IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 8006/2006 R.G.
proposto  da Di Maio Donato, rappresentato e difeso dall'avv. Santina
Bernardi,  ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma,
piazza Verbano n. 8;
   Contro  il  Ministero  della  salute  in  persona del Ministro pro
tempore  costituitasi  formalmente  in  giudizio  con  il  patrocinio
dell'Avvocatura generale dello Stato; Azienda ospedaliera Ospedale di
Circolo  di  Busto  Arsizio, in persona del legale rappresentante pro
tempore,   non  costituita  in  giudizio;  e  nei  confronti  Golemme
Giovanni,  non  costituito  in  giudizio; per l'annullamento a) della
deliberazione   del   Dirigente   generale  dell'Azienda  ospedaliera
«Ospedale  di Circolo» di Busto Arsizio n. 424 del 24 luglio 2006 (ad
oggetto  «Ulteriori  determinazioni in ordine al Collegio sindacale»)
con  la  quale e' stata disposta la sostituzione, in seno al Collegio
sindacale  dell'azienda  stessa,  del ricorrente dott. Donato Di Maio
(nominato  il  31 maggio 2006 e presidente del Collegio) con il dott.
Giovanni Golemme, provvedendosi alla convocazione del Collegio stesso
nella   composizione   comprendente   il   dott.   Golemme;   b)  dei
provvedimenti  di  cui  alle  note  del Ministero della salute del 27
giugno 2006 (prot. GAB 6296-P/18d.n./l-2) e del 17 luglio 2006 (prot.
GAB/6913-P/18d.n./1-2)  con  i  quali si designava Giovanni Golemme a
far  parte del Collegio sindacale dell'Azienda Ospedaliera sub a); c)
del  provvedimento di cui alla nota del Ministero della salute del 29
maggio 2006 a firma del Ministro (prot. GAB 5280/ P/18d.n.1-2) con il
quale  veniva  disposta la revoca della designazione del dott. Donato
Di  Maio a componente del Collegio sindacale dell'azienda ospedaliera
sub  a)  effettuata  il 4 aprile 2006, «con effetto immediato qualora
l'organo  collegiale  in  questione non sia stato ancora costituito o
integrato  con il nominativo del designato»; d) di ogni altro atto ai
predetti connesso o coordinato, antecedente o consecutivo, anche solo
presupposto  e,  in particolare, degli eventuali atti e provvedimenti
di  insediamento del Collegio sindacale nella nuova composizione e di
nomina  di  cariche  in seno ad esso; nonche' per la declaratoria del
diritto  al risarcimento del danno con la condanna al pagamento delle
somme corrispondenti alla mancata percezione dei relativi emolumenti.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Viste le memorie prodotte dalla parte ricorrente;
   Visto  l'atto di costituzione e la memoria difensiva del Ministero
resistente;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Nominato  relatore  alla  pubblica  udienza  del  4 luglio 2007 il
consigliere Umberto Realfonzo; e uditi gli avvocati di cui al verbale
d'udienza.
   Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue.
                              F a t t o
   Il  ricorrente  ricorda  che  a  seguito di designazione, ai sensi
dell'art. 3-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (nel
testo  di  cui  al decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229), del 4
aprile 2006 del Ministero della salute, era stato nominato in data 31
maggio  2006  quale  componente  del  Collegio sindacale dell'azienda
ospedaliera  «Ospedale  di  Circolo  di Busto Arsizio». La nomina era
stata  comunicata  dall'azienda il 1° giugno 2006 sia all'interessato
che  al Ministero, precisando al contempo che era stata anche fissata
la data di insediamento per il giorno 14 giugno 2006.
   Il  giorno 5 giugno 2006 era pervenuta all'Azienda una nota del 29
maggio 2006 del Ministro della salute con la quale si comunicava che,
la  precedente  designazione del membro in seno al Collegio sindacale
effettuata  il  4  aprile  2006,  era  revocata con effetto immediato
«qualora  l'organo  collegiale  in  questione  non  sia  stato ancora
costituito  o  integrato  con  il  nominativo  del  designato»  e  si
precisava che, in caso di gia' avvenuta costituzione del Collegio, si
sarebbe   dovuta   trasmettere   via  fax  la  relativa  delibera  di
costituzione entro e non oltre il giorno 12 giugno 2006.
   Il successivo 14 giugno 2006 il Collegio sindacale si insediava ed
il  ricorrente dott. Donato Di Maio veniva nominato Presidente. Nella
stessa     seduta     era     effettuata     anche     la    verifica
amministrativo/contabile del bilancio 2005.
   Il  27  giugno  2006,  il  Ministero designava in seno al Collegio
sindacale  il dott. Giovanni Golemme quale sostituto del dott. Donato
Di  Maio,  e  il  3  luglio  2006,  in  risposta a tale designazione,
all'azienda,  che  in un primo tempo aveva affermato che alla luce di
quanto sopra, spiace dover comunicare di non poter aderire alla nuova
designazione,   in   quanto  il  Collegio  sindacale  gia'  e'  stato
costituito ed insediato nonche' convocato per i giorni 13 e 14 luglio
pv.  per  adempimenti urgenti quali l'esame del CET del III trimestre
2006 e la relazione al bilancio di previsione del 2006», il Ministero
aveva  replicato  che  «atteso  che  la  delibera di costituzione del
predetto organo risulta adottata il 31 maggio 2006, data successiva a
quella  del  provvedimento  ministeriale (GAB 5280-P/]8dn./1-2 del 29
maggio  2006)  di  ritiro  della  precedente  designazione»  e  aveva
altresi' richiesto di conoscere «la data di insediamento del Collegio
nella nuova composizione».
   In  esito  a  tale  vicenda  e' stato emanato il provvedimento del
direttore generale n. 424 del 24 luglio 2006 di «sostituzione in seno
al  Collegio  del  dott.  Donato Di Maio (gia' nominato Presidente di
tale organo) con il controinteressato.
   Il  ricorrente  chiede  l'annullamento  degli atti impugnati per i
seguenti capi di doglianza.
   1. - Con il primo motivo si lamenta la violazione dell'art. 3-ter,
d.lgs.  30 dicembre 1992, n. 502 (aggiunto dal d.lgs. 19 giugno 1999,
n. 229)  in base al quale i componenti del Collegio sindacale in seno
alle  aziende  sanitarie  sono successivamente nominati dalle aziende
sanitarie  su designazione dei Ministeri della salute e dell'economia
e da altri enti pubblici. Per il ricorrente il designato diventerebbe
«sindaco»  a  tutti  gli  effetti  con  la  nomina  che costituirebbe
definitivamente  il Collegio sindacale. Cio' sarebbe confermato anche
dalla  disciplina societaria codicistica (applicabile, in difetto per
cui  l'atto  che  costituisce  o  integra  il  collegio  sindacale e'
soggetto,  all'iscrizione  nel  registro  delle imprese (artt. 2400 e
2401  c.c.).  Il Collegio sindacale inoltre sarebbe costituito con la
sola  nomina  dei  suoi  componenti, per cui sarebbe illegittimo ogni
atto di rimozione.
   In  conseguenza,  il Ministro della salute avrebbe potuto disporre
della revoca della designazione dell'attuale ricorrente solo nel caso
in  cui  il  Collegio  sindacale non fosse gia' stato definitivamente
costituito.  Il  potere  del  Ministro  si  sarebbe  esaurito  con la
designazione, per cui non poteva far cessare l'incarico.
   Nel  suo caso, la revoca del 29 maggio 2006 non sarebbe piu' stato
possibile  alla  data  della  delibera  di  costituzione del Collegio
sindacale,  che  era  stata  adottata il 31 maggio 2006, in quanto il
Collegio  sindacale  sarebbe  gia'  costituito  con tutte le nomine e
quindi  l'atto  da  revocare  avrebbe  esaurito  completamente la sua
operativita'.
   La  sostituzione  del  ricorrente verrebbe a configurarsi come una
atipica  causa  di decadenza dall'incarico non prevista ne' dall'art.
2400  c.c. che presuppone la «giusta causa» e ne' dall'art. 2401 c.c.
che  prevede solo i casi di morte o decadenza per il venir meno delle
condizioni  previste  dagli  articoli 2382 e 2399 c.c. (come peraltro
affermato  dal  Tribunale  amministrativo  regionaleLazio,  III  sez.
n. 4844/2006).
   2.  -  Con  il  secondo  motivo  si  lamenta  che, a fronte di una
designazione  fatta  dal  Ministero  sulla  base  tutta fiduciaria ed
intuitu  personae  e della ritenuta idoneita' ad espletare l'incarico
sindacale,   non   poteva   configurarsi,   anche  in  considerazione
dell'aspettativa  di diritto qualificata, un incondizionato potere di
revoca ad libitum da parte del Ministero stesso senza nemmeno l'onere
di motivare le relative ragioni.
   Del  resto  la designazione de qua non e' collegata a una finzione
di «rappresentanza degli interessi» ed anzi, la natura delle funzioni
rimesse   al   Collegio  sindacale  in  termini  di  controllo  della
regolarita' della gestione amministrativo-contabile, postulerebbe una
posizione  di  terzieta',  propria del Collegio sindacale, che impone
che non possa configurarsi la posizione dei membri del Collegio quali
«rappresentanti» dell'organismo che li ha designati.
   Da  quanto  detto  deriva  l'illegittimita'  intrinseca degli atti
impugnati pur anche rispetto ad una revoca della designazione.
   3.  -  Infine,  il  ricorrente  chiede  il  risarcimento  in forma
specifica  avendo ancora interesse all'espletamento dall'incarico che
gia'  rivestiva  in  quanto  esso  comporta  l'esercizio  di funzioni
qualificanti.
   In  via  subordinata  chiede  infine il risarcimento del danno per
equivalente,  corrispondente  alla  mancata  percezione  dei relativi
emolumenti.
   Il Ministero della salute si e' costituito formalmente in giudizio
depositando  alcuni  atti  del  procedimento  ed  una  memoria per la
discussione con cui ha confutato unitariamente le tesi di controparte
ed ha concluso per il rigetto.
   Con   ordinanza   n. 5311/2006  e'  stata  respinta  l'istanza  di
sospensione  cautelare del provvedimento sul rilievo che su tratta di
«incarichi   pubblici   conseguiti   non   a   seguito  di  procedura
comparativa,  ma  per  effetto  di designazione del potere politico».
Tale  ordinanza  e'  stata  riformata  dal  Consiglio  di  Stato  con
ordinanza n. 6189 del 28 novembre 2006.
   Con  memoria  per l'udienza pubblica di discussione, la difesa del
ricorrente, a sostegno delle proprie argomentazioni, ha ricordato due
decisioni  favorevoli  rispettivamente  del  Tribunale amministrativo
regionaleBrescia, sentenza n. 49/2004; e del Tribunale amministrativo
regionaleLombardia Milano, III sezione ord. n. 179/2006.
   All'udienza  del  4 luglio 2007 uditi i patrocinatori delle parti,
la causa e' stata trattenuta per la decisione.
                            D i r i t t o
   1.   -   Deve   in   via   pregiudiziale  rilevarsi,  quanto  alla
giurisdizione di questo Tribunale amministrativo regionalea conoscere
della  presente  controversia  che,  nel  caso  di  specie  la  parte
ricorrente  ha  impugnato  i  provvedimenti  di  nomina  del Collegio
sindacale ed altresi' gli atti di «designazione» dei nuovi componenti
ai  sensi dell'art. 3, comma 13 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e
s.m.i.  nella  parte  in  cui  costituiscono  una  determinazione  di
«revoca» implicita dell'incarico di componente.
   1.1.  - Al riguardo, si osserva che gli incarichi in questione non
attengono  al  pubblico  impiego  e  quindi  non  hanno  la natura di
determinazioni  assunte  dall'amministrazione  con  la  capacita' e i
poteri  del  privato datore di lavoro di cui all'art. 5, comma 2, del
d.lgs. 20 marzo 2001, n. 165.
   La  lettera  del  10  comma  dell'art.  3  d.lgs.  n. 502 del 1992
evidenzia  come tra le condizioni necessarie per la designazione e la
conseguente nomina dei componenti del collegio dei revisori dei conti
non  risulti  in  alcun modo indicata la necessita' di un rapporto di
impiego  attivo  con l'amministrazione ne' di un qualsiasi vincolo di
appartenenza  con  la  struttura  deputata  al  controllo della spesa
pubblica  (cfr.  Tribunale  amministrativo  regionaleLazio Roma, sez.
III, 18 aprile 2007, n. 3380).
   Ne'  vale  a  mutare  tale  orientamento  (ma anzi lo rafforza) il
rilievo  per  cui  l'art.  3,  legge  n. 145/2002  ha  assimilato gli
incarichi   presso  i  collegi  dei  revisori  di  enti  pubblici  in
rappresentanza   dell'amministrazione   ministeriale,   a  «posti  di
funzione» presso il Ministero vigilante competente alla designazione,
in  quanto l'art. 8 della legge n. 3/2003, ha previsto che la stipula
del  contratto  individuale  di  lavoro  avvenga  con il Ministero di
appartenenza  e  non gia' presso l'ente vigilato: il che conferma che
con l'A.S.L. non viene a configurarsi alcun rapporto di impiego.
   Pertanto,   deve   escludersi  che  la  controversia  possa  farsi
rientrare   nella   giurisdizione  del  giudice  ordinario  ai  sensi
dell'art.  63  del citato d.lgs. n. 165/2001 (gia' art. 68 del d.lgs.
1,  del  d.lgs.  n. 29  del  1993,  prima sostituito dall'art. 29 del
d.lgs.  n. 80  del  1998 ed ancora modificato dall'art. 18 del d.lgs.
n. 387 del 1998).
   1.2. - Sempre sotto il profilo della giurisdizione, si osserva che
la  presente  fattispecie  non  puo'  essere ricondotta a rapporti di
diritto comune. E cio' in considerazione del fatto che, la disciplina
delle A.s.l. al di la' delle (oggi ricorrenti) denominazioni pseudo o
para aziendalistiche, resta pur sempre collocata nell'area degli enti
pubblici  dipendenti  dalle  regioni,  le  quali esercitano poteri di
controllo,  di  vigilanza e d'indirizzo delle attivita' degli organi;
nominano  il  loro  organo  di  vertice  e,  sopratutto assicurano il
finanziamento dei loro bilanci.
   Il   Collegio   sindacale  delle  A.S.L.  infatti  costituisce  un
peculiare   paradigma  procedurale  di  tipo  pubblicistico  come  e'
dimostrato dal fatto che:
     il procedimento di nomina non avviene con le ordinarie modalita'
di cui all'art. 2397 c.c.;
     l'art.  3-ter  del  ricordato  d.lgs.  30  dicembre 1992, n. 502
(introdotto  con  l'art.  3, d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229), al primo
comma  specifica  le  funzioni  proprie  del Collegio peculiari delle
A.S.L.,   analogamente   ma   non   identicamente   alla   disciplina
privatistica;
     al quarto comma il medesimo art. 3-ter si riattribuisce al nuovo
collegio  sindacale  delle  aziende  sanitarie locali e delle aziende
ospedaliere  tutti  i precedenti riferimenti al collegio dei revisori
contenuti    nella   normativa   vigente,   a   dimostrazione   della
particolarita' delle funzioni dell'organo.
   Il  che  porta  a  dover  del  tutto negare che gli atti impugnati
costituiscano  mere espressioni dell'autonomia privata dell'A.S.L. di
affidamento di incarichi professionali.
   1.3.  -  Deve  ancora  escludersi  che  i  provvedimenti in parola
possano   essere  configurati  come  atti  politici,  come  tali  non
impugnabili  (o  come  dicono gli anglosassoni «not giusticeable») in
quanto   non   sono   certamente   la  traduzione,  sul  piano  delle
istituzioni, delle supreme volonta' politiche.
   Nella  medesima  scia,  essendo escluso che ai membri del Collegio
sindacale  possano  essere  affidati obiettivi strategici, deve anche
escludersi   che   ci   si   trovi   di   fronte  ad  atti  di  «alta
amministrazione»   (quali   i  provvedimenti  di  nomina  degli  alti
funzionari militari, diplomatici, prefettizi, di polizia, ecc.) per i
quali vi e' un onere di motivazione c.d. «attenuato».
   Se   nella   dottrina  amministrativa  tradizionale  gli  atti  di
designazione  erano  inquadrati  talvolta tra gli atti di propulsione
procedimentale,  altre  volte erano avvicinati agli atti di giudizio,
ed altre ancora erano ricondotti in ragione della natura vincolante o
facoltativa  delle  stesse,  alla  categoria  dei  pareri,  deve pure
escludersi   che   ci   si  trovi  di  fronte  ad  un  semplice  atto
endoprocedimentale   non   impugnabile,  in  quanto  la  designazione
costituisce  un sub-procedimento che, avendo un effetto diretto nella
sfera soggettiva del designato, assume una sua autonoma rilevanza.
   La   disciplina   specifica  del  procedimento  (che  parte  dalla
designazione  e  si  conclude  con  il  provvedimento  di  nomina del
direttore  generale) porta anche a dover escludere che la fattispecie
possa  essere ricondotta alla categoria degli incarichi professionali
di  servizi,  per  le  quali  dovrebbero valere le regole generali in
materia di appalti di servizi di cui all'art. 124 (se sotto soglia) o
di  cui  all'art.  54 e segg. (se sopra soglia), del d.lgs. 12 aprile
2006,  n. 163.  Inoltre qui non vi e' alcun convenzione professionale
di  incarico  ne'  tra  designante  e designato e ne' tra nominato ed
A.S.L.
   1.5.  -  Tuttavia  essi  hanno  una natura del tutto peculiare, in
quanto  se pure restano connotati da una notevole ampiezza del potere
decisionale,  ma  pero'  non  devono  e  non possono essere del tutto
svincolati  dalla sfera della discrezionalita' afferente al legittimo
esercizio dei pubblici poteri.
   Pertanto non pare esservi alcun dubbio che la presente fattispecie
attenga  propriamente  alla giurisdizione di questo giudice in quanto
afferisce  all'alveo  proprio  dell'esercizio  di  pubblici  poteri a
fronte  dei  quali  non  si  ravvisano  che  posizioni  di  interesse
legittimo.
   2. - Il Collegio, essendo pregiudiziale all'esame delle censure ed
alla  decisione  del  ricorso,  ritiene  di dover sollevare d'ufficio
perche'  rilevante  e  non  manifestamente infondata, la questione di
costituzionalita'  del  secondo  comma  dell'art. 3-ter del ricordato
d.lgs. 30 dicembre l992, n. 502 per contrasto con l'art. 97 Cost.
   La predetta norma in particolare prevede che:
     «Il collegio sindacale dura in carica tre anni ed e' composto da
cinque  membri, di cui due designati dalla regione, uno designato dal
Ministro  del  tesoro, del bilancio e della programmazione economica,
uno  dal  Ministro  della sanita' e uno dalla Conferenza dei sindaci;
per  le  aziende  ospedaliere  quest'ultimo  componente  e' designato
dall'organismo   di  rappresentanza  dei  comuni.  I  componenti  del
collegio  sindacale  sono  scelti  tra  gli iscritti nel registro dei
revisori  contabili  istituito  presso  il Ministero della giustizia,
ovvero  tra  i  funzionari  del  Ministero del tesoro, del bilancio e
della  programmazione economica che abbiano esercitato per almeno tre
anni  le  funzioni  di revisori dei conti o di componenti dei collegi
sindacali.
   2.1.  -  La  rilevanza  della  questione  deve  essere ancorata al
rilievo  per  cui  la  norma, non solo disciplina in misura del tutto
sommaria  la  modalita'  di designazione e di nomina del Collegio, ma
non  specifica alcunche' relativamente alle guarentigie di status dei
suoi componenti.
   Nel   caso   in   esame,   in   base   ai  principi  generali,  le
amministrazioni  procedenti  hanno evidentemente mostrato di ritenere
che  il  potere di revoca e di nuova designazione di nuovi componenti
inerisse strettamente al potere di designazione.
   Il  Collegio,  a tale proposito, non puo' pero' ignorare che, come
e'  avvenuto  nel  caso  di specie, tali designazioni avvengono al di
fuori di una qualsiasi procedura di trasparenza e, di fatto subiscono
i  gravissimi condizionamenti derivanti dalle logiche di appartenenza
partitica  e  clientelare  (come  dimostra la pletora di designazioni
fatte  in  articulo  mortis  dai governi uscenti, nel bel mezzo delle
campagne elettorali).
   Ne'   si   puo'   tacere  il  fatto  che,  in  un'epoca  di  forti
contrapposizioni  tra  schieramenti, l'espletamento di tali incarichi
e'  talvolta  addirittura utilizzato per porre in essere attivita' di
carattere  ostruzionistico  ed  emulativo  in  danno  delle  gestioni
dell'azienda  percepite  come facenti capo all'avversario politico. E
questo in totale spregio al fatto che i compiti dei collegi sindacali
hanno natura assolutamente tecnica.
   La   normativa   considerata,   per   le   sue  lacune,  non  puo'
oggettivamente  assicurare  il rispetto dei valori di indipendenza ed
imparzialita' effettiva di tali organi.
   Il  rapporto  che  lega  l'amministrazione designante, il soggetto
designato,  e  l'A.s.l. presso cui esercita le funzioni di componente
del   Collegio   sindacale,   non   concerne   infatti   un  caso  di
«rappresentanza  politica»  in  senso stretto, nei quali la scelta e'
effettuata  intuitus  personae, sulla base di valutazioni di coerenza
con  l'indirizzo di politica statale o regionale, perche' i designati
non  fanno  parte  ne'  di  organi  rappresentativi  o  elettivi  del
designante;  e  neppure  hanno  il  compito  di  veicolare  indirizzi
politici in enti di secondo grado a carattere rappresentativo.
   Neppure  siamo  in presenza di un caso di «delegazione di funzioni
amministrative»   in   quanto   qui   l'incarico   non   concerne  il
trasferimento   di  attivita'  proprie  dell'ente  delegante  (ma  al
contrario  si  espleta soprattutto nell'interesse immediato e diretto
dell'azienda controllata).
   Il fenomeno appare quindi riconducibile a quella vasta area (e non
del   tutto   delineabile   in   termini   sistematici)   della  c.d.
«rappresentanza  istituzionale»  con  cui  si  cerca  di assicurare -
attraverso  la  partecipazione  diretta  di proprio rappresentante, o
funzionario,  o  di  soggetti  professionali  all'uopo designati - la
coerenza  complessiva del sistema amministrativo ed il rispetto delle
norme, dei vincoli di spesa e delle politiche generali di settore.
   Come  sottolineato  anche in fase cautelare in relazione a ricorsi
consimili,  il  Collegio  ritiene  che,  in  un  sistema nel quale la
designazione   e'  avvenuta  non  in  base  a  trasparenti  procedure
comparative  ma  sulla  base di una totalmente immotivata cooptazione
dell'organo politico dei prescelti, non possa non essere riconosciuto
al  nuovo  vertice  politico  un  corrispondente  potere  di revocare
arbitrariamente   le   nomine,   altrettanto   arbitrarie,   del  suo
predecessore.
   In  assenza  di  un contrario precetto normativo al riguardo, deve
cioe'  ammettersi  che, nel caso di mutamento dei vertici politici o,
comunque,  di  venir  meno  del  rapporto fiduciario, la revoca della
«rappresentanza  istituzionale»  del  soggetto designante debba esser
ritenuta  -  in  via di principio - comunque sempre discrezionalmente
ammissibile,  previo  l'indennizzo di cui all'art. 21-quinquies della
legge  7  agosto  1990, n. 241 (inserito dall'art. 14, comma 1, della
legge  11  febbraio  2005,  n. 15) al di fuori dei casi di dimissioni
decadenza o decesso. Ed in questo sta la rilevanza della questione.
   2.2.  - Quanto alla sua non manifesta infondatezza si osserva come
le  carenze  della  disciplina  del  collegio  sindacale delle A.s.l.
appare  in  ineluttabile  contrasto con i principi di cui all'art. 97
della  Costituzione  alla  luce  dei  principi  generali  di cui alle
sentenze  23  marzo  2007,  n. 104 ed anche 103 perche', nel silenzio
della  norma  non  puo' non riconoscersi che qui ricorra un potere di
carattere   assolutamente   discrezionale   sia   relativamente  alle
modalita'  di individuazione dei destinatari delle nuove designazioni
e sia all'an dell'eventuale «revoca».
   La  norma,  nella  parte in cui non si preoccupa di specificare le
garanzie   delle  modalita'  di  designazione  dei  componenti  e  le
guarentigie  per  il relativo esercizio, confligge naturalmente con i
principi di uno stato di diritto.
   In  tale  prospettiva, gli insegnamenti della Corte costituzionale
concernenti  il  confine  tra  politica  e  amministrazione  appaiono
perfettamente  calzanti  (e  forse  addirittura  piu'  calzanti) alla
fattispecie in esame.
   Infatti   anche  la  «maggioranza  e'  vincolata  ad  agire  senza
distinzione  di  parti  politiche  al  fine  del  perseguimento delle
finalita'  politiche  obiettivate  dall'ordinamento»  (cfr. punto 2.8
sentenza n. 104 e le altre pronunce in quella cola' citate).
   A  cagione  di  un  manifesto  e sostanziale deficit normativo, la
disciplina   in  esame  appare  in  contrasto  con  il  principio  di
imparzialita'  in  quanto  la  designazione  degli interessati non e'
assistita  da  nessuna  forma  di procedimento volta ad assicurare la
trasparenza delle scelte.
   In   tale   direzione   la   proiezione   dei  ricordati  principi
costituzionali   impone,   sotto   il   profilo   della  garanzia  di
imparzialita',    che    la    scelta   degli   interessati   avvenga
rispettivamente:
     al  di  fuori  di  ogni  logica politico-sindacale, in quanto il
designato  e' chiamato ad esercitare importanti funzioni pubbliche di
controllo  e rappresenta l'istituzione pubblica (e non il partito che
esprime il vertice politico che fa luogo alla decisione);
     in  base  a procedure che assicurino un'adeguata pubblicita' del
procedimento e che consenta potenzialmente a tutti gli interessati di
conseguire l'incarico;
     con  decisioni  che  siano  comunque  concretamente agganciate a
valutazioni,   sia   pure   ampiamente   discrezionali,  di  elementi
esponenziali della maggiore professionalita' dei prescelti.
   In   conseguenza,  a  chi  e'  stato  scelto  sulla  base  di  una
trasparente  procedura comparativa deve essere quindi anche garantita
espressamente  la  stabilita'  dell'incarico  per  tutto  il  periodo
previsto,  non ricorrendo alcuna necessita' di assicurare la coesione
politica tra organi designanti e collegi sindacali.
   3.  -  Invece nel caso di specie, a cagione di un cono d'ombra, la
norma  affida  ai  comportamenti  volontari  dei  singoli  organi, il
rispetto  dei  principi  di  imparzialita'  e  di  buon andamento. In
definitiva   dunque   la  disposizione  in  esame  appare  del  tutto
deficitaria nella parte in cui:
     a)  e'  carente  di  ogni indicazione circa la necessita' di una
procedura  di  selezione  «tecnica  e  neutrale  dei piu' capaci» che
consenta   cioe'   la   designazione   «indipendentemente   da   ogni
considerazione  per  gli  orientamenti politici dei vari concorrenti»
(punto  2.8  del  diritto  della  sentenza n. 104). Ne' e' per contro
rilevante  il fatto che qui i designati siano scelti tra gli iscritti
nel  registro  dei  revisori  contabili  presso  il  Ministero  della
giustizia,  ovvero  siano  individuati  nel  ruolo dei funzionari del
Ministero  dell'economia  con almeno tre anni di funzioni di revisore
dei  conti  o  di  componente  dei  collegi sindacali. Il possesso di
determinate professionalita' di base appare condizione necessaria per
un  normale esercizio della funzione ma non e' sufficiente al fine di
garantire   la  trasparenza  della  designazione,  in  difetto  della
previsione  di  un  regime  di  adeguata  pubblicita'  delle relative
procedure  di  designazione e di specifici e significativi criteri di
preferenza;
     b)  non  reca  alcuna specifica disposizione ad hoc che inibisca
una   revoca   ad   libitum,   in  base  alle  regole  generali,  per
«sopravvenuti  motivi  di  pubblico  interesse  ovvero  nel  caso  di
mutamento   della   situazione   di  fatto  o  di  nuova  valutazione
dell'interesse pubblico originario» (per usare le parole della regola
generale   del   citato  art.  21-octies).  Una,  sia  pure  latente,
possibilita'  di  revoca  pero'  appare  contrastare  con  il dettato
costituzionale  nella  parte  in  cui non garantisce il «principio di
continuita' dell'azione amministrativa» di controllo (di cui al punto
9.2  del considerato in diritto della sentenza n. 103 citata) che, in
relazione  alle  elementari  esigenze  di  conoscenza  della  realta'
dell'ente  e  delle  problematiche  specifiche del territorio, appare
direttamente invocabile anche a proposito dei componenti del collegio
sindacale.
   La necessita' di assicurare una piu' attuale linea di demarcazione
e  separazione  tra  politica  ed  amministrazione appare sicuramente
sussistente  anche  relativamente  a  coloro  che  sono  designati in
funzioni di carattere amministrativo quale e' quella di controllo, in
rappresentanza istituzionale di altri enti ed organi.
   Le   procedure   selettive   per   il  conferimento  e  la  revoca
dell'incarico  di  componente  del  collegio  sindacale  di un A.S.L.
devono  conformasi  ai  principi  di  buon andamento ed imparzialita'
della  p.a. di cui all'art. 97 Cost. in quanto i richiamati incarichi
non  configurano  alcun  rapporto  fondato sull'intuitus personae tra
l'organo  politico  che  conferisce un incarico ed il soggetto che lo
riceve.
   In   base  alle  considerazioni  che  precedono,  appaiono  dunque
sussistere   sufficienti   motivi   per  sollevare  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  del secondo e del terzo comma dell'art.
3-ter del ricordato d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 per contrasto con
l'art. 97 della Costituzione.
   Si  dispone,  pertanto,  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte
costituzionale,  con conseguente sospensione del presente giudizio ai
sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia
sulla legittimita' costituzionale della predetta norma.