IL TRIBUNALE Letti gli atti ed i documenti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, con particolare riguardo alla memoria, depositata dal Difensore di Luca Strona, parte civile costituita, all'udienza del 24 giugno 2008, avente ad oggetto la richiesta di citazione di Toro Assicurazioni S.p.A. nella dedotta qualita' di responsabile civile, siccome compagnia assicuratrice della responsabilita' civile di Cappa S.r.l., impresa datrice di lavoro dello Strona; Sentite la parti, osserva quanto segue. Nell'ambito del procedimento penale in epigrafe, che vede Francesco Pastormerlo. legale rappresentante della Cappa, imputato del delitto di cui all'art. 590, comma 3 c.p. e di talune contravvenzioni previste da leggi speciali in materia di diritto penale del lavoro, per aver in tesi cagionato allo Strona, intento a spostare altrove, nel corso dell'attivita' lavorativa, una coclea tubolare non adeguatamente protetta sull'apertura di carico inferiore, lesioni personali gravissime alla mano sinistra, il difensore dello Strona medesimo, costituitosi parte civile, rappresenta che, dopo l'infortunio, la Cappa e' stata dichiarata fallita. Alla luce di cio', egli, fatte proprie le argomentazioni con cui la sezione lavoro della Corte di cassazione, con ordinanza addi' 12 febbraio 2008, n. 11921, ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1917, comma 2 c.c., chiede citarsi la Toro Assicurazioni quale responsabile civile, sottolineando, da un lato, l'impossibilita', stante l'intervenuto fallimento, di agire contro la Cappa in quanto tale, e dall'altro lato, di sottrarre la somma eventualmente risarcenda dalla Toro Assicurazioni alle regole del concorso. In subordine solleva eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 83, comma 1 c.p.p. per le medesime ragioni che, secondo la sezione lavoro della Corte di cassazione, affliggerebbero di illegittimita' l'art. 1917, comma 2 c.c. Il pubblico ministero ed il difensore dell'imputato si oppongono alla richiesta del difensore della parte civile, richiamando il consolidato orientamento della Corte costituzionale a termini del quale l'art. 83, comma 1 c.p.p. muove da un obbligo risarcitorio che la legge, e soltanto la legge, fa gravare sul responsabile civile direttamente in favore di terzi lesi dal fatto ingiusto altrui. Orbene, l'art. 83, comma 1 c.p.p., la cui portata va apprezzata anzitutto sul piano processuale, ossia sul piano della possibilita' che un soggetto ulteriore, rispetto all'imputato, sia chiamato, nell'ambito del processo penale, a rispondere civilisticamente del fatto dell'imputato, e' per costante giurisprudenza della Corte costituzionale interpretato nel senso della necessaria esistenza di una norma di legge intesa a configurare un vero e proprio obbligo di detto soggetto verso il danneggiato. Tale premessa costituisce il filo conduttore della nota sentenza addi' 22 aprile 1998, n. 112, che, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale della disposizione di cui odiernamente si discute, laddove non prevedeva, nel caso di responsabilita' civile derivante dall'assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990, che l'assicuratore potesse essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato, ha valorizzato, nel contesto giust'appunto dell'obbligatorieta' dell'assicurazione, i due profili peculiari della previsione dell'azione diretta del danneggiato nel confronti dell'assicuratore e quella del litisconsorzio necessario del responsabile del danno nel giudizio civile promosso contro l'assicuratore: «Nella legge n. 990 del 1969, istituiva dell'assicurazione obbligatoria della responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, interessano, ai fini del giudizio di comparazione devoluto alla Corte attraverso l'ordinanza di rimessione, gli articoli 18 e 23, Il primo comma dell'art. 18 stabilisce che "il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante per i quali a norma della presente legge vi e' l'obbligo di assicurazione ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali e' stata stipulata l'assicurazione''. L'art. 23 statuisce che "nel giudizio promosso contro l'assicuratore a norma dell'art. 18, comma primo, della presente legge, deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno''. Queste due disposizioni, ovviamente da inquadrarsi nel complesso della legge a cui appartengono, bastano, ad avviso di questa Corte, per collocare la particolare responsabilita' civile in questione tra i casi di responsabilita' civile ex lege ai quali si riferisce il comma secondo dell'art. 185 c.p., quando stabilisce il principio per cui "ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui'': ovviamente nel processo civile, ove l'azione di responsabilita' per danno sia esercitata, per qualsiasi motivo, indipendentemente o separatamente dall'azione penale, e nel processo penale ove vi sia (e finche' vi sia) costituzione di parte civile del danneggiato». Di particolare importanza, ai fini che ne occupano, l'ulteriore precisazione a termini della quale, «quando la Corte di cassazione esclude l'azione civile diretta del danneggiato contro l'assicuratore in sede civile (e conseguentemente esclude la citazione dell'assicuratore medesimo come responsabile civile nel processo penale), cio' avviene solo con riferimento a quelle assicurazioni che hanno la loro fonte esclusiva nel contratto, osservandosi che in questi casi l'assicuratore e' soltanto tenuto verso l'assicurato, ovviamente nei limiti del capitale assicurato. Ma la stessa Corte di cassazione riconosce invece esplicitamente che l'assicurazione obbligatoria della responsabilita' civile derivante da circolazione di autoveicoli a motore e di natanti configura una responsabilita' civile dell'assicuratore ex lege, da inquadrarsi nell'ambito di applicazione dell'art. 185 c.p.». La diretta conseguenza dell'impostazione seguita nella sentenza teste' citata trovasi espressa nelle battute conclusive dell'ulteriore sentenza addi' 28 marzo 2001, n. 75, che, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83, comma 1 c.p.p., nella parte in cui non consente all'imputato di ottenere la citazione nel processo penale del proprio assicuratore della responsabilita' civile in forza di contratto di assicurazione facoltativo, per supposta irragionevolezza della differenza con il processo civile, dove il danneggiante e' facoltizzato alla chiamata in causa dell'assicuratore ex art. 106 c.p.c., evidenzia l'erroneita' dell'assunto di partenza: «Con l'ordinario contratto di assicurazione, infatti, l'assicuratore non assume alcun obbligo di risarcimento nei confronti dei terzi. ma soltanto un obbligo di tenere indenne l'assicurato che ne faccia richiesta ai sensi dell'art. 1917, secondo comma, c.c. Mancano pertanto nel processo penale sia il presupposto oggettivo-sostanziale (obbligo del risarcimento ex lege), sia il presupposto soggettivo-processuale (destinatario del diritto all'indennizzo) per l'esercizio diretto dell'azione civile da parte del danneggiato: con l'ovvia conseguenza di rendere la posizione dell'assicuratore diversa rispetto a quella che caratterizza la figura del responsabile civile, a norma dell'art. 185 c.p. La richiesta pronuncia, quindi, non soltanto finisce per radicarsi su di una ipotesi eccentrica rispetto alla fattispecie esaminata nella sentenza [addi' 22 aprile 1998, n. 112] di questa Corte, pure evocata dal giudice a quo; ma, addirittura, si risolve in una prospettiva profondamente innovativa e riservata alla scelta discrezionale del legislatore, mirando tale richiesta a consentire l'inserimento eventuale di una nuova figura processuale nel procedimento penale, in evidente contrasto con i ben diversi assetti sistematici [dello stesso]». Le superiori considerazioni rendono ragione del motivo per cui, la richiesta del difensore dello Strona di autorizzarsi la citazione della Toro Assicurazioni non puo' essere accolta: invero, atteso che quest'ultima assume la veste di compagnia assicuratrice della responsabilita' civile del datore di lavoro in forza di contratto di assicurazione facoltativo, allo stato attuale della legislazione, lo Strona non vanta alcun diritto nei suoi confronti, essa rimanendo invece obbligata esclusivamente nei confronti del datore di lavoro. Nondimeno, volta considerato che il datore di lavoro e' medio tempore fallito, diventa, a sommesso avviso di questo giudice, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83, comma 1 c.p.p., in combinato disposto con l'art. 1917, comma 2 c.c., per contrasto, nell'ordine, con gli articoli 3, secondo comma; 24, primo e secondo comma; 32, primo comma; 35, primo comma e 111 commi primo e secondo Cost., nella parte in cui, intervenuto il fallimento del datore di lavoro, non consente l'autorizzazione alla citazione nel processo penale, alla stregua di responsabile civile, della compagnia assicuratrice della responsabilita' civile del datore medesimo in forza di contratto di assicurazione facoltativo, non essendo a priori prevista azione diretta del danneggiato nei suoi confronti. Sul requisito della rilevanza non v'e' molto da aggiungere. Il difensore dello Strona chiede autorizzarsi la citazione della Toro Assicurazioni per modo che gli effetti civili del giudicato penale possano fare stato anche nei suoi confronti, con conseguente sua condanna, nell'ipotesi di riconosciuta colpevolezza dell'imputato, a corrispondere allo Strona medesimo una somma integralmente ristoratrice del danno, siccome da effettuarsi al di fuori della procedura fallimentare e, quindi, del concorso dei creditori insinuati al passivo. Riguardo specificamente a tale ultimo profilo, v'e' solo da aggiungere che, dalla documentazione depositata dal medesimo difensore all'odierna udienza, consta avere il curatore del fallimento rag. Paolo Lebole, con diffida del 20 febbraio 2008, richiesto alla Toro Assicurazioni il pagamento del dovuto in conformita' ai conteggi effettuati, giusta missiva del 25 luglio 2007, dal danneggiato in vista dell'insinuazione al passivo: nondimeno e' evidente che sussiste l'interesse concreto ed attuale di quest'ultimo di vedersi eventualmente rifuso, per intero, il dovuto. Devesi dunque affrontare la vicenda relativa al requisito della non manifesta infondatezza. Vero e', come ribadito dalla Corte costituzionale nella ridetta sentenza addi' 28 marzo 2001, n. 75, che riproduce, pressoche' alla lettera, la massima della sentenza addi' 10 aprile 1997 n. 4940 della sezione IV penale della Corte di cassazione, che, nel caso di contratto di assicurazione facoltativo, giusta il secondo comma dell'art. 1917 c.c., si configura un obbligo dell'assicuratore esclusivamente verso l'assicurato che ne faccia richiesta di tenerlo indenne dalla pretesa del danneggiato, senza che quest'ultimo vanti alcuna legittimazione ad agire contro l'assicuratore in quanto terzo al fatto illecito; ma, con riguardo segnatamente al caso di specie, e' anche vero che, come sottolineato dalla sezione lavoro della Corte di cassazione nella citata ordinanza del 12 febbraio 2008, n. 11921, stante il fallimento della Cappa, il lavoratore si vede a priori conculcato il proprio diritto all'immediato ed integrale ristoro del danno. Egli, infatti, pacifico che non puo' esperire un'azione di condanna contro il fallimento per via dell'art. 52, comma 2 l. fall, si vede costretto, anzitutto, ad insinuare il proprio credito al passivo e, secondariamente, a subire il concorso di tutti i creditori, pur con l'attenuazione del privilegio ex articoli 2751-bis e 2767 c.c. La menomazione, almeno nell'opinione di questo giudice, del suo diritto d'azione si evidenzia in cio'; non tanto per via dell'impossibilita di esperire un'azione di condanna, quale pacificamente deve considerarsi quella autorizzanda ex 83 numero 1 c.p.p., contro il fallimento, posto che l'opzione eletta dall'art. 52, comma 2 l. fall. di tutelare la par condicio creditorum in applicazione esclusiva delle regole, e prima ancora delle forme, del Capo V della medesima legge risponde a ragionevolezza, intendendo garantire la verifica simultanea e totalitaria di tutti i crediti verso il fallito, nell'ottica della liquidazione parimenti simultanea e totalitaria del suo patrimonio: quanto piuttosto della duplice impossibilita', in primo luogo, di sollecitare la compagnia assicuratrice al pagamento diretto e, in secondo luogo, di porre il datore di lavoro nelle condizioni di chiedere esso medesimo alla compagnia assicuratrice detto pagamento, facendo cosi' insorgere un autentico obbligo, ai sensi dell'ultima parte del secondo comma dell'art. 1917 c.c., in capo alla medesima. La situazione che si viene a determinare e' chiara: il danneggiato non puo' chiedere l'autorizzazione alla citazione del datore di lavoro come responsabile civile nel processo penale perche' fallito, con conseguente preclusione ex art. 52, comma 2 l. fall., e, oltre, volta attivate le idonee iniziative in sede fallimentare, non puo' sottrarsi alla regola del concorso, pur riconosciuto un collocamento poziore nell'ordine di graduazione in virtu' del richiamato privilegio: sotto distinto, ma correlato angolo visuale, ne' la compagnia assicuratrice puo' in ipotesi determinarsi al risarcimento diretto, perche', cosi' facendo, violerebbe la par condicio creditorum, ne' il fallimento puo' farsi promotore di un'iniziativa in tal senso, perche' qualsivoglia credito del fallito deve, in difetto di espressa statuizione derogatrice, confluire nella cassa comune per il successivo riparto. Donde la non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalita' gia' paventato dalla citata ordinanza della sezione lavoro della Corte di cassazione, per le medesime ragioni che i Giudici di legittimita' compiutamente analizzano e per altra e diversa ragione che ci si permettera' di aggiungere. Nel dettaglio, detti giudici, depurata l'illustrazione dei motivi dai rilievi che, su questione identica, fondarono la decisione di manifesta inammissibilita' resa dalla Corte costituzionale nell'ordinanza del 13 dicembre 2006, n. 457, denunziano l'irragionevolezza dell'art. 1917, comma 2 c.c., nella parte in cui non prevede l'azione diretta del lavoratore che subisca danno da infortunio, per disparita' di trattamento rispetto a situazioni analoghe, siccome sorrette dall'eadem ratio, in cui, al contrario, e' concessa al creditore azione diretta contro il debitore del proprio debitore, con conseguente violazione dell'art. 3, segnatamente secondo comma, Cost. Inutile ripercorrere in questa sede, per la dovizia di particolari e la limpidezza dell'esposizione, che non si eguaglierebbero, il ragionamento dei giudici remittenti, al quale ci si limita a far rinvio, essendo sufficiente richiamare che, sul versante propriamente lavoristico, l'art. 1676 c.c. gia' prevede l'azione diretta in favore dei dipendenti dell'appaltatore sul debito del committente nei confronti di quest'ultimo e che gli articoli 23, comma 3 e 29, comma 2, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, gia' prevedono, rispettivamente per il contratto di somministrazione di manodopera e per il contratto di appalto, la responsabilita' solidale, con il datore di lavoro, dell'utilizzatore e del committente (cosi' legittimando l'azione contro questi ultimi per titolo autonomo rispetto a quello dell'azione contro il primo); mentre, sul versante propriamente aquiliano, l'art. 18, comma 1, 1egge 24 dicembre 1969, n. 990, del pari gia' introduce l'azione diretta del danneggiato (fondante, secondo quanto anticipato, la dichiarazione di illegittimita' costituzionale in parte qua dell'art. 83, comma 1 c.p.p.). Merita soltanto di evidenziare che, reputata preminente, come tradiscono le disposizioni teste' evocate in materia di diritto del lavoro, la necessita' di un'integrale protezione delle possibilita' satisfattorie del credito del lavoratore, detta preminenza, stante la perentorieta' del primo comma dell'art. 35 Cost., non puo' non valere a maggior ragione nel caso di infortunio sul lavoro, allorquando la lesione ricevuta dal lavoratore riguarda, non puramente e semplicemente il diritto alla percezione di somme in forza del rapporto sinallagmatico di prestazione lavorativa, ma addirittura il diritto al ristoro del danno, di necessita' solo per equivalente, in conseguenza del pregiudizio all'integrita' personale, bene prioritario rispetto allo stesso diritto al lavoro e comunque autonomamente protetto dall'art. 32, primo comma Cost. Non solo: sotto il parallelo profilo del titolo dell'obbligo dell'assicuratore della responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, con l'introduzione del secondo comma dell'art. 144, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che, prevedendo l'impossibilita' per l'impresa di assicurazione di opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto «per l'intero massimale di polizza», ha innovato il dettato del secondo comma dell'art. 18 della 1egge 24 dicembre 1969, n. 990, secondo cui l'impossibilita' per l'assicuratore di opporre eccezioni era confinata al limite delle «somme minime per cui l'assicurazione e' obbligatoria», il necessario fondamento legale del titolo stesso viene compresso dal rilievo attribuito all'ammontare del massimale, quest'ultimo evidentemente pattuito dalle parti. Cio' detto, non sfugge che la sezione lavoro della Corte di cassazione solleva il dubbio di costituzionalita' anche in relazione agli articoli 24, commi 1 e 2 e 111, commi primo e secondo Cost. Pienamente condivisibili le sue considerazioni sul principio di concentrazione delle tutele e sul principio di ragionevole durata dell'attesa della risposta giurisdizionale. In relazione al primo punto, il riconoscimento dell'azione diretta del danneggiato contro il responsabile civile nel processo penale gli varrebbe di non dover moltiplicare le proprie iniziative, e in seno al processo penale con la costituzione di parte civile a valere nei soli confronti dell'imputato per l'ipotesi che egli ritorni in bonis e in seno alla procedura fallimentare alla stregua di un ordinario creditore insinuantesi al passivo, ottenendo il beneficio di una «risposta giudiziaria contestuale e coordinata alla [sua] domanda di giustizia» (cosi', espressamente, l'ordinanza cit.). In relazione al secondo punto, la sopravvenienza, come nella specie, del fallimento del datore di lavoro all'avvio del processo penale non si ritorcerebbe in danno del danneggiato, con inevitabile allungamento dei tempi della risposta giurisdizionale, potendo egli valutare l'opportunita' di coltivare azione autonoma nella sede processuale piu' celere (persino, se del caso, radicando un autonomo giudizio civile). Ma v'e' dell'altro, che in certo qual modo si aggiunge al tenore dell'ordinanza della sezione lavoro della Corte di cassazione: si rappresentava poc'anzi la situazione del danneggiato, cui e' precluso, non solo di citare nel processo penale il datore di lavoro e, per esso, il fallimento, ma addirittura di provocare, in seno indifferentemente allo stesso processo penale o alla procedura fallimentare, un'iniziativa del fallimento che, a termini dell'art. 1917, comma 2 c.c., sia intesa a favorire il risarcimento diretto da parte della compagnia assicuratrice. Cio' realizza, ad avviso di questo giudice, un vero e proprio disconoscimento del suo diritto d'azione ex art. 24, commi primo e secondo Cost., risultando per contro egli esposto, come dice, tuttavia in relazione alla denunziata irragionevolezza dell'art. 1917, comma 2 c.c., anche la sezione lavoro della Corte di cassazione, al «libito» dell 'assicurato e dell'assicuratore, i quali, in ragione del tempo in cui decidono di dare seguito alle pretese risarcitorie, possono o meno sottrarre la somma elargenda al concorso dei creditori. Osservazione, questa, non di poco momento nel caso che ne occupa, posto che, tra i documenti odiernamente prodotti dal difensore della parte civile, figura un processo verbale di mancata conciliazione nanti la Direzione provinciale del lavoro risalente al 25 ottobre 2006 e, dunque, a data anteriore alla dichiarazione di fallimento della Cappa.