LA CORTE DI APPELLO
   Ha  pronunziato la seguente ordinanza nella causa di secondo grado
vertente  tra  Pepe  Mario  (rappr.  e dif. dagli avv. Prof. Giuseppe
Abbamonte  e  Lorenzo Lentini, presso lo studio del secondo dei quali
elettivamente  domicilia  in  Salerno,  corso  Garibaldi  n. 103, per
mandato  a margine dell'atto di appello) e Costantino Giovanni, Lizzi
Silvia,  Di Poto Giuseppe e Muccio Carmine (tutti rappr. e dif. anche
disgiuntamente  dagli avv. Franco Morena e Antonio Scuderi, presso lo
studio  del  secondo  dei quali elettivamente domiciliano in Salerno,
via Velia n. 96, per mandato a margine del controricorso), nonche' il
Comune  di  Postiglione  ed  il  pubblico  ministero,  in persona del
Procuratore  della  Repubblica  presso  il Tribunale di Salerno e del
Procuratore  generale  della Repubblica presso la Corte di appello di
Salerno;
   Letti  gli  atti  ed  all'esito  della  discussione  svoltasi alla
pubblica  udienza del 20 dicembre 2007, osserva quanto segue in fatto
e in diritto.
                           I n  f a t t o
   1. - Con ricorso depositato il 27 giugno 2007 Costantino Giovanni,
Lizzi  Silvia,  Di  Poto  Giuseppe e Muccio Carmine, premessa la loro
qualita'  di  cittadini  elettori  del  Comune di Postiglione, eletti
consiglieri   comunali   all'esito   delle  precedenti  consultazioni
elettorali  amministrative del 27 e 28 maggio 2007 ed a seguito della
deliberazione  consiliare  13  giugno 2007 di convalida degli eletti,
chiedevano al Tribunale di Salerno di dichiarare l'ineleggibilita' di
Pepe   Mario  alla  carica  di  sindaco  e  comunque  all'ufficio  di
consigliere  comunale di Postiglione, ai sensi dell'art. 60, comma 1,
n. 9),  decreto  legislativo  18  agosto 2000, n. 267, in quanto egli
rivestiva, gia' alla data di presentazione delle liste dei candidati,
il  ruolo  di  direttore  sanitario  della  casa  di cura «Campolongo
Hospital  S.p.a.»,  struttura  privata  accreditata  per il S.S.N. e,
siccome  ubicata  nel  territorio del Comune di  Eboli, ricadente nel
territorio  della  stessa ASL Salerno 2, nel quale, era compreso pure
il Comune di Postiglione.
   Fissata l'udienza di discussione della causa per il 2 ottobre 2007
con  decreto  presidenziale  13  luglio  2007 e notificato il ricorso
unitamente  a  quest'ultimo  in  data  1°  agosto  2007 al Pepe ed al
comune,  era quindi depositata in cancelleria, in data 7 agosto 2007,
la   copia   notificata   dell'uno   e  dell'altro,  unitamente  alla
documentazione a sostegno della domanda.
   Dal canto suo, costituendosi con controricorso depositato - con la
relativa  documentazione -  il  19  settembre 2007, il Pepe eccepiva,
ampiamente  argomentando  sul  punto, l'illegittimita' costituzionale
della  norma  invocata  ex adverso per violazione dell'art. 3 Cost. e
concludeva per il rigetto del ricorso.
   All'esito della discussione, il tribunale definiva la controversia
dando  lettura  del  dispositivo  alla pubblica udienza del 2 ottobre
2007  e, quindi, pronunciando la sentenza n. 2255/2007, depositata il
giorno   successivo,   con   cui   la   questione   di   legittimita'
costituzionale   era   ritenuta   manifestamente   infondata   e,  di
conseguenza,  accolto  il ricorso con dichiarazione di decadenza, per
ineleggibilita',  del  Pepe  dalle  cariche di sindaco' e consigliere
comunale del Comune di Postiglione e con compensazione delle spese di
lite.
   In  particolare,  i  primi  giudici,  rilevata  in capo al Pepe la
qualita'  di  direttore  sanitario  della  casa di cura convenzionata
suddetta,  aderivano all'indirizzo interpretativo espresso da Cass. 4
marzo   2003,   n. 3155,  affermando  la  natura  dirigenziale  della
qualifica  di  direttore  sanitario  di  casa  di  cura  (secondo  la
definizione  di  cui  agli  articoli  43 e 44 della legge 23 dicembre
1978,  n. 833,  richiamati dall'art. 60, comma 4, decreto legislativo
n. 267/2000), in base agli articoli 20 ss. del decreto del Presidente
del  Consiglio  dei ministri 27 giugno 1986 e, segnatamente, dei suoi
articoli 26 e 27, che compiutamente esaminavano.
   A tal riguardo, il tribunale osservava come il direttore sanitario
di   una  struttura  sanitaria  svolgesse  un'attivita'  continuativa
integrativa  e  sostitutiva di quella dell'imprenditore, connotata da
una  alta  specializzazione  ed  ampia  discrezionalita'  di poteri e
facolta'  di  iniziativa,  per  quanto  nei  limiti  delle  direttive
generali della proprieta'; rimarcava come egli in concreto espletasse
complesse  attivita'  di  promozione,  coordinamento,  supervisione e
gestione,   che   richiedevano   profonda   conoscenza  della  stessa
organizzazione   aziendale   e  coinvolgevano  la  allocazione  delle
risorse,  sia umane che tecnico-strumentali, nonche' la direzione dei
servizi   sanitari   ai   fini  organizzativi  ed  igienico-sanitari,
esercitando  tutti  i poteri e doveri di vigilanza ed organizzazione,
tecnico-sanitaria.
   Era  quindi posta in luce la pacifica qualificazione del direttore
sanitario  nella  categoria  dei  dirigenti,  non  solo  in base alle
previsioni  del  decreto  legislativo n. 502/1992, tanto da risultare
anteposto  -  ex  art. 7 del codice civile N.L. - a tutte le altre in
funzione  della  qualita' e quantita' delle mansioni riconosciutegli.
con  il  ricordato  decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
del  1986,  ma anche in forza della legislazione di numerose regioni.
Era poi affermata l'irrilevanza delle mansioni effettivamente svolte,
essendo   sufficiente   l'attribuzione  formale  della  qualifica  di
dirigente,  con  conseguente  irrilevanza  delle  istanze istruttorie
formulate  dal  Pepe  estendenti a dimostrare che la sua attivita' si
esaurisse    in    compiti    di    mera    organizzazione    interna
tecnico-sanitaria:  e  tanto  perche' la previsione legislativa delle
cause  di  ineleggibilita' prescindeva dalle peculiarita' concrete di
limitazione  del  normale  e fisiologico ambito dei poteri - e quindi
delle possibilita' di influire sulla liberta' di determinazione degli
elettori - di una categoria di soggetti.
   Di conseguenza, il tribunale, una volta ricordato che, benche' con
riferimento alla precedente previsione dell'art. 2, n. 9) della legge
n. 154/1981,  l'ineleggibilita'  era  stata  comminata anche a coloro
che'  svolgessero  di  fatto  le  funzioni dirigenziali, aderiva alla
prospettazione  della richiamata Cass. 3155/2003 anche in ordine alla
valutazione  della  ratio dell'ineleggibilita' comminata ai dirigenti
delle strutture convenzionate, da ricercarsi nella salvaguardia della
par  condicio  tra tutti i concorrenti alla gara elettorale, mediante
l'impedimento,  ad  alcuni  soggetti  formalmente  investiti  di  una
posizione  funzionale apicale oppure anche solo esercenti la medesima
in  via di fatto, di sfruttare a fini elettorali la loro capacita' di
adottare   decisioni  intrinsecamente  idonee  a  sollecitare  scelte
altrimenti  non volute dall'elettore: del resto, gia' Cass. 15 giugno
2000, n. 8178, aveva evidenziato che la sanzione dell'ineleggibilita'
si  fondava  sul  sospetto  di  inquinamento  della pubblica funzione
derivante  dal  potenziale  conflitto di interesse tra amministratore
dell'ente   locale  e  professionista  operante  nell'ambito  di  una
struttura   privata   convenzionata.   Il   tribunale  ricordava  poi
l'evoluzione  normativa  in  tema  di ineleggibilita' delle figure di
vertice  delle Unita' Sanitarie Locali - prima ex art. 2, n. 9, legge
n. 154/1981  e  poi  ex  art.  3,  comma  9,  d.lgs.  n. 502/1992 - e
ricostruiva  la  persistenza,  anche  dopo  la  riforma  del 1992, di
significativi  poteri  gestori  dei  sindaci dei comuni nei confronti
delle  unita',  e  poi,  delle  aziende sanitarie locali operanti sui
territori  dei  rispettivi  comuni  sotto  forma di definizione delle
linee  di indirizzo per l'impostazione programmatica delle attivita',
di   esame   dei   bilanci,   di   verifica  dell'andamento  generale
dell'attivita',    di   contributo   alla   definizione   dei   piani
programmatici,  di parere sulla verifica dei risultati conseguiti, di
proposta  o  parere  per  la  decadenza  o  la  revoca  del direttore
generale,  di  nomina  di  uno  dei membri del collegio sindacale. Ne
conseguiva,  ad  avviso del tribunale, la persistenza di un conflitto
di   interesse   idoneo   ad   essere   sanzionato   con   l'espressa
ineleggibilita',  del  resto in modo conforme alla delega legislativa
conferita  con  l'art.  31, comma 3, lettera e), della legge 3 agosto
1999, n. 265.
   Infine,    i    primi    giudici    escludevano    la    lamentata
incostituzionalita' dell'art. 60, comma 1, n. 9), decreto legislativo
n. 267/2000   in   riferimento   all'art.   3   Cost.   con  riguardo
all'illegittima equiparazione tra le posizioni di direttore sanitario
dell'ASL  e  di direttore sanitario di case di cura private, sotto il
profilo  della  carenza,  in  capo  al  secondo,  di qualsiasi potere
direttivo  dell'impresa:  e  tanto  perche'  i  poteri  del direttore
sanitario  della  casa di cura privata non si limitavano a compiti di
direzione tecnica di servizi, ma si estendevano, in concreto, anche e
proprio    alla    gestione    dell'azienda,    si'   da   collocarlo
istituzionalmente  in  una  posizione di interferenza o di potenziale
conflitto con le funzioni di sindaco del comune.
   2. - Avverso tale sentenza proponeva peraltro appello il Pepe, con
ricorso  depositato  nella  cancelleria di questa Corte il 29 ottobre
2007,   ampiamente  censurandola.  In  particolare,  egli  poneva  in
evidenza  come la disparita' di trattamento ai fini dell'art. 3 Cost.
invocata a sostegno dell'eccezione di incostituzionalita' riguardasse
un    duplice   profilo,   vale   a   dire   non   solamente   quello
dell'ingiustificata  equiparazione  tra comparto pubblico e privato a
dispetto  della  carenza  di  potere  gestorio  in  capo al direttore
sanitario  di  casa  di cura privata, ma anche un altro, cioe' quello
dell'ingiustificata  differenziazione  tra  le posizioni di direzione
sanitaria  del  presidio  ospedaliero  pubblico e quelle di direzione
sanitaria  di  una  struttura  privata convenzionata, solo la seconda
delle quali comportava la sanzione dell'ineleggibilita'.
   In   particolare,  l'appellante  ricordava  come,  in  conseguenza
dell'abrogazione  dell'art.  2,  n. 8  della  legge  n. 154/1981 (che
comminava l'ineleggibilita' dei dirigenti sanitari di secondo livello
delle  poi disciolte unita' sanitarie locali), l'ineleggibilita', nel
comparto   pubblico,  era  ormai  limitata  alla  triade  di  vertice
aziendale   e   cioe'   al   direttore   generale   ed  ai  direttori
amministrativo  e  sanitario:  mentre  i  dirigenti  gia'  di secondo
livello  (direzione sanitaria o amministrativa di distretti e presidi
ospedalieri pubblici) erano tornati ad essere liberamente eleggibili;
con  evidente  disparita'  di trattamento con i dirigenti sanitari di
strutture  private  convenzionate  e  violazione non solo dell'art. 3
Cost.  (sotto  il  chiaro  profilo dell'ingiustificata disparita' di.
trattamento di situazioni analoghe), ma anche dell'art. 51 (quanto al
profilo della liberta' di' accesso alle cariche elettive) e 97 Cost.
   Tale  disparita', sulla quale i primi giudici non si erano neppure
soffermati, era vieppiu' evidente, a detta del Pepe, alla stregua:
     dell'equiparazione, in un unitario comparto, del settore privato
a quello pubblico;
     della  sostanziale identita' delle funzioni tecniche in concreto
esercitate  dal  direttore  dei presidi ospedalieri pubblici - di cui
all'art.  4, comma 9, decreto legislativo n. 502/1992 e, in Campania,
all'art.  11,  comma  7, legge regionale n. 32/1994 - e delle case di
cura private - di cui al richiamato art. 26 d.P.C.m. 27 giugno 1986 -
convenzionate con il servizio sanitario nazionale;
     dell'identita'   di   disciplina   giuridica  delle  due  figure
dirigenziali  in esame (direttore di presidio ospedaliero e direttore
di casa di cura privata);
     dell'identica   rilevanza   delle  funzioni  svolte  dall'uno  e
dall'altro  nei confronti dell'utenza. Ancora, l'appellante censurava
la  prima  sentenza  per la valutazione di manifesta infondatezza del
primo  profilo  di  incostituzionalita',  avendo  essa pretermesso la
valutazione   della   struttura   dell'impresa   privata   e   quindi
dell'attribuzione  all'imprenditore  e non al direttore sanitario dei
poteri di gestione ed amministrazione della struttura convenzionata.
   Inoltre,  il  Pepe denunciava la violazione degli articoli 26 e 27
del  d.P.C.m. 27 giugno 1986 ed in particolare censurava l'esclusione
della  natura meramente tecnica delle funzioni di direttore sanitario
di  casa  di  cura  privata,  fondata  dal  tribunale  sul divieto di
esercitare funzioni di diagnosi e cura, sulla stessa incompatibilita'
con  la  qualita'  di proprietario o socio dell'impresa proprietaria,
sulla   configurabilita'  di.  attivita'  consistenti  in  un  facere
altamente   professionale,   idonee  ad  influenzare  le  scelte  del
potenziale  elettorato: ed al riguardo controbatteva punto per punto,
argomentando  per  la  natura  squisitamente  tecnica  delle funzioni
esercitate,  per  l'irrilevanza dello svincolo tra il controllo delle
attivita' tecniche e lo scopo dei profitto di impresa, per la carenza
di  contatti  diretti  con  il  potenziale  elettorato  nel  concreto
espletamento  delle  attivita'  rientranti nelle sue funzioni, per la
mancanza  di poteri di determinazione dell'indirizzo della impresa, i
quali rimanevano in capo alla proprieta'.
   In fine, il Pepe si doleva dell'illegittima equiparazione, operata
con l'appellata sentenza, della figura di direttore sanitario di casa
di  cura  privata  e  di  quella  di  direttore apicale della A.S.L.,
nonostante  l'evidente  limitazione dei poteri del primo ad attivita'
di rilevanza meramente interna.
   E  concludeva  perche', previa rimessione degli atti alla Consulta
per l'esame della questione di legittimita' costituzionale dei numeri
8) o 9) dell'art. 60, decreto legislativo n. 267/2000, per violazione
degli articoli 3, 51 e 97 Cost. e per contrasto con gli articoli 2086
e  2095  del  codice civile, la gravata sentenza fosse riformata, con
rigetto  del ricorso in primo grado e vittoria delle spese del doppio
grado.
   Fissata  l'udienza  con decreto presidenziale del 30 ottobre 2007,
questo  era notificato, in uno al ricorso, alle controparti, ma anche
al  comune,  al  pubblico  ministero  presso il tribunale ed a quello
presso la Corte di appello, per tutti in data 8 novembre 2007, mentre
alla  pubblica udienza si acquisiva la prova della ricezione, avutasi
il  12 novembre 2007, della raccomandata con cui era stata effettuata
la   sola   notifica  a  mezzo  posta,  cioe'  quella  al  Comune  di
Postiglione.
   A  seguito  di tanto si costituivano, depositando controricorso il
23  novembre  2007, i ricorrenti in primo grado, Costantino Giovanni,
Lizzi Silvia, Di Poto Giuseppe e Muccio Carmine, i quali:
     quanto al primo motivo di appello, negavano l'abrogazione tacita
di  ipotesi di incompatibilita' nell'assetto della legge n. 154/1981,
ma  soprattutto  rimarcavano  l'irrilevanza  della  riforma di cui al
decreto   legislativo   n. 502/1992   ai   fini   delle   ipotesi  di
ineleggibilita',  con  conseguente  giustificazione  della previsione
della  norma  di  cui  al  n. 9  dell'art.  60,  comma 1, testo unico
n. 267/2000;
     sempre   quanto   al   primo  motivo,  negavano  la  correttezza
dell'equiparazione  delle  figure  del direttore sanitario di casa di
cura  privata  convenzionata  e di direttore di presidio ospedaliero,
sottolineando  la subordinazione del secondo alla triade dirigenziale
apicale  della  A.S.L.  e  la sua esclusione dal coinvolgimento nelle
scelte operative e strategiche di questa;
     ancora   sul   primo   motivo   di   appello,   rimarcavano   la
responsabilita' autonoma e diretta del direttore sanitario di casa di
cura  privata  nei  confronti  dell'A.S.L.  e  dei  terzi,  ma  anche
l'ampiezza dei suoi poteri, di vera e propria direzione dell'azienda,
che   appunto   piuttosto  lo  equiparavano  al  direttore  sanitario
dell'A.S.L.  e  non  a  quello  di  un  semplice presidio ospedaliero
pubblico;
     quanto   agli   altri   motivi   di   appello,  contestavano  la
ricostruzione  del Pepe sulla natura meramente tecnica delle funzioni
svolte  dal  direttore  sanitario  di  casa  di  cura  privata, a lui
competendo  invece  tutta  l'organizzazione  sanitaria,  nonche' ogni
decisione - e correlativa responsabilita' anche verso l'esterno - per
la concreta erogazione del servizio sanitario;
     ritenevano  cosi'  giustificata -  e pertanto costituzionalmente
legittima -  la  previsione  della  ineleggibilita' in considerazione
della  qualificabilita'  del  direttore  sanitario  di  casa  di cura
privata  quale  dirigente, per l'ampiezza della funzione, l'autonomia
totale  delle  sue decisioni e l'assenza di subordinazione gerarchica
all'infuori   delle  direttive  generali  dettate  dal  consiglio  di
amministrazione;
     concludevano  per  il  rigetto  del  gravame, con conferma della
gravata sentenza ed ogni conseguenza in ordine alle spese.
   Depositata in data 14 novembre 2007 dall'appellante anche la copia
notificata  del  ricorso  e  del  pedissequo  decreto  di  fissazione
dell'udienza,  con  nota  dep.  il  12  dicembre  2007 il Procuratore
generale  presso  la  Corte  di  appello  concludeva  per  il rigetto
dell'appello (ma, per la complessita' interpretativa della questione,
con  compensazione  delle spese), sulla base della considerazione per
cui, nonostante effettivamente la gravata sentenza non avesse nemmeno
esaminato   il   secondo  profilo  di  illegittimita'  costituzionale
prospettato  dal  Pepe,  questo  era  comunque  infondato, siccome il
direttore,   di   struttura  ospedaliera  privata  andava  assimilato
piuttosto al direttore sanitario dell'A.S.L., anch'egli ineleggibile.
   La  causa  perveniva quindi all'udienza del 20 dicembre 2007, alla
quale, dopo la discussione orale, le parti, concludevano come in atti
riportato  e  questa  Corte  si  ritirava  in camera di consiglio per
deliberare: ed all'esito pronunciava la presente ordinanza.
                         I n  d i r i t t o
   3.  -  Ai  fini  della  decisione  del  presente  gravame  occorre
ricordare che oggetto del giudizio e' la doglianza di ineleggibilita'
di  Pepe  Mario  alla carica di consigliere comunale e di sindaco del
Comune di Postiglione (SA), alla stregua dell'art. 60, comma 1, n. 9,
decreto  legislativo  18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull'ordinamento,  degli  enti  locali, in Gazzetta Ufficiale n. 227,
suppl.  ord.  del  28  settembre 2000, emanato ai sensi dell'art. 31,
legge  3  agosto  1999,  n. 265);  e  che  i motivi di appello non si
incentrano  sulla  contestazione  dei  presupposti  di  fatto di tale
norma,  ma  si esauriscono - benche' con ampie argomentazioni e sotto
diversi   e   concorrenti   profili -   nella   prospettazione  della
illegittimita' costituzionale della norma applicata dai primi giudici
per  accogliere  l'azione  popolare  e dichiarare, a motivo della sua
ineleggibilita',  decaduto  il  Pepe  dalla  carica  di  sindaco e di
consigliere comunale.
   La  disposizione  in  esame  prevede  che  non  sono  eleggibili a
sindaco,    presidente   della   provincia,   consigliere   comunale,
provinciale e circoscrizionale i legali rappresentanti ed i dirigenti
delle  strutture  convenzionate  per  i  consigli  del  comune il cui
territorio coincide con il territorio dell'azienda sanitaria locale o
ospedaliera  con  cui sono convenzionati o lo ricomprende, ovvero del
comuni  che  concorrono  a  costituire  l'azienda  sanitaria locale o
ospedaliera con cui sono convenzionate. La norma da applicare al caso
in  esame,  come ricavata da tale complessiva disposizione, e' quindi
quella per la quale, «non sono eleggibili a sindaco ... e consigliere
comunale ... i dirigenti delle strutture convenzionate per i consigli
... dei comuni che concorrono a costituire l'azienda sanitaria locale
o ospedaliera con cui sono convenzionate».
   La  questione  di  legittimita'  costituzionale di una tale norma,
essendo   quest'ultima   il   solo  parametro  di  valutazione  della
fondatezza   della  doglianza  dei  ricorrenti  in  primo  grado,  e'
evidentemente  rilevante,  in  quanto esclusivamente alla sua stregua
puo'  stabilirsi  se  sussista  o meno l'ineleggibilita' resa oggetto
dell'azione  popolare ex art. 70, decreto legislativo n. 267/2000, in
concreto dispiegata con il presente giudizio.
   Deve  allora  esaminarsi se la questione stessa sia manifestamente
infondata.
   Giova   premettere   che,   per   quanto   attiene   in   generale
all'ineleggibilita',  la verifica di legittimita' costituzionale deve
effettuarsi innanzitutto alla luce del diritto di elettorato passivo,
che  l'art.  51 della Costituzione assicura in via generale, e che la
Corte costituzionale ha ricondotto alla sfera dei diritti inviolabili
sanciti  dall'art.  2  della  Costituzione (Corte cost. n. 571/1989 e
n. 235/1988);   la   previsione   della   ineleggibilita',   e  della
conseguente  nullita'  dell'elezione,  e'  misura che comprime, in un
aspetto  essenziale, le possibilita' che l'ordinamento costituzionale
offre  al cittadino di concorrere al processo democratico (tra molte,
v. Corte cost. 6 maggio 1996, n. 141).
   Ne   deriva  che  le  restrizioni  del  contenuto  di  un  diritto
inviolabile  sono  ammissibili  solo  nei  limiti indispensabili alla
tutela  di  altri  interessi  di rango costituzionale, e cio' in base
alla  regola della necessarieta' e della ragionevole proporzionalita'
di  tale limitazione (cfr. Corte cost. n. 141/1996, cit.; ad esempio,
sui  limiti  posti a diritti inviolabili da esigenze di conservazione
dell'ordine pubblico, v., fra le varie; Corte cost. numeri 138/1985 e
102/1975);  e  va  allora accertato se la non candidabilita' - ovvero
non  eleggibilita'  -  sia  dunque  indispensabile  per assicurare la
salvaguardia  di  detti  valori,  se sia misura proporzionata al fine
perseguito  o  non  finisca  piuttosto  per  alterare i meccanismi di
partecipazione dei cittadini alla Vita politica, delineati dal titolo
IV,  parte  I,  della  Carta  costituzionale,  comprimendo un diritto
inviolabile senza adeguata giustificazione di rilievo costituzionale.
   Nel   compiere  tale  verifica,  principio  indefettibile  e'  che
l'eleggibilita'  e'  la  regola,  e l'ineleggibilita' l'eccezione: le
norme  che  derogano  al  principio  della  generalita'  del  diritto
elettorale   passivo   sono   di  stretta  interpretazione  e  devono
contenersi  entro  i  limiti  di quanto e' necessario a soddisfare le
esigenze  di  pubblico  interesse  cui  sono preordinate (Corte cost.
n. 141/1996,  cit.;  in  precedenza,  v. gia' Corte cost. n. 46/1969,
Corte cost. n. 166/1972, via via fino a Corte cost. numeri 571/1989 e
n. 344/1993).  Benche'  le  cause  di  ineleggibilita'  siano  sempre
rimovibili  dall'interessato,  si richiede comunque che il limite sia
effettivamente  indispensabile (Corte cost. n. 141/1996, cit.; quanto
alla  giurisprudenza  di legittimita', basti un richiamo, tra le piu'
recenti, a Cass. 29 novembre 2000 n..15284).
   Cio'  posto  ed  entro  questi  insuperabili  confini, puo' allora
ritenersi   acquisito   alla  cultura  giuridica  italiana:  (secondo
l'icastica  espressione  .di  Cass.;  ord.  6 marzo 2003, n. 3388) il
principio   per  il  quale  l'ineleggibilita'  trova  il  suo  logico
fondamento  nella  volonta'  del  legislatore  d'impedire  a  persone
rivestite  di una determinata carica pubblica, o legate da vincoli di
interessi  alla pubblica amministrazione, l'utilizzazione, ai fini di
una  loro  elezione,  delle  condizioni di particolare favore in cui.
esse   si   trovano,  condizioni  che,  in  riferimento  alla  nostra
Costituzione,  violano  di  fatto  sia il principio della liberta' di
voto  degli  elettori (art. 48 Cost.), sia quello dell'accessibilita'
alle cariche elettive pubbliche in condizioni di uguaglianza (art. 51
Cost.).
   4.  -  Cio'  posto, va precisato che i primi giudici si pongono il
problema  della  costituzionalita'  della norma, ma soltanto sotto il
primo  dei  due  profili  di illegittimita' prospettati dal convenuto
Pepe;  in  particolare, il tribunale non esamina, come del resto nota
anche  il  procuratore  generale  nelle  sue  conclusioni scritte, il
differente  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  per il quale
l'ineleggibilita'  del direttore sanitario di struttura convenzionata
privata  comporterebbe  un'ingiustificata  differenziazione  rispetto
all'eleggibilita' del direttore di presidio ospedaliero pubblico: con
evidente  violazione  del  precetto costituzionale di cui all'art. 3,
comma    1,   della   Carta   fondamentale,   in   quanto   sarebbero
ingiustificatamente   trattate   in   modo   eguale   due  situazioni
sostanzialmente assimilabili o analoghe, ma anche dell'art. 51, primo
comma,   della   Costituzione,   poiche'   sarebbe  irragionevolmente
compresso  il  diritto  di  ogni cittadino a concorrere e di accedere
alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza.
   La  relativa eccezione, siccome rilevante ai fini della decisione,
va  pertanto esaminata da questa Corte nel presente grado di gravame:
ed essa non puo' qualificarsi manifestamente infondata.
   Effettivamente,  la  complessiva  ristrutturazione  della  sanita'
pubblica,  avutasi  con  il  d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (recante
«riordino  della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1
della  legge  23  ottobre  1992,  n. 421»  e  pubblicato  in Gazzetta
Ufficiale  n. 4,  suppl.  ord., del 7 gennaio 1994), ha comportato un
cospicuo  cambiamento di assetto dell'apparato del servizio sanitario
nazionale.
   Originariamente, le unita' sanitarie locali potevano, alla stregua
della prevalente interpretazione, qualificarsi come caratterizzate da
un  forte  legame con gli enti pubblici territoriali di riferimento e
da  una struttura fortemente influenzata, anche in ordine alle scelte
organizzative,  gestionali  e  tecniche, dalle valutazioni di questi;
attraverso  i  loro  rappresentanti  od  altri organi di loro diretta
emanazione;  inoltre,  significativamente  le unita' sanitarie locali
erano  distribuite sul territorio con una peculiare capillarita', che
esaltava quella sorta di contiguita' con gli enti territoriali, tanto
da prospettarle come dirette emanazioni di questi.
   Il sistema delineato dalla riforma del 1992, invece, ha introdotto
apertis  verbis  il  rivoluzionario  concetto dell'economicita' della
gestione,   connotando   le  originarie  unita'  della  qualifica  di
«aziende»  ed esigendo la necessaria tendenza al pareggio di bilancio
anche   per   tutte  le  articolazioni  intermedie,  ma  soprattutto;
ridottone  drasticamente il numero, ha introdotto un sistema di guida
sensibilmente  diverso  dal precedente, in grado - almeno in teoria -
di   sottrarsi   almeno  alle  piu'  immediate  e  pressanti  tra  le
interferenze  degli  enti territoriali sulla gestione delle politiche
sanitarie pubbliche.
   Il   nuovo  sistema  di  vertice  di  ogni  azienda  sanitaria  od
ospedaliera  e'  invero  organizzato  sulla  limitazione delle figure
dirigenziali  ed  in  particolare  esso  e'  incentrato  su quella di
direttore  generale  e  su  quelle,  immediatamente sottoposte ma con
elevato  grado  di  autonomia  anche  rispetto  ad essa, di direttore
amministrativo e di direttore sanitario.
   E'  corretto  quindi  sostenere  che,  nel  comparto della sanita'
pubblica:
     la  sanzione  di  ineleggibilita'  e' espressamente prevista, ai
sensi   dell'art.   60,   comma  1,  n. 8,  del  decreto  legislativo
n. 267/2000  in  esame,  alla  triade di vertice aziendale e cioe' al
direttore generale ed ai direttori amministrativo e sanitario;
     non  puo' piu' considerarsi in vigore il divieto di cui all'art.
2,  n. 8 della legge n. 154/1981, che comminava l'ineleggibilita' dei
dirigenti  sanitari  di  secondo  livello  delle poi disciolte unita'
sanitarie  locali, ma inseriti in peculiari organismi direttivi ormai
soppressi  con  la  riforma  del  1992: e tanto, del resto, a seguito
dell'espressa  previsione  dell'art.  274 del gia' richiamato decreto
legislativo18   agosto   2000,   n. 267   (che   la  prima  norma  ha
espressamente abrogato, tranne che per i consiglieri regionali);
     i  dirigenti  gia'  di  secondo  livello  (direzione sanitaria o
amministrativa  di  distretti  e presidi ospedalieri pubblici) devono
pertanto nuovamente qualificarsi tutti come liberamente eleggibili.
   5.  -  Orbene,  le  funzioni  di  direttore sanitario di struttura
ospedaliera   convenzionata  sono  senz'altro  sussumibili  entro  la
qualifica  di  dirigente,  come  in  maniera  peraltro  condivisibile
argomentano - e con dovizia di argomenti, in adesione del resto ad un
indirizzo interpretativo della suprema Corte sufficientemente univoco
(Cass.  3155/03)  -  i primi giudici, siccome dette funzioni sono ben
piu'  che meramente tecniche: al riguardo, l'ampiezza dei loro poteri
e  la loro autonomia - come si desume dalla puntuale disamina operata
anche  dal  tribunale  -  e'  evidente  e  decisiva,  derivandone una
concreta  capacita'  di  incidere,  per quanto pur sempre limitato le
loro  scelte  organizzative  e  gestionali concrete e benche' nel pur
sempre  limitato  ambito  loro  lasciato dalle direttive dell'assetto
proprietario,    anche    in    misura   sensibile   nella   concreta
estrinsecazione  dell'offerta di servizi riconducibili a quel settore
della  sanita'  pubblica organizzata su soggetti privati in regime di
convenzionamento.
   Il punto dirimente, ad avviso di questa Corte, e' che altrettanto,
vale  a  dire  per  la  sussistenza  di funzioni poteri assolutamente
analoghi,   non   sanzionati   pero'   con   identica  previsione  di
ineleggibilita',  potrebbe  argomentarsi  per  i dirigenti di presidi
ospedalieri pubblici.
   Si  ricordi  che,  proprio  a  seguito  della riforma del servizio
sanitario  nazionale  di  cui  al  d.lgs.  n. 502/1992,  non tutte le
strutture  ospedaliere  pubbliche  sono  state  costituite in aziende
sanitarie;  al contrario, queste ultime si articolano a loro volta in
complesse strutture intermedie, denominate distretti e presidi, negli
ultimi  dei  quali  si  risolvono  la  maggior  parte  degli ospedali
pubblici,  siccome  privi di determinate caratteristiche dimensionali
ed operative.
   Invero, ai sensi dell'art. 4 del richiamato decreto legislativo (e
delle   successive   modifiche,  di  cui  al  d.lgs.  n. 502/1992,  a
cominciare dall'art. 5, d.lgs. n. 517/1993), le strutture ospedaliere
pubbliche  sono costituite in aziende solo in presenza di determinati
presupposti  (alta  specializzazione o rilievo nazionale) e requisiti
(comma  2  dell'art. 4 cit.: presenza di almeno tre strutture di alta
specialita'  -  ex  d.m.  emanato  ex  art. 5, legge 23 ottobre 1985,
n. 595  -  ed  organizzazione funzionalmente accorpata ed unitaria di
tipo  dipartimentale  di  tutti  i servizi), tanto che, in assenza di
essi   e   quindi  come  ipotesi  normale  ovvero  ordinaria,  quelle
conservano  la  limitata  qualifica di presidi dell'azienda sanitaria
locale (art. 4, comma 9, d.lgs. cit.).
   Le   funzioni  dei  direttori  medici  dei  distretti  ospedalieri
pubblici   sono  variamente  disciplinate.  dalle  singole  normative
regionali;  in  Campania,  peraltro,  l'art. 11, comma 7, della legge
regionale  3  novembre  1994,  n. 32  (in  Gazzetta Ufficiale - serie
speciale  - n. 3 dell'11 marzo 1995 ed in B.U. Regione Campania n. 53
del  4  novembre  1994),  si  limita,  una  volta  qualificatili come
direttori  sanitari,  a riproporne la qualifica di responsabile delle
funzioni  igienico-organizzative,  gia'  fissata  in via generale dal
richiamato art. 4, comma 9, d.lgs. n. 502/1992.
   6. - A tale onnicomprensiva dizione - «responsabile delle funzioni
igienico-organizzative»   -   puo'   pero'   riferirsi  ognuna  delle
prerogative  e  dei  compiti  dei  direttori sanitari delle strutture
private  convenzionate,  quali  delineati dal d.P.C.m. 27 giugno 1986
(n.  495600, pubbl. in Gazzetta Ufficiale 4 luglio 1986, n. 153) gia'
richiamato in narrativa ed esaminato dai primi giudici.
   A  parte  l'applicazione  del regolamento e le proposte in tema di
sua  variazione,  essi in primo luogo curano adempimenti burocratici,
organizzativi  e statistici, quali la tenuta di elenchi del personale
e  di  alcuni  eventi  clinici  rilevanti ed anche dei registri degli
stupefacenti,  ovvero quali il rilascio di documentazione ai degenti,
ma  poi  dispiegano  la  loro  attivita'  nella predisposiziane delle
destinazioni  e  dei  turni  - ivi compresi quelli di guardia medica,
ostetrica  e  ginecologica,  nonche'  delle  ferie - del personale di
tutte  le  categorie,  con  compiti  di  vigilanza e di promozione di
eventuali  provvedimenti  disciplinari;  e,  quindi,  per  assicurare
l'erogazione  regolare  dell'assistenza agli infermi, garantiscono il
funzionamento   e   l'efficienza   delle   strutture,   impianti   ed
apparecchiature   della   casa   di   cura,   nonche'   il   regolare
approvvigionamento  e  somministrazione  di vettovaglie e medicinali,
formulando  proposte  per  l'acquisto  di apparecchi, attrezzature ed
arredi,  nonche'  pareri  sullo stesso assetto edilizio della casa di
cura. In nessun caso pero' essi adottano direttamente decisioni sulla
modifica  o  sulla  variazione  del  patrimonio  o del personale, ne'
sull'identita'  o  sulla qualita' dei servizi da erogare, ne' possono
mai  impegnare  in  alcun  modo la volonta' del soggetto che gestisce
l'impresa  sanitaria  della struttura convenzionata: in sostanza, non
solo  le  scelte  strategiche,  ma  anche  quelle  di  straordinaria.
amministrazione sono loro istituzionalmente precluse.
   Pare  a  questa  Corte che tali pur complessi compiti rientrino de
plano   nel   concetto   di  quelle  funzioni  igienico-organizzative
riconosciute  anche  al, direttore medico - ovvero, come in Campania,
direttore  sanitario - di presidio ospedaliero pubblico, del resto in
carenza di una analitica ricostruzione, analoga a quella prevista per
le  case  di  cura private: ma non paiono, invero, ne' in un caso ne'
nell'altro  in grado di incidere sulle scelte di carattere generale e
di  straordinaria  amministrazione operate dalla struttura sanitaria,
che  competono  appunto  -  di  diritto  ed  in fatto - o alla triade
apicale  dell'ASL  di  riferimento  (quanto  al  presidi  ospedalieri
pubblici)  o  agli organi decisionali ed esecutivi propri della forma
giuridica  in  concreto  prescelta  (quanto alle case di cura private
convenzionate).
   Eppure,  tali dirigenti sanitari, pur avendo analoghi compiti, non
sono  ineleggibili,  attesa  la  mancata  estensione  ad  essi  della
relativa sanzione di cui al n. 8) del comma 1 dell'art. 60 del d.lgs.
n. 267/2000 e l'intervenuta abrogazione della previgente norma di cui
all'art.  2,  n. 8),  legge 23 aprile 1981, n. 154 (che prevedeva che
non fossero eleggibili a consigliere regionale, provinciale, comunale
e,   circoscrizionale  «i  dipendenti  dell'unita'  sanitaria  locale
facenti  parte  dell'ufficio  di  direzione  di cui all'art. 15, nono
comma,  n. 2,  della legge 23 dicembre 1978, n. 833 ed i coordinatori
dello stesso per i consigli del comune il cui territorio coincide con
il  territorio  dell'unita'  sanitaria  locale  da cui dipendono o lo
ricomprende»).
   Del  resto, gia' prima del decreto legislativo n. 267/2000 e della
rimodulazione  delle  previsioni  di  ineleggibilita'  per gli organi
delle  aziende  sanitarie  locali la suprema Corte aveva riconosciuto
che  una  tale  sanzione poteva essere applicata solo a quelle figure
dirigenziali   che,   in   relazione  alla  loro  collocazione  nella
struttura,  esercitano una funzione apicale assimilabile a quelle del
direttore  generale,  ovvero del direttore amministrativo e di quello
sanitario    dell'Azienda,    escludendo    pertanto    -    e    ben
significativamente l'ineleggibilita' per il responsabile di un'unita'
operativa  interdistrettuale  (Cass.  29 novembre 2000, n. 15284, con
compiuta  ed  ampia  ricostruzione  dell'evoluzione normativa e degli
istituti  sottesi,  nonche'  con  l'enunciazione  del  principio  del
collegamento  della  ineleggibilita'  alla  apicalita' della funzione
dirigenziale in seno all'azienda sanitaria).
   7. - In sostanza e pertanto:
     e'  pacifica  in giurisprudenza (Cass. 3155/2003) la sussunzione
del  direttore  sanitario di casa di cura privata convenzionata entro
la  mozione  di  dirigente  rilevante  ai  fini  della  sanzione,  di
ineleggibilita'   prevista   dall'art.  60,  comma  1,  n. 9,  d.lgs.
n. 267/2000;
     tale  sanzione  e'  applicata  a  prescindere dalle dimensioni e
dalle  caratteristiche  delle  strutture private convenzionate, cosi'
applicandosi  anche  ai  dirigenti  di  quelle  minori, o comunque di
quelle  che,  non possedendo i requisiti stabiliti dall'art. 4, comma
2, decreto legislativo n. 502/1992, non potrebbero assimilarsi a quei
presidi  ospedalieri  di alta specializzazione o di rilievo nazionali
(significativamente  costituiti  in aziende ospedaliere), ma soltanto
ai  presidi  ospedalieri  pubblici  inseriti  nel piu' ampio contesto
delle aziende sanitarie locali;
     peraltro, anche i presidi ospedalieri pubblici non costituiti in
aziende  sanitarie  locali prevedono la figura di un dirigente medico
(art.  4,  comma  9,  d.lgs. n. 502/1992), in alcune regioni, come la
Campania,   denominato   direttore   sanitario,  la  quale  non  puo'
assimilarsi  alle  figure apicali dell'azienda sanitaria locale cui i
presidi stessi afferiscono;
     la  figura  di  direttore  sanitario  di  casa  di  cura privata
convenzionata e' strutturalmente e funzionalmente analoga a quella di
direttore  sanitario  di  presidio  ospedaliero  pubblico,  in quanto
analoghe  sono  le funzioni normativamente previste (rispettivamente,
art.  27  d.P.C.m.  27  giugno  1986  ed  art.  4, comma 9, d.lgs. 30
dicembre 1992, n. 502);
     sia  il direttore sanitario di presidio ospedaliero pubblico che
il  direttore  sanitario  di  casa  di  cura  privata espletano dette
funzioni  in  un  contesto  caratterizzato  ormai  da una sostanziale
equipollenza  tra  pubblico  e privato nella stessa articolazione del
servizio sanitario nazionale: equipollenza garantita dall'imposizione
ai  soggetti  privati  di obiettivi e standard minimali, stabiliti in
via  generale  ed  astratta  dalla  competente  p.a. quali condizioni
imprescindibili  per  il convenzionamento e singolarmente coincidenti
con quelli imposti alle strutture pubbliche;
     l'identita'  di funzioni svolte e la totale analogia di contesto
operativo  giustificherebbero  una identita' di regime giuridico, ivi
compresa  la  disciplina  delle  ineleggibilita', apparendo nelle due
situazioni  identici  i'  rischi  tenuti  in considerazione dal testo
unico   n. 267/2000   e   richiamati   dalla   suprema  Corte  (Cass.
n. 3155/2000);
     sebbene  sia evidente la ragionevolezza di un trattamento uguale
da  riservare  a  dette  situazioni  analoghe,  pero',  il  direttore
sanitario  di  casa di cura privata convenzionata non e' eleggibile a
sindaco  o  consigliere,  comunale  (di  uno  dei comuni compresi nel
territorio  dell'A.S.L. con cui vi e' il regime di convenzionamento),
mentre  il  direttore  sanitario  di presidio ospedaliero pubblico di
analogo  contesto  territoriale,  purche'  non  costituito in azienda
sanitaria  locale,  e'  -  ben  al contrario - liberamente eleggibile
(siccome  non gli si estende la sanzione di ineleggibilita' di cui al
n. 8  del  comma  1  dell'art. 60, d.lgs. n. 267/2000 cit., una volta
abrogato,  ex  art. 274 di tale T.U., l'art. 2, n. 8, legge 23 aprile
1981, n. 154).
   La   conseguente   irragionevole   diversita'  di  trattamento  di
situazioni   sostanzialmente   identiche,   soprattutto   in   quanto
limitativa del diritto di ogni cittadino di accedere liberamente alle
cariche  elettive,  si  pone  quindi in contrasto con gli articoli 3,
primo comma, nonche' 51, primo comma, della Carta fondamentale.
   Va  pertanto qualificata rilevante e non manifestamente infondata,
in  riferimento  ad un possibile contrasto con dette ultime norme, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 60, comma 1, n. 9)
d.lgs.   18   agosto   2000,   n. 267   (Testo   unico   delle  leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali), nella parte in cui estende ai
direttori  sanitari  delle  case  di  cura  private  convenzionate la
sanzione  dell'ineleggibilita'  a  sindaco e consigliere comunale dei
comuni  che  concorrono  a  costituire  l'azienda  sanitaria locale o
ospedaliera  con  cui sono convenzionate: e tanto in riferimento alla
libera  eleggibilita'  dei  direttori sanitari di presidi ospedalieri
pubblici,  ricavabile  sia dall'esclusione di questi dalla previsione
di  ineleggibilita'  di  cui  all'art.  60,  comma  1,  n. 8)  d.lgs.
n. 267/2000  che  dall'abrogazione,  di cui all'art. 274 del medesimo
d.lgs. n. 267/2000, del previgente art. 2, n. 8 della legge 23 aprile
1981, n. 154.
   Ne deriva la necessita' di rimetterne la risoluzione e la disamina
alla  Corte costituzionale, con le modalita' e gli adempimenti di cui
in dispositivo e con la conseguente sospensione del presente giudizio
fino alla decisione del Giudice delle leggi.