IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza di sospensione della causa Rg.
n. 5421/06 e conseguente immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale ex art. 295 c.p.c.
   Con ricorso depositato in data 11 luglio 2006, la sig.ra R. M., in
proprio  e quale esercente la patria potesta' sul figlio minore J. P.
Q.,   ha   sollevato  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 85 del d.P.R. n. 1124/1965 in relazione agli artt. 2, 3, 30
e  38 della Costituzione in merito alla richiesta della rendita Inail
a  lei  dovuta  in  relazione al 50% della retribuzione percepita dal
convivente  in  conseguenza  del  decesso  dello  stesso,  avvenuto a
seguito  d'infortunio sul lavoro, in data 15 dicembre 2004, ovvero la
somma di € l7.216,46.
   In  subordine,  la ricorrente ha chiesto che fosse riconosciuto il
diritto   del   minore  ad  una  rendita  Inail  pari  al  40%  della
retribuzione annua del padre e pertanto, previa eventuale sospensione
del  procedimento per rimessione degli atti alla Corte costituzionale
per  l'esame della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
85  d.P.R.  n. 1124/1965  in  relazione  agli artt. 2, 3, 10, 30 e 31
Cost.,  ha  chiesto  la  condanna  dell'Inail  al pagamento di €
6.886, 62.
   Si  e' costituita quindi in giudizio l'Inail, chiedendo il rigetto
della domanda avversaria.
   La  causa,  in ragione delle dimissioni dagli incarichi giudiziari
da   parte  del  giudice  assegnatario,  e'  stata  riassegnata  allo
scrivente  giudice che, all'udienza del 28 marzo u.s., ha disposto il
deposito di note autorizzate.
   Quindi,  con note depositate in data 25 marzo 2008, la ricorrente,
svolte  ulteriori considerazioni, ha segnalato il contrasto dell'art.
85,  d.P.R. n. 1124/1965 anche in relazione agli artt. 11 e 117 della
Costituzione, insistendo sulle domande subordinate gia' proposte e di
conseguenza  ha  chiesto  al  giudice la sospensione del giudizio per
l'invio degli atti a codesta ill.ma Corte.
   Nel predetto atto, inoltre, la ricorrente ha rilevato un contrasto
del medesimo art. 85 con l'art. 12 del Trattato C.E. e dunque, previa
richiesta  di sospensione del giudizio per rimessione agli atti anche
alla   Corte   di   Giustizia   della  Corte  Europea,  ha  insistito
nell'accoglimento delle medesime conclusioni.
   Cio'  posto, il sottoscritto giudicante, ritenuta la necessita' di
risolvere  la  questione  nonche' la non manifesta infondatezza della
stessa, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., sospende il processo e rimette
gli   atti   alla   Corte  costituzionale  affinche'  giudichi  sulla
legittimita'  costituzionale  dell'art.  85,  d.P.R.  n. 1124/1965 in
relazione agli artt. 2, 3, 10, 11, 30, 31, 38 e 117 Costituzione.
                             M o t i v i
   1. - Quanto alla domanda svolta dalla sig.ra M. in proprio:
     a) Art. 2 Costituzione.
   L'art.  85  del  d.P.R.  n. 1124/1965,  prevedendo  che in caso di
decesso del lavoratore, sia disposta una rendita per il coniuge nella
misura  del  50%  e  del 20% per ciascun figlio ovvero il 40% per gli
orfani  di entrambi i genitori, non risulta innanzitutto in linea con
l'art.  2  della Costituzione in quanto, non garantendo al convivente
more  uxorio  la  rendita del 50% prevista invece per il coniuge, non
garantisce  adeguata  tutela  alla  famiglia di fatto che, al pari di
quella  fondata  sul matrimonio, rende possibile lo svolgimento della
personalita' dell'individuo.
     b) Art. 3 Costituzione.
   L'art.  85,  d.P.R.  n. 1124/1965  violerebbe anche l'art. 3 della
Costituzione in particolare laddove prevede la pari dignita' di tutti
i  cittadini  senza  distinzione di condizioni personali e sociali ed
afferma  che  e'  compito  della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine  economico  e  sociale  d'impedimento  al pieno sviluppo della
persona umana.
   Il  predetto  articolo,  infatti,  nega il diritto alla rendita al
convivente  more  uxorio  anche  quando la convivenza ha acquistato i
caratteri di stabilita' e certezza propri del vincolo coniugale.
     c) Art. 31 Costituzione.
   E'  violato  anche  l'art.  31  Costituzione il quale dispone: «la
Repubblica  agevola  con  misure  economiche  e altre provvidenze, la
formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi». Tale
principio, detto del favor familiaris, obbliga la Stato ad impegnarsi
per  promuovere ed agevolare il nucleo familiare qualunque sia la sua
forma.
   Allo  stesso  favor,  si  ispira  anche la Convenzione sui diritti
dell'infanzia siglata a New York in data 20 novembre 1989 che nel suo
art.  27, impone agli Stati parti di adottare adeguati provvedimenti,
in  considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente con i
loro  mezzi,  per  aiutare  i  genitori ad attuare il diritto di ogni
fanciullo  «a  un  livello  di vita sufficiente per consentire il suo
sviluppo fisico, mentale, spirituale e sociale».
     d) Art. 38 Costituzione.
   La   Repubblica,   in   virtu'   dell'art.   38  Costituzione,  e'
direttamente  investita  delle  funzioni  di  assistenza e previdenza
sociale  che  garantiscano al lavoratore e ai familiari a suo carico,
un'adeguata protezione verso i rischi professionali e non.
   In  virtu'  di  tale  principio,  l'art. 1 della legge 13 novembre
2000,   n. 328,  «Legge  quadro  per  la  realizzazione  del  sistema
integrato  di  interventi e servizi sociali» si propone di promuovere
interventi  e  servizi  sociali, interventi per garantire la qualita'
della  vita,  pari  opportunita',  non  discriminazione  e diritti di
cittadinanza,  di  prevenire,  eliminare  e  ridurre le condizioni di
disabilita',  bisogno e disagio individuale e familiare, derivanti da
inadeguatezza  di  reddito,  difficolta'  sociali e condizioni di non
autonomia, in coerenza con gli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione.
   Cio'  posto,  risulta  costituzionalmente  illegittimo  l'art. 85,
d.P.R. n. 1124/1965 poiche' non consente al genitore non coniugato di
provvedere  al  mantenimento dei propri figli e non previene o riduce
in  alcun  modo  le  condizioni  di  bisogno  e disagio individuale e
familiare.
   2. - Quanto al minore J. Q.
   Come  detto,  ai  sensi  dell'art.  85,  d.P.R.  n. 1124/1965,  in
conseguenza  di morte per infortunio, spetta una rendita pari al «20%
per    ciascun   figlio   legittimo,   naturale,   riconosciuto   e/o
riconoscibile e adottivo fino al raggiungimento del diciottesimo anno
d'eta' ed il 40% se si tratti di orfani di entrambi i genitori».
   La  normativa,  pero', non prende in considerazione - tenuto anche
conto  dell'epoca in cui e' stata adottata - l'ipotesi del decesso di
un  genitore  in una situazione di consolidata famiglia di fatto, con
la  conseguenza  che  anche  in  questo  caso viene erogato al figlio
superstite solo il 20% della rendita.
   In  questo modo pero' viene sottratta al figlio anche quella quota
della  rendita  riservata  al  coniuge  che  -  come detto - e' pero'
naturalmente  destinata a soddisfare le esigenze del nucleo familiare
e  non soltanto quelle di sostentamento del coniuge stesso. Tale dato
e'  riconosciuto  anche  dalla  Convenzione sui diritti dell'infanzia
siglata  a New York in data 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia
con  legge  n. 176 del 27 maggio 1991 che, per garantire protezione e
cure particolari al fanciullo, prevede la tutela anche della famiglia
(non  strettamente e giuridicamente intesa) come «unita' fondamentale
della societa' e ambiente naturale per la crescita ed il benessere di
tutti i suoi membri ed, in particolar modo, dei fanciulli».
   In  particolare, l'art. 27 della Convenzione, riconosce il diritto
di  ogni  fanciullo ad un livello di vita sufficiente a consentire il
suo  sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale spettando
ai   genitori   la  responsabilita'  fondamentale  di  assicurare  le
condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo.
   Di  contro,  spetta  agli  Stati  parte  adottare  «ogni  adeguato
provvedimento  al  fine di garantire il mantenimento del fanciullo da
parte dei suoi genitori».
   E  dunque,  proprio per effetto di tale art. 27 della Convenzione,
il  diniego  opposto  dall'Inail  a riconoscere una rendita inferiore
spettante  alla  madre  sol  perche' non riconosciuta come «coniuge»,
incide, come ovvio, sulle garanzie offerte al minore.
   Nel  caso  de  quo,  infatti,  la rendita spettante alla sig.ra M.
sarebbe  ridotta  ad  €  382,59 sol perche' quest'ultima non era
coniugata con il lavoratore deceduto.
   Pare  essere  del  tutto incostituzionale che un adeguato sviluppo
della  personalita'  e  della  vita  del minore Jacopo Quartirolo non
possa essere equamente garantito perche' i genitori del minore stesso
non erano uniti nel giuridico vincolo del matrimonio.
   Ed  inoltre  si  rileva  che la soluzione adottata dalla normativa
vigente  non  e'  condivisibile  neppure  laddove  non  riconosce  la
famiglia di fatto.
   Al  convivente  superstite  infatti,  non  e'  riconosciuta alcuna
rendita,  sebbene al minore dovrebbe essere riconosciuta quella quota
di  rendita  aggiuntiva  che, nell'ipotesi di famiglia giuridicamente
riconosciuta,  e' conglobata nella rendita complessivamente destinata
al coniuge nella sua qualita' di superstite amministratore del menage
familiare.
   Il  detto principio e' stato anche accolto da codesta ill.ma Corte
adita,  allorche',  con  sentenza  n. 360  del  18  dicembre 1985, ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  del  predetto  articolo
nella  parte  in  cui  dispone  che  «nel  caso di infortunio mortale
dell'assicurato,  agli  orfani  di  entrambi i genitori spetta il 40%
della  rendita,  ma esclude che detta rendita spetti anche all'orfano
dell'unico genitore che l'ha riconosciuto».
   Pertanto  in  riferimento  al  minore,  questo  giudicante intende
sollevare  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 85
d.P.R.  n. 1124/1965  in  relazione  agli  artt.  2,  3,  10, 30 e 31
Costituzione.  Ed  infatti  la norma violerebbe il combinato disposto
dagli   artt.   2,   3   e  30  della  Costituzione  perche'  prevede
un'irragionevole disparita' di trattamento tra i figli nati fuori dal
matrimonio e quelli naturali.
   Ogni  minore ha infatti il diritto assoluto e inviolabile (art. 2)
al  pieno  sviluppo  della  sua  personalita'  (art. 3) e ad una vera
famiglia (art. 30) che gli garantisca tale sviluppo.
   L'art.  30  della Costituzione risulta quindi violato sia sotto il
profilo  del  diritto-dovere  dei  genitori di mantenere, istruire ed
educare  i figli anche se nati fuori dal matrimonio (e' il cosiddetto
principio  di «responsabilita' genitoriale» secondo cui la condizione
dei   figli   deve  essere  considerata  unica  a  prescindere  dalla
qualificazione  del  loro  status,  ex  pluribus Corte costituzionale
sentenza  21  ottobre  2005, n. 394 e, conforme, Corte costituzionale
sentenza  13  maggio 1998, n. 166), sia sotto il profilo dell'obbligo
per  il  legislatore  di  assicurare  a  questi  ultimi  ogni  tutela
giuridica e sociale.
   L'art.  31  Costituzione,  al  suo  secondo comma, dispone che «la
Repubblica   protegge  la  maternita',  l'infanzia  e  la  gioventu',
favorendo gli istituti necessari a tale scopo».
   Tale  norma sancisce il principio del c.d. favor sia nei confronti
della famiglia sia del minore ed individua a livello costituzionale i
cardini  di  ampio programma d'intervento a sostegno della famiglia e
di protezione d'infanzia e gioventu'.
   Insieme  a  detta  norma  anche  l'art.  30  della Costituzione si
impegna  a considerare le singole disposizioni relative a gioventu' e
infanzia   non  quali  forme  episodiche  di  tutela  e  di  soggetti
istituzionalmente   deboli,  ma  come  elementi  costitutivi  di  una
strategia  d'intervento legislativo fortemente innovativa, dove favor
minoris significa promozione dei diritti del minore individuato nella
sua condizione di cittadino in formazione.
   La  predetta  tutela  poi trova esplicito riferimento nell'art. 24
della  Carta  dei  Diritti  fondamentali  dell'Unione  Europea  del 7
dicembre  2000, il quale sancisce il diritto dei bambini al benessere
e  afferma il principio dell'interesse superiore del bambino in tutti
gli atti compiuti da autorita' pubbliche o da istituzioni private.
   Pari  tutela  viene  garantita  dai  citati  artt.  26  e 27 della
Convenzione  sui  diritti  dell'Infanzia  siglata  a  New  York il 20
novembre 1989.
   Tutto  cio'  posto,  il  citato  art. 85 d.P.R. n. 1124/1965 viola
l'art.  31  della  Costituzione  poiche'  non garantisce al minore J.
idonea  protezione economica, nonche' l'art. 10 della Costituzione in
quanto   non   conforme   alle   norme   del  diritto  internazionale
generalmente riconosciute.
   Con note difensive depositate in data 25 marzo 2008, la ricorrente
sollevava   inoltre   l'illegittimita'  della  norma  in  esame,  con
riferimento agli artt. 11 e 117 della Costituzione nonche' perche' in
palese   contrasto  con  l'art.  12  del  Trattato  istitutivo  della
Comunita' Europea.
   3. - Sugli artt. 11 e 117 Costituzione.
     a) La posizione della sig.ra R. M.
   L'art. 117 della Costituzione prevede che la «potesta' legislativa
e'  esercitata  dallo  Stato  e  dalle  regioni  nel  rispetto  della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali».
   In  realta'  tale  principio  trova  fondamento nell'art. 11 della
Costituzione   che,   in  seguito  ad  una  costante  interpretazione
giurisprudenziale,  ha  legittimato,  fino all'effettiva approvazione
dell'art.  117  Costituzione, le limitazioni di sovranita' necessarie
per  dar  vita  a ordinamenti sopranazionali quale quello dell'Unione
Europea.
   E'  il  principio  del primato del diritto comunitario sul diritto
interno e di efficacia diretta del diritto comunitario.
   Ebbene,  l'art.  85 del d.P.R. n. 1126/1965 e' illegittimo perche'
in evidente contrasto con gli artt. 11 e 117 della Costituzione.
   La    norma,   infatti,   non   rispetta   i   vincoli   derivanti
dall'ordinamento   comunitario  (Trattato  U.E.,  Carta  dei  Diritti
fondamentali  dell'U.E.) e dagli obblighi internazionale (Convenzione
di diritti sull'Infanzia).
   Infatti, il Trattato prevede inoltre, all'art. 13 Trattato C.E. un
meccanismo  attivabile dal Consiglio, su proposta della Commissione e
previa consultazione del Parlamento Europeo, al fine di combattere le
discriminazioni   comunque   verificatesi   all'interno   dell'Unione
Europea.
   Ed inoltre, la Carta dei Diritti Fondamentali dell'U.E., in data 7
dicembre  2000  all'art.  21 vieta qualsiasi forma di discriminazione
fondata  sulla  nascita e, al secondo comma, prevede che «nell'ambito
d'applicazione del Trattato che istituisce la Comunita' Europea e del
Trattato  sull'Unione  Europea,  e' vietata qualsiasi discriminazione
fondata sulla cittadinanza».
   In  relazione a cio', la Corte di Giustizia europea ritiene che il
principio   della   parita'   di   trattamento   e   del  divieto  di
discriminazione  sia  un  principio  generale del diritto comunitario
(cfr., sul tema, Corte di Giustizia Europea, II sezione, C 307/05 del
13  settembre  2007; Sentenza della Corte, Grande Sezione, C - 300/04
del  12  settembre  2006, sentenza della Corte, I sezione, C - 258/04
del  15  settembre  2005)  .  In  base  a  questo principio generale,
situazioni simili non devono essere trattate in modo diverso.
   Ebbene,  venendo  al  caso  di specie, la ricorrente, in proprio e
quale  esercente la patria potesta' sul figlio minore, in conseguenza
di  quanto  stabilito  dall'art. 85, d.P.R. n. 1124/1965, subisce una
discriminazione in ragione della sua nazionalita'.
   Ed  infatti, come vedremo, se la ricorrente fosse stata convivente
more  uxorio  di  un  cittadino  non  italiano o se il sig. Q. avesse
subito  l'incidente  mortale in uno stato dell'Unione Europea diverso
dall'Italia (in base al Regolamento CEE 1408/71, la legge applicabile
e'   infatti  quella  del  Paese  in  cui  viene  svolta  l'attivita'
lavorativa,  a  prescindere  dalla  residenza), la ricorrente avrebbe
avuto  diritto  a  percepire l'indennita' prevista in caso di decesso
sul lavoro.
   Ed ancora, in merito all'importanza e valenza della convivenza, si
ritiene  di  dover  segnalare  la  decisione della Corte di Giustizia
relativa alla Causa C - 267/06 Maruko.
   Tale  causa  verteva  su  un caso di convivenza omosessuale, ma il
principio  dalla  stessa sentenza disposto ben si attaglia al caso di
convivenza more uxorio che ci occupa.
   La Corte di Giustizia, infatti, ha affermato che: «Se il combinato
disposto  degli artt. 1 e 2 n. 2, lett. a) della Direttiva 2000/78/Ce
osti   a  disposizioni  dello  statuto  di  un  regime  previdenziale
integrativo del tipo di cui alla presente fattispecie, ai sensi delle
quali  un  convivente  registrato  non  riceve,  alla  morte  del suo
compagno,  alcuna  prestazione  di  reversibilita'  analoga  a quella
prevista   per   le  persone  coniugate,  in  una  comunione  fondata
sull'assistenza  e  disponibilita'  reciproche formalmente costituita
per tutta la durata della vita».
   Ed  infatti,  ai  termini  dell'art.  2  della  Direttiva  citata,
s'intende  per «principio della parita' di trattamento», l'assenza di
qualsiasi  discriminazione  diretta  o  indiretta  basata  su uno dei
motivi  di  cui  all'art.  1  della stessa direttiva; mentre ai sensi
dell'art.   2,   n. 2   lett.   a)  della  citata  norma  comunitaria
sussisterebbe  una  discriminazione diretta quando, sulla base di uno
qualsiasi dei motivi di cui all'art. 1 di tale direttiva, una persona
e'  trattata  meno  favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe
trattata  un'altra  in  analoga situazione. Il n. 2, lett. b), sub i)
dello  stesso  art.  2 dispone che sussiste discriminazione indiretta
quando  una  disposizione,  un  criterio  o una prassi apparentemente
neutri, possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le
persone che professano una determinata religione o ideologia di altra
natura,  le persone portatrici di particolari handicap, le persone di
una  particolare eta' o di una particolare tendenza sessuale rispetto
ad  altre persone, a meno che tale disposizione, tale criterio o tale
prassi siano oggettivamente giustificati da una finalita' legittima e
i  mezzi  impiegati  per  il  suo  conseguimento  siano appropriati e
necessari.
   Cio' posto, la sentenza continua disponendo che: «Il Giudice a quo
ritiene  che,  tenuto  conto  di tale ravvicinamento tra matrimonio e
unione  solidale che esso considera come un'equiparazione progressiva
...  all'unione  solidale, senza essere identica al matrimonio, ponga
le  persone  dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei
coniugi per quanto concerne la prestazione ai superstiti».
   Da  quanto  precede,  il  giudice  comunitario  precisa  che:  «Il
combinato  disposto degli artt. 1 e 2 delle Direttive 2000/78 osta ad
una  normativa come quella controversa nella causa principale in base
alla  quale,  dopo  il  decesso del partner con il quale ha contratto
un'unione   solidale,   il  partner  superstite  non  percepisce  una
prestazione ai superstiti equivalente a quella concessa ad un coniuge
superstite, mentre, nel diritto nazionale, l'unione solidale porrebbe
la  persona  dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei
coniugi  per  quanto  riguarda la detta prestazione ai superstiti. E'
compito  del  giudice  a  quo verificare se, nell'ambito di un'unione
solidale, il partner superstite sia in una posizione analoga a quella
di  un  coniuge beneficiario della prestazione ai superstiti prevista
dal regime previdenziale di categoria ...».
   E'  pertanto  evidente  che  la  legislazione italiana, negando la
maggior  quota spettante alla ricorrente, in quanto non coniugata con
il  deceduto  sig.  E.  Q.,  si  pone  in  contrasto  con  i principi
legislativi e giurisprudenziali comunitari.
   La  ricorrente, in qualita' di convivente, non coniugata, (e cosi'
naturalmente  il  figlio  minore)  subisce una discriminazione per il
solo  fatto  di  essere cittadina italiana e per aver convissuto (per
oltre 14 anni) more uxorio con un cittadino italiano, senza contrarre
matrimonio.
   La  legge  italiana,  infatti,  impone la condizione di coniuge al
fine di ricevere il 50% della rendita assicurativa.
   L'art.  85 del d.P.R. n. 1124/1965 e' pertanto illegittimo sia per
contrasto con gli artt. 11 e 117 Costituzione, in quanto non rispetta
il  vincolo  derivante dalle norme di diritto comunitario sia perche'
viola l'art. 12 del Trattato C.E.
   La  violazione  del  principio  di  parita'  di  trattamento e del
divieto   di   discriminazione   basato  sulla  cittadinanza  risulta
evidente.
     b) La posizione del minore J. M.
   Ed  allo stesso modo anche il minore J. Q. Se, infatti, egli fosse
nato  da  padre non italiano o se l'infortunio mortale fosse avvenuto
in  uno  Stato  dell'Unione  Europea  diverso  dall'Italia, il minore
avrebbe  infatti  ricevuto  non  solo  la  rendita  nella percentuale
prevista  per  gli  orfani  superstiti,  ma avrebbe beneficiato anche
della percentuale riservata alla madre in qualita' di convivente.
   L'art.  85  d.P.R.  n. 1124/1965  e'  in  contrasto  anche con gli
obblighi internazionali.
   Con particolare riferimento ai diritti dei minori, oltre alla gia'
esaminata Convenzione sui diritti dell'infanzia, si segnala l'art. 24
della  Carta  dei  diritti fondamentali dell'Unione Europea che cosi'
dispone:  «In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti
da   autorita'   pubbliche  o  da  istituzioni  private,  l'interesse
superiore del bambino deve essere considerato preminente».
   Anche  tale  norma  dunque sancisce il principio del favor minoris
secondo  cui l'interesse superiore del minore deve prevalere su tutti
gli  atti  compiuti  da autorita' pubbliche o istituzioni private; la
nostra  Costituzione  colloca il detto principio negli artt. 30 e 31,
secondo comma.
   Come  noto,  detta Carta «e' ormai considerata pienamente operante
come  punto di riferimento essenziale non solo per le attivita' delle
istituzioni  comunitarie, ma anche per l'attivita' interpretativa dei
giudici  europei,  tanto  che  e' costantemente richiamata negli atti
degli  organi  europei ma anche invocata piu' volte nelle conclusioni
dell'avvocato  generale  nei giudizi dinnanzi alla Corte di Giustizia
Europea». (Cfr. Corte d'appello di Roma, 11 aprile 2002).
   I  tre  avvocati generali Tizzano, Leger e Mischo hanno dichiarato
che   «la   Carta  ha  innegabilmente  collocato  i  diritti  che  ne
costituiscono  l'oggetto  al  piu'  alto rango dei valori comuni agli
Stati membri».
   E  dunque,  oltre  ai  principi  costituzionali,  vi  e'  anche un
principio di diritto comunitario che tutela gli interessi dei minori.
   Non  solo.  La  gia' citata Convenzione sui diritti dell'infanzia,
all'art.  27,  prevede espressamente che «gli Stati parti riconoscono
il  diritto  di  ogni  fanciullo a un livello di vita sufficiente per
consentire  il  suo  sviluppo  fisico,  mentale, spirituale, morale e
sociale  ...  gli Stati parte adottano ogni adeguato provvedimento al
fine  di  garantire  il  mantenimento del fanciullo da parte dei suoi
genitori  o  altre persone aventi una responsabilita' finanziaria nei
suoi confronti».
   Come  visto,  invece, il minore J. Q. percepisce una rendita Inail
pari  al  20%  della  retribuzione  annua  relativa  al padre, per un
importo  mensile  pari  ad  € 382,59, di certo non sufficiente a
garantirgli un livello sufficiente al suo sviluppo.
   Pertanto l'art. 85 del d.P.R. n. 1124/1965 e' pertanto illegittimo
perche'  in  palese  contrasto  non solo con gli artt. 11 e 117 della
Costituzione  per  violazione  degli obblighi internazionali ma anche
perche'  viola  le  disposizioni  contenute  nelle citate convenzioni
internazionali.