IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al R.G. 751/2008, proposto dalla ditta Babou Co. di Ismaila Babou rappresentato e difeso dall'avv. Leonardo Bardi ed elettivamente domiciliato in Milano, via Lamarmora, n. 44, presso lo studio dello stesso; Contro Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, questura della Provincia di Varese, in persona del questore pro tempore, entrambe rappresentate e difese dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, ed ex lege domiciliate in Milano, via Freguglia n. 1, presso gli Uffici della stessa; e nei confronti del Comune di Sesto Calende, non costituito in giudizio, per l'annullamento del provvedimento prot. n. 138/08 adottato dalla Questura di Varese in data 13 marzo 2008 e notificato al ricorrente in pari data nonche' di ogni altro atto presupposto, consequenziale e connesso. Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso; Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno e della Questura della Provincia di Varese; Presente alla Camera di consiglio, in data 15 aprile 2008, il procuratore di parte ricorrente e l'Avvocatura distrettuale dello Stato, come da verbale d'udienza; Udito il relatore ref. Mara Bertagnolli; Vista l'ordinanza cautelare n. 595/08 di accoglimento a termine dell'istanza di sospensione correlata al ricorso in epigrafe indicato, deliberata dalla Sezione alla medesima Camera di consiglio in ragione della presente questione di costituzionalita'; Visto l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Visti gli atti tutti della causa. F a t t o La ditta ricorrente e' titolare in Comune di Sesto Calende di phone center preesistente all'entrata in vigore della legge della regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, con la quale sono state emanate apposite norme «per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa». Con il provvedimento prot. n. 138/08 la Questura di Varese ha disposto la chiusura dell'attivita' di phone center gestita da parte ricorrente, per mancata conformazione ai nuovi requisiti (in prevalenza igienico-sanitari e di sicurezza dei locali) disposti dalla predetta legge regionale; quanto sopra, in vincolata applicazione di quest'ultima, la quale - nel disporre per gli esercizi preesistenti un termine di adeguamento annuale - ha altresi' previsto, nei casi di infruttuosa scadenza di tale termine, la cessazione definitiva dell'attivita' senza possibilita' di proroghe, come da combinato disposto dell'art. 9 primo comma lettera c) e secondo comma, con l'art. 12. In particolare, fra le piu' significative e restrittive novita' in tema di requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dei locali, che il Collegio ritiene sospette sul piano costituzionale, si segnalano le seguenti testuali prescrizioni dell'articolo 8, primo comma: un servizio igienico in uso esclusivo del personale dipendente (lett. e); un servizio igienico riservato al pubblico, anche prossimo al locale nel caso di esercizi gia' attivi all'entrata in vigore della presente legge, ma ad uso esclusivo dello stesso per il locale con superficie fino a 60 metri quadrati (...); un ulteriore servizio igienico per il locale di dimensioni superiori (lett. f); spazio di attesa all'interno del locale di almeno 9 metri quadrati, fino a 4 postazioni telefoniche, provvisto di idonei sedili posizionati in modo da non ostruire le vie di esodo; la sala di attesa dovra' essere aumentata di 2 metri quadrati ogni postazione aggiuntiva (lett. h); ogni postazione deve avere una superficie minima di 1 metro quadrato ed essere dislocata in modo da garantire un percorso di esodo, libero da qualsiasi ingombro ed avere una larghezza minima di 1,20 metri (lett. i). Alla camera di consiglio del 15 aprile 2008 la Sezione ha accolto - a termine, sino alla pronuncia della Corte costituzionale sulla questione oggetto della presente ordinanza - l'istanza incidentale di sospensiva, ritenendo non manifestamente infondata (nei sensi che verranno specificati con la presente ordinanza) la questione di costituzionalita' prospettata dal ricorrente, nei confronti della citata legge regionale n. 6/2006. D i r i t t o Oggetto della presente questione di costituzionalita' sono alcune disposizioni della legge della Regione Lombardia n. 6/06 (gia' indicate in narrativa) che ha regolato l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa, con disposizioni applicabili anche agli esercizi (come nel caso dell'odierno ricorrente) preesistenti all'entrata in vigore della legge stessa. Le norme sospettate di incostituzionalita', che assumono rilevanza nelle vertenze in esame, riguardano: l'articolo 1, nella parte in cui riporta la materia oggetto di trattazione alla legislazione residuale regionale sul commercio; l'articolo 4, che introduce un sistema generalizzato di autorizzazione civica per 1'esercizio dell'attivita'; l'articolo 8, nella parte (comma 1, lettere e, f h, i, e comma 2) in cui introduce - con immediata modifica dei regolamenti vigenti - i nuovi requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dei locali, in connessione agli artt. 9 primo comma, lett. c) e secondo comma, nonche' 12, disposizioni queste ultime che regolano il regime transitorio per i vecchi esercizi; cio' in quanto l'ordinanza civica impugnata ha disposto «con effetto immediato» la chiusura dell'esercizio di phone center per mancato tempestivo adeguamento ai nuovi requisiti di cui sopra; la difformita' rispetto a questi ultimi e' poi a sua volta di impedimento al rilascio della specifica autorizzazione richiesta dall'art. 3 gia' citato, giusto il disposto dell'art. 4, terzo comma, lett. c), con riguardo al rilascio del certificato igienico sanitario di cui al successivo art. 8. Le norme costituzionali di cui si sospetta la violazione riguardano l'articolo 117, in relazione ai vincoli dell'ordinamento comunitario ed al sistema di riparto delle competenze legislative Stato-Regione; gli artt. 3 e 41 in relazione, in particolare, ai rilevanti ostacoli che le restrittive prescrizioni in materia igienico-sanitaria - introdotte dalla legge regionale di cui trattasi, da applicare anche retroattivamente alle preesistenti gestioni di phone center, determinano sulla liberta' di iniziativa economica dei gestori; nonche' l'art. 15 sulla liberta' di comunicazione. Dalle esposte premesse emerge, sotto il profilo della rilevanza della questione di costituzionalita', un contesto legislativo che ha direttamente determinato in modo cogente il contenuto lesivo dell'atto impugnato, senza lasciare o consentire alcuna mediazione discrezionale in capo alla intimata autorita' amministrativa; la quale, come peraltro ribadito nella circolare di chiarimenti emanata dalla Regione Lombardia (prot. H1.2006.0027733 del 5 giugno 2006, punto 8), ha dovuto emettere il provvedimento (in tutto vincolato nel contenuto) di cessazione immediata dell'attivita' alla scadenza del perentorio termine annuale fissato, senza possibilita' di alcuna proroga ai sensi del gia' citato art. 9, secondo comma, che non annovera tra le ipotesi di proroga quelle della lettera c) del primo comma. Sul piano, ancora, della rilevanza, va detto nuovamente che in relazione alla valutazione di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' delle indicate disposizioni della predetta legge regionale, la Sezione ha adottato un'ordinanza cautelare di sospensione del provvedimento di cessazione dell'attivita' di phone center, con efficacia limitata al preriodo necessario a che la Corte costituzionale si pronunci sulla questione stessa. Chiarita la rilevanza della questione, il collegio intende in primis evidenziare a carico della l.r. n. 6/2006 - quanto all'ulteriore profilo della non manifesta infondatezza - la sospetta violazione dell'art. 117, commi primo, secondo, terzo e quarto della Costituzione. L'articolo 1 della legge riconduce la deliberata normativa «nel quadro delle competenze della regione e dei comuni in materia di commercio», tuttavia il riferimento a siffatta materia (che rientra nella legislazione residuale regionale ex art. 117, quarto comma, Cost.) sembra al Collegio del tutto estranea all'ambito applicativo della legge stessa, che ai sensi dell'articolo 2, comma primo, consiste nell'attivita' di «. . . cessione al pubblico di servizi di telefonia in sede fissa in locali aperti al pubblico», secondo le ulteriori specificazioni illustrate nei successivi commi. Invero, tale attivita' non rientra nella vendita di merci all'ingrosso o al dettaglio secondo quanto previsto dall'art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 («Riforma della disciplina relativa al settore del commercio (...)», ne' rientra nei settori del commercio definiti dall'art. 39 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Va detto piuttosto che una delle novita' della legge e' proprio quella di impedire che all'interno delle strutture di «phone center» possano affiancarsi - come in passato - attivita' commerciali di supporto, secondo un principio di esclusivita' non condiviso invece -almeno dalla legislazione statale - nella situazione inversa, in cui la cessione dei servizi telefonici e telematici puo' ben avvenire in modo complementare rispetto ad altre attivita' principali (cfr. art. 7 del d.l. 27 luglio 2005, n. 144, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 31 luglio 2005, n. 155, che nel quadro di una disposta «integrazione della disciplina amministrativa degli esercizi pubblici di telefonia ed internet», prevede la licenza del questore per «chiunque intende aprire un pubblico esercizio o un circolo privato di qualsiasi specie, nel quale sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche»). Le uniche attivita' commerciali consentite all'interno dei phone center dalla legge regionale n. 6/2006, che riguardano la vendita di schede telefoniche e l'installazione di distributori automatici di bevande ed alimenti (cfr. art. 2, secondo comma, lettera b e comma 3), non sono oggetto della specifica autorizzazione richiesta dalla legge, e rivestono carattere apertamente occasionale o eventuale e quindi del tutto marginale. L'attivita' terziaria in esame sembra, invece, piu' propriamente riportabile alla materia dell'ordinamento delle comunicazioni (art. 117, terzo comma, Cost. con legislazione concorrente Stato-regione), ascrivendosi piu' specificamente al «servizio di comunicazione elettronica», categoria introdotta dall'art. 2, par. 1, lett. e) della dir. 7 marzo 2002 n. 2002/21/CE, con conseguente applicazione della disciplina di derivazione comunitaria (comprensiva altresi' delle direttive 2202/19 CE, 2002/20/CE e 2002/22 CE), complessivamente recepita con il cd. codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259. Di particolare pertinenza ai casi di specie appaiono del resto le definizioni mirate a delimitare il campo di applicazione del decreto medesimo ai sensi dell'articolo 1, comma 1, con peculiare riguardo alla lettera bb) («rete telefonica pubblica: una rete di comunicazione elettronica utilizzata per fornire servizi telefonici accessibili al pubblico») ed alla lettera oo) («telefono pubblico a pagamento: qualsiasi apparecchio telefonico accessibile al pubblico, utilizzabile con mezzi di pagamento che possono includere monete o carte di credito o di addebito o schede prepagate, comprese le schede con codice di accesso»). La rilevata derivazione europea di tale normativa comporta poi che la materia ivi trattata (ordinamento delle comunicazioni) vincola, anche con riguardo al rispetto del principio di proporzionalita', la Regione, non solo ai sensi dell'articolo 117, terzo comma entro i limiti della legislazione statale di principio, ma piu' in radice ai sensi dell'articolo 117, comma 1, secondo cui ogni legge della Repubblica deve conformarsi ai «vincoli derivanti dagli obblighi comunitari». In via strettamente consequenziale, il rispetto di tali disposizioni finisce poi per impingere su profili trasversali di legislazione esclusiva statale ex art. 117, secondo comma Cost., con specifico riguardo alla tutela della concorrenza (lett. e) nonche' alla determinazione (e salvaguardia) dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m), anche in conformita' all'interesse generale che connota tali servizi, ai sensi dell'art. 3 del citato decreto n. 259/2003. In proposito, va altresi' evidenziato il disposto del primo comma dell'art. 3, il quale garantisce i «diritti inderogabili di liberta' delle persone nell'uso dei mezzi di comunicazione elettronica» con espresso richiamo a quel regime di (libera) concorrenza che rinforza il legame dell'attivita' in questione alla «materia-funzione» devoluta alla legislazione esclusiva statale. Inoltre i principi di derivazione comunitaria e costituzionale risultano espressamente ribaditi dall'art. 4 del medesimo decreto legislativo, il quale prevede al primo comma che la disciplina delle reti e dei servizi e' volta a salvaguardare i diritti costituzionalmente garantiti di «liberta' di comunicazione», nonche' di «liberta' di iniziativa economica e suo esercizio in regime di concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di obiettivita', trasparenza, non discriminazione e proporzionalita» (sul punto, Corte costituzionale n. 236/2005). Il terzo comma dello stesso art. 4 dispone, tra l'altro, che la suddetta disciplina e' volta anche a «promuovere la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei confronti delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica». Puntualizzato quanto sopra, va poi affermato che la norma regionale - nella sua unilaterale iniziativa di regolazione del settore (erroneamente riportato al commercio) - ha introdotto un regime autorizzativo ulteriore e duplicativo, rispetto al sistema delineato in sede comunitaria come recepito con il decreto legislativo n. 259/2003. Ed invero, tornando al comma 2 dell'articolo 3 di tale decreto, ivi si prevede che «la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, che e' di preminente interesse generale, e' libera e ad esse si applicano le disposizioni del Codice», fatte salve al successivo comma «le limitazioni derivanti da esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell'ambiente e della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione» (testuali concetti sono poi ribaditi nell'articolo 25, primo comma dello stesso decreto). A fronte della conclamata liberta' di fornitura dei servizi di comunicazioni elettronica (ivi compresi - come sopra visto - quelli connessi all'esercizio di un phone center), il decreto legislativo n. 259/2003 prevede poi che l'espletamento di tali servizi venga subordinato ad una (sola) «autorizzazione generale», in rigoroso e vincolato recepimento della normativa europea. In particolare tale autorizzazione viene definita dall'art. 1, comma 1, lettera g) come «il regime giuridico che disciplina la fornitura di reti o di servizi di comunicazione elettronica...» e consegue alla presentazione di una dichiarazione dell'interessato (a seguito della quale e' possibile iniziare l'attivita) contenente l'intenzione di procedere alla fornitura (art. 25, comma 3); il potere del Ministero competente di vietare il prosieguo dell'attivita' medesima puo' essere esercitato «entro e non oltre» sessanta giorni secondo il modulo procedimentale della dichiarazione di inizio attivita' ex art. 19, legge n. 241/1990, espressamente richiamato dalla norma in esame (art. 25 comma 4, cfr. anche delibera n. 467/00/CONS con cui l'Autorita' per le Garanzie nelle comunicazioni ha disciplinato il rilascio di tali autorizzazioni generali, per uniformarne il contenuto). Pur a fronte di tali vincolanti previsioni - che la legislazione regionale non e' legittimata ad alterare, ai sensi dei primi 3 commi dell'art. 117 Cost. - la legge lombarda ora in esame ha invece introdotto un ulteriore titolo abilitativo, disponendo in particolare all'art. 3, comma 1 che «l'esercizio della attivita' di cessione al pubblico del servizio di telefonia in sede fissa e' assoggettato all'autorizzazione di cui all'articolo 4», al cui rilascio provvede il comune competente per territorio. Trattasi dunque di una previsione che sembra al Collegio comunque alterare il regime di sostanziale liberta' di fornitura dei servizi de quibus cosi' come delineato in via primaria dall'ordinamento comunitario, ed in via attuativa dalla norma statale di recepimento, con conseguenti aggravamenti procedimentali, pur vietati dai citati articoli 3 e 4 del decreto n. 259/2003. Quanto sopra viene peraltro a determinare una sospetta lesione dei principi di libera concorrenza e di salvaguardia dei livelli essenziali di prestazioni di interesse generale connesse ai diritti inderogabili dell'individuo, ivi compresa la liberta' di comunicazione garantita dall'art. 15 Cost., proprio ai sensi delle citate definizioni legislative ex art. 3 del decreto legislativo n. 259/2003 (sul cui ruolo di garanzia rispetto a tali principi si e' espressa la Corte con la segnalata pronuncia n. 336/2005). Inoltre, anche nel caso in cui la funzione autorizzatoria introdotta dall'art. 4 della legge regionale n. 6/2006 dovesse intendersi riferita (solo) agli interessi pubblici strumentali all'attivita' di comunicazione elettronica (nel quadro delle citate «limitazioni» a tale attivita', previste e consentite dagli artt. 3 e 25 del decreto legislativo n. 259/2003), resta il fatto che anche siffatte limitazioni sembrano afferire a materie comunque (tutte) estranee a quella potesta' legislativa residuale ex art. 117, quarto comma Cost., che la regione Lombardia ha invece inteso nella specie esercitare. Basti pensare: alle esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato ed alla tutela dell'ambiente (legislazione esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera d); alle esigenze di protezione civile e di salute pubblica (legislazione concorrente ex art. 117, terzo comma). Va poi precisato che anche le limitazioni di tipo edilizio od urbanistico (peraltro non espressamente comprese nella citata elencazione di cui agli artt. 3 e 25 del decreto legislativo n. 259/2003) sono subordinate alla concorrenza legislativa di poteri Stato-regioni sotto la voce del «governo del territorio», ai sensi del citato comma 3 dell'art. 117 Cost. Inoltre, le problematiche connesse alla riservatezza e protezione dei dati personali (queste ultime invece espressamente previste fra le limitazioni di cui sopra) sono state gia' considerate e regolate dal legislatore statale, nel quadro delle esigenze di sicurezza pubblica con il citato decreto-legge 27 luglio 2005 recante «nuove disposizioni antiterrorismo per gli internet point ed i pubblici esercizi che mettano a disposizioni del pubblico postazioni per comunicazioni telematiche», convertito nella legge n. 155/2005. Sulla illegittimita' costituzionale di quelle legislazioni regionali che - nella presente materia delle comunicazioni elettroniche - aggiungono fasi autorizzatorie comunque denominate rispetto alle procedure abilitative gia' contemplate nel decreto legislativo n. 259/2003, si richiama al riguardo la recente pronuncia della Consulta n. 129/2006, che - seppure in relazione alla diversa problematica delle installazioni di torri e tralicci - ha comunque censurato l'art. 27, comma 1, lettera e) della l.r. Lombardia n. 12/2005, per aver previsto la necessita' di un titolo edilizio ritenuto ulteriore e superfluo rispetto alle procedure delineate nell'articolo 87 del decreto legislativo; cio' in quanto - ha osservato testualmente la Corte con esternazioni di principio applicabili al caso di specie - «...la tutela del territorio e la programmazione urbanistica sono salvaguardate dalle norme statali in vigore ed affidate proprio agli enti locali competenti, i quali, al pari delle Regioni (sentenza n. 336 del 2005), non vengono percio' spogliati delle loro attribuzioni in materia, ma sono semplicemente tenuti ad esercitarle all'interno dell'unico procedimento previsto dalla normativa nazionale, anziche' porre in essere un distinto procedimento» (con conseguente violazione dei principi generali di semplificazione della legislazione statale in materia di governo del territorio). La violazione dell'articolo 117 cost. sembra peraltro assumere connotati sostanziali, anche al di la' dell'erronea qualificazione formale della materia trattata, e cio' non solo in relazione ai settori occupati dalla legge regionale eppur di appartenenza esclusiva alla legislazione statale (ove il contrasto «sostanziale» con il precetto costituzionale si consuma in re ipsa con il semplice intervento legislativo della regione). Anche nel caso delle fattispecie concorrenti, infatti, la normativa in esame non pare essersi correttamente inserita nei principi generali di una legislazione statale che - dopo aver garantito all'attivita' in se' considerata un trattamento semplificato, improntato alla liberta' di comunicazione voluta anche dall'unione europea - si e' limitata a prevedere per i soli «internet point» disposizioni speciali per la sicurezza dello Stato, senza l'introduzione di altri regimi ad hoc (igienico-sanitari ed urbanistici) diversi e piu' restrittivi, rispetto a quelli gia' in vigore per gli altri esercizi connessi alle attivita' terziarie. In relazione ai requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dei locali, va poi rammentato che la legge regionale dispone contenuti di dettaglio che integrano in modo automatico e simultaneo tutti i regolamenti di igiene delle autorita' sanitarie e dei comuni in territorio lombardo (art. 8, comma 2), e cio' senza che la legislazione statale di riferimento consenta, all'interno di tale regolamentazione locale, l'inserimento eteronomo di contenuti dispositivi e di dettaglio direttamente imposti da leggi regionali (cfr. art. 344 TULS). Va ancora osservato sul punto che le prescrizioni previste dall'ordinamento statale, si limitano a stabilire una disciplina generale quanto ai requisiti di agibilita' dei locali destinati ad attivita' economiche, la quale rimanda alle norme edilizie e igienico sanitarie contenute in prevalenza in fonti normative secondarie, e non contiene comunque prescrizioni cosi' restrittive per gli indici igienico-sanitari regolati specificamente dalla legge regionale de qua, neanche per i locali ove vi e' maggiore concentrazione di persone per un tempo di permanenza maggiore (come teatri, cinema o nei locali ove viene svolta attivita' di somministrazione di alimenti e bevande). Donde la necessita' che la competenza legislativa concorrente delle Regioni venga esercitata nel rispetto dei principi fondamentali di cui all'art. 3 (con particolare riguardo alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale limitativi di fatto della liberta' e l'uguaglianza dei cittadini) e 41 della Carta fondamentale, nonche' di quello, di derivazione comunitaria, della proporzionalita' (insito nel riferimento ai vincoli derivanti dall'ordinamento europeo contenuto nell'art. 117, primo comma), secondo il quale, com'e' noto, una misura e' conforme a tale principio soltanto allorche' il mezzo adoperato si rilevi non tanto e non solo «idoneo» a consentire il raggiungimento dell'obiettivo desiderato, ma anche «necessario» nel senso dell'indisponibilita' di altra misura egualmente efficace, e tale da incidere il meno negativamente possibile nella sfera del destinatario, ossia da non essere «intollerabile». In sostanza un giudizio di proporzionalita' basato ex ante sulla valutazione comparativa tra mezzo e fine. Infine, sempre in relazione ai requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dei locali ex art. 8 della legge (con specifico riguardo alle voci ivi rubricate alle lettere e, f, h, i, meglio descritte in narrativa), il Collegio ritiene che la legge regionale n. 6/2006 presenti profili di non manifesta infondatezza anche nella parte in cui dispone l'applicazione retroattiva delle rigorose nuove disposizioni, senza delineare la possibilita' di proroghe (pur non automatiche, ma discrezionali e da valutare caso per caso) per consentire agli esercizi preesistenti di continuare l'attivita', nonostante la vana scadenza del termine annuale di adeguamento. Secondo consolidata giurisprudenza costituzionale (da ultimo Corte cost. sent. n. 156/2007), la possibilita' del legislatore di incidere con norme retroattive su situazioni sostanziali ormai radicate da leggi precedenti, resta subordinata al rigoroso vaglio di razionalita' del nuovo regolamento di interessi che modifica ex post quello preesistente. Ritiene il Collegio che nella specie non sussista (a parte quanto gia' evidenziato sotto il profilo della proporzionalita) una sicura rispondenza dello ius superveniens a sufficienti criteri di ragionevolezza, in relazione alle modalita' con cui la nuova normativa incide sui giustificati affidamenti dei titolari dei preesistenti esercizi di phone center, e cio' in sospetta violazione dei principi di parita' di trattamento ex art. 3 Cost. La prescrizione infatti di un cosi' nuovo e piu' impegnativo assetto strutturale e funzionale dei locali strumentali allo svolgimento dell'attivita' determina, in capo a coloro che gia' gestivano quest'ultima in regime di regolarita' amministrativa, una serie di obblighi conformativi razionalmente inesigibili durante il (breve) periodo annuale concesso dalla legge, anche in considerazione della necessita' di procedere a lavori strutturali ed edilizi dal costo elevato e spesso non realizzabili per l'inidoneita' oggettiva derivante dall'area disponibile dei locali, e quindi anche laddove l'esercente l'attivita' voglia adeguarvisi. La stessa rilocalizzazione ipotizzata dalla norma - oltre a non esser subito praticabile in assenza della formalizzazione di nuovi strumenti urbanistici chiamati ad individuare le relative aree (cfr. terzo comma, art. 98-bis della l.r. n. 12 del 2005, introdotto dall'art. 7 della 1.r. n. 6 del 2006) - non sembra certo rappresentare un rimedio semplice ed efficace rispetto all'abbandono - spesso obbligato - dei locali di origine, e cio' in considerazione delle difficolta' di reperimento, in adiacenza o prossimita' allo stesso edificio, di nuovi locali; senza considerare la perdita di avviamento che deriverebbe dal trasferimento dell'attivita' stessa, una volta approvato il previsto piano urbanistico. Quanto sopra, in aggiunta (donde un autonomo profilo di non manifesta infondatezza valutabile in base ai canoni del comma primo dell'art. 3 Cost.), al non indifferente maggiore onere economico, che potrebbe risultare insostenibile per i soggetti privi di adeguati mezzi economici, favorendo l'abbandono delle relative attivita'; tali dismissioni determinerebbero a loro volta un vantaggio rispetto ai nuovi operatori aventi maggiori disponibilita' d'investimento che - potendo organizzare ex ante l'attivita' secondo le regole vigenti - verrebbero a trovarsi in una situazione concorrenziale (ingiustamente) privilegiata, con riverberi dannosi per gli utenti privi di una piu' ampia scelta, e con forte rischio di tariffe meno vantaggiose. Le delineate - e non improbabili - conseguenze fattuali delle citate disposizioni finirebbero pertanto per incidere, oltre che sulla rilevata disparita' di trattamento ex art. 3 Cost., anche sulla liberta' di iniziativa economica privata garantita dall'art. 41 Cost., con riverberi lesivi sotto altro profilo della tutela della concorrenza garantita dall'ordinamento europeo (cfr. sul punto anche la segnalazione in data 6 agosto 2007 formalizzata dall'Autorita' garante della concorrenza e del mercato al Presidente della Regione Lombardia proprio in relazione «...agli effetti discorsivi della concorrenza che derivano dalle disposizioni ... dettate dalla legge Regione Lombardia 3 marzo 2006 n. 6»). Sulla base delle esposte considerazioni si ritiene rilevante e non manifestamente infondata la presente questione costituzionalita', che si solleva pertanto ai sensi dell'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 in relazione agli artt. 1, 4, 8 (comma 1, lettere e, f, h, i, e comma 2), 9, (primo comma, lett. c e secondo comma), nonche' 12, della 1.r. 3 marzo 2006, n. 6, in relazione agli artt. 3, 15, 41 e 117 della Costituzione.