ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
dei commi 2, lettera b), e 14 dell'art. 13 del decreto legislativo 25
luglio  1998,  n. 286  (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero),  promosso  con ordinanza del 22 marzo 2007 dal giudice di
pace  di  Udine  sul  ricorso proposto da C. V. contro il Prefetto di
Udine,  iscritta  al  n. 585 del registro ordinanze 2007 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 34, 1ª serie speciale,
dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio dell'11 giugno 2008 il Giudice
relatore Maria Rita Saulle.
   Ritenuto  che  il  Giudice  di pace di Udine, con ordinanza del 22
marzo 2007, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale del
combinato  disposto  dei  commi  2, lettera b), e 14 dell'art. 13 del
decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n. 286  (Testo  unico  delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla condizione dello straniero), in riferimento agli artt. 2, 3, 10
e  27  della  Costituzione,  «nella parte in cui prevede l'automatica
irrogazione  della  sanzione  del  divieto  di rientro nel territorio
nazionale   per   un   periodo   minimo  di  5  anni  anche  per  gli
extracomunitari  entrati legittimamente e non informati dei diritti e
doveri relativi all'ingresso e al soggiorno in Italia»;
     che,  in  punto  di  fatto,  il  rimettente  riferisce  che  una
cittadina  bielorussa  ha  proposto  ricorso  avverso  il  decreto di
espulsione  emesso  nei suoi confronti dal prefetto di Udine, in data
26 agosto 2006, ai sensi dell'art. 13, comma 2, lettera b), del d.lgs
n. 286 del 1998, per essere «entrata in Italia con un visto turistico
rilasciato  dall'Ambasciata  greca  in Bielorussia della durata di 10
giorni»,  ed  essersi  ivi  trattenuta «senza chiedere il permesso di
soggiorno entro il termine di 8 giorni»;
     che,  in  particolare,  nell'ordinanza  di rimessione si precisa
che,  con  il  primo  motivo  del ricorso, la ricorrente si duole del
fatto  che, nonostante l'espressa previsione di cui all'art. 4, comma
2, del d.lgs n. 286 del 1998, non sarebbe stata informata dei diritti
e  doveri  dello  straniero in ordine all'ingresso e al soggiorno nel
territorio  nazionale; mentre, con il secondo motivo, lamenta che «la
sanzione,  comminata  con  il  provvedimento  impugnato,  di non fare
ritorno in Italia per 5 anni» si rivelerebbe «non solo spropositata e
irrazionale   vista  la  legittimita'  dell'ingresso  nel  territorio
nazionale,   ma   soprattutto  ingiusta  se  rapportata  al  medesimo
trattamento riservato ai cittadini entrati clandestinamente»;
     che, sulla base di tali doglianze, riferisce sempre il giudice a
quo,  la  ricorrente  ha  insistito «per il parziale annullamento del
decreto   di  espulsione  limitatamente  alla  parte  sanzionatoria»,
eccependo,    contestualmente,    la    questione   di   legittimita'
costituzionale  «dell'art. 13, comma 14, del d.lgs n. 286 del 1998 in
riferimento  agli  artt.  2,  3,  10  e 16 Cost. e al principio della
ragionevolezza e proporzionalita' della sanzione»;
     che  il  giudice  rimettente, affermando che la causa oggetto di
giudizio postula «l'applicazione degli artt. 4 e 13, comma 2, lettera
b),  e  comma 14, del d.lgs n. 286 del 1998», ritiene fondati i dubbi
di  costituzionalita'  manifestati dalla difesa della ricorrente, sul
presupposto secondo il quale, in base a detta normativa, «il Prefetto
e'  tenuto [...] ad emettere il decreto di espulsione dello straniero
che  si  e' trattenuto nel territorio dello Stato Italiano senza aver
richiesto  il  permesso  di  soggiorno  entro il termine di 8 giorni,
salvo  che  il ritardo sia dipeso da "forza maggiore"», giacche' tale
esimente «deve connotarsi [...] come "vis cui resisti non potest"»;
     che,  in  particolare,  osserva il rimettente, nella fattispecie
concreta,  «la ricorrente non ha invocato la "forza maggiore"», quale
fattore  esteriore  ed  indipendente  dalla volonta' del soggetto, ma
l'ignorantia    legis   «determinata   da   comportamento   colpevole
dell'Amministrazione   e  costituente  l'antecedente  logico-fattuale
della stessa "forza maggiore"»;
     che, sempre ad avviso del rimettente, infatti, sarebbe «indubbio
che  il  comportamento  omissivo  della  P.A.  determina  in  capo al
cittadino   extracomunitario  il  difetto  dell'elemento  psicologico
idoneo,   non  gia'  ad  impedire  l'adozione  del  provvedimento  di
espulsione,   che,   com'e'   noto,   dipende   dal  fatto  oggettivo
dell'assenza  di  permesso  di  soggiorno,  ma ad integrare un valido
[recte:  una  valida]  esimente  all'irrogazione  della  sanzione del
divieto  di  rientro sul territorio nazionale per un periodo compreso
tra i 5 e i 10 anni»;
     che,   sotto   altro  profilo,  osserva  ancora  il  rimettente,
l'espulsione  dal  territorio  dello  Stato «per il solo fatto di non
aver  incolpevolmente  chiesto  il  permesso  di  soggiorno  entro il
termine  di  8  giorni»,  risulterebbe assoggettata alla sanzione del
«divieto di farvi ritorno per un periodo minimo di 5 anni al pari del
cittadino   extracomunitario   entrato   clandestinamente»,   con  la
conseguenza  che  «due comportamenti diversi» sono «assoggettati alla
stessa   sanzione»   in   «patente   violazione   del   principio  di
ragionevolezza e di uguaglianza»;
     che,   con  atto  depositato  in  data  25  settembre  2007,  e'
intervenuto  in  giudizio  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
     che  la  difesa erariale ritiene, in particolare, non conferente
il  parametro  costituzionale  di cui all'art. 27 della Costituzione,
posto  che  «la  comminatoria della sanzione del divieto di rientrare
nel  territorio  nazionale  al cittadino extracomunitario» che vi sia
entrato  legittimamente  e  che «incolpevolmente non abbia chiesto il
rilascio   del   permesso   di   soggiorno  nei  termini  di  legge»,
costituirebbe  «una misura di carattere amministrativo che non incide
sulla  liberta' personale del cittadino extracomunitario destinatario
di tale misura», ma solo sulla liberta' di circolazione;
     che, peraltro, osserva sempre la difesa erariale, «anche a voler
ammettere  il  carattere  sanzionatorio  del  divieto  di rientro nel
territorio  nazionale»,  il  mancato  rispetto  dell'obbligo  imposto
dall'art.  4,  comma  2,  del  d.lgs. n. 286 del 1998 non varrebbe ad
escludere  la  colpevolezza  della violazione, da parte del cittadino
straniero  entrato  legalmente nel territorio nazionale, dell'obbligo
di  chiedere  -  nei  termini  di legge - il rilascio del permesso di
soggiorno,  posto  che  graverebbe  comunque sul medesimo «l'onere di
informarsi  sulla  disciplina  del  soggiorno in Italia dei cittadini
extracomunitari».
   Considerato   che  il  Giudice  di  pace  di  Udine  dubita  della
legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto  dei  commi 2,
lettera b), e 14 dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286  (Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti la disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione  dello  straniero), in
riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27 della Costituzione, «nella parte
in cui prevede l'automatica irrogazione della sanzione del divieto di
rientro  nel  territorio  nazionale  per  un periodo minimo di 5 anni
anche  per gli extracomunitari entrati legittimamente e non informati
dei diritti e doveri relativi all'ingresso e al soggiorno in Italia»;
     che,  tuttavia, il denunciato automatismo dell'irrogazione della
sanzione  de  qua  non  discende  direttamente dal suddetto combinato
disposto oggetto di censura, bensi' dal comma 13 del medesimo art. 13
del d.lgs. n. 286 del 1998;
     che,  peraltro,  dal  tenore  dell'ordinanza  di  rimessione non
risulta  chiaro  se l'intervento di questa Corte dovrebbe coinvolgere
il citato automatismo in quanto tale o, in alternativa, l'entita' del
periodo  minimo  del  divieto  di  rientro  che il rimettente giudica
sproporzionato;
     che,  in  ogni  caso,  alla  assenza di chiarezza del petitum si
accompagna  il  difetto di una soluzione costituzionalmente obbligata
nell'ambito  di  quelle astrattamente possibili, che consentirebbe di
superare  tale  automatismo o la suddetta sproporzione: soluzione, la
cui scelta e' riservata alla discrezionalita' del legislatore;
     che,   per   tali   ragioni,   la  questione  e'  manifestamente
inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma  2, delle Nome integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.