    Sarre    Pirrone   per
l'amministrazione resistente.
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
                    F a t t o   e   d i r i t t o
   1. - Con sentenza non definitiva n. 68 del 19 marzo 2008, relativa
al  presente  ricorso -  avente ad oggetto l'impugnativa del giudizio
negativo  degli  scritti  redatti  dall'istante  in  sede di esami di
abilitazione  alla  professione  forense,  sessione  2006/2007 - sono
state respinte due delle tre censure dedotte dalla ricorrente.
   In  particolare  il  Collegio  ha  al riguardo rilevato che, dagli
artt.  22  del r.d.l. 23 novembre 1933, n. 1578 e 17-bis, 22, 23 e 24
del  r.d.  23  gennaio  1934,  n. 37  emerge  soltanto  che i criteri
direttivi  menzionati  nell'art.  22, nono comma del r.d. n. 1578 del
1933  debbano essere comunicati alle Commissioni giudicatrici locali,
ma  che  non  sussista  per esse alcun formale obbligo di motivare il
singolo giudizio finale.
   Su  tale fondamento legislativo il secondo ed il terzo motivo sono
stati   disattesi  con  la  precisazione  che,  per  quanto  concerne
quest'ultimo,  non  era  possibile accertare in giudizio l'arbitraria
applicazione  dei  detti  criteri  generali,  atteso  che, in sede di
giurisdizione  generale  di  legittimita',  non compete al giudice la
possibilita'  di sostituire la propria valutazione a quella formulata
dalla  Commissione  d'esame  (Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2007,
n. 4635;  sez.  IV  5  settembre  2007, n. 4659; sez. IV 17 settembre
2004, n.6155).
   Eguale  conclusione  negativa  avrebbe  dovuto  assumersi  per  la
residuale  censura,  con  la  quale  era  stato dedotto il difetto di
motivazione dell'espresso giudizio alla luce della totale inidoneita'
ad  esternarlo  da  parte  del  cosiddetto  voto alfanumerico; e cio'
tenuto  conto  del  consolidato  indirizzo  della  giurisprudenza del
Consiglio di Stato; tuttavia, con la recente sentenza 30 maggio 2006,
n. 193,  questo  tribunale,  dopo aver osservato che «pur sussistendo
l'esistenza  di qualche principio di segno opposto, e' ormai piu' che
maggioritario  e  pressoche'  consolidato presso il giudice d'appello
quell'orientamento  giurisprudenziale  secondo  il  quale, anche dopo
l'entrata   in  vigore  della  legge  n. 241  del  1990,  l'onere  di
motivazione  della  valutazione forense e' sufficientemente adempiuto
con   l'attribuzione   di  un  punteggio  alfanumerico  (o  numerico)
configurandosi  quest'ultimo  come  formula  sintetica  che  vale  ad
esternare  adeguatamente  il  giudizio  tecnico delle CC.GG.», aveva,
peraltro,  argomentatamente  concluso  che il detto indirizzo collide
con  quello  fatto  proprio nella propria precedente pronuncia n. 351
del  2001,  confermata  integralmente  in  quella  sopra  richiamata,
accogliendo per conseguenza il ricorso.
   Ai  fini  della  definizione  del  primo motivo deve essere dunque
ricordato  che  l'indirizzo  adottato  della IV sez. del Consiglio di
Stato  sull'anzidetta  questione  con  le decisioni n. 537, 538, 539,
540,  541,  543 e 689 del 2008) fanno propria, invece, la sufficienza
del  voto alfanumerico nel giudizio in sede generale di legittimita';
che, inoltre, proprio con riferimento al prodotto ricorso l'ordinanza
20  settembre  2007, n. 90, con cui questo tribunale aveva accolto la
domanda  di  misura  cautelare,  disponendo che gli elaborati scritti
della  candidata  fossero  riesaminati  da  altra Sottocommissione ed
ammettendola  con riserva a sostenere le prove orali subordinatamente
all'emissione  di  un  giudizio positivo sulle stesse prove, e' stata
riformata  dalla  sez.  IV  del  Consiglio  di Stato con ordinanza 12
dicembre  2007,  n. 6504,  che  ha  richiamato  a tal fine le proprie
precedenti  contrarie  pronunce  cautelari 2 marzo 2007, n. 1009 e 25
settembre  2007,  n.n.  6854  e  6855 in ordine all'inesistenza di un
obbligo  di  motivazione  diverso da quello dell'espressione del solo
voto cosiddetto alfanumerico.
   Ad  avviso del Collegio pare, peraltro, possibile ancora una volta
lumeggiare  le  ragioni  che  indubitano sul piano della legittimita'
costituzionale  la  ormai «granitica» giurisprudenza del Consiglio di
Stato,  che  eleva  da  oltre  18 anni un vallo non valicabile per la
potenziale   percezione   delle   concrete   ragioni   addotte  dalle
Commissioni esaminatrici a sostegno del giudizio negativo sulle prove
scritte svolte dai candidati.
   Giova  premettere  sotto  un primo profilo che la mera espressione
alfanumerica  di  un  giudizio  non  sembra integrare alcuna reale ed
effettiva  «motivazione  sintetica»,  ove l'espressione «motivazione»
assolva  l'esigenza  di manifestare al candidato il perche' della sua
reiezione   alle   prove   scritte,   ma   pare   tradursi   soltanto
nell'espressione   di   un  valore  essenzialmente  relativo  che  si
manifesta   in   termini  matematici,  oscuro  restando  comunque  il
fondamento valutativo del connesso giudizio.
   Il tribunale e' ben consapevole di quanto statuito anche da ultimo
da  codesta  sovrana  Corte con le pronunce n. 466 del 2000, n. 419 e
420  del  2005  e  da  ultimo  ancora  n. 28  del 2006, ma persiste a
ritenere   che,   allo   stato,   non   si  configuri  il  fondamento
dell'affermata inammissibilita' delle questioni a suo tempo sollevate
e  dunque  la sussistenza di un mero dissenso in giurisprudenza, come
tale  suscettibile di diversa evoluzione, da cui ha tratto fondamento
l'affermata  estraneita'  di  codesta sovrana Corte al riguardo: ogni
diversa  lettura  dell'art.  3  della legge 7 agosto 1990, n. 241 e',
infatti,  in  materia costantemente reietta in sede d'appello, il che
accredita  la totale ed ormai incondizionata preclusione da parte del
Consiglio di Stato ad una diversa lettura della suddetta norma.
   Alla  stregua,  pertanto,  dei richiamati precedenti l'espressione
alfanumerica   del  voto  e'  ormai  ritenuta  capace  di  soddisfare
pienamente  la necessita' di una sufficiente motivazione senza che da
siffatta  espressione  ogni  candidato  non  ammesso agli orali possa
peraltro  comprendere  dove  abbia sbagliato e quali errori possano e
debbano   essere  emendati  in  una  successiva  tornata  d'esami  di
abilitazione.
   L'orientamento  del  Consiglio di Stato deve, quindi, essere ormai
qualificato  come  diritto  vivente e valgano al riguardo le pronunce
della  sez.  IV n. 6155 del 2004, n. 4165 del 2005, n. 1009 del 2007,
n. 2221  del  2007,  n. 5855  del 2006, n. 9348 del 2006, n. 6507 del
2006, n. 25 del 2007, n. 4657 del 2007; della sez. V n. 163 del 1989;
della  sez.  VI  n. 14  del  1999;  del Consiglio di giustizia per la
Regione  Siciliana  n. 236  del  2004;  nonche'  dei TT.AA.RR. che, a
fronte  di  tante  cassazioni  delle  opposte  pronunce,  hanno ormai
desistito  da  ogni ulteriore sforzo per una diversa e piu' appagante
lettura dell'ordinamento.
   Rafforza  la  suesposta  conclusione  il  fatto  che,  seppure  il
decreto-legge  21 maggio 2003, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla  legge  18 luglio 2003, n. 180 al suo art. 1-bis (ma cfr. anche
l'art.   22,   nono   comma   del  r.d.l.  n. 1578  del  1933)  abbia
innovativamente  introdotto alcuni criteri di valutazione delle prove
d'esame  in discussione, tale precetto non pare essere stato recepito
dalla  giurisprudenza  del  Consiglio  di  Stato,  che,  seppure  con
riferimento    ai    pubblici   concorsi,   ha   statuito   che   «la
predeterminazione  dei  criteri di valutazione delle prove a posti di
pubblico impiego non puo' essere considerata elemento imprescindibile
ai  fini della legittimita' della procedura, trattandosi di attivita'
riservata  alla  discrezionalita' dell'Amministrazione, rispetto alla
quale il sindacato di legittimita' e' estremamente ristretto» per cui
«la  mancanza od indeterminatezza di tali criteri non puo' di per se'
comportare  l'illegittimita' del concorso e delle valutazioni in esso
formulate  quando  i  giudizi  espressi  per  i singoli candidati non
presentino  aspetti  di  irrazionalita'  e  di  violazione  della par
condicio» (Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 2006, n. 7116; sez. VI 12
dicembre 2002, n. 6250).
   Il  tribunale  non  e' persuaso delle argomentazioni sopra svolte,
osservando  che,  per comune insegnamento, la materia dei giudizi nei
concorsi e nelle prove di abilitazione, non pare ascrivibile all'area
della  discrezionalita'  amministrativa nel pregnante significato suo
proprio,  quale  ponderata  scelta alternativa del mezzo maggiormente
satisfattivo dell'interesse pubblico, ma che, avendo detti giudizi ad
oggetto  la sufficienza o l'insufficienza delle ridette prove scritte
come  pure  la  loro  completezza  od  incompletezza  ovvero  il loro
illogico  e  non  argomentato  svolgimento, essi coinvolgano concetti
giuridici   a   contenuto   indeterminato  che,  ancorche'  riassunti
nell'imprecisa  ed  ambigua formula della «discrezionalita' tecnica»,
che altri classificherebbero come un elegante ossimoro, ben sarebbero
passibili  di  un  riscontro  di piena cognizione, non potendo essere
diversamente  giustiziabile  la pretesa dei candidati, diametralmente
opposta  a  quella, peraltro totalmente immotivata, delle Commissioni
esaminatrici.
   Non  appare pervero un mero accidente, privo di ogni rilevanza sul
piano  processuale,  il  fatto che l'art. 44 del r.d. 26 giugno 1924,
n. 1054,  cosi'  come  novellato  dall'art. 1, comma 2 della legge 21
luglio  2000,  n. 205, preveda che la decisione sui mezzi istruttori,
ben  diversamente  dall'acquisizione meramente cartolare di un tempo,
comprenda  anche  a  consulenza  tecnica d'ufficio per l'accertamento
della legittimita' di ogni questione positivamente sottratta all'area
della riserva amministrativa.
   Ne'   per  converso  sembra  possibile  aderire  alla  concorrente
argomentazione   che   si   fa   inesattamente  discendere  in  detto
orientamento   dalla   nozione   di   discrezionalita',  affermandosi
contraddittoriamente  che  il  riscontro  dei  visti giudizi negativi
espressi  dalle  Commissioni  di  concorso  o di abilitazione sarebbe
sottoposto  ad  un  «sindacato»  estremamente  ristretto,  quando  si
persiste  a  negare ogni possibilita' che tale pur limitato controllo
sulla  denunciata irrazionalita' di essi o sulla violazione della par
condicio  possa configurarsi ed essere concretamente esercitato sulla
base  di  una  motivazione  di  cui si attesta nel contempo la totale
superfluita'  (cfr.  ancora  ex multis Cons. Stato, sez. V, 19 aprile
2007,   n. 1794,   sez.   VI   26  maggio  2006,  n. 3147;  Tribunale
amministrativo regionaleLazio Roma, sez. I 3 luglio 2007, n. 5941).
   Quanto  ad  una  potenziale  diversa  riflessione  sulla questione
all'esame   non   consta,  poi,  essere  stato  sotto  alcun  profilo
valorizzato  il  sopravvenuto  art.  11, comma 5 del d.lgs. 24 aprile
2006,   n. 166,   che  del  tutto  analogamente  a  quanto  stabilito
dall'originaria formulazione del d.P.R. 9 agosto 1994, n. 487 quando,
cioe',  la  norma prescriveva la «motivazione del punteggio» e dunque
antecedentemente  alla  modifica richiesta dall'Adunanza generale del
Consiglio  di  Stato  con  avviso  del  9  novembre  1995, n. 120, ha
stabilito  per  lo  svolgimento dei concorsi notarili l'obbligo della
motivazione  per i giudizi di non idoneita', sostituito dal solo voto
nell'opposta  ipotesi  di idoneita' e dunque di ammissione alle prove
orali dei candidati.
   2.   -   Per   quanto   piu'  direttamente  concerne  la  presente
controversia  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  che si
solleva appare, anzitutto, rilevante nella vicenda all'attenzione del
Collegio,  atteso  che,  dovendosi  altrimenti  fare applicazione del
richiamato   «granitico»  indirizzo  del  Consiglio  di  Stato,  pena
l'annullamento  della  relativa  sentenza  su appello dell'Avvocatura
distrettuale  dello  Stato,  il  ricorso  dovrebbe  essere altrimenti
respinto in toto.
   Nell'ipotesi  invece  che  gli  artt.  22, nono  comma  del r.d.l.
n. 1578  del  1933  e 17-bis, 22, 23 e 24, primo comma del r.d. n. 37
del  1934, richiamati dalla ricorrente nell'atto introduttivo fossero
suscettibili  di un'interpretazione orientata al rispetto delle norme
costituzionali,  volta  a  far  emergere  l'obbligo  di  una  congrua
motivazione,  il  ricorso  potrebbe  essere accolto per la denunciata
violazione  dell'art.  3  della legge 7 agosto 1990, n. 241, che alle
richiamate  norme sovrapporrebbe il vincolo indotto dal generalissimo
principio  ivi  enunciato  per  la  retta  redazione  di  ogni atto o
provvedimento amministrativo.
   Con  riguardo,  poi,  alla non manifesta infondatezza della stessa
questione  questa  deve  essere  riguardata,  a parere del remittente
Collegio,  alla  luce  dei  precetti  di  cui  agli  artt.  24, primo
e secondo  comma  ,  111, primo  e secondo comma, 113, primo comma in
associazione  a  quanto  stabilito  dall'art.  117, primo comma della
Costituzione.
   Quanto  al principio di effettivita' della tutela giurisdizionale,
proclamato  dall'art.  24, primo  e secondo  comma  e,  con  riguardo
all'esercizio  della  giurisdizione  amministrativa,  dall'art.  113,
primo  comma della Costituzione giova osservare che la giurisprudenza
dei   Consiglio   di   Stato   ha  progressivamente  e  costantemente
valorizzato   il   dogma  della  sufficienza  del  voto  alfanumerico
immediatamente  dopo  il  richiamato  parere  9 novembre 1995, n. 120
dell'Adunanza  generale  con  cui  e'  stata  richiesta  la  modifica
dell'art. 12, comma 1 del d.P.R. 9 agosto 1994, n. 487, disciplinante
in  via  generale  l'accesso  per  concorso  al pubblico impiego, che
prescriveva   espressamente   e   puntualmente  «la  motivazione  del
punteggio»,  cui  ha successivamente dato corso il Governo con d.P.R.
30  ottobre  1996,  n. 693,  tramite la sostituzione dell'espressione
«assegnazione  del  punteggio» a quella antecedente; e cio' proprio a
seguito dell'ivi argomentata sufficienza del voto alfanumerico.
   La   suddetta   novella,   a   seguito   della  quale  le  sezioni
giurisdizionali  del  Consiglio  di  Stato  hanno poi dato negli anni
successivi  coerente seguito, appare dunque di tutto rilievo, essendo
stata cosi' espunta dal tessuto dell'ordinamento l'unica disposizione
in  grado di positivamente infirmare la teoria del voto alfanumerico;
altrettanto   rilevante   appare,   inoltre,   il  richiamato  avviso
dell'Adunanza  generale  per il fatto che sia stato in tale occasione
fornito da parte di un organo consultivo a composizione astrattamente
totalitaria  ex  art.  17  del  r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 un assai
autorevole  avviso,  di per se' potenzialmente capace di escludere in
prosieguo   ogni   diversa   lettura   della   norma  anche  in  sede
giurisdizionale  in  applicazione  dell'art. 3 della legge n. 241 del
1990.
   Il  fondamento  della  richiesta  di  modifica  rivolta al Governo
traspare,  poi,  apertamente  dalle  argomentazioni  svolte nel visto
parere  dell'Adunanza  generale,  che  non ha dissimulato l'avvertita
preoccupazione  che l'altrimenti incombente obbligo della motivazione
in  capo  alle  Commissioni  esaminatrici potesse costituire problemi
organizzativi  di  non agevole soluzione con conseguente allungamento
dei  tempi  di correzione degli elaborati ben oltre il termine di sei
mesi stabilito dall'art. 11, comma 5 dello stesso Regolamento.
   La  valorizzazione  dei  principi,  oltre  che d'imparzialita', di
economicita'   e   di   celerita'  di  espletamento  delle  procedure
concorsuali,  ha  trovato  dunque  una  corrispondente risposta nella
suddetta  modifica dell'art. 12, comma 1 del richiamato d.P.R. n. 487
del  1994,  in  cio' pensosamente assicurandosi piena applicazione al
principio   di   buon   andamento   stabilito   dall'art.   97  della
Costituzione.
   In   tale   statuizione   e   nel  successivo  orientamento  della
giurisprudenza del Consiglio di Stato pare, tuttavia, che sia rimasta
negletta la diversa, ma non meno rilevante esigenza della trasparenza
dei  giudizi  formulati dalle Commissioni esaminatrici e che, quindi,
nel  confronto  con  l'art.  97  della  Costituzione,  fatto  proprio
nell'esercizio  della sua primaria funzione da parte del Consiglio di
Stato  ex  art.  100  della  Costituzione,  sia  rimasto recessivo il
diverso  principio  tratto  dai  richiamati artt. 24, primo e secondo
comma   e   113, primo  comma  della  Costituzione,  che  altrettanto
puntualmente  proclamano  il  principio  di effettivita' della tutela
giurisdizionale.
   Traendo  le  conseguenze  dalle svolte argomentazioni sembra arduo
dubitare   che,  se  l'affermazione  che  il  voto  alfanumerico  sia
espressione  sintetica,  ma  completa del giudizio, essa appaia tanto
perentoria  quanto insoddisfacente, restando per tale via impedito lo
svolgersi  di un successivo giusto processo, posto che le Commissioni
esaminatrici  continuano  a conservare ingiustificatamente un'area di
impenetrabile insindacabilita' a fronte dell'affermata preclusione di
ogni  potenziale  verifica  degli eventuali vizi della motivazione di
volta in volta addotta.
   Per questo aspetto viene conseguentemente in considerazione l'art.
22 del r.d n. 1578 del 1933, come modificato dal d.l. n. 112 del 2003
e dalla sua legge di conversione.
   Tale  disposizione,  al  comma 9, stabilisce espressamente che «la
commissione istituita presso il Ministero della giustizia definisce i
criteri per la valutazione degli elaborati scritti» che devono essere
comunicati  alle  varie  Sottocommissioni:  fra  tale criteri, devono
comunque essere sempre presenti i seguenti:
     a) chiarezza, logicita' e rigore metodologico dell'esposizione;
     b)  dimostrazione  della  concreta  capacita'  di  soluzione  di
specifici problemi giuridici;
     c)  dimostrazione  della conoscenza dei fondamenti teorici degli
istituti giuridici trattati;
     d)  dimostrazione  della capacita' di cogliere eventuali profili
di interdisciplinarieta';
     e)   relativamente  all'atto  giudiziario,  dimostrazione  della
padronanza delle tecniche di persuasione.
   A  tale  stregua non e' dato davvero comprendere quale significato
possa  avere  la  norma  in  questione,  che vincola le Commissioni a
fissare  criteri  per  la  valutazione  delle  prove d'esame, ove non
concorra  per  la  verifica  dell'applicazione  dei suddetti criteri,
nessuno  di  essi  escluso, il correlative obbligo di motivazione dei
giudizi formulati sugli elaborate dei candidati.
   Con   riguardo,   poi,   all'ulteriore   profilo  di  legittimita'
costituzionale  che pare configurarsi, occorre osservare che, in base
a   quanto  stabilito  dall'art.  111, primo  e secondo  comma  della
Costituzione  «la  giurisdizione  si  attua  con  il  giusto processo
regolato  dalla  legge»,  che  «si  svolge nel contraddittorio tra le
parti,  in  condizioni  di  parita',  davanti  ad un giudice terzo ed
imparziale»:  sotto  questo  profilo  la  ragione  del  dubbio  della
costituzionalita'  delle suddette norme, siffattamente interpretate e
necessariamente  leggibili  in  base  al  «diritto vivente» elaborato
negli  anni  dal  Consiglio di Stato, trae alimento nella circostanza
gia'  piu'  sopra  ad  altri  fini  sottolineata  che, in un siffatto
quadro,   sia   radicalmente  esclusa  ogni  possibilita'  che  siano
garantiti  il  diritto  di  difesa  in  giudizio  e  dunque le regole
coessenziali    al   giusto   processo   con   preclusione   per   la
giustiziabilita'    della    stessa    pretesa   avanzata   in   sede
giurisdizionale:  non  potendo,  infatti, applicarsi la regola che, a
fronte di un giudizio negativo espresso nei confronti di un soggetto,
quest'ultimo  non  sia  verificabile  neppure sotto l'angusto profilo
della sua motivazione appare concorrentemente viziato il principio di
effettivita' della tutela giurisdizionale.
   Altrettanto   manifestamente   non   infondata  appare  la  stessa
questione  alla  luce  dell'art. 117, primo comma della Costituzione,
posto   che,   seppure   l'art.   111, primo  e secondo  comma  abbia
pacificamente introdotto nel nostro ordinamento i principi del giusto
processo  come statuiti dalla convenzione europea per la salvaguardia
dei  diritti dell'uomo delle liberta' fondamentali a tutti i processi
nazionali   e   non   soltanto   a   quelli  coinvolgenti  i  diritti
convenzionalmente  tutelati,  l'art. 117, primo comma fa obbligo allo
Stato  di esercitare la potesta' legislativa nel rispetto dei vincoli
derivanti dal diritto comunitario e dagli obblighi internazionali.
   Sotto  questo  aspetto  e'  sufficiente  dunque  richiamare quanto
statuito  da  codesta  sovrana Corte con le sentenze 24 ottobre 2007,
n. 348  e  349,  con  le  quali  e' stata attratta alla competenza di
codesta sovrana Corte ogni questione inerente alla retta applicazione
nell'ordinamento  nazionale della convenzione per la salvaguardia dei
diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali sottoscritta a Roma
il  4 novembre 1950 e cui e' stata data esecuzione con legge 4 agosto
1955, n. 848, nonche' del suo Protocollo addizionale firmato a Parigi
il 20 marzo 1952.
   Nella  specie  la  questione sopra illustrata appare, infatti, non
manifestamente  infondata  anche  alla  luce  delle regole del giusto
processo  e  del principio della sua effettivita', la cui violazione,
ove  non sanzionata da codesta sovrana Corte, renderebbe la pronuncia
di  conseguente  reiezione  da parte di questo tribunale direttamente
ricorribile per saltum davanti alla Corte europea di Strasburgo.
   Sul  fondamento delle argomentazioni che precedono ed alla stregua
della  rilevanza  e  della  reputata non manifesta infondatezza della
questione  prospettata  si  rimette  la  sua  definizione  alla Corte
costituzionale con sospensione del presente giudizio.