IL GIUDICE DI PACE Ha emesso la seguente ordinanza. E' proponibile la questione di legittimita' costituzionale, qui, incidentalmente, sollevata, perche' consegue alla concretizzazione del presupposto processuale richiesto dall'art. 1, legge 9 febbraio 1948, n. 1, e dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87: l'iniziativa del rimettente e' esplicata nel corso di un giudizio (Corte cost., 28 gennaio 1991,n. 33 ex multis); Sussistono i requisiti per la sua proposizione, ossia: la rilevanza; la non manifesta infondatezza; l'impossibilita' - all'esito del tentativo del Rimettente - di pervenire ad un'«interpretazione adeguatrice» ovvero «conforme a Costituzione». Quanto alla rilevanza: essa, intesa come probabilita' che l'eventuale pronuncia della Corte sia in grado di incidere/influire, concretamente, sul processo principale (c.d. «assenza del difetto relativo di rilevanza»), viene, sempre piu' - considerata sotto l'aspetto dell'accertamento del requisito relativo all'applicabilita' della norma (nn. 115-125-149-180-255/2001, 240/2002), e, solo dopo, sotto quello della «concreta rilevanza in senso stretto»: da cio' deriva la valutazione della rilevanza sotto due aspetti: come applicabilita' e come influenza (sent. n. 65/1999), richiedendo all'uopo: 1) una congrua motivazione in fatto (sentt., nn. 194/1999 e 255/2003, ex plurimis, e, in diritto, sia dell'una sia dell'altra, a pena d'inammissibilita' (nn. 19-25-37-53-72-93-211-282-300-317-450-455-460/1999, 97-131-139-147-170-171-181-222-236-279-28191/2000,21-151/2003,ecc.); tenuto conto del carattere «istantaneo» dell'accertamento della rilevanza, e' preferibile ritenere che il giudice a quo sia convinto - almeno - della ragionevole probabilita' che la norma, costituzionalmente, dubbia, venga applicata,e, motivi, in tal guisa (nei termini infra delineati dallo scrivente), la propria decisione:, per cui la Corte costituzionale parla, a riguardo, di «ragionevole possibilita» sent. 277/1998; il momento determinante, per la rilevanza della questione, va valutato al momento della decisione della Corte (C. cost., 22 dicembre 182, n. 235, Corte cost., 18 aprile 1983, n. 95), la qual cosa acquista, ancor piu', spessore nel caso in discussione, vista l'incidenza che la cartella di pagamento puo', effettivamente, determinare in odio del percusso, per la particolare procedura, di estremo aggravio per il l'amministrato passibile di vedere «staggiti» i propri beni, a garanzia del credito,vantato, dall'ente di riscossione coattiva, a quo; la lettura dell'art. 23, secondo comma, legge n. 1953/1987, fa esplicito riferimento all'ipotesi che il caso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione della questione principale. Quanto alla manifesta infondatezza: dapprima essa era circoscritta entro i termini che richiamano il dubbio, carico di sospetto ed incertezza (sent. n. 161/1977), come condizione «psicologica», pur minima, per l'emanazione dell'ordinanza di rinvio: successivamente la predetta nozione si e' ampliata modulandosi secondo le locuzioni: «evidente», «certo», «palese», «insanabile contrasto con i principii costituzionali, che paiono piu' idonee ad esprimere una certezza anziche' un dubbio; cio' ha portato la Corte ad «esigere» dal «giudice a quo» l'indicazione della «soluzione» del problema di costituzionalita' (sentt. n. 566-1987,189-240/1991, 234-357-425/1992, 357-437/1996, 185-418/1997, 265-279-378-397-425-458/1998, 333-372/1999, 201418/2000, 153-342/2001). Quanto all'impossibilita' di configurare una «norma adeguatrice» o «conforme a Costituzione»: il rimettente ha accolto l'invito della Corte ad quem a tentare interpretazioni «adeguatrici» (sentt. n. 57-89-237-322/2001, 3-315/2002), ma, in presenza di un ius superveniens non ha potuto rinvenire quella «non implausibile» (sentt. n. 375/2002, 64/2003), capace di evitare il ricorso al Giudice delle leggi, tanto piu' che il sottoscritto ha evitato, per rispetto del principio di «nomofiliachia», a suo carico, di trovare/inventare norme (sent. n. 364/1997). Quanto al parametro e all'oggetto del giudizio delle questioni qui sollevate: a) il primo, nella sua struttura interna e' costituito non da elementi di natura, propriamente, normativa, bensi', pure, di quelli di ordine fattuale, ugualmente idonei ad incidere sul processo costituzionale, sulla norma (contenuto di significato della disposizione di legge, ossia risultato dell'interpretazione) e non sulla disposizione (enunciato della fonte legislativa, ossia oggetto dell'interpretazione). Quanto agli elementi necessari per il giudizio di comparazione: il rimettente significa le condizioni acconce a sostanziare l'asserto formale vergato in ogni quesito sottoposto alla Consulta (sent. 1° febbraio 1983, n. 15, ord. 8 febbraio 1991, n. 66). Cio' premesso, indica, fin d'ora, quanto oggetto del suo provvedimento, ossia solleva di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 36, comma 4-ter della legge 28 febbraio 2008, n. 31 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni legali in materia finanziaria» in relazione agli artt. 2, 3, 24 e 97 Cost., nella parte in cui dispone: «...la mancata indicazione del responsabile del procedimento nelle carteller di pagamento, relative a ruoli consegnati prima di tale data, non e' causa di nullita' delle stesse». In linea di fatto risulta: che al ricorrente: e' stata notificata cartella di pagamento N0482007 emessa da ..................... in data non accertata e notificata al ricorrente in data per l'importo di euro: ......................... oltre a euro: ......................... per un totale di euro: ................... in generale la questione di costituzionalita' pone problemi che attengono i principii, intesi quali proposizioni normative ad alto grado di genericita' a fattispecie aperta, applicabili nella forma: «piu' o meno», ossia con la massima estensione o restrizione (artt. 2, 3 Cost.), e, le regole, definibili come proposizioni normative ad elevata specificita', a fattispecie chiusa, secondo il modello: «Se A allora segue B», applicabili nella forma del «tutto-niente», quindi destinate ad essere attuate oppure no (art. 111 Cost., in tema di formazione della prova nel contradditorio); il caso oggetto di giudizio non puo' comprendersi se non in riferimento alla norma, ed essa deve a quello riferirsi, perche' non solo il caso si orienti alla norma, ma, anche, la seconda al primo (c.d. «concretizzazione del diritto»), il che significa come il giudice, di fronte ad un accadimento problematico (nel caso in questione l'aggravio di una cartella di pagamento mancante dell'elemento identificativo saliente, anzi, della massima importanza: l'indicazione dell'identita' del responsabile del procedimento), sollevi il problema, in tanto per comprenderlo, in quanto per risolverlo possa (per effetto del principio del «dover essere», il quale comportando una modificazione dell'«essere», non puo' essere rappresentato come un elemento «a priori», dato per certo ed acquisito nel contesto della realta', bensi' deve avere la capacita' di essere «realmente», nella sua posizione di far sperimentare al destinatario un senso di dovere nei confronti di tale intimazione-ingiunzione), stornare il rischio di appropinquarsi alla deriva dell'«indecidibilita» inibita, comunque e dovunque si cerchi la «norma» applicanda alla res litigiosa, sfociata in res iudicanda. I cardini della questione pertengono: la nozione di validita' dell'atto amministrativo; il valore dell'asserto: «giusto procedimento amministrativo»; il significato del principio di «eguaglianza sostanziale» in relazione all'effettiva estrinsecazione di quest'ultima, vietando al giudice di porre in essere una disciplina che direttamente, o, indirettamente, dia vita ad una - non giustificata - disparita' di trattamento delle situazioni giuridiche (Corte cost., 1966/25); tutto quanto serva a dire che, il rimettente, muove dalla convinzione che la questione scrutinanda dall'ecc.ma Corte adita, involgano diversi profili rispetto a quelli esaminati in sentenze (Corte cost., 26 giugno 1974, n. 189, Giur. Cost., 1974, 1632, Corte cost., 13 febbraio 1974, n. 32, ivi, 1974, 117), giacche' oggi si dibatte sull'assenza di giustificazione di una norma che «lungi dall'essere un inutile adempimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell'attivita' amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell'imparzialita' della pubblica amministrazione, predicati dall'art. 97, primo comma, Cost.», citando l'ecc. ma Corte adita: ordinanza 2007/377, del 5 novembre 2007, depositata in Cancelleria il 9 novembre 2007, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 14 novembre 2007. In particolare, dalla decisione suddetta il g.d.p. rimettente ha accolto ricorsi, in subiecta materia e aventi ad oggetto proprio il tema oggetto dell'odierna q.l.c., tra cui citasi quello riguardante il Proc. n. 3987/07 R.G. Affari Cont., nanti cotesto ufficio del g.d.p., ove ha costitutito parte integrante della motivazione, quanto segue: l'inapplicabilita' dell'ipotesi di nullita' dell'atto amministrativo, afferente: 1) l'invalidita' dell'atto, della divergenza grave dal paradigma legale, dalla sua sanabilita' a mezzo della conversione dell'atto; che 2) si riflette nella fattispecie della nullita' che non puo' essere astretta alla nozione fondata sulla «causalita» secondo il principio: quod nullum est nullum producit effectum, ne' e' libera di svolgersi secondo il dettame di quella «realistica» che conferisce alla fattispecie autonoma rilevanza, tenuto conto che, tra rilevanza ed efficacia non esiste intima connessione, ne' e' astretta a quella dell'autonomia: perche' un fatto sia giuridicamente rilevante e' sufficiente che il medesimo sia qualificato da una norma giuridica, ma, una fattispecie puo' essere definita come giuridicamente rilevante a prescindere dalla sua efficacia, bastando che il fatto materiale sia sussumibile nella fattispecie astratta prevista dalla norma; e che non e' 3) intesa come l'esito di un processo dove il soggetto e' leso un atto concreto che produce conseguenze pratiche (cosi' come il dicere senza ius non e' iudicum, lo ius senza dicere non e' ius, per cui il rapporto tra ius e iudicium e' il medesimo che tra pensiero e la parola: un rapporto circolare), sicche' puolsi dire come la dinamica giuridica poggi su un saldo collegamento tra realta' sociale ed ordinamento, di talche' gli effetti giuridici non sono prodotti dalla norma astratta, bensi' dalle concrete valutazioni compiute dall'ordinamento: la fattispecie, con un moto circolare, vive indipendentemente dagli effetti, dappoiche' possono riscontrarsi fenomeni che si concretano nella determinazione di effetti conformi al risultato pratico, perseguito dagli autori dell'atto, e risposte negative, che si risolvono nel collegamento di effetti contrari a valere come rifiuto di effetti; onde per cui 4) da cio' consegue che l'ordinamento, in tema di nullita', compiva quella valutazione diretta a negare la produzione degli effetti giuridici, ossia, sussumendo quella norma che assuma quella precisa posizione consistente nel rifiuto di collegare lo stesso trattamento previsto per gli atti validi, sicche', 5) in tal modo viene risolto il problema, non altrimenti superabile, mediante la separazione, completa, del momento della rilevanza da quello dell'inefficacia, in questi termini: riferendola rilevanza al rapporto che si instaura tra fatto e fattispecie e l'efficacia riferendo la al rapporto che si instaura tra realta' materiale e statuizione normativa (corrispondente, in senso metaforico, all'«ideato» e l'«attuato»); cio' e' rigettato dallo scrivente, per l'incapacita' di detta teoria di delineare il rapporto che viene ad instaurarsi tra il momento della rilevanza e quello dell'efficienza. Da cio' deriva come tale vizio non sia rilevabile in questa procedura, essendo limitato il potere del G.O. ex art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, avendo la pronuncia sulla nullita' valore erga omnes. Inoltre non si appunta - all'atto in questione - il vizio della sua annullabilita', una volta assodato che: la nozione di «annullabilita» va enucleata secondo il modus ponens di cui alla C.C., su, 1973/2273), ossia: il Pretore, che in sede di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria ha il potere di conoscere incidenter tantum, dell'invalidita' del provvedimento, puo' sindacare l'atto nei limiti della prefata legge, solo sotto il profilo dei vizi di legittimita' incluso l'eccesso di potere per sviamento di potere, - che consiste nella violazione dei due limiti fondamentali posti all'esercizio di una qualsiasi potesta' amministrativa (interesse pubblico e causa tipica) :C.d.S., VI, 1970/198 -, mediante l'istituto della disapplicazione. Quest'ultima, come infra si dira', e' l'ipotesi applicabile in detta controversia; l'annullabilita' del provvedimento opposto, inteso come: strutturato secondo le leggi di depenalizzazione : 1967/317, 1975/706, fino a quella regolanda, in oggi, ossia 1981/689, per cui mutua i caratteri peculiari del procedimento di opposizione al decreto penale di condanna, ex art. 509 ss., r.d. 1930/1399, ora disciplinato ex art. 461 c.p.p. ex d.P.R. n. 1988/447, si configura, non gia' in termini di impugnazione dell'atto, bensi' quale giudizio ordinario di cognizione sulla pretesa fatta valere dalla p.a. con l'atto opposto (C.C. 1999/1122, C.C. sez. lav., 1989/5721); esso devolve al G.O. il potere-dovere di esaminare l'intero rapporto, con cognizione piena che non e' limitata alla verifica della legittimita' formale dell'atto, ma si stende - nell'ambito delle deduzioni delle parti - all'esame completo del merito della pretesa stessa (C.C. 1998/9433); in tale giudizio le vesti sostanziali di attore e convenuto sono assunte, anche ai fini dell'onere della prova, rispettivamente dalla p.a. e dall'opponente, sicche' l'opposizione puo' esaurirsi anche nella sola contestazione della pretesa della p.a., mentre l'obbligo di motivazione dell'ordinanza-ingiunzione, stabilito dall'art. 18, legge n. 689/1981,puo' essere soddisfatto anche per relationem ossia con riferimento al rapporto di denuncia (C.C. sez. lav., 1997/7779); nel giudizio in questione vige il principio di cui all'art.112 c.p.c. - corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato - di talche', al G.O. e' inibito, fuori dalle strette deduzioni delle parti (C.C. 1995/5446), ogni potere officioso,eccetto il caso d'inesistenza. Cio' spiega l'inapplicabilita', in cotesta vertenza, del principio di annullamento, mentre, di contro, liceizza il giudicante ad adottare quello per inesistenza dell'atto. La soluzione del problema, nei termini di accoglimento suddetti, era sta individuata nell'ottica della c.d. «imputazione di risultati», che disegna quell'ipotesi di «invalidita' radicale», ossia 1'«inesistenza», avuto riguardo che: solo l'imputazione puo' spiegare fenomeni, che, diversamente, fuoriescono dal mondo del diritto: per cio' l'imputazione non vien relegata al ruolo di «realta' di fatto», avendo una propria valenza giuridica: se dalle fattispecie derivano precise conseguenze giuridiche, le medesime non possono essere considerate come un quid facti, bensi' comportano risultati tali da integrare se non la natura propriamente attribuita alla categoria degli «effetti giuridici» veri e propri,quanto meno quelli, forieri di pur significative ripercussioni in capo al destinatario di essi, individuabili quali «conseguenze giuridiche»; la funzione tipica del potere non si esaurisce con la produzione di determinati effetti giuridici connessi con la sua formale emanazione, bensi' con la traduzione nella realta' delle determinazioni che vi sono contenute: per cio' e' il risultato il criterio di connotazione della fattispecie rilevante a distinguere l'ipotesi di nullita' da quella dell'inesistenza, per cui l'inesistenza e': il carattere che connota il fatto improduttivo di risultati, irrilevante per il diritto, o, al contrario di effetti materiali che non sono oggetto di giudizio da parte dell'ordinamento (sia nel caso provvedimento materialmente inesistente, pseudo atto, sia in quello di provvedimento abnorme, sia in quello di carenza di potere), avente l'effetto, a differenza della misura della sospensiva si accertare, in forma stabile e non interinale, che il risultato (ovviamente limitato al solo caso dedotto in giudizio) non ha la forza ed il valore di effetto giuridico. Al provvedimento disapplicatorio si era giunto atteso che: fin dalla sentenza della Cass., S.U., 1965/842, la suprema Corte indirizzava il G.O. a non tener solo conto della qualificazione giuridica data dalla parte alla domanda, e con quella della Cass. 1988/5267, si esplicitava come sussistesse giurisdizione del g.o. in relazione al petitum sostanziale della sottostante pretesa di merito, non rilevando, conversivamente, il tipo di provvedimento acclamato; la difficolta' di inquadrare l'istituto della disapplicazione nell'area in cui situasi il sindacato del g.o. in tema di sanzioni amministrative, opera solo, come, infra, si dira' in chi segue il criterio d'interpretazione della legge in senso c.d. «concettualistico dogmatico», proprio di chi persegue l'attivita' di «sistematizzazione» del diritto, a differenza di quanti, come questo g.d.p.,enunciano il criterio discretivo: obiettivo-teleologico; in vero il legislatore ha attribuito un potere disapplicatorio al G.O., in conformita' alla ratio legis e, nel rispetto della legge cui e' tenuta la pubblica amministrazione; intervenendo in senso disapplicatorio il g. o. rifiuta obbedienza e legittima il rifiuto di obbedienza di fonte ad un atto, che, riconosce, giudizialmente, non conforme alla legge, con una pronuncia, esclusivamente, limitata al caso da lui vagliato e correlata al solo effetto risarcitorio e non restitutorio. Nello specifico era stato valutato come l'obbligo di indicare, nella cartella di pagamento, il responsabile del procedimento fosse conforme a quanto statuito dall'ecc. ma Corte adita, risolvendo il problema, dell'applicabilita' ex officio del provvedimento amministrativo in ragione del dato che: ogni atto di un procedimento (quale attiene la cartella de qua), alla pari della titolarita' dei provvedimenti giudiziali, assunti in forma scritta, necessitano della firma del suo autore, a pena di inesistenza dell'atto; un atto e' valido quando e' riconducibile al suo autore; un atto quando e se e' valido, e' pure efficace ed applicabile; un (non atto) quando e se non e' valido, non e' nemmeno efficace e non e' applicabile; il provvedimento amministrativo si differenzia, assolutamente, dal provvedimento amministrativo: il primo mira ad assicurare la controllabilita' e l'accessibilita', da parte del suo destinatario, allo svolgimento dell'iter che eo ipso lo riguarda, il secondo e' un atto imperativo, «tipizzato», ed a «forma vincolata, il cui onere di motivazione, per l'autorita' emanante, si esaurisce con l'indicazione della norma posta alla base della sua emissione»; i riferimenti giudiziali su cui poggiava la conclusione di questo g.d.p. trovavano riscontro nei principii comunitari riconosciuti dalla Corte di Giustizia europea (sentenze 9 giugno 1988, W. Serie A/1384C, 7 luglio 1989, Soering, Serie A/161), la cui valenza costituisca un motivo di pari grado a quelli pregressi. Tale officioso intervento e' insostenibile alla luce dello ius superveniens, ossia, a seguito dell'entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31: «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria.», pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 47/L, del 29 febbraio 2008, all'art. 36 4-ter leggesi: «La cartella di pagamento di cui all'art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e successive modifiche, contiene, altresi', a pena di nullita', l'indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non e' causa di nullita' delle stesse.». Le ragioni dell'intervento del rimettente sono dettate: il valore precettivo, non programmatico, dell'art. 2 Cost., deve trovare riscontro nel fatto che esso e' caratterizzato dall'essere espressione di «una clausola aperta» (sul principio generale: Corte cost., 24 marzo 1983, n. 77), che si sostanzia con il riempimento e, non, con il toglimento, dalla Carta dei diritti, di una norma «di protezione» in capo al cittadino, e che, l'espressione del «diritto soggettivo», va riconosciuta e garantita dal diritto oggettivo, ossia dalla legge; l'art. 3 Cost., non esprime la concettualizzazione di una categoria astratta, staticamente elaborata in funzione di un valore immanente dal quale l'ordinamento non puo' prescindere, ma, definisce l'essenza di un giudizio di relazione che, come tale, assume un risalto necessariamente dinamico; il giudizio di eguaglianza, pertanto, e' in se' un giudizio di ragionevolezza, o meglio di apprezzamento di conformita' tra la regola introdotta e la «causa normativa» che la deve assistere. Se l'analisi di tale motivazione rende manifesta la carenza di «causa» o «ragione» della disciplina introdotta, sortisce la conseguenza che la scelta legislativa si palesi arbitraria per aver omologato, tra loro, situazioni diverse, o, al contrario, come apparso allo Stilante, per avere differenziato il trattamento di situazioni analoghe (Corte cost., 25-28 marzo 1996, n. 89): dalla non «ragionevolezza» della scelta del legislatore di usare un trattamento diverso tra cittadini, in base al mero dato temporale ut supra indicato, che si trovino in eguali situazioni (C. cost. 29 maggio 1960, n. 15, Giust. Cost., 1960,147); dal costituire il predetto principio di eguaglianza di trattamento tra eguali posizioni l'espressione dei canoni di coerenza dell'Ordinamento giuridico (Corte cost., 30 novembre 1982, Giur. Cost., 1982,I, 2146); l'obbligo di assicurare la parita' di trattamento - da parte del Legislatore - va osservato ogni qualvolta siano eguali le condizioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscano per la loro applicazione (Corte cost., 26 gennaio 1957, nn. 3 e 28, Giur. Cost., 1957,5 e 598); il diritto di difesa (art. 24 Cost.), inteso nel suo nucleo essenziale, strettamente collegato al caso in discussione, va riconosciuto, per sancire la non pobliterazione del principio ius est ars boni et aequi, in quanto il procedimento di cui trattasi non e' soggetto alla discrezionalita' amministrativa (Corte cost., 2 febbraio 1982, n. 18, in Giur. Cost., 1982,I,138): nel caso di specie la disposizione che proroga il termine a favore della p.a. per omettere di menzionare il nome del responsabile del procedimento della cartella di pagamento, rende, alla luce delle considerazioni gia' espresse in sentenza precisata dell'ecc. ma Corte ad quem l'esercizio del diritto di difesa del cittadino; infatti la non riferibilita' dell'atto al suo autore, nominativamente indicato,rientra in quell'ipotesi che configura l'esercizio del diritto di difesa estremamente difficile (Corte cost. 9 luglio 1974, n. 214, Giur. cost., 1974, 1740; Corte cost., 22 dicembre 1989, n. 368, Foro it., 1990, I, 2141); il principio di «buona amministrazione» sancito dall'art. 97 Cost., si assume dallo scrivente violato dal Legislatore a quo, supposto che ricorre la forma paradigmatica di manifesta irragionevolezza della differente condizione di trattamento tra i destinatari di cartelle di pagamento redatte e/o consegnate in tempi diversi tra loro (Corte cost., 30 gennaio 1980, n. 10, Giur. cost., 1980, I, 67, Corte cost. 15 febbraio 1980, n. 16, Giur. it. 1980, I, 137, Corte cost. 22 dicembre 1988, n. 21, Foro it. 1989, I, 1370, Giur. it. 1989, I, 1, 1271, Corte cost. 19 giugno 1990, n. 295, Corte cost. 25 luglio 19990, n. 369); nell'ambito dei «Diritti del cittadino dell'Unione», di cui all'art.1-10, paragrafo 2, lettera d) del Trattato-Costituzione (gia' contemplato nell'art. 21 del Trattato CE),correlato all'art. III-398 vigente, e' stato enunciato piu' volte (conclusioni degli Avvocati generali Jacobs nella causa n. C-270/99, Z c. Parlamento europeo del 22 marzo 2001, paragrafo 40; Stix-Hackl, causa n. C-224/00, Repubblica italiana c. Commissione delle Comunita' europee del 6 dicembre 2001, paragrafo 58; Kokott, cause nn. C-361/02, Stato Ellenico c. Nikolaos Tsapalos e Kostantinos Diamantakis, del 19 febbraio 2004, nota 23; sentenze Corte di Giustizia CE,: T-54/99 max mobil Telekommunikation Service c. Comm. CE, del 30 gennaio 2002, in Racc. 2002, p. 11-313, paragrafi 48 e 57); la codificazione dei nuovi principii generali dell'azione amministrativa: «L'attivita' amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed e' retta da criteri di economicita', di efficacia, di pubblicita' e di trasparenza secondo le modalita' previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonche' dai principi dell'ordinamento comunitario» (art. 1, legge n. 241 del 1990 come novellato dall'art. 1, lett. a) della legge n. 15 del 2005),enuncia ragioni di: legalita', imparzialita', dell'azione amministrativa, mossa da fini di: economicita', efficacia, celerita', efficienza, che rendono conto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, nonche' di trasparenza, controllabilita', accessibilita', che assicurano il miglio contemperamento di interessi senza implicare detrimento dei diritti dell'amministrato, bensi' con il garantire il minor danno per il destinatario dell'azione amministrativa il che significa che l'art. 97 non e' norma di carattere programmatico ma immediatamente precettiva (Corte cost. 7 marzo 1962, n. 14) e si traduce nell'esigenza di assicurare non solo l'organizzazione degli uffici, bensi' investe il funzionamento della p.a. (Corte cost. 10 marzo 1966, n. 22); gia' la legge n. 1997/59 prevede all'art. 20 che tra i principi informatori dell'ampia attivita' di delegificazione e semplificazione di procedimenti amministrativi vi sia «...l'adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell'attivita' e degli atti amministrativi ai principi della normativa comunitaria»; la cartella di pagamento gravida di aggravio e nocumento rilevante in capo al percusso deve essere contrassegnata da quelle forme di garanzie, riconosciute: quanto all'obbligo di motivazione e sottoscrizione dalla sentenza del 26 settembre 2002 della Commissione TRIBUTARIA REGIONALE di Venezia; quanto alla mancata indicazione, in cartella di pagamento,delle modalita' per fare ricorso, dalla sentenza n. 7897/2003 delle sezioni unite della Corte di cassazione, decidendo su un ricorso del Comune di Firenze avverso la sentenza n. 1008/2002 del giudice di pace di Firenze che aveva sindacato l'inadempimento della p.a. a riguardo, entrambe si innestano nel solco delineato dallo «Statuto del Contribuente» di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212; considerato che per cio' e' adottabile la misura della sospensione del giudizio (ex art. 23, legge n. 1953/87, 295 c.p.c.).