ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di  proscioglimento),
promosso  con  ordinanza  dell'11 aprile 2006 dal Tribunale di Tempio
Pausania  nel  procedimento  penale  a  carico  di U. A., iscritta al
n. 599  del  registro  ordinanze  2006  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 1, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 25 giugno 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che,  con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
di Tempio Pausania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111
e  112  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  593  del  codice  di  procedura  penale,  come  sostituito
dall'art.  1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice
di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di
proscioglimento);
     che  il  rimettente  premette  di  essere investito dell'appello
proposto  dal  pubblico  ministero  avverso  la  sentenza  emessa dal
Giudice  di  pace  di  Tempio Pausania, che aveva assolto una persona
imputata del reato di lesioni colpose;
     che,  entrata  in  vigore nelle more del giudizio la legge n. 46
del  2006  - il cui art. 1, novellando l'art. 593 cod. proc. pen., ha
introdotto limitazioni alla facolta' dell'organo d'accusa di proporre
appello  avverso  le sentenze di proscioglimento - l'appello dovrebbe
essere dichiarato inammissibile, in forza dell'art. 10 della medesima
legge;
     che,   su   eccezione   del  Procuratore  della  Repubblica,  il
rimettente   ritiene   tuttavia   di  dover  sollevare  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  593  cod.  proc.  pen., come
sostituito  dalla  citata  legge  n. 46  del  2006,  in riferimento a
diversi parametri costituzionali;
     che  la  norma  censurata - consentendo al pubblico ministero di
appellare   le  sentenze  di  proscioglimento  solo  nell'ipotesi  di
sopravvenienza o scoperta di nuove prove decisive dopo il giudizio di
primo   grado   -   contrasterebbe,   anzitutto,   con  il  principio
dell'obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112 Cost.), «funzionale
all'attuazione  del  principio  di legalita' di cui all'art. 25 della
Costituzione,    il   quale   postula   che   alla   commissione   ed
all'accertamento  di  un  reato  faccia  seguito l'irrogazione di una
pena»;
     che  la  incisiva  limitazione  del potere di impugnazione della
pubblica  accusa  si porrebbe in contrasto anche con l'art. 24 Cost.,
sotto il profilo della violazione del diritto delle vittime del reato
ad ottenere giustizia, «a prescindere dalla tutela a queste accordata
in sede civile»;
     che  sarebbe  violato,  altresi',  il principio di parita' delle
parti nel processo, sancito dall'art. 111 Cost.: principio riferibile
a  tutte  le fasi processuali, ivi compresa dunque quella di appello,
quale   «garanzia   della   maggiore   approssimazione  possibile  al
raggiungimento   della   verita',   scopo   cui   il   processo  deve
necessariamente tendere»;
     che   risulterebbe   compromesso,   infine,   il   principio  di
ragionevolezza,  di  cui  all'art.  3  Cost.:  e  cio' sia perche' la
disparita' introdotta tra i poteri dell'accusa e quelli dell'imputato
non  risulterebbe  giustificata  dalla  necessita' di tutelare «altri
prevalenti valori costituzionali»; sia perche' il nuovo art. 593 cod.
proc.  pen.,  nell'impedire  all'organo  dell'accusa  di appellare le
sentenze di assoluzione, gli consente tuttavia di appellare quelle di
condanna:  col  risultato  di apprestare «una tutela preminente ad un
interesse di rango inferiore».
   Considerato  che  il  Tribunale  di  Tempio  Pausania  dubita,  in
riferimento  agli  artt.  3,  24, 111 e 112 della Costituzione, della
legittimita'  costituzionale  dell'art.  593  del codice di procedura
penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20 febbraio 2006,
n. 46  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale,  in  materia di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), nella parte in
cui  pone  rilevanti  limitazioni  al  potere di appello del pubblico
ministero avverso le sentenze di proscioglimento;
     che   lo   stesso  rimettente  riferisce,  peraltro,  di  essere
investito,  quale  giudice  d'appello, dell'impugnazione proposta dal
pubblico ministero avverso una sentenza di proscioglimento emessa dal
Giudice di pace di Tempio Pausania;
     che  l'art.  593 cod. proc. pen., oggetto di censura, disciplina
l'appello  del pubblico ministero e dell'imputato avverso le sentenze
emesse,   all'esito  del  dibattimento,  nel  procedimento  ordinario
davanti al tribunale e alla corte d'assise;
     che  l'impugnazione  del  pubblico  ministero contro le sentenze
emesse dal giudice di pace e' regolata, per contro, in modo autonomo,
dall'art.   36   del  decreto  legislativo  28  agosto  2000,  n. 274
(Disposizioni  sulla  competenza  penale del giudice di pace, a norma
dell'articolo  14 della legge 24 novembre 1999, n. 468): disposizione
che  -  a  seguito della modifica operata dall'art. 9, comma 2, della
legge  n. 46  del 2006 - prevede che la parte pubblica possa proporre
appello  solo  contro  le sentenze di condanna che applicano una pena
diversa da quella pecuniaria;
     che  il  rimettente censura, dunque, una norma diversa da quella
di  cui  e'  chiamato  a fare applicazione nel giudizio a quo: il che
comporta,  per  costante giurisprudenza di questa Corte, la manifesta
inammissibilita'  della  questione  (ex  plurimis,  ordinanze  n. 42,
n. 187 e n. 461 del 2007).
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.