IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza di sospensione della causa Rg. n. 5421/06 e conseguente immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ex art. 295 c.p.c. Con ricorso depositato in data 11 luglio 2006, la sig.ra R. M., in proprio e quale esercente la patria potesta' sul figlio minore J. P. Q., ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 85 del d.P.R. n. 1124/1965 in relazione agli artt. 2, 3, 30 e 38 della Costituzione in merito alla richiesta della rendita Inail a lei dovuta in relazione al 50% della retribuzione percepita dal convivente in conseguenza del decesso dello stesso, avvenuto a seguito d'infortunio sul lavoro, in data 15 dicembre 2004, ovvero la somma di € l7.216,46. In subordine, la ricorrente ha chiesto che fosse riconosciuto il diritto del minore ad una rendita Inail pari al 40% della retribuzione annua del padre e pertanto, previa eventuale sospensione del procedimento per rimessione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 85 d.P.R. n. 1124/1965 in relazione agli artt. 2, 3, 10, 30 e 31 Cost., ha chiesto la condanna dell'Inail al pagamento di € 6.886, 62. Si e' costituita quindi in giudizio l'Inail, chiedendo il rigetto della domanda avversaria. La causa, in ragione delle dimissioni dagli incarichi giudiziari da parte del giudice assegnatario, e' stata riassegnata allo scrivente giudice che, all'udienza del 28 marzo u.s., ha disposto il deposito di note autorizzate. Quindi, con note depositate in data 25 marzo 2008, la ricorrente, svolte ulteriori considerazioni, ha segnalato il contrasto dell'art. 85, d.P.R. n. 1124/1965 anche in relazione agli artt. 11 e 117 della Costituzione, insistendo sulle domande subordinate gia' proposte e di conseguenza ha chiesto al giudice la sospensione del giudizio per l'invio degli atti a codesta ill.ma Corte. Nel predetto atto, inoltre, la ricorrente ha rilevato un contrasto del medesimo art. 85 con l'art. 12 del Trattato C.E. e dunque, previa richiesta di sospensione del giudizio per rimessione agli atti anche alla Corte di Giustizia della Corte Europea, ha insistito nell'accoglimento delle medesime conclusioni. Cio' posto, il sottoscritto giudicante, ritenuta la necessita' di risolvere la questione nonche' la non manifesta infondatezza della stessa, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., sospende il processo e rimette gli atti alla Corte costituzionale affinche' giudichi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 85, d.P.R. n. 1124/1965 in relazione agli artt. 2, 3, 10, 11, 30, 31, 38 e 117 Costituzione. M o t i v i 1. - Quanto alla domanda svolta dalla sig.ra M. in proprio: a) Art. 2 Costituzione. L'art. 85 del d.P.R. n. 1124/1965, prevedendo che in caso di decesso del lavoratore, sia disposta una rendita per il coniuge nella misura del 50% e del 20% per ciascun figlio ovvero il 40% per gli orfani di entrambi i genitori, non risulta innanzitutto in linea con l'art. 2 della Costituzione in quanto, non garantendo al convivente more uxorio la rendita del 50% prevista invece per il coniuge, non garantisce adeguata tutela alla famiglia di fatto che, al pari di quella fondata sul matrimonio, rende possibile lo svolgimento della personalita' dell'individuo. b) Art. 3 Costituzione. L'art. 85, d.P.R. n. 1124/1965 violerebbe anche l'art. 3 della Costituzione in particolare laddove prevede la pari dignita' di tutti i cittadini senza distinzione di condizioni personali e sociali ed afferma che e' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale d'impedimento al pieno sviluppo della persona umana. Il predetto articolo, infatti, nega il diritto alla rendita al convivente more uxorio anche quando la convivenza ha acquistato i caratteri di stabilita' e certezza propri del vincolo coniugale. c) Art. 31 Costituzione. E' violato anche l'art. 31 Costituzione il quale dispone: «la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze, la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi». Tale principio, detto del favor familiaris, obbliga la Stato ad impegnarsi per promuovere ed agevolare il nucleo familiare qualunque sia la sua forma. Allo stesso favor, si ispira anche la Convenzione sui diritti dell'infanzia siglata a New York in data 20 novembre 1989 che nel suo art. 27, impone agli Stati parti di adottare adeguati provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente con i loro mezzi, per aiutare i genitori ad attuare il diritto di ogni fanciullo «a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale e sociale». d) Art. 38 Costituzione. La Repubblica, in virtu' dell'art. 38 Costituzione, e' direttamente investita delle funzioni di assistenza e previdenza sociale che garantiscano al lavoratore e ai familiari a suo carico, un'adeguata protezione verso i rischi professionali e non. In virtu' di tale principio, l'art. 1 della legge 13 novembre 2000, n. 328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» si propone di promuovere interventi e servizi sociali, interventi per garantire la qualita' della vita, pari opportunita', non discriminazione e diritti di cittadinanza, di prevenire, eliminare e ridurre le condizioni di disabilita', bisogno e disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficolta' sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione. Cio' posto, risulta costituzionalmente illegittimo l'art. 85, d.P.R. n. 1124/1965 poiche' non consente al genitore non coniugato di provvedere al mantenimento dei propri figli e non previene o riduce in alcun modo le condizioni di bisogno e disagio individuale e familiare. 2. - Quanto al minore J. Q. Come detto, ai sensi dell'art. 85, d.P.R. n. 1124/1965, in conseguenza di morte per infortunio, spetta una rendita pari al «20% per ciascun figlio legittimo, naturale, riconosciuto e/o riconoscibile e adottivo fino al raggiungimento del diciottesimo anno d'eta' ed il 40% se si tratti di orfani di entrambi i genitori». La normativa, pero', non prende in considerazione - tenuto anche conto dell'epoca in cui e' stata adottata - l'ipotesi del decesso di un genitore in una situazione di consolidata famiglia di fatto, con la conseguenza che anche in questo caso viene erogato al figlio superstite solo il 20% della rendita. In questo modo pero' viene sottratta al figlio anche quella quota della rendita riservata al coniuge che - come detto - e' pero' naturalmente destinata a soddisfare le esigenze del nucleo familiare e non soltanto quelle di sostentamento del coniuge stesso. Tale dato e' riconosciuto anche dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia siglata a New York in data 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991 che, per garantire protezione e cure particolari al fanciullo, prevede la tutela anche della famiglia (non strettamente e giuridicamente intesa) come «unita' fondamentale della societa' e ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed, in particolar modo, dei fanciulli». In particolare, l'art. 27 della Convenzione, riconosce il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita sufficiente a consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale spettando ai genitori la responsabilita' fondamentale di assicurare le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo. Di contro, spetta agli Stati parte adottare «ogni adeguato provvedimento al fine di garantire il mantenimento del fanciullo da parte dei suoi genitori». E dunque, proprio per effetto di tale art. 27 della Convenzione, il diniego opposto dall'Inail a riconoscere una rendita inferiore spettante alla madre sol perche' non riconosciuta come «coniuge», incide, come ovvio, sulle garanzie offerte al minore. Nel caso de quo, infatti, la rendita spettante alla sig.ra M. sarebbe ridotta ad € 382,59 sol perche' quest'ultima non era coniugata con il lavoratore deceduto. Pare essere del tutto incostituzionale che un adeguato sviluppo della personalita' e della vita del minore Jacopo Quartirolo non possa essere equamente garantito perche' i genitori del minore stesso non erano uniti nel giuridico vincolo del matrimonio. Ed inoltre si rileva che la soluzione adottata dalla normativa vigente non e' condivisibile neppure laddove non riconosce la famiglia di fatto. Al convivente superstite infatti, non e' riconosciuta alcuna rendita, sebbene al minore dovrebbe essere riconosciuta quella quota di rendita aggiuntiva che, nell'ipotesi di famiglia giuridicamente riconosciuta, e' conglobata nella rendita complessivamente destinata al coniuge nella sua qualita' di superstite amministratore del menage familiare. Il detto principio e' stato anche accolto da codesta ill.ma Corte adita, allorche', con sentenza n. 360 del 18 dicembre 1985, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del predetto articolo nella parte in cui dispone che «nel caso di infortunio mortale dell'assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spetta il 40% della rendita, ma esclude che detta rendita spetti anche all'orfano dell'unico genitore che l'ha riconosciuto». Pertanto in riferimento al minore, questo giudicante intende sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 85 d.P.R. n. 1124/1965 in relazione agli artt. 2, 3, 10, 30 e 31 Costituzione. Ed infatti la norma violerebbe il combinato disposto dagli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione perche' prevede un'irragionevole disparita' di trattamento tra i figli nati fuori dal matrimonio e quelli naturali. Ogni minore ha infatti il diritto assoluto e inviolabile (art. 2) al pieno sviluppo della sua personalita' (art. 3) e ad una vera famiglia (art. 30) che gli garantisca tale sviluppo. L'art. 30 della Costituzione risulta quindi violato sia sotto il profilo del diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio (e' il cosiddetto principio di «responsabilita' genitoriale» secondo cui la condizione dei figli deve essere considerata unica a prescindere dalla qualificazione del loro status, ex pluribus Corte costituzionale sentenza 21 ottobre 2005, n. 394 e, conforme, Corte costituzionale sentenza 13 maggio 1998, n. 166), sia sotto il profilo dell'obbligo per il legislatore di assicurare a questi ultimi ogni tutela giuridica e sociale. L'art. 31 Costituzione, al suo secondo comma, dispone che «la Repubblica protegge la maternita', l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti necessari a tale scopo». Tale norma sancisce il principio del c.d. favor sia nei confronti della famiglia sia del minore ed individua a livello costituzionale i cardini di ampio programma d'intervento a sostegno della famiglia e di protezione d'infanzia e gioventu'. Insieme a detta norma anche l'art. 30 della Costituzione si impegna a considerare le singole disposizioni relative a gioventu' e infanzia non quali forme episodiche di tutela e di soggetti istituzionalmente deboli, ma come elementi costitutivi di una strategia d'intervento legislativo fortemente innovativa, dove favor minoris significa promozione dei diritti del minore individuato nella sua condizione di cittadino in formazione. La predetta tutela poi trova esplicito riferimento nell'art. 24 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000, il quale sancisce il diritto dei bambini al benessere e afferma il principio dell'interesse superiore del bambino in tutti gli atti compiuti da autorita' pubbliche o da istituzioni private. Pari tutela viene garantita dai citati artt. 26 e 27 della Convenzione sui diritti dell'Infanzia siglata a New York il 20 novembre 1989. Tutto cio' posto, il citato art. 85 d.P.R. n. 1124/1965 viola l'art. 31 della Costituzione poiche' non garantisce al minore J. idonea protezione economica, nonche' l'art. 10 della Costituzione in quanto non conforme alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Con note difensive depositate in data 25 marzo 2008, la ricorrente sollevava inoltre l'illegittimita' della norma in esame, con riferimento agli artt. 11 e 117 della Costituzione nonche' perche' in palese contrasto con l'art. 12 del Trattato istitutivo della Comunita' Europea. 3. - Sugli artt. 11 e 117 Costituzione. a) La posizione della sig.ra R. M. L'art. 117 della Costituzione prevede che la «potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». In realta' tale principio trova fondamento nell'art. 11 della Costituzione che, in seguito ad una costante interpretazione giurisprudenziale, ha legittimato, fino all'effettiva approvazione dell'art. 117 Costituzione, le limitazioni di sovranita' necessarie per dar vita a ordinamenti sopranazionali quale quello dell'Unione Europea. E' il principio del primato del diritto comunitario sul diritto interno e di efficacia diretta del diritto comunitario. Ebbene, l'art. 85 del d.P.R. n. 1126/1965 e' illegittimo perche' in evidente contrasto con gli artt. 11 e 117 della Costituzione. La norma, infatti, non rispetta i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (Trattato U.E., Carta dei Diritti fondamentali dell'U.E.) e dagli obblighi internazionale (Convenzione di diritti sull'Infanzia). Infatti, il Trattato prevede inoltre, all'art. 13 Trattato C.E. un meccanismo attivabile dal Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento Europeo, al fine di combattere le discriminazioni comunque verificatesi all'interno dell'Unione Europea. Ed inoltre, la Carta dei Diritti Fondamentali dell'U.E., in data 7 dicembre 2000 all'art. 21 vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla nascita e, al secondo comma, prevede che «nell'ambito d'applicazione del Trattato che istituisce la Comunita' Europea e del Trattato sull'Unione Europea, e' vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza». In relazione a cio', la Corte di Giustizia europea ritiene che il principio della parita' di trattamento e del divieto di discriminazione sia un principio generale del diritto comunitario (cfr., sul tema, Corte di Giustizia Europea, II sezione, C 307/05 del 13 settembre 2007; Sentenza della Corte, Grande Sezione, C - 300/04 del 12 settembre 2006, sentenza della Corte, I sezione, C - 258/04 del 15 settembre 2005) . In base a questo principio generale, situazioni simili non devono essere trattate in modo diverso. Ebbene, venendo al caso di specie, la ricorrente, in proprio e quale esercente la patria potesta' sul figlio minore, in conseguenza di quanto stabilito dall'art. 85, d.P.R. n. 1124/1965, subisce una discriminazione in ragione della sua nazionalita'. Ed infatti, come vedremo, se la ricorrente fosse stata convivente more uxorio di un cittadino non italiano o se il sig. Q. avesse subito l'incidente mortale in uno stato dell'Unione Europea diverso dall'Italia (in base al Regolamento CEE 1408/71, la legge applicabile e' infatti quella del Paese in cui viene svolta l'attivita' lavorativa, a prescindere dalla residenza), la ricorrente avrebbe avuto diritto a percepire l'indennita' prevista in caso di decesso sul lavoro. Ed ancora, in merito all'importanza e valenza della convivenza, si ritiene di dover segnalare la decisione della Corte di Giustizia relativa alla Causa C - 267/06 Maruko. Tale causa verteva su un caso di convivenza omosessuale, ma il principio dalla stessa sentenza disposto ben si attaglia al caso di convivenza more uxorio che ci occupa. La Corte di Giustizia, infatti, ha affermato che: «Se il combinato disposto degli artt. 1 e 2 n. 2, lett. a) della Direttiva 2000/78/Ce osti a disposizioni dello statuto di un regime previdenziale integrativo del tipo di cui alla presente fattispecie, ai sensi delle quali un convivente registrato non riceve, alla morte del suo compagno, alcuna prestazione di reversibilita' analoga a quella prevista per le persone coniugate, in una comunione fondata sull'assistenza e disponibilita' reciproche formalmente costituita per tutta la durata della vita». Ed infatti, ai termini dell'art. 2 della Direttiva citata, s'intende per «principio della parita' di trattamento», l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all'art. 1 della stessa direttiva; mentre ai sensi dell'art. 2, n. 2 lett. a) della citata norma comunitaria sussisterebbe una discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'art. 1 di tale direttiva, una persona e' trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in analoga situazione. Il n. 2, lett. b), sub i) dello stesso art. 2 dispone che sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri, possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di particolari handicap, le persone di una particolare eta' o di una particolare tendenza sessuale rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalita' legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. Cio' posto, la sentenza continua disponendo che: «Il Giudice a quo ritiene che, tenuto conto di tale ravvicinamento tra matrimonio e unione solidale che esso considera come un'equiparazione progressiva ... all'unione solidale, senza essere identica al matrimonio, ponga le persone dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei coniugi per quanto concerne la prestazione ai superstiti». Da quanto precede, il giudice comunitario precisa che: «Il combinato disposto degli artt. 1 e 2 delle Direttive 2000/78 osta ad una normativa come quella controversa nella causa principale in base alla quale, dopo il decesso del partner con il quale ha contratto un'unione solidale, il partner superstite non percepisce una prestazione ai superstiti equivalente a quella concessa ad un coniuge superstite, mentre, nel diritto nazionale, l'unione solidale porrebbe la persona dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei coniugi per quanto riguarda la detta prestazione ai superstiti. E' compito del giudice a quo verificare se, nell'ambito di un'unione solidale, il partner superstite sia in una posizione analoga a quella di un coniuge beneficiario della prestazione ai superstiti prevista dal regime previdenziale di categoria ...». E' pertanto evidente che la legislazione italiana, negando la maggior quota spettante alla ricorrente, in quanto non coniugata con il deceduto sig. E. Q., si pone in contrasto con i principi legislativi e giurisprudenziali comunitari. La ricorrente, in qualita' di convivente, non coniugata, (e cosi' naturalmente il figlio minore) subisce una discriminazione per il solo fatto di essere cittadina italiana e per aver convissuto (per oltre 14 anni) more uxorio con un cittadino italiano, senza contrarre matrimonio. La legge italiana, infatti, impone la condizione di coniuge al fine di ricevere il 50% della rendita assicurativa. L'art. 85 del d.P.R. n. 1124/1965 e' pertanto illegittimo sia per contrasto con gli artt. 11 e 117 Costituzione, in quanto non rispetta il vincolo derivante dalle norme di diritto comunitario sia perche' viola l'art. 12 del Trattato C.E. La violazione del principio di parita' di trattamento e del divieto di discriminazione basato sulla cittadinanza risulta evidente. b) La posizione del minore J. M. Ed allo stesso modo anche il minore J. Q. Se, infatti, egli fosse nato da padre non italiano o se l'infortunio mortale fosse avvenuto in uno Stato dell'Unione Europea diverso dall'Italia, il minore avrebbe infatti ricevuto non solo la rendita nella percentuale prevista per gli orfani superstiti, ma avrebbe beneficiato anche della percentuale riservata alla madre in qualita' di convivente. L'art. 85 d.P.R. n. 1124/1965 e' in contrasto anche con gli obblighi internazionali. Con particolare riferimento ai diritti dei minori, oltre alla gia' esaminata Convenzione sui diritti dell'infanzia, si segnala l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che cosi' dispone: «In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorita' pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente». Anche tale norma dunque sancisce il principio del favor minoris secondo cui l'interesse superiore del minore deve prevalere su tutti gli atti compiuti da autorita' pubbliche o istituzioni private; la nostra Costituzione colloca il detto principio negli artt. 30 e 31, secondo comma. Come noto, detta Carta «e' ormai considerata pienamente operante come punto di riferimento essenziale non solo per le attivita' delle istituzioni comunitarie, ma anche per l'attivita' interpretativa dei giudici europei, tanto che e' costantemente richiamata negli atti degli organi europei ma anche invocata piu' volte nelle conclusioni dell'avvocato generale nei giudizi dinnanzi alla Corte di Giustizia Europea». (Cfr. Corte d'appello di Roma, 11 aprile 2002). I tre avvocati generali Tizzano, Leger e Mischo hanno dichiarato che «la Carta ha innegabilmente collocato i diritti che ne costituiscono l'oggetto al piu' alto rango dei valori comuni agli Stati membri». E dunque, oltre ai principi costituzionali, vi e' anche un principio di diritto comunitario che tutela gli interessi dei minori. Non solo. La gia' citata Convenzione sui diritti dell'infanzia, all'art. 27, prevede espressamente che «gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale ... gli Stati parte adottano ogni adeguato provvedimento al fine di garantire il mantenimento del fanciullo da parte dei suoi genitori o altre persone aventi una responsabilita' finanziaria nei suoi confronti». Come visto, invece, il minore J. Q. percepisce una rendita Inail pari al 20% della retribuzione annua relativa al padre, per un importo mensile pari ad € 382,59, di certo non sufficiente a garantirgli un livello sufficiente al suo sviluppo. Pertanto l'art. 85 del d.P.R. n. 1124/1965 e' pertanto illegittimo perche' in palese contrasto non solo con gli artt. 11 e 117 della Costituzione per violazione degli obblighi internazionali ma anche perche' viola le disposizioni contenute nelle citate convenzioni internazionali.