Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 2,
della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   della   sentenza  di
proscioglimento),  promosso  con  ordinanza  del  20  aprile 2006 del
Tribunale  di  Perugia  nel  procedimento  penale  a carico di A. G.,
iscritta  al  n. 667  del  registro ordinanze 2006 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della   Repubblica  n. 3, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2007.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 25 giugno 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che,  con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
di  Perugia  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo
comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 10, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche
al  codice  di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle
sentenze  di  proscioglimento),  nella  parte  in cui prevede che sia
dichiarato  inammissibile  l'appello proposto dal pubblico ministero,
prima  dell'entrata  in  vigore  della  medesima  legge,  avverso  la
sentenza  di  proscioglimento del giudice di pace, anche «nel caso in
cui,  a seguito della rinnovazione del dibattimento disposta prima di
tale  entrata  in  vigore,  sia  stata acquisita o comunque scoperta,
cosi' da poter essere acquisita, una prova nuova e decisiva»;
     che il giudice a quo premette di essere investito degli appelli,
proposti  dal  pubblico  ministero  e  dalla parte civile, avverso la
sentenza  di  assoluzione pronunciata dal Giudice di pace di Perugia,
nei confronti di una persona imputata del reato di diffamazione;
     che,   in   accoglimento  della  richiesta  della  parte  civile
appellante,    era    stata   disposta   la   parziale   rinnovazione
dell'istruttoria   dibattimentale,  nel  corso  della  quale  si  era
proceduto  al  nuovo  esame di due testi gia' escussi in primo grado;
esame  al cui esito era stata ordinata l'acquisizione di un documento
e  la citazione di un ulteriore testimone, mai sentito in precedenza,
indicato   da  uno  testi  suddetti  come  persona  «presumibilmente»
presente in occasione del fatto oggetto di giudizio;
     che,  nelle  more del giudizio e prima dell'escussione del nuovo
teste,  era  entrata in vigore la legge n. 46 del 2006, il cui art. 1
ha  sostituito l'art. 593 del codice di procedura penale, precludendo
l'appello   del   pubblico   ministero   avverso   le   sentenze   di
proscioglimento,  con  la  sola  eccezione prevista dal comma 2 dello
stesso art. 593: quella, cioe', della sopravvenienza o della scoperta
di nuove prove decisive dopo il giudizio di primo grado;
     che,  inoltre, con specifico riferimento al procedimento davanti
al giudice di pace, l'art. 9 della legge n. 46 del 2006 ha modificato
l'art.   36   del   decreto   legislativo   28  agosto  2000,  n. 274
(Disposizioni  sulla  competenza  penale del giudice di pace, a norma
dell'articolo  14  della legge 24 novembre 1999, n. 468), sopprimendo
la  facolta',  gia'  accordata  al  pubblico  ministero,  di proporre
appello  avverso  le sentenze di proscioglimento per reati puniti con
pena alternativa;
     che l'art. 10 della legge di riforma ha stabilito, altresi', che
la  nuova  disciplina si applichi anche ai procedimenti in corso alla
data  della  sua  entrata in vigore; ed ha previsto, nel comma 2, che
gli   appelli   anteriormente   proposti  dal  pubblico  ministero  o
dall'imputato   siano  dichiarati  inammissibili  con  ordinanza  non
impugnabile,  salva  la  facolta'  della parte appellante di proporre
ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado, nel termine
di   quarantacinque   giorni  dalla  notifica  del  provvedimento  di
inammissibilita';
     che,  ad  avviso  del  rimettente - stando al «tenore letterale»
della  norma  ora  ricordata -  la  dichiarazione di inammissibilita'
degli  appelli  pendenti  dovrebbe  aver luogo in tutti i casi, senza
alcuna eccezione; e, tuttavia, detta declaratoria sarebbe palesemente
irrazionale   con  riferimento  a  quegli  appelli  che  risultassero
ammissibili in base alla normativa «a regime»;
     che si imporrebbe, pertanto, una interpretazione «adeguatrice» -
gia'  prospettata,  del  resto, in dottrina e nella giurisprudenza di
merito -  la  quale faccia salvi gli appelli, anteriormente proposti,
con i quali sia stata dedotta una prova nuova e decisiva;
     che,  ove  si  acceda  a  tale  interpretazione,  non vi sarebbe
ragione  per  trattare  diversamente  il  caso in cui, nella fase del
giudizio di appello svoltasi prima dell'entrata in vigore della nuova
legge,  sia  stata gia' raccolta o comunque individuata, a seguito di
rinnovazione  del  dibattimento,  una prova nuova che appaia altresi'
decisiva;
     che,  ad  avviso del giudice a quo, l'ipotesi da ultimo indicata
non  potrebbe  tuttavia  trovare  soluzione sul piano interpretativo,
poiche'  «il  parametro  non e' costituito in questo caso dal profilo
strutturale  dell'appello in precedenza proposto, profilo strutturale
che   [...]  non  potrebbe  giustificare  un  trattamento  diverso  e
deteriore»;
     che,  a fronte di cio', la norma transitoria di cui all'art. 10,
comma  2, della legge n. 46 del 2006 - nella parte cui stabilisce che
l'appello    sia    dichiarato   inammissibile   anche   nell'ipotesi
considerata -  si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., essendosi
al  cospetto  di  una  situazione  identica, nella sostanza, a quella
dell'appello  con  il  quale si deduca direttamente una prova nuova e
decisiva;
     che,  anche  in  relazione al principio della ragionevole durata
del   processo,   sancito   dall'art.   111,  secondo  comma,  Cost.,
risulterebbe   dunque   irrazionale  che  nella  predetta  situazione
l'appello  non  debba  seguire il suo corso: e cio' tanto piu' ove si
consideri  che, stando al disposto dell'art. 10 della legge n. 46 del
2006,  il  pubblico  ministero non potrebbe neppure proporre un nuovo
appello,  con  il  quale  far  valere  la  nuova  prova  conosciuta o
acquisita,  essendogli  consentito  solo  il  ricorso per cassazione;
donde  la  perdita, da parte dell'organo dell'accusa, di una facolta'
che pure gli compete nella disciplina «a regime»;
     che,  d'altro  canto -  anche a prescindere dal confronto con la
normativa  «a  regime» -  nell'ipotesi  de  qua  la  rinnovazione del
dibattimento,  seguita  dalla concreta assunzione di prove o comunque
dalla   verifica   dell'esistenza  di  nuove  prove  da  raccogliere,
risulterebbe  inutilmente  effettuata:  con  conseguente  irrazionale
dispersione   di   materiale   probatorio  legittimamente  assunto  o
acquisibile,   sulla   base  di  un  atto  di  appello  a  sua  volta
legittimamente proposto;
     che  le  disarmonie  dianzi evidenziate assumerebbero, peraltro,
una particolare connotazione allorche' si discuta - come nel giudizio
a  quo - dell'appello contro una sentenza del giudice di pace: e cio'
avuto  riguardo  al  ricordato disposto dell'art. 9 della legge n. 46
del  2006,  che, modificando l'art. 36 del d.lgs. n. 274 del 2000, ha
privato  il pubblico ministero della facolta - di cui precedentemente
fruiva - di appellare le sentenze di proscioglimento per reati puniti
con pena alternativa;
     che -  costituendo  il citato art. 36 lex specialis, prevalente,
come  tale,  sulla disciplina generale di cui all'art. 593 cod. proc.
pen. -  non  sarebbe  possibile, difatti, «recuperare automaticamente
sul  piano  interpretativo»  la  previsione  di  cui al comma 2 dello
stesso  art.  593,  che ammette l'appello allorche' venga dedotta una
prova nuova e decisiva;
     che la scelta legislativa di «modulare diversamente» i poteri di
appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento
del  giudice  di pace sarebbe comprensibile, in effetti, con riguardo
alla   disciplina   «a  regime»;  ma,  in  rapporto  alla  disciplina
transitoria,  apparirebbe  irragionevole  che, a fronte di un appello
originariamente   ammissibile,   si   escluda   la   possibilita'  di
valorizzare  i  risultati probatori gia' acquisiti prima dell'entrata
in   vigore   della   riforma   nell'ambito  della  rinnovazione  del
dibattimento: e cio' anche quando, per tale via, sia stata raccolta o
individuata una nuova prova decisiva;
     che,   su   tale   versante,   la  norma  transitoria  impugnata
risulterebbe  dunque  «censurabile ex se», e non solo «nei limiti del
suo  confronto» con l'art. 593 cod. proc. pen., norma non applicabile
alle sentenze di proscioglimento del giudice di pace;
     che  con  riguardo,  infine,  alla rilevanza della questione, il
giudice a quo osserva che l'ulteriore testimone - del quale, nel caso
di specie, e' stata disposta l'escussione in sede di rinnovazione del
dibattimento,   prima   dell'entrata   in   vigore   della  novella -
costituisce una nuova fonte di prova, la cui scoperta e' sopravvenuta
alla  conclusione  del  giudizio  di primo grado; e che tale fonte di
prova e', al tempo stesso, idonea a fornire un contributo decisivo ai
fini  dell'accertamento della sussistenza o meno del reato per cui si
procede.
   Considerato  che il Tribunale di Perugia dubita della legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 111, secondo comma,
della  Costituzione,  dell'art.  10, comma 2, della legge 20 febbraio
2006,  n. 46  (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), nella parte in
cui  prevede  che  l'appello  proposto  dal pubblico ministero, prima
dell'entrata  in  vigore della medesima legge, contro una sentenza di
proscioglimento  del  giudice di pace, venga dichiarato inammissibile
anche «nel caso in cui, a seguito della rinnovazione del dibattimento
disposta  prima  di  tale  entrata  in  vigore, sia stata acquisita o
comunque scoperta, cosi' da poter essere acquisita, una prova nuova e
decisiva»;
     che,   nel   formulare   il  quesito  di  costituzionalita',  il
rimettente   muove   dal  presupposto  interpretativo  per  cui,  nel
procedimento  davanti  al giudice di pace, non sarebbe applicabile la
previsione  di cui all'art. 593, comma 2, codice di procedura penale,
come  sostituito dall'art. 1 della legge n. 46 del 2006, che consente
al pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento nel
caso  di sopravvenienza o di scoperta di nuove prove decisive dopo il
giudizio  di  primo  grado:  e  cio'  in  quanto, nel procedimento in
questione,  l'appello  del  pubblico  ministero risulta autonomamente
regolato  dalla  norma  speciale -  e, come tale, prevalente - di cui
all'art.  36  del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274; norma che, nel testo
novellato  dall'art. 9 della legge di riforma, esclude in assoluto la
proponibilita' del gravame;
     che,   alla   stregua   di  tale  non  implausibile  presupposto
interpretativo  -  che implicherebbe un assetto normativo considerato
dallo  stesso giudice a quo non irragionevole, quanto alla disciplina
«a   regime» -   il   dubbio  di  costituzionalita',  prospettato  in
riferimento  alla disciplina transitoria, si palesa peraltro privo di
consistenza;
     che,  per  costante  orientamento  di  questa Corte, difatti, il
legislatore  gode di ampia discrezionalita' nel regolare gli effetti,
nei  processi  in  corso,  di  nuovi  istituti  o delle modificazioni
apportate   ad  istituti  gia'  esistenti:  discrezionalita'  il  cui
esercizio   non   e'   suscettibile  di  sindacato  sul  piano  della
legittimita'   costituzionale,   col   solo  limite  della  manifesta
irragionevolezza  delle  soluzioni  adottate  (ex  plurimis, sentenze
n. 219 del 2004 e n. 381 del 2001; ordinanza n. 455 del 2006);
     che,  nella  specie,  la  scelta  legislativa sottesa alla norma
transitoria  censurata,  nella  parte  sottoposta  a  scrutinio  - la
scelta,  cioe',  di  impedire  la  prosecuzione degli appelli (contro
sentenze  di  proscioglimento  emesse dal giudice di pace) introdotti
prima  dell'entrata  in vigore della riforma, anche quando fosse gia'
stata  acquisita  o «individuata» una nuova prova decisiva, a seguito
di  rinnovazione del dibattimento - non puo' reputarsi manifestamente
irragionevole:  essa  trova giustificazione, infatti, nell'intento di
evitare  che,  nei  processi in corso, l'imputato, gia' prosciolto in
primo  grado,  possa  essere condannato a seguito di un appello che -
alla  luce  della  premessa  interpretativa  dello  stesso  Tribunale
rimettente -   risulterebbe   comunque  inammissibile  in  base  alla
disciplina «a regime»;
     che   del  tutto  insussistente  appare,  per  altro  verso,  il
denunciato  vulnus  al  principio  di ragionevole durata del processo
(art.  111,  secondo  comma,  Cost.): a prescindere, infatti, da ogni
altra    possibile    considerazione,    riguardo    al    necessario
contemperamento  di  tale  principio  con  il  complesso  delle altre
garanzie  costituzionali  (ex  plurimis,  con  riferimento  ad  altre
questioni  di  costituzionalita' concernenti la legge n. 46 del 2006,
sentenze  n. 26  e  n. 320  del  2007),  deve escludersi che la norma
transitoria   censurata   -   con   l'imporre   la   declaratoria  di
inammissibilita'    degli   appelli   in   corso,   indipendentemente
dall'attivita'  gia'  espletata  -  determini,  in  via  generale, un
allungamento dei tempi necessari per la definizione del procedimento;
     che   la   questione  va  dichiarata,  pertanto,  manifestamente
infondata.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale