Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio   dei  ministri,
rappresentato  e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato,
presso i cui uffici domicila in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
   Contro la Provincia autonoma di Bolzano, in persona del Presidente
della   Giunta  provinciale  pro  tempore,  per  la  declaratoria  di
incostituzionalita' in parte qua, degli artt. 14, 15 e 16 della legge
provinciale  10 giugno 2008, n. 4, pubblicata nel B.U.R. n. 26 del 24
giugno  2008,  avente  ad  oggetto «Modifiche di leggi provinciali in
vari settori e altre disposizioni», giusta delibera del Consiglio dei
ministri in data 1 agosto 2008.
   1.  - La legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 giugno 2008,
n. 4,  composta  di  49  articoli  e  8 allegati, apporta modifiche a
precedenti  leggi  provinciali  riguardanti  i  seguenti  settori: I.
procedimento  amministrativo, personale, contabilita', finanza locale
e  servizi pubblici locali; II. urbanistica; III. energia, ambiente e
tutela  del  lavoro;  IV.  agricoltura,  foreste  e  protezione degli
animali;   V.   lavori  pubblici,  sostegno  dell'economia,  turismo,
esercizi   pubblici  ed  espropriazioni;  VI.  commercio,  formazione
professionale,  apprendistato,  universita',  ricerca  scientifica  e
scuola; VII. sanita', assistenza e beneficenza.
   In  particolare,  nel  capo  III  concernente  energia, ambiente e
tutela  del  lavoro,  vengono  dettate  modifiche  alla disciplina in
materia di tutela del paesaggio ed urbanistica.
   Censurabili  sotto  il  profilo  della legittimita' costituzionale
appaiono  le  disposizioni contenute negli artt. 14, 15 e 16, secondo
quanto si passa ad illustrare e motivare.
   2.  -  In via generale si osserva che, nonostante la provincia, ai
sensi  dell'art.  8, comma 1, punti nn. 5 e 6, del d.P.R. n. 670/1972
recante  lo  statuto  speciale  per il Trentino-Alto Adige, abbia una
potesta'  legislativa primaria in materia di «tutela del paesaggio» e
«urbanistica»   e,   ai  sensi  dell'art.  9,  punto  10,  competenza
legislativa  concorrente in materia di «igiene e sanita», secondo una
consolidata  giurisprudenza costituzionale, confermata dalla sentenza
n. 378/2007,   la  potesta'  di  disciplinare  l'ambiente  nella  sua
interezza  spetta in via esclusiva allo Stato ai sensi dell'art. 117,
secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione, il quale, come e'
noto,  parla di «ambiente» (ponendovi accanto la parola «ecosistema»)
in termini generali e onnicomprensivi.
   Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una
entita'  organica,  dettare  cioe' delle norme di tutela che hanno ad
oggetto  il  tutto e le singole componenti considerate come parti del
tutto.  Peraltro,  la  disciplina  unitaria  e  complessiva  del bene
ambiente  inerisce  ad un interesse pubblico di valore costituzionale
primario  (sent.  n. 151/1986) ed assoluto (sent. n. 210/1987) e deve
garantire,  come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello
di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore.
   La  disciplina  unitaria  del bene complessivo ambiente rimessa in
via esclusiva allo Stato viene, quindi, a prevalere su quella dettata
dalle  regioni  o  dalle  province  autonome in materie di competenza
propria  ed  in  riferimento ad altri interessi. Cio' comporta che la
disciplina   ambientale,   che   scaturisce   dall'esercizio  di  una
competenza  esclusiva  dello  Stato,  investendo  l'ambiente  nel suo
complesso,  e  quindi anche in ciascuna sua parte, viene a porsi come
un  limite  alla  disciplina  che  le  regioni e le province autonome
dettano  in  altre  materie  di  loro competenza, come ribadito dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 380/2007.
   Pertanto, nelle materie oggetto di disciplina della legge in esame
il  legislatore  provinciale, nell'esercizio della propria competenza
legislativa,  e'  sottoposto  al  rispetto  degli standards minimi ed
uniformi  di  tutela posti in essere dalla legislazione nazionale, ex
art.  117,  secondo  comma,  lettera  s) Cost., oltre che al rispetto
della  normativa  comunitaria  di riferimento secondo quanto disposto
dall'art.  8,  comma 1, dello statuto speciale e dall'art. 117, primo
comma della Costituzione.
   La  Corte  costituzionale  ha  di recente ribadito nella pronuncia
n. 62/2008  che  rientra  nell'ambito  della  «tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema»  il  potere  dello  Stato di determinare principi di
tutela  uniformi  da  valere  sull'intero  territorio  nazionale,  in
particolare  precisando  che  «la competenza legislativa esclusiva in
materia  di " tutela del paesaggio'' e "urbanistica'' e la competenza
legislativa  concorrente  in  materia  di  "igiene e sanita'" possono
costituire  un valido fondamento dell'intervento provinciale, ma tali
competenze  devono essere esercitate nel rispetto dei limiti generali
di  cui  all'art.  4  dello  statuto speciale, richiamati dall'art. 5
...».
   Sulla  base  di queste premesse sono censurabili, perche' invasive
della  competenza  esclusiva  statale  di  cui  all'art. 117, secondo
comma,  lettera  s)  della  Costituzione ed in violazione dei vincoli
posti  al legislatore provinciale dagli artt. 8 e 9 dello Statuto, le
disposizioni della legge che si passa a censurare.
   3.1. - L'art. 14, intitolato «Modifiche della legge provinciale 18
giugno  2002,  n. 8,  "Disposizioni  sulle  acque"  »,  al  comma  2,
definisce  le  acque  reflue  urbane  «il  miscuglio  di acque reflue
domestiche,   di   acque  reflue  industriali  ovvero  meteoriche  di
dilavamento   convogliate   in   reti   fognarie,  anche  separate  e
provenienti  da agglomerato»; tale definizione non rispetta quella di
acque  reflue  urbane  recata  dall'art.  74, comma 1, lettera i) del
decreto legislativo n. 152/2006 come modificato dal d.lgs. 16 gennaio
2008,  n. 4,  secondo  cui  sono acque reflue urbane le «acque reflue
domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue
industriali  ovvero  meteoriche  di  dilavamento  convogliate in reti
fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato».
   Tale  disposizione e' illegittima nella misura in cui la Provincia
non   considera   autonomamente  la  categoria  delle  «acque  reflue
domestiche»,  come  invece  impone  la normativa statale citata che a
tale classificazione fa corrispondere specifiche discipline.
   La  ratio  di  tale  distinzione  deriva dal diverso regime cui le
acque reflue sono assoggettate in relazione alla loro provenienza, in
particolare   per  il  controllo  dei  valori  (se  le  acque  reflue
domestiche fossero scaricate in reti fognarie, anche separatamente, e
provenissero  da  un agglomerato non vi sarebbero valori limite per i
relativi  scarichi,  perche'  l'Allegato  5  al  decreto  legislativo
n. 4/2008  fissa  i limiti allo scarico delle acque reflue urbane che
in  sede  nazionale e comunitaria - Direttiva 91/271/CEE - riguardano
sia il miscuglio delle acque reflue domestiche e industriali sia solo
le  acque  reflue domestiche) e per il regime autorizzatorio ai sensi
degli articoli 101, commi 1 e 2 e 124 del d.lgs. n. 152/2006.
   La  omissione  di  una considerazione autonoma delle «acque reflue
domestiche»  imposta dalla legge statale nei termini sopra richiamati
comporta, quindi, la illegittimita' della norma provinciale.
   3.2. - L'art. 15 introduce alcune modifiche alla legge provinciale
16  marzo  2000,  n. 8,  recante  norme  per la tutela della qualita'
dell'aria.
   In  particolare tale articolo detta alcune disposizioni in materia
di autorizzazione ed esercizio degli impianti che producono emissioni
in  atmosfera,  materia  disciplinata  a  livello statale dalla parte
quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
   Secondo  quanto disposto dall'art. 15, commi 3 e 4, della legge in
esame,  recante modifica dell'art. 5 della legge provinciale 16 marzo
2000,  n. 8,  il  gestore  dell'impianto  deve presentare all'Agenzia
provinciale  per l'ambiente, almeno quindici giorni prima della messa
in  esercizio, la domanda di autorizzazione alle emissioni, indicando
la data di entrata in esercizio dell'impianto; la domanda deve essere
corredata da una dichiarazione del gestore che attesta la conformita'
dell'impianto realizzato con il progetto precedentemente approvato ai
sensi  dell'art.  4  della  citata  legge  provinciale  n. 8/2000; la
presentazione  di tale documentazione consente l'entrata in esercizio
degli    impianti;   successivamente,   l'Agenzia   provinciale   per
l'ambiente,  entro  novanta  giorni  dall'entrata  in esercizio degli
impianti, esegue il collaudo degli stessi e rilascia l'autorizzazione
alle emissioni.
   Tali  disposizioni  si  pongono  in  contrasto con quanto disposto
dalla citata normativa statale di riferimento: l'art. 269 del decreto
legislativo  n. 152/2006,  infatti,  stabilisce  che  per  tutti  gli
impianti    che    producono    emissioni   deve   essere   richiesta
un'autorizzazione  ai sensi della parte quinta dello stesso decreto e
l'art.  279  individua  una  specifica  sanzione  per  chi  inizia  a
installare o esercisce un impianto o esercita un'attivita' in assenza
della prescritta autorizzazione.
   Appare  pertanto  evidente  che,  secondo la legislazione statale,
l'ottenimento  dell'autorizzazione da parte del gestore dell'impianto
deve  precedere l'avvio dell'installazione dell'impianto, considerato
che  non  si  puo'  ritenere  come  autorizzazione  alle emissioni in
atmosfera  la preliminare approvazione del progetto di cui all'art. 4
della  legge  provinciale  n. 8/2000, in quanto tale approvazione non
contiene  alcuno  degli  elementi previsti dall'art. 269, commi 4 e 5
del decreto legislativo n. 152/2006.
   Le  disposizioni della legge provinciale in esame sono illegittime
perche',  discostandosi  dalla  puntuale  legislazione  nazionale  di
riferimento,   consentono   l'esercizio  di  impianti  che  producono
emissioni  senza  il  previo  rilascio  di  specifica  autorizzazione
secondo  i  canoni  indicati  dall'art.  269  del decreto legislativo
n. 152/2006  ed  ai  sensi del complesso delle disposizioni contenute
nella  sua  parte  quinta, rispetto ai quali non sono coincidenti ne'
surrogabili  i diversi e piu' limitati elementi contemplati nei commi
3  e  4  dell'art.  15  oggetto  di censura (e nella approvazione del
progetto  di  cui  al  richiamato art. 4, 1.r. n. 8/2000), sia quanto
alle  prescrizioni  e condizioni per il rilascio dell'autorizzazione,
secondo  i commi 2-3 del d.lgs. n. 152, sia quanto al contenuto della
detta autorizzazione, secondo i commi 4-5.
   3.3.  -  L'art.  15,  comma  6, recante modifica dell'art. 7 della
legge  provinciale  16  marzo  2000, n. 8, stabilisce che un impianto
termico  si  definisce  civile  quando  la  produzione  di  calore e'
prevalentemente   destinata   al   riscaldamento   di  edifici  o  al
riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari.
   La norma statale di riferimento e' costituita dall'art. 283, comma
1,  lettera  d),  del  d.lgs. n. 152/2006 che definisce come impianto
termico  civile  «l'impianto  termico  la cui produzione di calore e'
destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento
o  alla  climatizzazione  di ambienti o al riscaldamento di acqua per
usi  igienici  e sanitari». Detta norma nella definizione di impianto
termico  civile  non contempla alcun utilizzo del calore prodotto per
fini  diversi dal riscaldamento e dalla climatizzazione di ambienti o
dal riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari; pertanto, nel
caso  in  cui  l'energia  prodotta  non  sia  destinata  a  tali fini
esclusivamente  ma  solo  prevalentemente, l'impianto non puo' essere
considerato un impianto termico civile.
   La   disposizione  provinciale  e',  quindi,  illegittima  perche'
elimina quella caratteristica di esclusivita' contemplata dalla norma
statale,   con   compromissione   dell'esigenza   di  uniformita'  di
disciplina  perseguita  dal  legislatore  nazionale  e  con ulteriori
conseguenze   e   discrasie  nella  regolamentazione  della  materia,
contrarie agli scopi perseguiti dal legislatore nazionale in punto di
sicurezza   degli   impianti   e   controllo  delle  emissioni:  tale
difformita',   infatti,   porterebbe   a   sottrarre   dal  campo  di
applicazione  del titolo I della parte quinta del decreto legislativo
n. 152/2006  un  numero  elevato di impianti che, se qualificati come
termici  civili,  sarebbero soggetti alla meno cautelativa disciplina
del  titolo  II della suddetta parte quinta (si ricorda che l'obbligo
della  preventiva  autorizzazione  di  cui all'art. 269 si applica ai
soli  impianti  di cui al titolo I, mentre per gli impianti ricadenti
nel campo di applicazione dei titolo II e' prevista una mera denuncia
di installazione o modifica).
   3.4.  -  L'art.  16,  comma  1,  della  legge in esame modifica la
lettera  c) del comma 1 dell'art. 3 della legge provinciale 26 maggio
2006,   n. 4,  riscrivendo  la  definizione  di  «sottoprodotto»;  in
particolare,   al   punto  5,  prevede  che  «la  Giunta  provinciale
stabilisce  i  criteri secondo i quali le terre e rocce da scavo sono
considerati come sottoprodotti».
   Tale  previsione  e' illegittima per le stesse ragioni evidenziate
nella  sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 62/2008, in quanto,
«sottraendo  alla  nozione  di  rifiuto  taluni  residui che, invece,
corrispondono alla definizione sancita dall'art. 1, lettera a), della
direttiva 2006/12/CE, si pone in contrasto con la direttiva medesima,
la quale funge da norma interposta atta ad integrare il parametro per
la    valutazione    di   conformita'   della   normativa   regionale
all'ordinamento comunitario, in base all'art. 117, primo comma, della
Costituzione».
   Come  ricordato  dalla Corte costituzionale nella citata sentenza,
«la  Corte  di giustizia ha precisato che la modalita' di utilizzo di
una  sostanza non e' determinante per qualificare o meno quest'ultima
come  rifiuto,  poiche' la relativa nozione non esclude le sostanze e
gli  oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Il sistema di
sorveglianza  e  di  gestione  istituito  dalla direttiva sui rifiuti
intende,  infatti, riferirsi a tutti gli oggetti e le sostanze di cui
il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e
sono  raccolti  a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o
di  riutilizzo... La norma provinciale fa sorgere la presunzione che,
nelle  situazioni  da  esse  previste,  le  terre  e  rocce  da scavo
costituiscano  sottoprodotti  che  presentano  per il loro detentore,
data  la  sua  volonta'  di  riutilizzarli,  un vantaggio o un valore
economico  anziche'  un onere di cui egli cercherebbe di disfarsi. Se
tale ipotesi in determinati casi puo' corrispondere alla realta', non
puo'  esistere  alcuna  presunzione  generale  in  base alla quale un
detentore  di  terre  e  rocce da scavo tragga dal loro riutilizzo un
vantaggio  maggiore  rispetto  a  quello  derivante dal mero fatto di
potersene disfare.».
   Per  le  stesse ragioni, quindi, anche la disposizione in esame va
dichiarata illegittima.
   3.5.  -  L'art.  16,  comma  4, modifica la lettera b) del comma 3
dell'art. 19 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, prevedendo
l'esonero  dall'obbligo  di  tenuta  del  formulario di trasporto dei
rifiuti  per «i trasporti di rifiuti che non eccedano la quantita' di
30  chilogrammi  o  30  litri al giorno, effettuati dal produttore di
rifiuti  stessi non a titolo professionale. In questo caso il gestore
dell'impianto  di  trattamento  deve  lasciare  una conferma scritta,
secondo  le  modalita'  fissate  dalla  Giunta provinciale». Siffatta
norma  contrasta  sia  con  la  normativa  nazionale  che  con quella
comunitaria.  Infatti,  l'art.  193  del decreto legislativo 3 aprile
2006,  n. 152, esonera dall'obbligo di tenuta del formulario soltanto
«i  trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei
rifiuti  stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la
quantita'  di trenta chilogrammi o di trenta litri». Ed ancora l'art.
5,  comma  3  della direttiva 12 dicembre 1991, n. 91/689/CEE dispone
che  «i rifiuti pericolosi, qualora vengano trasferiti, devono essere
accompagnati da un formulano di identificazione».
   Come   gia'   rilevato   dalla   citata   sentenza   della   Corte
costituzionale   n. 62/2008,  «il  legislatore  statale,  invero,  ha
istituito  un  regime  piu'  rigoroso  di controlli sul trasporto dei
rifiuti  pericolosi,  in ragione della loro specificita' (artt. 1 78,
comma  1,  e  184  del  d.lgs. n. 152 del 2006) e in attuazione degli
obblighi  assunti in ambito comunitario, in base ai quali "per quanto
riguarda  i rifiuti pericolosi i controlli concernenti la raccolta ed
il  trasporto  riguardano  l'origine  e la destinazione dei rifiuti''
(art.  5,  comma  2, della direttiva 91/689/CEE del 12 dicembre 1991,
relativa  ai  rifiuti pericolosi), poiche' "una corretta gestione dei
rifiuti  pericolosi  richiede  norme  supplementari e piu' severe che
tengano  conto  della natura di questi rifiuti'' (quarto considerando
della  direttiva  citata). Il formulario d'identificazione, strumento
indicato  dall'art. 5, comma 3, della citata direttiva 91/689/CEE, in
mancanza  del quale la legge statale, ove i rifiuti siano pericolosi,
commina  sanzioni  penali  (art.  258, comma 4, del d.lgs. n. 152 del
2006),   consente  di  controllare  costantemente  il  trasporto  dei
rifiuti,  onde  evitare  che  questi  siano  avviati per destinazioni
ignote. La relativa disciplina statale, proponendosi come standard di
tutela   uniforme   in  materia  ambientale,  si  impone  nell'intero
territorio  nazionale  e  non  ammette  deroghe quali quelle previste
dall'art. 19, comma 3, lettera b), della legge provinciale in esame».
   Per  le  stesse  ragioni  e' illegittima la disposizione contenuta
nell'art. 16, comma 4, oggetto di censura.
   3.6.  -  L'art.  16,  comma  6, integra il contenuto dell'art. 20,
comma 2 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, con il seguente
terzo   comma:   «Con  riguardo  all'obbligo  ed  alle  modalita'  di
iscrizione  all'albo  nazionale,  la  Giunta provinciale puo' emanare
disposizioni   per   regolamentare   le   procedure  e  l'obbligo  di
iscrizione».
   Tale  previsione  si pone in evidente contrasto con l'art. 212 del
decreto   legislativo   3   aprile   2006,   n. 152   che  disciplina
analiticamente  ed  in maniera inderogabile le procedure, i termini e
le procedure di iscrizione all'Albo nazionale dei gestori ambientali.
Ancora  una  volta  si  deve  rilevare che identico vizio della norma
provinciale  era  stato gia' censurato dalla Corte costituzionale con
la   sentenza   n. 62/2008:   «l'iscrizione  all'Albo  e'  posta  dal
legislatore statale in correlazione con l'esigenza di dare attuazione
a  direttive  comunitarie  (art.  12  della  direttiva del Parlamento
europeo  e  del  Consiglio  2006/12/CE del 5 aprile 2006, relativa ai
rifiuti,  e,  prima, art. 12 della direttiva del Consiglio 75/442/CEE
del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti; Corte di giustizia, sentenza
9 giugno 2005, in causa C-270/03, Commissione c. Repubblica italiana)
...  L'adozione  di  norme e condizioni per l'esonero dall'iscrizione
ovvero  per  l'applicazione  in  proposito  di procedure semplificate
attiene  necessariamente  alla  competenza  statale,  nell'osservanza
della pertinente normativa comunitaria».
   Ancora,  consolidata  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale
insegna  che  il  settore  delle  professioni turistiche ricade nella
materia  delle  «professioni»  nella  quale  Stato  e  regioni  hanno
competenza  legislativa  concorrente,  ai  sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost. (ex plurimis, sent. 197/2003), con la conseguenza che la
Regione e' tenuta a legiferare nel rispetto dei principi fondamentali
dettati  dal  legislatore  nazionale,  cui  spetta  di individuare le
figure   professionali,   con  i  relativi  ordinamenti  didattici  e
l'istituzione   degli   albi   (v.   sent.  nn.  355/2005,  153/2006,
423-424/2006, 449/2006, 57/2007).
   La  disposizione  provinciale  oggetto  di censura e' illegittima,
quindi,  per  le  ragioni  esposte, in quanto attribuisce alla Giunta
regionale  la  competenza  ad  emanare disposizioni regolamentari per
l'iscrizione all'albo professionale oggetto di intervento.
   3.7.  -  L'art.  16,  comma  7,  sostituisce l'art. 24 della legge
provinciale  26 maggio 2006, n. 4, disponendo al comma 6 che: «Per lo
svolgimento  delle  singole  campagne  di  attivita'  sul  territorio
provinciale 1'interessato, munito di autorizzazione, rilasciata anche
da  altre  regioni,  almeno  quindici giorni prima dell'installazione
dell'impianto  deve  comunicare all'Agenzia provinciale le specifiche
dettagliate   relative   alla   campagna   di   attivita',  allegando
l'autorizzazione  stessa  e  l'iscrizione  all'Albo  nazionale di cui
all'art.  212  del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonche'
l'ulteriore  documentazione  richiesta  al  fine  di  documentare  il
rispetto  delle  norme  ambientali.  Decorso questo termine ovvero in
presenza  del  nulla  osta  dell'Agenzia provinciale l'attivita' puo'
essere iniziata.».
   La  norma  non innova sostanzialmente rispetto a quella previgente
ma  deve  essere  censurata  laddove, in contrasto con l'art. 208 del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n. 152, prevede il termine di
quindici  giorni,  invece  che  di  sessanta,  per  la  comunicazione
all'Agenzia provinciale dell'installazione dell'impianto.
   La  disposizione  provinciale  e',  quindi, illegittima perche' si
discosta da quella nazionale di riferimento e comporta una violazione
delle   finalita'  perseguite  dal  legislatore  nazionale,  laddove,
poiche'  in  assenza di formali rilievi da parte dell'amministrazione
competente   e'   consentito  l'avvio  dell'attivita',  la  rilevante
diminuzione  del  termine previsto a livello nazionale limita in modo
sostanziale   la   possibilita'   per   l'amministrazione  stessa  di
effettuare   un  adeguato  controllo  ed  una  efficace  istruttoria,
svilendo cosi' le garanzie di tutela ambientale.
   4.  -  In  conclusione,  la  normativa  provinciale  in questione,
dettando   disposizioni   confliggenti  con  la  normativa  nazionale
vigente,  espressione della potesta' legislativa esclusiva statale in
materia  di  tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma,
lett.  s) della Costituzione, nonche' con disposizioni di derivazione
comunitaria,  in violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., eccede
dalle competenze provinciali di cui agli articoli 8 e 9 dello Statuto
speciale  di  autonomia  di cui al d.P.R. n. 670/1972 e va dichiarata
illegittima per violazione dei suddetti parametri.
   Si  aggiunge, infine, che le norme contenute nell'art. 14, commi 1
e  5,  sostituendo  il testo in lingua tedesca delle lettere j) e aa)
del comma 1 dell'art. 2 della legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8,
e  non  riportando  la  formulazione  delle stesse in lingua italiana
violano  l'art.  99  dello  statuto  speciale  di  autonomia  (d.P.R.
n. 670/1972)  secondo  cui  la lingua italiana e' la lingua ufficiale
dello  Stato e fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei
casi nei quali e' prevista la redazione bilingue.
   Tanto  premesso  e  considerato, giusta delibera del Consiglio dei
ministri in data 1 agosto 2008.