IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 15 marzo 2007 ha pronunciato la seguente ordinanza. Il giudice relatore designato ex art. 12, d.lgs n. 5/2003, con ordinanza 5 febbraio 2007 ha dichiarato - ai sensi del combinato disposto degli artt. 8, comma 4 e 12, comma 5 del d.lgs. citato - l'estinzione del giudizio, poiche' parte attrice (SEPT Italia S.p.A.) ha notificato l'istanza di fissazione udienza oltre il termine di 20 giorni previsto dall'art. 8, comma c) del decreto citato: i convenuti avevano notificato la propria terza replica ex art. 7, comma 3 in data 12 maggio 2006, sicche', stante il tenore letterale della norma, l'attore non volendo replicare ulteriormente, avrebbe dovuto notificare la propria istanza di fissazione udienza entro venti giorni «dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intende[va] replicare», ovvero entro il 2 giugno 2006; ha invece compiuto detta notifica il 9 giugno 2007. Nel reclamare l'ordinanza predetta avanti al Collegio parte attrice lamenta che l'argomentare del giudice di prime cure non sarebbe corretta: ai sensi dell'art. 7, comma 3, d.lgs n. 5/2003, sostiene il reclamante «e' ammesso lo scambio di ulteriori memorie di replica tra le parti finche' non e' decorso il termine massimo di 80 giorni dalla notifica della memoria di controreplica del convenuto di cui al comma 2»; inoltre «ove necessario al fine dell'attuazione del contraddittorio il relatore assegna un termine non inferiore a dieci e non inferiore a venti giorni per repliche»; nella specie l'attrice - a suo dire - non avrebbe potuto notificare ai convenuti (che avevano notificato la terza controreplica 12 maggio 2006) ulteriore replica, poiche' il termine di trenta giorni a lei concesso da costoro sarebbe scaduto dopo il termine massimo previsto dalla legge per lo scambio di memorie; pertanto, volendo proseguire il contraddittorio, a fronte di un termine per replica che scadeva dopo il termine massimo, si sarebbe avvalsa, per evitare l'estinzione del giudizio, della possibilita' di notificare l'istanza di fissazione udienza nei venti giorni dalla scadenza del termine massimo di ottanta giorni di cui all'art. 7, comma 3 (richiamato dall'art. 8, comma 4 per disciplinare le ipotesi di estinzione del giudizio), chiedendo nel contempo al relatore di essere autorizzato a replicare ulteriormente, secondo quanto previsto in proposito dall'art. 7, comma 3, ultima parte. Quindi nessuna delle ipotesi di estinzione prevista dalla legge (art. 8, comma 4) si sarebbe verificata, ed il avrebbe errato a considerare assorbente, agli effetti della declaratoria di estinzione, la mancata notifica dell'istanza di fissazione udienza nei venti giorni dalla scadenza dell'ultima replica dei convenuti (2 giugno 2006), avendo la legge previsto - per l'ipotesi in cui una parte sia «in termini» per una replica, nonostante nelle more spiri il termine massimo di ottanta giorni previsto per lo scambio di scritti difensivi - la possibilita' di notificare l'istanza di fissazione d'udienza e la richiesta di autorizzazione al deposito dell'ulteriore scritto difensivo, entro venti giorni dalla scadenza del termine massimo di ottanta giorni dalla controreplica ex art. 7, comma 2, e non dalla notifica dell'ultimo scritto difensivo della controparte cui non intenda rispondere. L'argomento dei reclamanti e' in astratto fondato; e' vero, infatti, che l'art. 8 prevede la possibilita' di notificare l'istanza di fissazione udienza nei venti giorni dalla scadenza del termine massimo di ottanta giorni dalla notifica della controreplica del convenuto di cui all'art. 7, comma 2, poiche' tiene conto del fatto che la disciplina del contraddittorio di cui all'art. 7 puo' comportare che una delle parti sia in termini per replicare quando e' imminente la scadenza del termine massimo che chiude necessariamente il contraddittorio, rendendo inammissibile la memoria, e creando il presupposto dell'estinzione del giudizio: la parte potrebbe avere venti giorni per rispondere con una memoria benche' di li' a tre giorni scada il termine massimo di ottanta; in tal caso, per evitare l'estinzione del giudizio la parte potra' avvalersi della possibilita' di notificare nei venti giorni dalla scadenza del termine massimo di ottanta giorni, che interrompe comunque il contraddittorio, l'istanza di fissazione udienza ex art. 12, e, nel contempo, di richiedere al giudice la fissazione di un termine per depositare l'ultimo scritto difensivo (termine che sara' ragionevolmente concesso solo se lo scritto sia necessario per ristabilire la parita' del contraddittorio). Se cosi' fosse nella specie, il giudice di prime cure avrebbe effettivamente errato a considerare assorbente agli effetti della verifica dell'estinzione del giudizio la mancata notifica dell'istanza di fissazione d'udienza collegiale nel termine di venti giorni dall'ultima replica dei convenuti, poiche' avrebbe dovuto considerare decorrente il termine stesso dalla scadenza del termine massimo di ottanta giorni, a sua volta decorrente dalla notifica della controreplica del convenuto. Ebbene nella specie lo scambio degli scritti difensivi e' avvento secondo lo schema seguente: il 29 dicembre 2005 e' stata notificata dall'attrice la replica ex art. 6 d.lgs. n. 5/2003 (anche per la riassunzione del giudizio con rito societario essendo stato in precedenza mutato il rito e cancellata la causa dal ruolo ai sensi dell'art. 1 u.c. stesso decreto); il 25/26 gennaio 2006 i convenuti hanno replicato ai sensi dell'art. 7, comma 1; il 17 febbraio 2006 l'attore ha replicato ex art. 7, comma 2; il 14 marzo 2006, i convenuti hanno controreplicato ex art. 7, comma 2; il 13 aprile 2006 l'attore ha nuovamente replicato ex art. 7, comma 3; il 12 maggio 2006 i convenuti hanno controreplicato ex art.7, comma 3; il 9 giugno 2006 l'attrice ha notificato istanza di fissazione udienza (chiedendo al giudice relatore, ex art. 7, comma 3, ultima parte, anche l'autorizzazione alla notifica di ulteriore memoria di controreplica ai convenuti e l'integrazione del contraddittorio nei confronti di un terzo). Cio' chiarito si osserva che il termine di venti giorni (perentorio e non modificabile dalle parti ex art. 153 c.p.c.) per l'eventuale ulteriore (quarta) replica dell'attore alla memoria dei convenuti del 12 maggio 2006 scadeva, ex art. 155 c.p.c., il 1 giugno 2006 (e non il 2 giugno 2006 come affermato nell'ordinanza). Il termine massimo di ottanta giorni dalla controreplica dei convenuti ex art. 7, comma 2 scadeva il 2 giugno 2006, quindi il 3 giugno 2006 essendo il 2 giorno festivo. Quindi l'attrice, volendo proseguire il contraddittorio come afferma, ben avrebbe potuto notificare il suo scritto di replica nel termine massimo di venti giorni predetto, il quale scadeva, peraltro, entro quello massimo previsto dalla legge per la prosecuzione del contraddittorio. A quel punto ciascuna parte, avrebbe avuto la possibilita' di notificare istanza di fissazione udienza nei venti gironi successivi alla scadenza del termine massimo di ottanta giorni. Oppure, non volendo replicare, avrebbe dovuto notificare istanza di fissazione entro il 1° giugno 2006 nel termine, cioe', di 20 giorni dalla notifica dell'ultimo scritto di controparte. Non avendo cosi' operato, l'attrice ha dato luogo ad un'ipotesi di estinzione del giudizio, diversa, invero, da quella individuata dal giudice di prime cure, ma comunque foriera dello stesso effetto. E non vale il diverso argomentare della controparte, che si avvale per giungere ad opposta conclusione del presupposto erroneo del termine di «trenta giorni» concesso dai convenuti all'attrice nella loro controreplica: e' vero che in virtu' di tale termine la possibilita' per l'attrice di replicare a controparte sarebbe scaduta l'11 giugno 2006, cioe' in un momento successivo a quello della scadenza del termine massimo di ottanta giorni, ma di quel termine l'attrice non si poteva avvalere, perche' in quella fase del contraddittorio non sono ammessi, espressamente termini superiori a venti giorni per ulteriori memorie (l'art. 7, comma 3, dopo aver previsto la possibilita' di scambi ulteriori nel termine perentorio di 20 giorni, prosegue affermando che «Alle medesime condizioni e' ammesso lo scambio di ulteriori memorie...». Pertanto il processo dovrebbe essere dichiarato estinto. Tuttavia il Collegio reputa, avendolo altresi' prospettato alle parti nel corso dell'udienza di discussione, che la fattispecie sottoposta al suo esame ponga in maniera non manifestamente infondata la questione della costituzionalita' della norma di cui all'art. 8, comma 4, d.lgs n. 5/2003 nella parte in cui stabilisce che «La mancata notifica dell'istanza di fissazione d'udienza nei venti giorni successivi alla scadenza dei termini di cui ai commi precedenti, o del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all'art. 7, comma 2, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all'art. 7, comma 3 determina l'estinzione del processo» in via immediata. Questione nella fattispecie rilevante atteso che proprio detta disciplina dovrebbe condurre il Collegio a dichiarare estinto il processo introdotto da SEPT Talia S.p.A. nei confronti di Carnet S.p.A., Kaitech S.p.A., Fabio Daniele e Maria Lazzerini. E cio' ritiene sulla base delle considerazioni che seguono. Alla luce dei principi generali dai quali e' ragionevole ritenere che il legislatore non abbia inteso discostarsi, quindi, della «funzione» dell'istituto dell'estinzione del giudizio, va rammentato che l'estinzione e' una vicenda anormale del processo, finalizzata ad evitare la prosecuzione di attivita' processuale quando tutte le parti, per accordo esplicito (rinuncia agli atti) o per comportamento concludente (inattivita), lo ritengono inutile. Proprio perche' l'inattivita' e' uno dei presupposti che il legislatore pone a base del meccanismo d'estinzione, le parti sono tenute a compiere atti ritenuti essenziali per l'iter processuale entro termini perentori con funzione acceleratoria, e la loro inosservanza determina l'estinzione immediata (es. art. 182, comma 2 c.p.c. e 290 c.p.c., 165 c.p.c. 102 c.p.c.) o differita (art. 181 c.p.c. 309 c.p.c.) del processo, a prescindere dal fatto se detta inosservanza sia frutto di consapevole volonta' o di mera negligenza. Come gia' nel processo ordinario (i casi sono riassunti nell'art. 307 c.p.c.), anche nel nuovo rito societario viste le finalita' di celerita' e concentrazione che lo ispirano - il legislatore ha introdotto dei termini perentori per il compimento di determinate attivita' con funzione acceleratoria, ed ha previsto quale conseguenza della mancata osservanza degli stessi l'estinzione immediata (art. 8, comma 4) o differita (art. 16, comma 1) del processo. La disciplina che il legislatore ha previsto per quello speciale atto d'impulso processuale che e' l'istanza di fissazione dell'udienza collegiale (in particolare la decorrenza del termine perentorio di venti giorni per la notifica dell'istanza di fissazione dell'udienza collegiale in ragione dell'attuale combinato disposto degli artt. 7 e 8 del d.lgs n. 5/2003 frutto di modifiche apportate con il d.lgs. n. 37/2004), prevede che la stessa debba essere notificata entro un termine perentorio che decorre da momenti diversi, a seconda di come in concreto si e' svolto il contraddittorio, momenti la cui individuazione spetta alle parti alla luce di disposizioni normative obbiettivamente complesse, frutto di una formulazione non sempre chiara e lineare; cio' in una fase in cui il giudizio si svolge esclusivamente tra le parti attraverso lo scambio degli scritti difensivi, e ove, quindi, il giudice e' totalmente assente rispetto a quel molo di direzione del procedimento (175 c.p.c.) che, nel rito ordinario, si esprime anche attraverso la chiara fissazione dei termini perentori entro cui le parti, per legge, devono svolgere determinate attivita', pena, in taluni casi (art. 307 c.p.c.), l'estinzione del giudizio; La sanzione per l'esercizio non tempestivo di detto atto d'impulso e' l'estinzione immediata del giudizio. La conseguenza dell'estinzione immediata del giudizio a fronte dell'agire non tempestivo della parte onerata nel passaggio delicato del giudizio alla fase apud iudicem, non appare (anche alla luce della formulazione della disciplina in concreto dettata dal legislatore) sanzione coerente con i principi costituzionali, e soprattutto con il principio di cui all'art. 24 Cost.: l'idea del processo civile coerente con il dettato costituzionale, e' quello di un processo, certamente il piu' possibile rapido, ma al tempo stesso idoneo a consentire concretamente alle parti di difendere i loro diritti e di ottenere - attraverso il ricorso al giudice, quelle stesse utilita' in termini di riconoscimento ed affermazione dei diritti, che avrebbe potuto consentire attraverso il rispetto della norma sostanziale. La garanzia del diritto di difesa non si esaurisce, infatti, al momento dell'accesso al processo, ma va configurato - anche in virtu' dell'art. 111 Cost. che rafforza la garanzia sancita dall'art. 24 Cost. - come diritto ad ottenere una pronuncia di merito, per cui debbono considerarsi eccezionali le ipotesi di violazione delle norme rituali che precludano la conoscenza del diritto sostanziale controverso. Pertanto, quand'anche si consideri coerente con i principi anche costituzionali di celerita' del processo, la scelta del legislatore di porre termini perentori d'impulso processuale, appare incongruo ed irragionevole sanzionare con l'estinzione immediata del processo, l'agire non tempestivo della parte che abbia, si' notificato l'istanza di fissazione dell'udienza collegiale, ma oltre il termine stabilito nella speciale ipotesi che lo riguarda (magari errando nell'interpretazione di una disciplina, invero, non chiara e lineare): che, cioe', si sia attivata, mostrando cosi' di avere interesse alla prosecuzione del giudizio, ma non tempestivamente; tanto piu' appare irragionevole se si considera che detta negligenza o detto errore di interpretazione della norma, viene a cogliere la parte una volta che il compiuto svolgersi del contraddittorio - magari con l'ampiezza massima concessa dal legislatore come nella specie - dimostra, invece, che le parti hanno coltivato diligentemente e pienamente l'interesse ad ottenere la pronuncia del giudice adito. Il legislatore ha, quindi, ad avviso del tribunale, compiuto una scelta irragionevole nel quadro dei principi costituzionali richiamati, quando ha previsto all'esito dell'inattivita' della parte in argomento, la conseguenza dell'estinzione «immediata» del processo anziche' quella della «cancellazione della causa dal ruolo», conseguenza quest'ultima che, pur portando anch'essa all'estinzione, si articola in un doppio grado di omissioni (l'omessa riassunzione della causa cancellata), che appare, nel contesto della fase processuale in esame - a contraddittorio compiutamente svolto - piu' coerente con la filosofia di una sanzione fondata sulla presunzione legale del disinteresse delle parti alla pronuncia. Se si considera, inoltre, che la condotta di cui all'art. 16, comma 1, d.lgs n. 5/2003 (mancata presentazione delle parti avanti al Collegio per la sentenza contestuale) - ben piu' esplicita della notifica non tempestiva di un'istanza di fissazione della medesima udienza nel senso di manifestare un disinteresse delle parti per la pronuncia del giudice - e' sanzionata dal legislatore con la sola cancellazione della causa dal ruolo, la scelta legislativa relativa alla sanzione processuale predetta appare vieppiu' incongrua ed irragionevole sotto l'ulteriore profilo di contrasto con l'art. 3 Cost. Conclusivamente reputa il Collegio che la liberta' del legislatore di atteggiare i mezzi di tutela del diritto di difesa in relazione alla protezione di altri interessi costituzionalmente garantiti (celerita' del processo) non puo' spingersi a vanificare in sede giurisdizionale situazioni riconosciute in sede sostanziale, ponendo, piu' che incentivi ad un procedere spedito del giudizio, ostacoli all'esercizio dell'azione, che si rivelano tali in quanto non congrui e non ragionevoli. L'estinzione immediata del processo quale conseguenza prevista dal legislatore nelle ipotesi di cui all'art. 8, comma 4 - da individuarsi in virtu' di una lettura combinata e non agevole del disposto degli art. 8, commi 1, 2, e 3 dell'art. 7, d.lgs. n. 5/2003 - appare, quindi, conseguenza irragionevole, avuto riguardo alla finalita' dell'istituto dell'«estinzione», sotto un duplice profilo: (a) in riferimento all'art. 3 della Costituzione, perche' crea una diversita' di trattamento essenziale, e non giustificabile tra il «non agire» costituito dal non comparire davanti al Collegio all'udienza ex art. 16 (sanzionato con la sola cancellazione della causa dal ruolo, benche' imputabile ad entrambe le parti e, quindi, anche percio' sintomatico in modo ben piu' chiaro e biunivoco del disinteresse per la pronuncia giurisdizionale), e il «non agire» costituito dalla mancata notifica dell'istanza di fissazione udienza ex art. 12 nel termine di venti giorni dalla scadenza dei termini di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 8, o del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all'art. 7, comma 2, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all'art. 7, comma 3; (b) in riferimento all'art. 24 della Costituzione poiche', ponendo una preclusione con effetto immediato a che il processo possa proseguire nella fase apud iudicem, impedisce irragionevolmente, cioe' con una sanzione processuale gravissima (che se non estingue l'azione che puo' essere riproposta, non interrompe eventuali decadenze che siano nel frattempo maturate) e quindi sproporzionata rispetto allo scopo di salvaguardare in quella fase lo svolgimento celere del giudizio, che la parte possa sanare autonomamente, con la riassunzione del giudizio, l'eventuale errore di valutazione o di interpretazione compiuto, ed ottenere la tutela del diritto che ha inteso affermare con l'esercizio dell'azione.