Sentenza
nei   giudizi   di   legittimita'  costituzionale  dell'art.  13  del
decreto-legge  4  luglio  2006, n. 223, recante «Disposizioni urgenti
per  il  rilancio  economico  e  sociale,  per  il  contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione fiscale», convertito, con
modificazioni,   dalla   legge   4   agosto   2006,  n. 248,  recante
«Conversione  in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio
2006,  n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico
e  sociale,  per  il  contenimento e la razionalizzazione della spesa
pubblica,  nonche'  interventi  in  materia di entrate e di contrasto
all'evasione fiscale», promossi con ricorsi della Regione Veneto (nn.
2  ricorsi),  della  Regione  siciliana, della Regione Friuli-Venezia
Giulia  e della Regione Valle d'Aosta, notificati il 31 agosto, il 5,
il  9 e il 10 ottobre 2006, depositati in cancelleria l'11 settembre,
l'11,  il  12, il 14 e il 19 ottobre 2006 ed iscritti ai nn. 96, 103,
104, 105 e 107 del registro ricorsi 2006.
   Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 24 giugno 2008 il Giudice relatore
Sabino Cassese;
   Uditi  gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione
Veneto,  Giovanni  Pitruzzella per la Regione siciliana, Giandomenico
Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia, Francesco Saverio Marini
per  la  Regione  Valle  d'Aosta  e l'avvocato dello Stato Danilo Del
Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  La Regione Veneto ha sollevato, con un primo ricorso (n. 96
del  2006),  questione  di  legittimita' costituzionale, oltre che di
altre   norme   dello   stesso   decreto-legge,   dell'art.   13  del
decreto-legge  4  luglio  2006, n. 223, recante «Disposizioni urgenti
per  il  rilancio  economico  e  sociale,  per  il  contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di contrasto all'evasione fiscale», per violazione degli
artt. 3, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione.
   L'articolo  impugnato (che reca la rubrica «Norme per la riduzione
dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della
concorrenza»)   impone   alcuni  limiti  alle  societa',  a  capitale
interamente   pubblico  o  misto,  costituite  dalle  amministrazioni
pubbliche  regionali  e  locali  per  la produzione di beni e servizi
strumentali  all'attivita' di tali enti, nonche', nei casi consentiti
dalla   legge,   per   lo   svolgimento  esternalizzato  di  funzioni
amministrative  di loro competenza. E' stabilito, in particolare, che
esse  operino  esclusivamente  con gli enti costituenti ed affidanti,
non  svolgano  prestazioni  a  favore  di  altri  soggetti pubblici o
privati,  non  partecipino ad altre societa' o enti e abbiano oggetto
sociale   esclusivo.   L'articolo   contiene   anche  una  disciplina
transitoria,  che definisce i termini e le modalita' della cessazione
delle  attivita'  non  consentite, e commina la nullita' ai contratti
conclusi in violazione delle nuove norme.
   Ad  avviso della Regione, il legislatore statale ha inteso, con le
norme  impugnate, evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza
e  assicurare  la  parita'  degli  operatori,  impedendo che soggetti
destinatari  dei  cosiddetti  «obblighi  di  servizio pubblico», solo
formalmente  privatizzati  ma  soggetti  a un'influenza dominante dei
pubblici   poteri,   possano  operare,  avvantaggiandosi  del  regime
speciale  di  cui  godono,  anche  sul  libero  mercato.  Date queste
finalita' della disciplina statale, reputa peraltro la Regione che la
norma  impugnata  violi  la  sfera  di  autonomia  regionale poiche',
facendo   valere   ragioni  di  tutela  della  concorrenza,  comprime
irragionevolmente  l'autonomia  legislativa  e  amministrativa  della
Regione. Con le disposizioni impugnate, secondo la ricorrente, «si e'
posta  in essere una disciplina puntuale che non lascia alcuno spazio
alla  Regione  per  dettare  una  normativa  che  tenga  conto  delle
necessita'  locali  e  nemmeno  dei  tempi di attuazione dei principi
statali secondo criteri di adeguatezza e proporzionalita».
   2.  -  Con un secondo ricorso (n. 103 del 2006), la Regione Veneto
ha  sollevato  questione di legittimita' costituzionale, oltre che di
altre   norme   dello   stesso   decreto-legge,   dell'art.   13  del
decreto-legge  n. 223  del 2006, convertito, con modificazioni, dalla
legge  4  agosto  2006,  n. 248,  recante  «Conversione in legge, con
modificazioni,  del  decreto  legge  4  luglio  2006, n. 223, recante
disposizioni  urgenti  per  il  rilancio  economico e sociale, per il
contenimento  e  la  razionalizzazione  della spesa pubblica, nonche'
interventi   in  materia  di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione
fiscale»,  per violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, 118, 119 e 120
della Costituzione.
   Questione  di  legittimita'  costituzionale dello stesso articolo,
oltre  che  di  altre  norme  dello  stesso  decreto-legge,  e' stata
sollevata  anche  dalla  Regione siciliana (r. ric. n. 104 del 2006),
dalla Regione Friuli-Venezia Giulia (r. ric. n. 105 del 2006) e dalla
Regione Valle d'Aosta (r. ric. n. 107 del 2006).
   L'articolo impugnato (che, anche a seguito della conversione, reca
la  rubrica «Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici
regionali  e  locali  e  a  tutela  della concorrenza») impone alcuni
limiti  alle  societa',  a  capitale  interamente  pubblico  o misto,
costituite  o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e
locali  per la produzione di beni e servizi strumentali all'attivita'
di  tali  enti,  in funzione della loro attivita', con esclusione dei
servizi  pubblici  locali,  nonche', nei casi consentiti dalla legge,
per  lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro
competenza.   E'   stabilito,   in   particolare,  che  esse  operino
esclusivamente  con  gli enti costituenti o partecipanti o affidanti,
non  svolgano  prestazioni  a  favore  di  altri  soggetti pubblici o
privati, non partecipino - con esclusione delle societa' che svolgono
l'attivita'  di  intermediazione finanziaria prevista dal testo unico
di  cui  al  decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 - ad altre
societa'  o  enti  e  abbiano  oggetto  sociale esclusivo. L'articolo
contiene  anche una disciplina transitoria, che definisce i termini e
le  modalita'  della  cessazione  delle  attivita'  non consentite, e
commina  la  nullita' ai contratti conclusi in violazione delle nuove
norme.
   3.  -  Il ricorso della Regione Veneto lamenta la violazione degli
artt.  3, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione. Secondo la
Regione, la legge di conversione del decreto, lungi dall'eliminare le
norme  lesive  dell'autonomia  regionale,  ne ha introdotto di nuove,
viziate  di  illegittimita'  costituzionale sotto i medesimi profili.
Permangono,  pertanto,  nell'art. 13 del decreto-legge, quale risulta
dopo  la conversione, le stesse violazioni dell'autonomia legislativa
e  amministrativa della Regione e degli enti locali, fatte valere con
il precedente ricorso n. 96 del 2006.
   4.  -  Il  ricorso  della  Regione siciliana lamenta la violazione
degli  artt.  41,  primo  e  terzo comma, e 3 Cost., sotto il duplice
profilo   della   violazione   dei   principi  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza, nonche' degli artt. 14, lettera p), e 17, lettera i),
del  regio  decreto  legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione
dello Statuto regionale della Regione siciliana). Premette la Regione
che  la  disposizione  censurata  si  riferisce  esclusivamente  alle
cosiddette  «societa'  strumentali»,  costituite  o partecipate dalle
Regioni e dagli altri enti locali per la produzione di beni e servizi
a  favore  di  tali  enti  e che, a norma del suddetto articolo, esse
debbono  operare esclusivamente con gli enti costituenti e affidanti,
non  possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici
e  privati,  neppure  a  seguito  di  gara  pubblica,  e  non possono
partecipare ad altre societa' o enti.
   Secondo  la  Regione,  la  norma  impone alle societa' strumentali
limitazioni  territoriali  che  non  appaiono  coerenti con l'art. 41
Cost.,  il quale, nell'affermare il principio della libera iniziativa
economica  privata  (primo  comma),  «circoscrive  l'intervento dello
Stato  alla  funzione  di  indirizzo  e  coordinamento dell'attivita'
economica  pubblica e privata a fini sociali (terzo comma)». Aggiunge
la  Regione  che  il  legislatore  statale,  ponendo  il  divieto  in
questione  per  le  sole  societa'  a capitale interamente pubblico o
misto    (pubblico-privato),    costituite    o   partecipate   dalle
amministrazioni  regionali  e locali, le ha penalizzate rispetto alle
societa'  costituite  o  partecipate  dallo Stato o concessionarie di
pubblici  servizi,  e  cio'  in  violazione, oltre che del suindicato
parametro  costituzionale, anche del principio di uguaglianza sancito
dall'art.   3   Cost.   e   senza  attenersi  ad  alcun  criterio  di
proporzionalita'  e adeguatezza (sentenza n. 14 del 2004), essenziale
a  definire  l'ambito  di  operativita'  della competenza legislativa
statale  in  materia di «tutela della concorrenza». Osserva ancora la
Regione  che  la norma statale in esame, disciplinando l'attivita' di
enti  strumentali  della  Regione,  appare  lesiva  della  competenza
legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli uffici e degli
enti  regionali»,  prevista  dall'art.  14, lettera p), dello statuto
siciliano,  e, in ogni caso, di quella prevista dall'art. 17, lettera
i),  dello  statuto per «tutte le altre materie che implicano servizi
di prevalente interesse regionale».
   5.  -  Il  ricorso  della Regione Friuli-Venezia Giulia lamenta la
violazione  degli  artt. 3, 41, 117 e 119 Cost., nonche' dell'art. 4,
comma  unico, nn. 1, 1-bis, e n. 6, dell'art. 8 e art. 48 della legge
costituzionale  31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia).
   Osserva  preliminarmente la Regione che la legge di conversione ha
aggiunto  nell'art.  1  del decreto-legge il comma 1-bis, recante una
«clausola  di salvaguardia» in virtu' della quale «le disposizioni di
cui  al presente decreto si applicano alle regioni a statuto speciale
e  alle  province autonome di Trento e di Bolzano in conformita' agli
statuti  speciali e alle relative norme di attuazione». Pertanto, ove
si  dovesse  ritenere  che,  per  effetto  di tale clausola, le norme
impugnate  non  si  applichino  nella  Regione Friuli-Venezia Giulia,
verrebbero meno le doglianze da essa avanzate.
   Il ricorso della Regione e' articolato in sei motivi.
   5.1.  - Con il primo motivo, la Regione eccepisce che i commi 1, 2
e  4,  dell'art.  13  del decreto-legge, come convertito, sono lesivi
dell'autonomia  organizzativa  e finanziaria della Regione, in quanto
sottopongono  ad un regime giuridico restrittivo e discriminatorio le
societa'   pubbliche   o   miste,   costituite  o  partecipate  dalle
amministrazioni  regionali  e  locali  per  la  produzione  di beni e
servizi  strumentali, «senza collegare le limitazioni al godimento di
una  condizione  di  esonero dalla concorrenza grazie ad un regime di
affidamento diretto».
   Ricorda  innanzitutto  la  Regione che essa e' legittimata anche a
far  valere  l'autonomia finanziaria degli enti locali, atteso che la
giurisprudenza costituzionale ha ritenuto sussistente in via generale
una  tale  legittimazione  in  capo alle Regioni, dal momento che «la
stretta   connessione,  in  particolare  [...]  in  tema  di  finanza
regionale  e  locale,  tra  le  attribuzioni regionali e quelle delle
autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze
locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle
competenze regionali» (sentenza n. 417 del 2005).
   La  Regione  osserva  poi  che  le severe restrizioni imposte alle
societa'  contemplate  si  collegano «non a particolari condizioni di
favore  nelle  quali  le  societa'  in  argomento  svolgano  la  loro
attivita', ma alla stessa struttura soggettiva ed all'oggetto di tali
societa».  Ad  avviso  della  Regione,  se per «societa' costituite o
partecipate  per  la  produzione  di  beni  e servizi strumentali» si
dovessero  intendere le «societa' che svolgono tali servizi in regime
di  affidamento  diretto»,  le  restrizioni  si  collegherebbero alla
condizione di affidamento privilegiato in cui esse si trovano: «ed e'
ovvio  che,  se cosi' fosse, basterebbe uscire da tale condizione per
ritornare  al  regime  generale  delle  societa',  senza  restrizione
alcuna».   Questa   interpretazione,  prosegue  la  Regione,  sarebbe
senz'altro  coerente  con  la  finalita'  dichiarata  della  norma di
«evitare  alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e
di  assicurare  la parita' degli operatori». Tale interpretazione non
e' consentita, tuttavia, dalla formulazione letterale della norma, la
quale,  nel  restringere  la capacita' contrattuale anche di societa'
che  non  godono di alcun privilegio di affidamento diretto, viola in
modo diretto le competenze statutarie della Regione, in quanto incide
su materie regionali (cioe' sull'organizzazione della Regione e degli
enti  locali  e sull'industria e commercio: art. 4, nn. 1, 1-bis e 6,
dello  statuto;  art. 117, quarto comma, Cost., in relazione all'art.
10  della  legge  cost.  n. 3  del  2001,  dato  che l'organizzazione
regionale  e  l'industria e commercio ricadono nella competenza piena
delle    Regioni    ordinarie)   e   interferisce   con   l'autonomia
amministrativa (cui e' funzionale quella organizzativa) e finanziaria
della  Regione  e  degli  enti  locali (artt. 8 e 48 e seguenti dello
statuto).
   Le  norme  impugnate,  secondo  la ricorrente, violano inoltre: il
principio  di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost., dato
che  vengono  trattate in modo diseguale situazioni uguali, nonche' i
principi  di  ragionevolezza  e proporzionalita'; l'art. 41 Cost., in
quanto  esse  precludono l'esercizio del diritto di libera iniziativa
economica,  il  quale, a condizione che non si alteri la concorrenza,
vale ugualmente per i soggetti pubblici e privati (e comunque sarebbe
leso  il diritto di iniziativa dei privati nelle societa' miste); «il
principio di ragionevolezza e di proporzionalita», in quanto le norme
impugnate «pongono drastiche limitazioni di capacita' dove basterebbe
un  limite  connesso  all'eventuale  affidamento  diretto dei compiti
strumentali».
   5.2.  -  Con  un  secondo  motivo di ricorso, la Regione prospetta
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  13,  commi 1, 2 e 4, del
decreto-legge  n. 223  del  2006,  come  convertito, in quanto lesivo
dell'autonomia  organizzativa  e  finanziaria  della Regione, laddove
sottopone  le  societa'  pubbliche  o miste, costituite o partecipate
dalle  amministrazioni regionali e locali per la produzione di beni e
servizi   strumentali,   «ad   un   regime  giuridico  restrittivo  e
discriminatorio, rispetto alle altre societa' ed alle stesse societa'
pubbliche  o  miste  partecipate  dallo  Stato  o  da amministrazioni
nazionali».  Si  tratta,  secondo  la  Regione,  di  una  ragione  di
illegittimita'  che,  al  contrario della precedente, non puo' essere
superata  da  un'interpretazione adeguatrice. Invero, le disposizioni
impugnate discriminano, rendendola deteriore, la condizione giuridica
delle societa' partecipate dalle Regioni e dagli enti locali rispetto
alle  societa'  che,  per  scopi  del tutto simili, sono costituite o
partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici nazionali.
   Argomenta la ricorrente che non solo le Regioni e gli enti locali,
ma  anche  lo  Stato  ed  enti  pubblici  nazionali  hanno costituito
societa'  pubbliche  o miste per l'esercizio di funzioni strumentali.
Se  pure  nel  merito  fosse  giustificata una disciplina restrittiva
della  capacita'  contrattuale  di  determinati  tipi  di  societa' a
partecipazione   pubblica,  non  lo  sarebbe  una  restrizione  della
capacita'  contrattuale ed operativa delle sole societa' costituite o
partecipate  dalle Regioni e dagli enti locali, «che vengono poste in
una  condizione  di  vera  e  propria  minorita'  giuridica». Onde e'
evidente,  prosegue  la  Regione,  che la discriminazione cosi' posta
«contraddice il principio di uguaglianza e costituisce un abuso della
stessa   potesta'  legislativa  statale  in  materia  di  ordinamento
civilistico  delle  societa': potesta' che viene [...] esercitata non
per  porre  una  disciplina  generale  del  fenomeno delle societa' a
partecipazione  pubblica,  ma  esclusivamente in danno delle societa'
regionali e locali».
   5.3.    -    Un   terzo   motivo   del   ricorso   e'   incentrato
sull'illegittimita'  costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2 e 4, del
decreto-legge  n. 223  del  2006,  come  convertito, in quanto lesivo
dell'autonomia  organizzativa e finanziaria della Regione nella parte
in  cui  vieta  «indiscriminatamente alle societa' pubbliche o miste,
costituite o partecipate dalle amministrazioni regionali e locali per
la  produzione  di  beni  e  servizi  strumentali,  di  "operare" per
soggetti diversi dagli enti costituenti, partecipanti o affidanti, di
svolgere "prestazioni" a favore di altri soggetti pubblici o privati,
nonche' di partecipare ad altre societa' o enti».
   Con  riguardo  al divieto di partecipare ad altre societa' o enti,
la  Regione  fa  rilevare  che  le  societa' regionali, al pari delle
societa'  statali,  operano  talora attraverso altre societa', il cui
capitale  sociale e' posseduto dalle prime al cento per cento, quindi
le  misure  contestate  priverebbero irragionevolmente le societa' in
questione  di  ogni flessibilita' operativa e, per quanto riguarda la
partecipazione  ad  enti,  di  ogni  capacita' di collegamento con la
stessa   realta'  di  cui  debbono  occuparsi.  Un  discorso  analogo
riguarda,  secondo  la Regione, il limite relativo all'«operare» solo
con   gli   enti   costituenti,   partecipanti  o  affidanti  e  alle
«prestazioni»,  escluse  in  relazione  ad «altri soggetti pubblici o
privati»,  che  si  risolverebbe  nella  violazione,  oltre  che  dei
principi  di  ragionevolezza  e di proporzionalita', del principio di
certezza del diritto.
   5.4.    -   Uno   specifico   motivo   riguarda   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  13,  comma 3, del decreto-legge n. 223 del
2006,  come  convertito,  che impone termini per cessare le attivita'
non  consentite  e  sanzioni  per  il  mancato  rispetto dei divieti.
Secondo  la  Regione,  tali disposizioni sarebbero costituzionalmente
illegittime,  in  primo  luogo,  in quanto presuppongono e completano
l'illegittima disciplina sopra censurata.
   In  secondo  luogo, il terzo periodo, che stabilisce l'inefficacia
dei  contratti relativi ad attivita' non cedute o scorporate, sarebbe
illegittimo   sotto  il  profilo  della  contraddittorieta'  e  della
irragionevolezza,  in  relazione  a  quanto  disposto dai due periodi
precedenti.  Osserva  la  ricorrente  che  le  societa'  in questione
possono  «transitoriamente» - per dodici mesi - continuare a svolgere
le loro attivita'; che a tali dodici mesi seguono, in base al secondo
periodo,  altri  diciotto  mesi,  durante  i  quali le «attivita' non
consentite» possono essere cedute a terzi o scorporate in una diversa
societa'  da  cedere sul mercato. Senonche', prosegue la difesa della
Regione,  quel  che  dispone  il  terzo periodo - cioe' la cessazione
degli  effetti  dei  contratti  relativi  alle attivita' non cedute o
scorporate  nel  «termine  indicato  nel  primo  periodo» (cioe' alla
scadenza  dei  primi  dodici mesi) - e' del tutto assurdo, poiche' le
attivita'  cedute  o  scorporate  e,  corrispondentemente, quelle non
cedute  o  scorporate, risulteranno soltanto alla fine del periodo di
diciotto  mesi  che le Regioni e gli enti locali hanno a disposizione
per  provvedere  alla  cessione  o  allo  scorporo. La norma, dunque,
sarebbe,   prima   ancora   che  costituzionalmente  illegittima,  di
impossibile applicazione, se non «retroattivamente».
   5.5.   -   Un   altro  profilo  di  illegittimita'  costituzionale
investirebbe  il  secondo  periodo del comma 3, ove «la facolta' data
alle  societa'  strumentali  di  cedere  le  attivita'  a  terzi o di
scorporarle costituendo una societa' da collocare sul mercato dovesse
intendersi  come preclusiva della possibilita' di cedere o scorporare
tali  attivita'  in  favore  di altra societa' regionale o locale, da
costituire  o  esistente, che operi esclusivamente sul mercato, e non
rientri  nel campo di applicazione dell'art. 13». In effetti, osserva
la  Regione,  «l'obbligo  di  cedere  a  terzi, o sul mercato (che e'
composto  anch'esso,  ovviamente,  di  «terzi») beni e patrimoni che,
attraverso  la  societa', costituiscono risorse economiche e nel caso
imprenditoriali   delle   comunita'   locali   ne  viola  l'autonomia
finanziaria,  in  contraddizione  aperta  con  l'art. 119 Cost. e con
l'art.  48 e seguenti dello statuto regionale e realizza una sorta di
esproprio  di  attivita'  economiche,  del  tutto privo di fondamento
costituzionale  e  del tutto privo di connessioni con l'obbiettivo di
tutelare la concorrenza».
   5.6.   -   Un  ulteriore,  autonomo  profilo  di  irragionevolezza
dell'art.  13,  comma  4,  del  decreto-legge  n. 223  del 2006, come
convertito, per le stesse ragioni di cui al punto precedente, emerge,
secondo  la  Regione,  in  quanto  si  ritenga  che  la  nullita' dei
contratti  stipulati in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2
colpisce tutti i contratti stipulati dalle societa' di cui al comma 1
che,  al  momento  del  contratto, conservino partecipazioni in altre
societa' o enti. Osserva al riguardo la Regione che le partecipazioni
non  costituiscono  «attivita»  e non rientrano, dunque, nel campo di
applicazione  del comma 3 e delle scadenze temporali ivi previste. Le
partecipazioni  sono,  infatti, in primo luogo elementi patrimoniali,
la   cui  cessione  potrebbe  essere  facile  o  difficile,  o  anche
giuridicamente   impossibile  ove  non  si  trovasse  alcun  soggetto
disposto  ad  acquistarle.  D'altronde,  una  cosa  e' la nullita' di
contratti che direttamente si riferiscano ad attivita' vietate (ferme
restando  le  censure  sopra  esposte  su  tali  divieti e sulla loro
formulazione);  tutt'altra  cosa sarebbe la nullita' di contratti che
si  riferiscono  ad attivita' consentite, e che nessun rapporto hanno
con le ipotizzate partecipazioni in societa' o enti.
   6.  - Il ricorso della Regione Valle d'Aosta lamenta la violazione
degli artt. 3 e 117 Cost., nonche' dell'art. 2, comma 1, lettere a) e
b),  dello  statuto  della  Regione  Valle  d'Aosta di cui alla legge
costituzionale  26 gennaio 1948, n. 4 (Statuto regionale per la Valle
d'Aosta).
   Osserva  preliminarmente la Regione che, in virtu' della «clausola
di   salvaguardia»,   contenuta   nell'art.   1,   comma   1-bis  del
decreto-legge  n. 223  del  2006,  come convertito, questo si applica
alle  Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e
Bolzano  «in  conformita' agli statuti speciali e alle relative norme
di  attuazione».  Tuttavia,  il  tenore  letterale delle disposizioni
impugnate  non  consente  di escludere con certezza la loro efficacia
nei  riguardi  delle  Regioni  ad  autonomia speciale, trattandosi di
prescrizioni  che,  se  riferite  anche  alla  Regione Valle d'Aosta,
presentano   molteplici  profili  di  illegittimita'  costituzionale.
Pertanto,  la  possibilita'  che  esse  vadano  interpretate in senso
lesivo  delle  attribuzioni  della  Regione induce a farle oggetto di
impugnazione,  sulla scorta della giurisprudenza della Corte, per cui
il  giudizio  in  via  principale puo' concernere questioni sollevate
sulla  base  di  interpretazioni  non  implausibili  prospettate  dal
ricorrente (sentenza n. 412 del 2004).
   6.1.  -  Con  il  primo motivo di ricorso, la Regione eccepisce la
violazione del principio costituzionale di ragionevolezza, sub specie
di  vizio  di irrazionalita', nonche' dell'art. 117, secondo e quarto
comma,  Cost., e dell'art. 2, comma 1, lettere a) e b), dello statuto
speciale per la Valle d'Aosta.
   Secondo la Regione, «per quanto l'intervento normativo dichiari di
voler  perseguire la tutela della concorrenza, in realta' esso, lungi
dal  rimuovere  elementi  distorsivi  del mercato o dal promuovere un
ampliamento  delle  possibilita'  di  accesso  degli  attori  che  vi
operano,  determina  il  ben diverso effetto di escludere dal mercato
stesso  una categoria di soggetti», vale a dire proprio «le societa',
a   capitale   interamente   pubblico   o   misto,  costituite  dalle
amministrazioni pubbliche regionali e locali», con i requisiti dianzi
riferiti.  L'effetto  di  limitazione della concorrenza sarebbe fatto
palese,  in  particolare,  dalla  previsione  in  base  alla quale le
societa'  di cui s'e' detto non possono svolgere prestazioni a favore
di soggetti diversi dagli enti costituenti, partecipanti o affidanti,
neppure  a seguito dell'espletamento di una gara. Sostiene la Regione
che,  «poiche'  sono  proprio  le procedure di gara ad assicurare per
eccellenza, e anzi ad esaltare la concorrenza tra i diversi operatori
economici  presenti  sul  mercato, l'esclusione della possibilita' di
competere  a  danno di taluno di essi - per giunta, per il mero fatto
di essere costituiti o partecipati non da qualsivoglia ente pubblico,
ma  soltanto  da  enti regionali e locali - determina esattamente una
forma  di  quella  alterazione  e distorsione della concorrenza e del
mercato  che  la  norma  impugnata  manifesta  di voler evitare». Del
resto,  prosegue  la  Regione,  a smentire qualunque relazione fra le
disposizioni  impugnate e presunte attuazioni di obblighi comunitari,
e' sufficiente rilevare come neppure la giurisprudenza comunitaria in
tema  di  in  house providing, particolarmente solerte nella garanzia
della  concorrenza,  abbia  mai  richiesto  che  societa', a capitale
interamente   pubblico   o  misto,  costituite  o  partecipate  dalle
amministrazioni  regionali  e  locali  «per  la  produzione di beni e
servizi strumentali all'attivita' di tali enti» o «per lo svolgimento
di    funzioni    amministrative   di   loro   competenza»,   operino
esclusivamente  con  gli enti costituenti o partecipanti o affidanti.
Ne'  si  comprende,  secondo  la  Regione, come possa ragionevolmente
perseguirsi  la tutela della concorrenza imponendo i riferiti divieti
esclusivamente   alle   societa'   costituite   o  partecipate  dalle
amministrazioni  pubbliche  regionali  e  locali,  senza estendere le
medesime  proibizioni alle analoghe societa' costituite o partecipate
dalle amministrazioni statali.
   Data,  dunque, la palese contraddittorieta' tra il fine che l'art.
13  del  decreto  legge  n. 223 del 2006 si propone di perseguire (la
tutela  della  concorrenza) ed i risultati cui esso approda, la norma
impugnata  viene  ad  incidere sine titulo in un ambito di competenza
normativa  che risulta assegnato alla Regione Valle d'Aosta sia dalle
previsioni di cui all'art. 2, comma 1, lettera a) e b), dello statuto
speciale   (che   rimettono   alla  potesta'  legislativa  regionale,
rispettivamente,  le  materie  «ordinamento degli uffici e degli enti
dipendenti   dalla   Regione  e  stato  giuridico  ed  economico  del
personale»   e  «ordinamento  degli  enti  locali  e  delle  relative
circoscrizioni»),  sia  dal  combinato  disposto  dei commi secondo e
quarto  dell'art.  117  Cost., a norma dei quali spetta alla potesta'
legislativa   statale  soltanto  la  disciplina  dell'«ordinamento  e
organizzazione amministrativa dello Stato».
   6.2.  -  Un  secondo motivo del ricorso assume che le norme recate
dall'art.  13  del  decreto-legge  n. 223  del 2006, come convertito,
violino  i  principi di proporzionalita' e di leale collaborazione e,
ancora,  l'art.  117, secondo e quarto comma, Cost. e l'art. 2, comma
1,  lettere  a)  e  b),  dello  statuto  speciale della Regione Valle
d'Aosta.
   Osserva  la  Regione  che  la legislazione statale, che invada gli
ambiti  di  materia  di  pertinenza  delle  Regioni  fondando  il suo
intervento  sull'esigenza di porre norme in una delle materie - quale
la  tutela  della  concorrenza  -  finalistiche  o  trasversali, deve
comunque  rispettare  requisiti  ineludibili,  ulteriori  rispetto  a
quello della sua razionalita'. Essa, per potersi dire legittima, deve
essere   «giustificata»   e  «proporzionata»  rispetto  all'obiettivo
perseguito  (sentenze n. 214 del 2006, n. 175 del 2005 e nn. 272 e 14
del  2004).  Inoltre, la Corte ha precisato (a partire dalla sentenza
n. 407  del  2002) che l'esercizio della potesta' legislativa statale
in una materia «finalistica» e' subordinato all'esigenza di curare un
interesse «unitario e infrazionabile».
   Secondo  la ricorrente, l'invasione operata dalle norme contestate
risulta  del  tutto sproporzionata rispetto alle modalita' attraverso
cui  viene  perseguita  la  finalita' di tutela della concorrenza. La
normativa  statale  censurata,  infatti,  sacrifica  integralmente la
competenza   regionale  a  legiferare  sulle  societa'  costituite  o
partecipate  dalla  Regione o dagli enti locali, non lasciando alcuno
spazio  per  l'intervento regolativo della Regione. La violazione del
principio   di  proporzionalita'  deriverebbe  anche  da  quella  del
principio  di leale collaborazione: a fronte della compressione della
competenza  normativa  in  ambiti  di  loro  spettanza,  l'intervento
legislativo   statale   non   e'  stato  preceduto  da  meccanismi  e
procedimenti  che  mettessero  le  Regioni  in condizione di svolgere
qualche  forma  di  partecipazione  e  di  offrire il loro contributo
all'elaborazione  della  disciplina  statale.  Cio'  vale tanto piu',
secondo  la  ricorrente,  con  riferimento  alle Regioni ad autonomia
speciale.
   La  Regione  osserva  poi  che,  a fronte del sacrificio integrale
della  competenza  regionale,  tanto  poco era pressante l'«interesse
unitario  e  infrazionabile»  che il legislatore statale ha omesso di
estendere  i divieti previsti nell'art. 13 alle societa' costituite o
partecipate dalle amministrazioni statali. Se davvero si fosse inteso
perseguire  un  interesse  unitario,  secondo la ricorrente, i rigidi
criteri   di   esclusione   avrebbero   dovuto  trovare  applicazione
innanzitutto  nei  confronti  delle societa' in cui sono coinvolte le
amministrazioni  dello  Stato,  dal  momento  che e' proprio lo Stato
l'ente territoriale che rappresenta la massima istanza unitaria.
   7.  -  In  tutti i giudizi si e' costituita, per il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato. Essa
rileva,  preliminarmente, che la legge di conversione n. 248 del 2006
del  d.l.  n. 223  del  2006  ha introdotto una serie di modifiche ad
alcune  disposizioni del decreto impugnate con il primo ricorso della
Regione   Veneto   (retro,   sub  1).  Donde,  con  riguardo  a  tali
disposizioni,  la  configurabilita' di un'ipotesi di inammissibilita'
sopravvenuta o di cessazione della materia del contendere.
   Nel  merito  di tutti i ricorsi, l'Avvocatura generale dello Stato
osserva  che le disposizioni impugnate dalle Regioni sono finalizzate
a  garantire  l'esercizio  della  libera  concorrenza,  talche'  esse
rientrano  nella  competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato in
materia  di  «tutela  della  concorrenza»  (art.  117, comma secondo,
lettera   e,   Cost.).  Inoltre,  la  natura  «trasversale»  di  tale
competenza  comporta  la legittimita' dell'intervento del legislatore
statale  anche  su  ambiti  materiali  astrattamente rientranti nella
competenza legislativa regionale, sia concorrente sia residuale.
   Quanto alla censura delle Regioni circa il carattere puntuale e di
dettaglio  della  disciplina  contenuta  nell'art.  13,  l'Avvocatura
generale  dello  Stato rileva che la disciplina contenuta nella norma
impugnata   attiene   essenzialmente  alla  materia  dell'ordinamento
civile,   pur   essa   rientrante   nella  competenza  esclusiva  del
legislatore  statale  (art.  117,  comma  secondo, lettera l, Cost.),
«siccome  attinente  all'attivita'  negoziale di societa' operanti in
regime  privatistico».  Per  la  stessa ragione, sarebbero infondate,
secondo  l'Avvocatura  generale dello Stato, le censure delle Regioni
in  ordine  alla  disposizione  che prevede la nullita' dei contratti
conclusi in violazione della disciplina recata dall'art. 13.
   Quanto  al  ricorso della Regione siciliana, l'Avvocatura generale
dello  Stato  eccepisce: la genericita' e, quindi, l'inammissibilita'
della   censura   circa   il   mancato   rispetto   dei   criteri  di
proporzionalita'  e  adeguatezza;  la  conformita' delle disposizioni
impugnate  ai principi comunitari in materia di appalti in house e di
aiuti  di  Stato;  l'insussistenza  della violazione della competenza
legislativa  esclusiva della Regione in materia di «ordinamento degli
uffici  e  degli  enti  regionali», nonche' di «servizi di prevalente
interesse  regionale»  (artt.  14,  lettera p, e 17, lettera i, dello
statuto  siciliano);  l'inammissibilita' delle censure attinenti alla
pretesa  violazione  dell'art.  3,  sotto il profilo del principio di
uguaglianza,  e dell'art. 41 Cost., attesa la costante giurisprudenza
della  Corte,  sia  anteriore alla legge costituzionale n. 3 del 2001
(sentenze  nn.  373  e 126 del 1997 e n. 29 del 1995), sia posteriore
(sentenza  n. 274  del  2003), per cui «le Regioni sono legittimate a
denunciare  la  violazione  di  norme costituzionali, non relative al
riparto  di  competenze  con  lo  Stato,  solo quando tale violazione
comporti   un'incisione,   diretta   o  indiretta,  delle  competenze
attribuite  dalla  Costituzione  alle Regioni stesse»; incisione che,
all'evidenza, nel caso di specie non ricorrerebbe affatto.
   Quanto   al   ricorso   della   Regione   Friuli-Venezia   Giulia,
l'Avvocatura  generale  dello  Stato  eccepisce: l'infondatezza delle
censure   fondate   sulla   supposta   violazione   della  competenza
legislativa   regionale,  esclusiva  o  concorrente,  in  materia  di
organizzazione  della  Regione e degli enti locali, di industria e di
commercio;  l'infondatezza  o l'inammissibilita' delle censure che la
Regione  muove alla norma statale con riferimento agli artt. 3, primo
comma,   e   41   Cost.,   nonche'  ai  principi  di  ragionevolezza,
proporzionalita',    tutela    dell'affidamento    e    buona   fede;
l'inammissibilita'  della  censura  relativa  all'art.  13,  comma 3,
secondo periodo, del decreto-legge convertito, poiche' la ricorrente,
nel  ritenere  illegittima  la facolta' delle societa' strumentali di
cedere o scorporare le attivita', fonda la censura sulla mera ipotesi
interpretativa  che tale previsione sia preclusiva della possibilita'
di  cedere  o  scorporare  tali attivita' in favore di altra societa'
regionale  o  locale,  operante  esclusivamente  sul  mercato,  senza
prendere posizione sulla esattezza o meno di tale interpretazione.
   8.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  le Regioni ricorrenti hanno
depositato  memorie  insistendo  sui motivi del ricorso. L'Avvocatura
generale  dello  Stato ha, a sua volta, depositato una memoria unica,
ribadendo le precedenti argomentazioni.
                       Considerato in diritto
   1.   -  La  Regione  Veneto  ha  promosso  numerose  questioni  di
legittimita'  costituzionale  in  via  principale del decreto-legge 4
luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e
sociale,  per  il  contenimento  e  la  razionalizzazione della spesa
pubblica,  nonche'  interventi  in  materia di entrate e di contrasto
all'evasione   fiscale)   e,  tra  queste,  dell'art.  13  del  testo
originario  del  decreto, per violazione degli artt. 3, 97, 114, 117,
118, 119 e 120 della Costituzione.
   Le  Regioni  Veneto,  siciliana,  Friuli-Venezia  Giulia  e  Valle
d'Aosta,  con  quattro  distinti  ricorsi,  hanno  promosso  numerose
questioni  di  legittimita'  costituzionale  in  via  principale  del
decreto-legge  n. 223  del 2006, convertito, con modificazioni, dalla
legge 4 agosto 2006, n. 248 (Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti
per  il  rilancio  economico  e  sociale,  per  il  contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione  fiscale), e, tra queste,
dell'art.  13,  per violazione dei seguenti parametri costituzionali:
art.  3  (tutte  le ricorrenti), art. 41 (Regione siciliana e Regione
Friuli-Venezia  Giulia),  art. 97 (Regione Veneto), art. 114 (Regione
Veneto),  art.  117  (Regione  Veneto, Regione Friuli-Venezia Giulia,
Regione  Valle d'Aosta), art. 118 (Regione Veneto), art. 119 (Regione
Veneto  e  Regione Friuli-Venezia Giulia) e art. 120 (Regione Veneto)
della Costituzione, artt. 14, lettera p), e 17, lettera i), del regio
decreto  legislativo  15  maggio  1946,  n. 455  (Approvazione  dello
Statuto regionale della Regione siciliana) (Regione siciliana), artt.
4,   n. 1,   n. 1-bis   e  n. 6,  8  e  48  e  seguenti  della  legge
costituzionale  31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia) (Regione Friuli-Venezia Giulia), art. 2, primo
comma,  lettere  a) e b), della legge costituzionale 26 gennaio 1948,
n. 4 (Statuto regionale per la Valle d'Aosta) (Valle d'Aosta).
   L'articolo  censurato  impone  alcune  limitazioni  alle  societa'
partecipate  da Regioni ed enti locali per lo svolgimento di funzioni
amministrative o attivita' strumentali alle stesse.
   A  norma del comma 1, al fine di evitare alterazioni o distorsioni
della  concorrenza  e  del  mercato  e di assicurare la parita' degli
operatori,  le  societa'  a  capitale  interamente pubblico o misto -
costituite  dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la
produzione  di beni e servizi strumentali all'attivita' di tali enti,
nonche',   nei  casi  consentiti  dalla  legge,  per  lo  svolgimento
esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza - devono
operare  esclusivamente  con  gli  enti costituenti ed affidanti, non
possono  svolgere  prestazioni  a favore di altri soggetti pubblici o
privati,  ne'  in  affidamento  diretto  ne'  con gara, e non possono
partecipare ad altre societa' o enti.
   A  norma del comma 2, le predette societa' sono ad oggetto sociale
esclusivo  e  non  possono agire in violazione delle regole di cui al
comma 1.
   Il  comma  3  detta  una disciplina transitoria, per la cessazione
delle attivita' non consentite.
   Il  comma  4  dispone  per  i contratti conclusi dopo l'entrata in
vigore  del  decreto-legge,  prevedendo  la  nullita'  dei  contratti
conclusi in violazione dei commi 1 e 2.
   2.  -  Riservata  a  separate  pronunce  la  decisione sulle altre
disposizioni  contenute  nel  decreto-legge  n. 223 del 2006, sia nel
testo  originario  sia in quello risultante dalle modifiche apportate
in sede di conversione dalla legge n. 246 del 2006, vengono all'esame
della presente pronuncia le questioni relative all'art. 13.
   3.  -  I  ricorsi pongono questioni analoghe; deve, quindi, essere
disposta  la riunione dei relativi giudizi ai fini di una trattazione
unitaria e di un'unica decisione.
   4.  -  Non sono ammissibili le questioni sollevate con riferimento
agli  artt.  114,  118,  119  e  120 Cost., perche' non autonomamente
argomentate, quindi generiche.
   5.  -  Non  sono  ammissibili  neanche  le questioni sollevate con
riferimento   ai  soli  artt.  3  e  41  Cost.  Secondo  la  costante
giurisprudenza   di   questa   Corte,  anche  successiva  alla  legge
costituzionale  18  ottobre  2001,  n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte  seconda  della  Costituzione), non sono ammissibili le censure
prospettate dalle Regioni rispetto a parametri costituzionali diversi
dalle  norme  che  operano  il  riparto  di  competenze con lo Stato,
qualora queste non si risolvano in lesioni delle competenze regionali
stabilite  dalla  Costituzione  (sentenze  n. 190  del  2008  e,  con
particolare riferimento all'art. 41 Cost., n. 272 del 2005).
   6.  -  Le  censure  sollevate  dalla Regione Veneto con il ricorso
n. 96  del  2006, proposto prima della conversione del decreto-legge,
devono  intendersi assorbite in quelle, di identico tenore, sollevate
con il ricorso n. 103 del 2006.
   7.  - Successivamente alla proposizione dei ricorsi, i commi 3 e 4
dell'articolo impugnato sono stati modificati dall'art. 1, comma 720,
della  legge  27  dicembre  2006,  n. 296. Le relative modifiche, pur
incidendo  sui  termini  di  alcune  delle  censure  formulate  dalle
ricorrenti,  non sono tali da determinare la cessazione della materia
del contendere.
   8.  - Le ulteriori questioni, sollevate dalle Regioni in ordine ad
altri parametri costituzionali, non sono fondate.
   8.1.  -  Dette  questioni  riguardano  la  lesione, da parte delle
disposizioni  impugnate,  della  potesta'  legislativa  regionale  in
materia di organizzazione degli uffici regionali e degli enti locali,
fondata  sull'art.  117  Cost.  e,  per  quanto  riguarda  le Regioni
siciliana,  Friuli-Venezia  Giulia e Valle d'Aosta, sulle norme degli
statuti  speciali  (artt.  14, lettera p) e 17, lettera i), del regio
decreto  legislativo n. 455 del 1946; artt. 4, n. 1, n. 1-bis e n. 6,
8  e 48 e seguenti, della legge costituzionale n. 1 del 1963; art. 2,
comma 1, lettere a) e b), della legge costituzionale n. 4 del 1948).
   Il  parametro  costituzionale  e  le  norme statutarie comprendono
l'organizzazione  dei servizi regionali e i rapporti tra le Regioni e
le  societa',  attraverso le quali le Regioni stesse svolgono le loro
funzioni.  A  norma  dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001,   le   disposizioni  della  stessa  legge  costituzionale,  che
prevedono  forme  di  autonomia  piu'  ampie  rispetto  a quelle gia'
attribuite,  si applicano anche alle Regioni a statuto speciale. Ora,
mentre  la potesta' legislativa regionale disciplinata dall'art. 117,
quarto  comma,  e'  sottoposta solo ai limiti dettati dal primo comma
dello  stesso  articolo,  la  potesta'  legislativa  delle  Regioni a
statuto   speciale   in  materia  di  organizzazione  delle  societa'
dipendenti,  esercenti  l'industria o i servizi, deve sottostare agli
ulteriori  e  piu'  severi limiti derivanti dagli artt. 14 e 17 dello
statuto  della  Regione siciliana (rispettivamente, riforme agrarie e
industriali  deliberate  dalla  Costituente  e  principi  e interessi
generali  cui  si  informa  la legislazione dello Stato), dall'art. 4
dello  statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia (principi generali
dell'ordinamento giuridico della Repubblica, norme fondamentali delle
riforme economico-sociali, interessi nazionali e delle altre regioni)
e  dall'art.  2  dello  statuto della Regione Valle d'Aosta (principi
dell'ordinamento  giuridico  della  Repubblica,  interessi nazionali,
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica).
   Di  conseguenza,  si  puo' fare esclusivo riferimento all'art. 117
Cost.,  in  quanto la potesta' legislativa da esso conferita assicura
una  autonomia  piu' ampia di quella prevista dagli statuti speciali.
La questione puo' dunque essere affrontata in termini unitari.
   8.2.  -  Va  premesso  che  non e' idonea a escludere un'eventuale
lesione  della potesta' legislativa regionale la previsione contenuta
nell'art.  1,  comma  1-bis,  del  decreto-legge n. 223, in base alla
quale  «le  disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle
regioni  a  statuto  speciale e alle province autonome di Trento e di
Bolzano in conformita' agli statuti speciali e alle relative norme di
attuazione».  Secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  simili
clausole,  formulate  in  termini  generici,  non  hanno l'effetto di
escludere  una lesione della potesta' legislativa regionale (sentenze
nn. 165 e 162 del 2007 e nn. 234, 118 e 88 del 2006).
   8.3.  - Le disposizioni impugnate definiscono il proprio ambito di
applicazione  non  secondo  il  titolo  giuridico in base al quale le
societa'  operano,  ma  in  relazione  all'oggetto  sociale di queste
ultime.   Tali   disposizioni  sono  fondate  sulla  distinzione  tra
attivita'  amministrativa in forma privatistica e attivita' d'impresa
di  enti  pubblici.  L'una e l'altra possono essere svolte attraverso
societa'  di  capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse.
Nel  primo  caso  vi  e' attivita' amministrativa, di natura finale o
strumentale,  posta in essere da societa' di capitali che operano per
conto  di  una  pubblica  amministrazione.  Nel  secondo  caso, vi e'
erogazione  di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in
regime di concorrenza.
   Le  disposizioni  impugnate  mirano  a  separare  le  due sfere di
attivita'   per   evitare  che  un  soggetto,  che  svolge  attivita'
amministrativa,  eserciti  allo  stesso  tempo  attivita'  d'impresa,
beneficiando  dei  privilegi  dei  quali  esso  puo' godere in quanto
pubblica  amministrazione.  Non e' negata ne' limitata la liberta' di
iniziativa  economica  degli enti territoriali, ma e' imposto loro di
esercitarla  distintamente  dalle  proprie  funzioni  amministrative,
rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha
reputato distorsiva della concorrenza.
   Cio'  premesso,  occorre  valutare sia l'oggetto della disciplina,
sia la sua finalita'.
   8.4.  -  Dal  primo  punto  di  vista,  le  disposizioni  in esame
riguardano  l'attivita' di societa' partecipate dalle Regioni e dagli
enti locali. Si tratta di un oggetto che puo' rientrare nella materia
dell'organizzazione   amministrativa,   di   competenza   legislativa
regionale,  o, al pari delle previsioni in materia di contratti, pure
contenute  nell'articolo  impugnato,  nella materia dell'«ordinamento
civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
   L'ambito  di  tale  ultima  materia  e'  stato precisato da questa
Corte.  Essa  ha  affermato  che  la potesta' legislativa dello Stato
comprende   gli   aspetti   che   ineriscono  a  rapporti  di  natura
privatistica,  per  i  quali  sussista  un'esigenza  di uniformita' a
livello  nazionale; che essa non e' esclusa dalla presenza di aspetti
di  specialita'  rispetto  alle  previsioni  codicistiche;  che  essa
comprende  la disciplina delle persone giuridiche di diritto privato;
che  in  essa  sono  inclusi  istituti  caratterizzati da elementi di
matrice   pubblicistica,   ma   che  conservano  natura  privatistica
(sentenze  nn.  159 e 51 del 2008, nn. 438 e 401 del 2007 e n. 29 del
2006).
   La    disciplina    censurata    non    rientra    nella   materia
dell'organizzazione  amministrativa perche' non e' rivolta a regolare
una forma di svolgimento dell'attivita' amministrativa. Essa rientra,
invece,  nella materia - definita prevalentemente in base all'oggetto
-  «ordinamento  civile», perche' mira a definire il regime giuridico
di soggetti di diritto privato e a tracciare il confine tra attivita'
amministrativa e attivita' di persone giuridiche private.
   8.5. - Dal secondo punto di vista, le disposizioni impugnate hanno
il dichiarato scopo di tutelare la concorrenza.
   Questa Corte ha cosi' delimitato la «tutela della concorrenza»: la
titolarita'  della  relativa potesta' legislativa consente allo Stato
di  adottare  misure  di  garanzia  del  mantenimento di mercati gia'
concorrenziali  e  misure  di  liberalizzazione  dei  mercati stessi;
queste  misure  possono anche essere volte a evitare che un operatore
estenda la propria posizione dominante in altri mercati; l'intervento
statale  puo' consistere nell'emanazione di una disciplina analitica,
la   quale  puo'  influire  su  materie  attribuite  alla  competenza
legislativa  delle  Regioni; spetta alla Corte effettuare un rigoroso
scrutinio  delle  relative  norme  statali,  volto  ad  accertare  se
l'intervento normativo sia coerente con i principi della concorrenza,
e se esso sia proporzionato rispetto a questo fine (sentenze nn. 63 e
51 del 2008 e nn. 421, 401, 303 e 38 del 2007).
   L'obiettivo  delle disposizioni impugnate e' quello di evitare che
soggetti  dotati  di  privilegi  operino  in  mercati concorrenziali.
Dunque,  la  disciplina  delle  societa'  con partecipazione pubblica
dettata dalla norma statale e' rivolta ad impedire che dette societa'
costituiscano fattori di distorsione della concorrenza. Essa rientra,
quindi,  nella  materia  - definita prevalentemente in base al fine -
della «tutela della concorrenza».
   8.6.  -  Si  puo'  riassuntivamente  affermare che le disposizioni
impugnate sono riconducibili alla competenza legislativa esclusiva in
materia  di  ordinamento civile, in quanto volte a definire i confini
tra l'attivita' amministrativa e l'attivita' d'impresa, soggetta alle
regole  del  mercato,  e  alla  competenza  legislativa  esclusiva in
materia  di  tutela  della  concorrenza,  in quanto volte a eliminare
distorsioni della concorrenza stessa.
   8.7.  - Ai fini della riconducibilita' della disciplina contestata
alla  tutela  della concorrenza, resta da valutare, indipendentemente
da  valutazioni  di  merito sul suo contenuto, la proporzionalita' di
tale  disciplina  e,  quindi, la sua idoneita' a perseguire finalita'
inerenti  alla  tutela  della concorrenza (sentenze nn. 452 e 401 del
2007).  Questo  scrutinio  va  operato  distintamente  per  le  varie
previsioni dell'articolo impugnato.
   Vengono  in considerazione, in primo luogo, quelle che impediscono
alle societa' in questione di operare per soggetti diversi dagli enti
territoriali  soci  o  affidanti,  imponendo di fatto una separazione
societaria,  e  obbligandole  ad  avere un oggetto sociale esclusivo.
Esse mirano ad assicurare la parita' nella competizione, che potrebbe
essere  alterata dall'accesso di soggetti con posizioni di privilegio
in  determinati  mercati. Da questo punto di vista, esse non appaiono
irragionevoli, ne' sproporzionate rispetto alle esigenze indicate.
   Va   valutato,   in   secondo   luogo,   il  divieto  di  detenere
partecipazioni  in  altre  societa'  o  enti.  Esso  e' complementare
rispetto  alle  altre  disposizioni considerate. E' volto, infatti, a
evitare   che  le  societa'  in  questione  svolgano  indirettamente,
attraverso  proprie partecipazioni o articolazioni, le attivita' loro
precluse.  La  disposizione  impugnata  vieta  loro  non  di detenere
qualsiasi  partecipazione  o  di aderire a qualsiasi ente, ma solo di
detenere  partecipazioni  in  societa'  o enti che operino in settori
preclusi  alle  societa'  stesse.  Intesa in questi termini, la norma
appare proporzionata rispetto al fine di tutela della concorrenza.
   Infine,  le  ulteriori  disposizioni,  che  dettano una disciplina
transitoria   e   dispongono   in   ordine   ai   contratti  conclusi
successivamente    all'entrata    in    vigore   del   decreto-legge,
costituiscono   sanzione  e  complemento  delle  disposizioni  finora
considerate  e,  a loro volta, regolano non irragionevolmente la fase
di   adeguamento  alla  nuova  disciplina  da  parte  delle  societa'
destinatarie di essa.