IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro   generale   185  del  2007,  proposto  da:  Bogetti  Ermete
Francesco,  rappresentato  e  difeso  dal  prof.  avv. Carlo Emanuele
Gallo,  con domicilio eletto presso il medesimo in Torino, via Pietro
Palmieri, 40;
   Contro  Corte  dei  conti;  Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentati  e difesi dall'Avvocatura dello Stato e domiciliati per
legge  in  Torino,  corso  Stati  Uniti, 45, per l'annullamento della
deliberazione  assunta  dal  Consiglio  di Presidenza della Corte dei
conti,  in  sede  disciplinare,  nell'Adunanza  del  9 novembre 2006,
sottoscritta  il  24  novembre  successivo,  e comunicata con nota 27
novembre 2006, in seguito prevenuta, che ha inflitto al ricorrente la
sanzione  disciplinare  dell'ammonimento,  nonche' per l'annullamento
degli  atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque
connessi  del  procedimento,  ivi  compreso  il  decreto  emanato dal
Presidente della Corte dei conti in data 20 luglio 2006, n. 9, che ha
disposto  la  trattazione  orale  del procedimento e la deliberazione
assunta  dal  Consiglio  di  Presidenza  della  Corte dei conti nella
seduta  del  20  luglio 2006, che ha ritenuto di non prosciogliere il
ricorrente   dagli   addebiti   contestati,   e  per  ogni  ulteriore
consequenziale statuizione.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Viste le memorie difensive;
   Visti tutti gli atti della causa;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio della Presidenza del
Consiglio dei ministri;
   Relatore  nell'udienza  pubblica  del  giorno  8  maggio  2008  il
referendario  avv.  Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale.
   1.  -  Con  il  ricorso in epigrafe il Procuratore regionale della
Corte  dei  conti  per  la  Regione  Piemonte, cons. Ermete Francesco
Bogetti,   gravava   i   provvedimenti  impugnati  del  Consiglio  di
Presidenza   della   Corte  dei  conti,  con  i  quali  all'esito  di
un'istruttoria  disciplinare  e di un'udienza segreta nel corso delle
quali  gli  era stata negata la facolta' di scelta di un avvocato del
libero  Foro  come  difensore  di  fiducia,  gli  veniva  inflitta la
sanzione  disciplinare  dell'ammonimento,  per  aver  espresso  delle
valutazioni  in  punto  di responsabilita' in merito alle aggressioni
della Polizia sui manifestanti nei fatti del 7 dicembre 2005 relativi
alle  contestazioni del programma governativo delle linee ferroviarie
TAV.
   Il ricorso, affidato a diversi articolati motivi, poggia anche, al
quarto  motivo, sull'eccezione di illegittimita' costituzionale degli
artt.  10,  comma  9  della legge 3 aprile 1988, n. 117 e 34, comma 2
della  legge  27  aprile  1982,  n. 186,  il  cui  combinato disposto
consente al magistrato amministrativo o contabile fatto oggetto di un
procedimento  disciplinare, di farsi assistere unicamente da un altro
magistrato,  con esclusione, quindi, della facolta' di nominare quale
difensore un avvocato del libero Foro.
   Si  e'  costituita  ingiudizio  la  Presidenza  del  Consiglio dei
ministri,  in  rappresentanza della Corte dei conti, la quale, per il
tramite  dell'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato,  ha  chiesto il
rigetto   del   ricorso   nonche'   della   proposta   questione   di
costituzionalita', da dichiararsi manifestamente infondata.
   Con  ampia  discussione orale il patrono del magistrato ricorrente
ha  ulteriormente  corroborato  le  sue  tesi difensive, instando, in
particolare,  per la declaratoria di non manifesta infondatezza della
tratteggiata   questione   di   legittimita'   costituzionale   e  la
conseguente rimessione degli atti a codesta sovrana Corte.
   2.1.  -  Brevemente ricostruendo il corpus normativo indubitato di
infrazione  costituzionale,  osserva  il  remittente Collegio come il
procedimento  disciplinare dei magistrati contabili non sia dotato di
autonoma disciplina, essendo laconicamente regolato dalla legge sulla
responsabilita'  civile  dei  magistrati,  la  legge  13 aprile 1988,
n. 117, il cui art. 10, nel contemplare le attribuzioni del Consiglio
di  Presidenza  della  Corte  dei conti, al comma 9 stabilisce che il
procedimento  disciplinare  a  carico  dei  magistrati  contabili  e'
promosso  dal  procuratore generale e che nella relativa procedura si
applicano  gli  artt.  32, 33 buona parte, e 34 della legge 27 aprile
1982,   n. 186,   sull'organizzazione   e   il   funzionamento  della
Magistratura amministrativa.
   Piu'   in  dettaglio,  l'art.  34,  comma  2  della  citata  legge
n. 186/1982 dispone che il magistrato amministrativo incolpato prende
la  parola  per  ultimo  ed  ha  facolta' di farsi assistere da altro
magistrato.
   Non e', consentito, dunque, a legislazione vigente, che un giudice
amministrativo  o contabile - stante il richiamato rinvio normativo -
possa  nominare  come difensore in un procedimento disciplinare a suo
carico, un avvocato del libero Foro.
   Siffatta preclusione appare al ricorrente irragionevole, illogica,
contrastante   con  gli  articoli  3,  24,  101  e  108  della  Carta
costituzionale,  violando  il diritto di difesa e altresi' vulnerando
il  principio  di  uguaglianza,  posto  che per i magistrati ordinari
codesta  sovrana  Corte, con la sentenza 16 novembre 2000, n. 479, ha
introdotto nel relativo ordinamento disciplinare la facolta' di farsi
assistere  da un avvocato del libero Foro, attraverso la declaratoria
di  illegittimita'  costituzionale dell'art. 34, comma 2 del r.d.lgs.
31  maggio  1946,  n. 511,  nella  parte  in  cui  escludeva  che  un
magistrato  ordinario  sottoposto a procedimento disciplinare potesse
affidare l'ufficio difensivo ad un avvocato del libero Foro.
   2.2.  -  Ritiene sul punto il remittente Collegio che la questione
di  legittimita'  costituzionale  in  argomento  sia  rilevante e non
manifestamente  infondata,  per  le  ragioni  che  verranno  appresso
illustrate.  Reputa,  tuttavia,  che  la  questione prospettata debba
essere  approfondita  e  che,  quindi,  il sospetto di illegittimita'
costituzionale della denunciata normativa meriti di essere suffragato
da ulteriori e piu' ampie considerazioni di teoria generale.
   Quanto  al  requisito  della rilevanza, lo stesso deve predicarsi,
nel  caso  all'esame, in considerazione della circostanza che risulta
agli  atti che il Procuratore Ermete Bogetti ha ritualmente domandato
che  gli venisse riconosciuto il diritto di avvalersi di un avvocato,
contestualmente    sollevando    la    questione    di   legittimita'
costituzionale  della  denunciata  normativa, ma l'eccezione e' stata
dichiarata inammissibile sul rilievo che il procedimento disciplinare
non  avesse natura giurisdizionale, conseguendone l'impossibilita' di
sollevare  questioni  di  costituzionalita'. Da cio' la ragione della
riproposizione della questione in questa sede di giustizia, questione
che appare rilevante poiche' se venisse dichiarata fondata il ricorso
meriterebbe accoglimento anche per il solo motivo in esame. .
   Ma  il  Collegio, come anticipato, e' dell'avviso che la questione
sia  anche  non  manifestamente  infondata  per  le  ragioni appresso
illustrate.
   3.1. - Giova all'uopo rimarcare che il procedimento disciplinare a
carico  di  un  magistrato  -  sia  esso  ordinario, amministrativo o
contabile  -  deve  svolgersi  assicurando  all'incolpato  la massima
espansione  delle  garanzie  difensive,  poiche'  il magistrato e' un
potere  dello  Stato, espressione della Magistratura tutta alla quale
appartiene  e portatore, dunque, di quell'istanza di indipendenza che
lo  colloca nell'ordinamento in una posizione di assoluta terzieta' a
garanzia  dell'attuazione  imparziale del precetto legislativo merce'
l'interpretazione   e   l'applicazione   della   regula   iuris  alle
fattispecie concrete.
   Merita  al riguardo di essere rammentato che codesta sovrana Corte
ha  autorevolmente  delineato  l'inscindibile legame che sussiste tra
indipendenza  del  magistrato  e  garanzia del diritto di difesa, la'
dove,  con la sentenza 16 novembre 2000, n. 497 (Red. Mezzanotte) con
la  quale ha cassato l'art. 34, comma 2 del r.d. lgs. 31 maggio 1946,
n. 511  (legge  sulle  guarentigie  della magistratura) in materia di
procedimento  disciplinare  a  carico  dei  magistrati  ordinari,  ha
elegantemente  posto  in luce che «davanti alla sezione disciplinare,
tanto  piu'  se si tiene conto della mancata tipizzazione legislativa
degli  illeciti,  il  diritto  di difesa, a partire dalla prima delle
facolta'  che esso racchiude, quella della scelta del difensore, deve
essere  configurato  in  modo  che  nello  stesso  incolpato  e nella
pubblica opinione in nessun caso possa ingenerarsi il sospetto, anche
il  piu' remoto, che il procedimento disciplinare si trasformi in uno
strumento  per  reprimere  convincimenti  sgraditi o per condizionare
l'esercizio indipendente delle funzioni giudiziarie».
   Deve  quindi,  il procedimento disciplinare, essere la sede in cui
si  esaltano le garanzie di liberta' e di difesa, allo scopo di porre
in  condizione  il  magistrato  incolpato,  di  fugare ogni dubbio in
ordine  alla  funzione  piu'  genuina che va ascritta al procedimento
disciplinare,  che  non  puo'  e  non deve essere mai avvertito dalla
communis opinio come l'occasione per una «caccia alle streghe».
   Il  piu'  ampio  dispiegarsi  delle  garanzie difensive si impone,
dunque,  nel  procedimento  disciplinare a carico di un magistrato di
qualsivoglia  ordine di appartenenza, al precipuo scopo di preservare
e  garantire  al  massimo  grado la prerogativa dell'indipendenza, la
quale contraddistingue il singolo giudice, ponendolo in una posizione
di  assoluta equidistanza e terzieta' rispetto ad ogni altro soggetto
dello Stato-Comunita' e dello Stato-Apparato.
   Appare  pertanto  quanto mai persuasiva la sottolineatura, operata
da  codesta sovrana Corte con la sentenza n. 497/2000, dell'esistenza
di  una  stretta  e  biunivoca corrispondenza tra l'indipendenza e la
massima espansione del diritto di difesa, la quale deve essere sempre
garantita  ad  un  magistrato: «Vi e' quindi stretta correlazione tra
l'indipendenza  del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare
e  la  facolta'  di scelta del difensore da lui ritenuto piu' adatto,
sicche'   limitare  quest'ultima  facolta'  significa  in  definitiva
menomare in parte anche il valore dell'indipendenza» (Corte cost., 16
novembre 2000, n. 497).
   Se,  dunque, riconoscere il diritto di difesa nella sua preminente
e  fondamentale  forma  di manifestazione costituita dalla scelta del
difensore  equivale a garantire l'indipendenza del magistrato, allora
si  stenta  ad individuare ragioni ostative, discendenti da superiori
valori  costituzionali,  per  le  quali  il  diritto  di  difesa e la
correlativa  facolta' di optare per un difensore del libero Foro, non
debbano    attribuirsi   anche   ad   un   magistrato   contabile   o
amministrativo,  al  pari  di  quanto  ormai accade per il magistrato
ordinario  a seguito dell'intervento demolitivo del comma 2 dell'art.
32  del  r.d. lgs. n. 511/1946 attuato da codesto supremo Giudice con
la richiamata sentenza.
   3.2.   -  Vale  la  pena  sul punto ricostruire a grandi tratti la
cornice  normativa  che  circonda  la garanzia del diritto di difesa,
quale si e' venuto delineando in forza della pervasivita' del diritto
di matrice comunitaria, scaturente dalla pronunce della Corte europea
dei  Diritti  dell'uomo  e  della  Corte di giustizia delle Comunita'
europee.
   Non  puo'  non  ricordare  il  remittente  Collegio  che vigono in
materia  dei  principi  ispiratori  della  disciplina del «patrimonio
costituzionale  comune»  che  permea  il  diritto  comune  alle varie
nazioni  europee,  relativo  al  procedimento  amministrativo  (Corte
cost.,   sentenza   n. 104   del   2006)  desumibili  dagli  obblighi
internazionali,  dall'ordinamento  comunitario  e  dalla legislazione
nazionale.
   A livello normativo «comune» vanno in proposito ricordati l'art. 6
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali,  resa  esecutiva  dalla legge 4 agosto
1955,  n. 848,  recante  «Ratifica  ed  esecuzione  della Convenzione
europea  per  la  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali  firmata  a  Roma  il  4  novembre 1950 e del Protocollo
addizionale  alla  Convenzione  stessa,  firmato a Parigi il 20 marzo
1952»;  l'art.  47  della  Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea,  firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, nonche' nostra la legge
7  agosto  1990,  n. 241,  concernente  «Nuove norme sul procedimento
amministrativo». Non va infatti trascurato che la normativa nazionale
sul  procedimento  e,  segnatamente,  le  norme  sulla partecipazione
procedimentale  sono  all'evidenza  ispirata  al  perseguimento delle
garanzie  afferenti al diritto di difesa del cittadino a fronte dello
svolgersi  dell'istruttoria  procedimentale.  Si  pesi  all'impatto e
all'insieme   dei   valori   costituzionali  di  cui  costituisce  il
precipitato,  dell'art.  10-bis, introdotto nell'ossatura della legge
dalla novella di cui alla legge 11 febbraio 2005, n. 15.
   Orbene,  in  forza  delle  richiamate disposizioni normative vanno
garantiti  all'interessato  alcuni  essenziali  strumenti  di difesa,
quali  la  conoscenza degli atti che lo riguardano, la partecipazione
alla formazione dei medesimi, il diritto di conoscere preventivamente
le  ragioni  ostative  al  rilascio  di  un  provvedimento ampliativo
richiesto  e  la  facolta' di contestarne il fondamento (Corte cost.,
sentenze  n. 460  del  2000 e nn. 505 e 126 del 1995) e di pretendere
che   le   sue  deduzioni  procedimentali,  ove  pertinenti,  vengano
attentamente  valutate,  con  relativa esternazione nella motivazione
del provvedimento finale.
   Illuminante  risulta  in tema, anche la posizione assunta ormai da
piu'  di  un  decennio,  dalla  Corte  di  giustizia  delle Comunita'
europee,  a  stare  alla  quale  il  diritto  di difesa «impone che i
destinatari  di  decisioni  che  pregiudichino in maniera sensibile i
loro  interessi  siano messi in condizione di far conoscere utilmente
il  loro  punto  di  vista»  (Corte di giustizia, sentenza 24 ottobre
1996, C-32/95 P., Commissione Comunita' europea contro Lisrestal).
   Orbene,   siffatta  statuizione  deve,  a  parere  del  remittente
Collegio,  trovare applicazione al caso all'esame, posto che non v'ha
dubbio  che si e' al cospetto di una decisione - quella resa in esito
al procedimento disciplinare - che e' idonea a pregiudicare in misura
sensibile  gli  interessi  del  magistrato  incolpato,  il  quale, in
ossequio alla richiamata pronuncia deve essere posto nella condizione
di  «far  conoscere utilmente» il suo punto di vista. Il che, postula
il   preliminare  riconoscimento  all'incolpato,  della  facolta'  di
scegliere  liberamente  il  proprio  difensore tecnico, facolta' che,
come  codesta  sovrana  Corte  ha  evidenziato  nella sentenza che si
invoca,  sostanzia  la  massima  espansione  del  diritto  di  difesa
garantito dall'art. 24 della Carta costituzionale.
   La delineata espansione della garanzia costituzionale in argomento
discende,  dunque, dalla indefettibile considerazione della portata e
degli effetti del procedimento disciplinare, il quale, sempre secondo
la  statuizione di codesto supremo Giudice delle leggi, «come tutti i
procedimenti   disciplinari  potenzialmente  incidenti  sullo  status
professionale,  tocca la posizione del soggetto nella vita lavorativa
e  coinvolge  quindi  beni  della persona che gia' richiedono, di per
se', le garanzie piu' efficaci» (Corte cost., n. 497/2000).
   Ebbene, se l'apprestamento, da parte dell'ordinamento, di siffatte
«garanzie  piu'  efficaci»  deve  essere garantito, come affermato da
codesta Consulta, relativamente a qualsivoglia persona soggetta a ius
corrigendi  e al correlativo procedimento disciplinare, tale esigenza
si  avverte  ed  esalta  al  massimo  grado  nell'ipotesi  in cui sia
incolpato  un  magistrato.  Invero,  come  codesta  sovrana  Corte ha
significativamente  posto  in  luce,  «con  riferimento ai magistrati
l'esigenza  di una massima espansione delle garanzie difensive si fa,
se  possibile, ancora piu' stringente, poiche' nel patrimonio di beni
compresi   nel   loro   status   professionale  vi  e'  anche  quello
dell'indipendenza,  la quale, se appartiene alla magistratura nel suo
complesso, si puntualizza pure nel singolo magistrato, qualificandone
la  posizione  sia  all'interno  che all'esterno: nei confronti degli
altri  magistrati,  di  ogni  altro potere dello Stato» (Corte cost.,
n. 497/2000).
   3.3.  -  Osserva  quindi  il  remittente  Collegio che se, come ha
sancito  codesta  sovrana  Corte  con  l'inciso  appena riportato, la
chiave  di  volta  della  controversa questione e al contempo la nota
distintiva del procedimento disciplinare a carico di un magistrato e'
la tutela dell'insopprimibile valore dell'indipendenza, che impone di
assicurare  all'incolpato la massima espansione del diritto di difesa
(dalla  quale consegue di necessita' l'attribuzione della facolta' di
libera scelta del suo difensore), allora non puo' che pervenirsi, per
la soluzione della prospettata questione, alle stesse conclusioni cui
codesto  supremo  giudice  e'  pervenuto  relativamente ai magistrati
ordinari.
   Al  pari  di  questi,  infatti,  anche  i  magistrati  contabili e
amministrativi  includono nel loro patrimonio come bene principale la
prerogativa dell'indipendenza.
   Preme al riguardo al Collegio ricordare che nel nostro ordinamento
ogni   magistrato,   sia   che   appartenga   all'ordine  giudiziario
(costituito  dai  magistrati  ordinari)  sia  che appartenga ad altre
magistrature  e,  segnatamente,  a  quelle  speciali, e' dotato della
prerogativa  dell'indipendenza,  che  lo distingue da tutti gli altri
funzionari  dello  Stato.  Anche i magistrati amministrativi e quelli
contabili  sono  indipendenti  da  ogni  altro  potere  dello Stato e
siffatta  qualita'  e prerogativa e' riconosciuta dalla Costituzione,
la quale obbliga il legislatore a garantire ed assicurare, con le sue
leggi,  l'indipendenza  del giudice speciale. Ai sensi dell'art. 108,
comma  2  della  Carta  fondamentale,  infatti,  «la  legge  assicura
l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico
ministero presso di esse».
   E  allora,  posto  che  qualita' precipua e distintiva dei giudici
speciali,  quali  i  giudici  amministrativi e contabili, nonche' del
pubblico  ministero  presso  la  magistrata  contabile  e',  in forza
dell'art.  108,  comma  2  della Costituzione, l'indipendenza e posto
anche  detta  norma  fa  preciso  obbligo al legislatore ordinario di
assicurare  l'indipendenza  di  detti  magistrati  e considerato che,
secondo  il  pronunciamento  di  codesta  sovrana  Corte  di cui alla
sentenza  n. 497/2000  deve  essere garantito al magistrato ordinario
sottoposto  a procedimento disciplinare il diritto di scegliere quale
difensore  tecnico  un avvocato del libero Foro in virtu' del rilievo
del valore dell'indipendenza, «sicche' limitare quest'ultima facolta'
significa   in   definitiva   menomare   in  parte  anche  il  valore
dell'indipendenza»  (Corte  cost.,  n. 497/2000),  ne consegue che il
diritto  di  nominare come difensore un avvocato del libero Foro deve
essere  necessariamente  riconosciuto  anche  ad  un magistrato della
Corte  dei  conti  o  del  ruolo  della  magistratura amministrativa,
poiche'    anche    tali   giudici   godono   della   prerogativa   e
dell'indefettibile  valore  dell'indipendenza,  la quale, come detto,
deve  essere assicurata dal legislatore in osservanza del precetto di
cui all'art. 108, secondo comma della Costituzione.
   4.1.  -  Milita  inoltre,  a parere di questo giudice, a suffragio
della    lumeggiata    conclusione,   non   soltanto   l'evidenza   e
l'incomprimibilita'     anche     indiretta     della     prerogativa
dell'indipendenza,   che   e'   patrimonio   di  ogni  magistrato,  a
qualsivoglia  ordine  appartenga, ma anche la finalita' di preservare
il  prestigio  della Magistratura. Accordando al magistrato incolpato
la  massima  espansione  del  diritto  di  difesa,  gli  si consente,
infatti,  di  far valere al meglio le sue ragioni onde dimostrare che
non e' incorso nella mancanza disciplinare contestatagli, ergo che la
funzione  giudiziaria si e' correttamente svolta e che invulnerato e'
rimasto il decoro e il prestigio dell'intero ordine giudiziario a cui
egli  appartiene.  Giova  al  riguardo  ricordare  che  la  delineata
sottolineatura    di    siffatta   finalita'   perseguenda   con   il
riconoscimento  al  magistrato  incolpato del diritto di scelta di un
difensore  del  libero  Foro  e' stata gia' finemente tratteggiata da
codesta  sovrana Corte con la sentenza piu' volte citata, la' dove si
e' esattamente rilevato che «il massimo di incisivita' delle garanzie
accordate  al  magistrato  sottoposto  a  procedimento  disciplinare,
infatti,  non puo' che convertirsi in una altrettanto incisiva tutela
del  prestigio  dell'ordine  giudiziario  e  del  corretto e regolare
svolgimento delle funzioni giudiziarie.» (Corte cost. n. 497/2000).
   Dal rilievo della prerogativa dell'indipendenza e dall'esigenza di
preservare   il  prestigio  dell'ordine  giudiziario  e  il  corretto
svolgimento delle relative funzioni iusdicenti discende, pertanto, ad
avviso  del  remittente Collegio e sulla scorta delle conclusioni cui
codesto  supremo  Consesso e' pervenuto relativamente al procedimento
disciplinare  a  carico dei magistrati ordinari, che suscitano seri e
fondati  dubbi  di infrazione costituzionale l'art. 34, comma 2 della
legge  27 aprile 1982, n. 186 (legge che regola l'organizzazione e il
funzionamento  della  magistratura amministrativa) e l'art. 10, comma
9,  della  legge  13  aprile  i  988,  n. 117  (legge  introduttiva e
regolatrice  della  responsabilita' civile dei magistrati) che rinvia
per  la  regolamentazione del provvedimento disciplinare a carico dei
magistrati della Corte dei conti alla disciplina recata, tra le altre
norme,  anche  dall'art.  34,  secondo  comma  2  della  citata legge
n. 186/1982.   Il   remittente   Collegio   indubita   di  infrazione
costituzionale  le  denunciate norme per contrasto sia con l'art. 24,
che scolpisce il diritto di difesa, sia con l'art. 108, secondo comma
della   Costituzione   (che   obbliga  il  legislatore  ordinario  ad
assicurare  l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali e
del   pubblico   ministero  presso  di  esse)  nella  parte  in  cui,
consentendo  al  magistrato  amministrativo  e contabile sottoposto a
procedimento disciplinare, di farsi assistere quale difensore tecnico
da   un   altro  magistrato,  inibiscono  all'incolpato  di  nominare
difensore di fiducia un avvocato del libero Foro.
   4.2.  - Supporta, del resto, a parere di questo giudice l'idea che
debba  consentirsi  anche ad un magistrato amministrativo o contabile
di  farsi  assistere da un avvocato, anche la doverosa considerazione
dell'idoneita'  tecnica  alla difesa che deve presumersi posseduta da
un  avvocato  iscritto  all'Albo  ordinario.  Invero,  la ratio della
denunciata  norma, come sempre codesta sovrana Corte con la pronuncia
piu'  volte  invocata  ha  autorevolmente  sottolineato  a  proposito
dell'omologa  cassata norma dell'ordinamento giudiziario, risiede non
gia'  in  una  recondita  istanza corporativa, bensi' in una sorta di
presunzione che l'affidamento della difesa del magistrato ad un altro
magistrato offre sicure garanzie di competenza tecnica, posto che «la
scelta  dell'incolpato  cade su un collega non in quanto appartenente
ad  una presunta corporazione di soggetti interessati alla tutela del
prestigio  dell'ordine giudiziario, ma in quanto ritenuto in possesso
dell'idoneita'  tecnica per assumere una siffatta difesa». Ma se tale
e'  la  finalita'  della legge e se, quindi, e' esatto quanto codesto
supremo  Consesso  ha  evidenziato nelle stessa sentenza, che, cioe',
«la validita' della scelta legislativa deve essere misurata sul piano
dell'idoneita'  tecnica  del  difensore», le conseguenze non potranno
che  essere le stesse a cui codesta sovrana Corte e' pervenuta con la
pronuncia  n. 497/2000,  ovverosia  che  «allora  restano,  prive  di
qualunque fondamento giustificativo la limitazione ai soli magistrati
della sfera dei soggetti legittimati a svolgere l'ufficio difensivo e
la conseguente esclusione degli avvocati del libero Foro, ai quali, a
causa  del  loro  specifico  statuto  professionale,  l'attitudine  a
difendere non puo' essere disconosciuta».
   Chi  piu' di un avvocato del libero Foro puo' infatti garantire ad
un  magistrato,  in  ipotesi ingiustamente incolpato, la necessaria e
migliore  difesa; sembra infatti al remittente Collegio irragionevole
privare  il  magistrato  della  facolta'  di  nominare  un  difensore
professionale, pur non disconoscendosi che talora un altro magistrato
appartenente   al  medesimo  ordine,  puo'  dar  prova  di  possedere
competenze difensive non inferiori a quelle proprie di un avvocato.
   Tuttavia, non puo' ugualmente essere disconosciuto che l'archetipo
dell'avvocato  -  specie se con alle spalle una pluriennale attivita'
ed   esperienza  -  evoca  una  figura  professionale  dotata  di  un
background  di  tecniche difensive affinate nella pratica giudiziaria
quotidiana ed esaltate dall'attitudine all'analisi del fatto e talora
dall'eloquenza.
   Patrimonio  dell'intera umanita' permangono infatti ancora oggi le
fatidiche «olintiache» o «filippiche» di Demostene, preclaro avvocato
ateniese,  con  le  quali  l'oratore, nel IV secolo A.C., incitava il
Senato  e  lo  stesso  popolo di Atene ad insorgere contro l'invasore
macedone Alessandro Magno.
   Per  non dire poi della grandiosita' del «De Oratore» di Cicerone,
una vera summa di eloquenza, vademecum di tecniche oratorie e stilemi
retorici  che  ancora  oggi  viene  additato  a  simbolo  della  piu'
raffinata  quanto insuperata espressione di capacita' di analisi e di
esposizione di tesi difensive.
   Si  stenta,  quindi, ad individuare superiori preganti ragioni nel
cui  nome  interdire  ad  un magistrato amministrativo o contabile di
scegliere  quale  suo patrono un difensore professionale da attingere
al   libero   Foro.   Il   riconoscimento   di   siffatta   facolta',
condivisibilmente   introdotto  nell'ordinamento  della  legge  sulle
guarentigie  della  Magistratura  da codesta sovrana Corte, fonda sia
sull'istanza di perseguimento del valore dell'indipendenza, obiettivo
che  non  puo'  prescindere dall'assicurare la massima espansione del
diritto  di  difesa  di  cui  all'art.  24 della Costituzione, sia ad
avviso  del  remittente Collegio, su un doveroso riconoscimento della
professionalita'  e  della  specialita' della categoria professionale
forense,  la  quale deve considerarsi assistita da una presunzione di
qualificata idoneita' alla difesa di chiunque sia incolpato, anche di
un magistrato.
   Atteso,  dunque,  che  siffatta  condivisibile  conclusione  si e'
imposta   relativamente   ai   magistrati  ordinari  in  forza  delle
considerazioni  tutte  sopra riepilogate ed incisivamente espresse da
codesto  Giudice  delle  leggi  prevalentemente  sul giusto rilievo e
sulla doverosa considerazione della prerogativa dell'indipendenza dei
magistrati  ordinari, le stesse conclusioni dovranno essere raggiunte
relativamente   ai   magistrati   amministrativi   e   contabili.  Va
considerato,  infatti,  che  i presupposti e gli elementi costitutivi
della  questione  prospettata sono i medesimi che caratterizzavano la
fattispecie  oggetto  della  pronuncia  del  2000  in  quanto:  1) la
disposizione  oggi  denunciata  ha lo stesso tenore di quella oggetto
dell'intervento   demolitivo   operato   con  la  sentenza  497/2000,
inibendo,  al  pari  della  prima,  ad  un  magistrato  - contabile o
amministrativo  - sottoposto procedimento disciplinare la facolta' di
farsi  assistere  da  un  legale  del  libero  Foro; 2) il magistrato
amministrativo  e quello contabile sono dotati della qualita' e della
prerogativa  dell'indipendenza  non  meno  dei  magistrati  ordinari;
prerogativa  che,  anzi,  la  legge  deve  assicurare  a tali giudici
speciali  (nonche'  ai  magistrati  del  pubblico ministero presso le
relative  giurisdizioni)  in  forza del disposto di cui all'art. 108,
secondo comma della Costituzione.
   5.1. - Le delineate coordinate ermeneutiche suggeriscono, inoltre,
a  questo  giudice,  di  rilevare  un ulteriore profilo di infrazione
costituzionale  a  carico  delle  denunciate  norme, le quali oltre a
confliggere con gli artt. 24 e 108, secondo comma della Costituzione,
appaiono  violare anche l'art. 3 e il principio di uguaglianza, posto
che  ai  magistrati ordinari, a seguito dell'intervento demolitivo di
codesta  sovrana  Corte  di cui alla sentenza n. 497/2000, deve ormai
essere  riconosciuto il diritto di farsi assistere da un avvocato del
libero Foro se sottoposti a inchiesta disciplinare.
   Ritiene  infatti  sul  punto  il  remittente  Collegio non potersi
individuare  e  ravvisare  superiori  e  preminenti  ragioni di rango
costituzionale  atte  a legittimare la discriminazione dei magistrati
amministrativi  e contabili, rispetto a quelli ordinari, che in forza
delle  sospettate  norme  si produce merce' la negazione ai primi del
diritto di fruire dell'assistenza tecnica degli avvocati della libera
Avvocatura, oggi che ai loro colleghi della Magistratura ordinaria il
diritto in parola non puo' essere conculcato e misconosciuto.
   Invero,  non  e'  chi  non  veda  come  il rispetto del sacrosanto
principio  di  uguaglianza  non  tolleri  che  due ordini di giudici,
costituenti   nel   complesso  il  sistema  unitario  italiano  della
Giustizia,  debbano  essere  trattati in maniera diseguale, a scapito
dei  giudici  amministrativi  e  contabili,  i  quali, peraltro, sono
indipendenti da ogni altro potere dello Stato, al pari dei magistrati
dell'ordine  giudiziario  e partecipano della stessa natura di figure
istituzionali    di    primo   livello,   indipendenti   e   deputate
all'interpretazione   e   concretizzazione  del  precetto  normativo,
distinguendosi solo per la diversita' delle relative funzioni.
   Vale la pena di segnalare che siffatta pacifica ermeneusi e' stata
di  recente  sposata  e  significativamente  espressa  dal  Tribunale
amministrativo  regionaleLazio,  che  ha avuto occasione di precisare
che  «a  norma  della  Costituzione  i  magistrati,  siano ordinari o
amministrativi,  si  distinguono  tra loro soltanto per la diversita'
delle  funzioni  giurisdizionali  esercitate, il Consiglio di Stato e
gli  altri  organi di giustizia amministrativa esercitano la medesima
funzione  giurisdizionale  "per  la  tutela  nei confronti della p.a.
degli  interessi  legittimi  e, in particolari materie indicate dalla
legge,  anche  dei  diritti  soggettivi"»  (Tribunale  amministrativo
regionaleLazio - Roma, sez. I, 9 febbraio 2004, n. 1206).
   Per  converso,  ritiene  opportuno il remittente Collegio cogliere
l'occasione  per  prendere  debitamente  le  distanze  da  quanto  al
riguardo  affermato  dalla  Corte  di  cassazione a sezioni unite, la
quale   nel   giudicare  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 32 della legge n. 182/1986 che
non prevede l'impugnabilita' della decisione disciplinare assunta dal
Consiglio  di  Presidenza della giustizia amministrativa davanti alle
sezioni  unite  della  Corte di cassazione, ha avuto modo di motivare
tale  opzione  esegetica  affermando  -  infelicemente - che non sono
«assimilabili,  per  garanzie  di  indipendenza  e  articolazione  di
carriera,  i  magistrati  amministrativi a quelli ordinari» (Corte di
cass. sez. un. 29 settembre 2000, n. 1049).
   Non  puo'  sul punto esimersi il remittente Collegio dal rimarcare
l'assoluta assenza di supporti normativi e costituzionali di siffatta
immotivata  asserzione,  la  quale  oltre  ad  essere  destituita  di
fondamenti   nel   diritto   positivo,  appare  anche  insanabilmente
confliggente  con  il  chiaro  ed  ineludibile disposto dell'art. 108
della Costituzione che, come sopra piu' volte ricordato, scolpisce il
principio  dell'indipendenza quale insopprimibile valore che la Carta
costituzionale   attribuisce  indubitevolmente  ai  magistrati  delle
giurisdizioni  speciali e che si confida venga posto in luce anche da
codesta Consulta.
   5.2.  -  A  tal riguardo non puo' non rammentare questo giudice la
pregnanza   di  un  dato  istituzionale  e  normativo,  evidentemente
trascurato   dalle   sezioni   unite,   costituente  una  delle  piu'
significative   espressioni   nonche'   la   cartina   di   tornasole
dell'indipendenza  della  magistratura amministrativa e contabile. Ci
si  riferisce  alla  previsione  dell'esistenza,  per  entrambe  tali
giurisdizioni  speciali,  di  un organo di autogoverno, rappresentato
dal  Consiglio  di  Presidenza  della Giustizia amministrativa per la
prima  e  dall'omologo  Consiglio di Presidenza della Corte dei conti
per  la seconda. Entrambi gli organismi svolgono le medesime funzioni
(deliberazioni su assegnazioni delle sedi di servizio dei magistrati,
trasferimenti,  missioni,  conferimento degli incarichi di presidenza
delle  sezioni  interne  e  degli  stessi  tribunali,  autorizzazioni
all'assunzioni   di   incarichi   non   rientranti   nelle   funzioni
istituzionali, interpelli per il passaggio alle sezioni del Consiglio
di  Stato,  procedimenti  e provvedimenti disciplinari, trasferimenti
per  incompatibilita'  ambientale,  interpelli  per i trasferimenti a
domanda,  collocamenti  fuori ruolo e riammissioni in servizio, etc.)
assolte  per  la magistratura ordinaria dal Consiglio Superiore della
Magistratura.
   Orbene,  non e' chi non veda come il legislatore, istituendo per i
giudici  amministrativi  e  contabili  un  sistema  di  autogoverno o
autodichia,   affidato   ad   uno   organismo   interno  alla  stessa
magistratura,  quantunque  integrato  dalla presenza di taluni membri
«laici»,  e  dotato  di  potere  deliberativo  sulle  piu'  rilevanti
questioni  attinenti  allo  svolgersi  del  rapporto  di servizio dei
magistrati,  abbia inteso preservare al massimo e far risaltare anche
all'esterno  la  caratteristica  del'assoluta  indipendenza  di  tali
magistrature dagli altri poteri dello Stato-apparato.
   L'indipendenza  della  magistratura contabile ed amministrativa e'
quindi   oltre  che  sancita  a  livello  della  Costituzione,  anche
assicurata  e  comprovata dall'esistenza di un organo di autogoverno,
che  evidentemente  e'  stato  creato proprio in adempimento del piu'
volte   ricordato   precetto   costituzionale,   che  fa  obbligo  al
legislatore    ordinario    di    assicurare   l'indipendenza   delle
giurisdizioni speciali.
   6.1.  -  In chiusura, mette conto svolgere qualche osservazione in
ordine   alla   particolarita'   della  fattispecie  che  ne  occupa,
caratterizzata   dalla   circostanza   che  ad  essere  sottoposto  a
procedimento disciplinare e' non un qualunque funzionario statale, ma
un magistrato.
   Non  sfugge, invero, al remittente Collegio, che recentissimamente
codesta  sovrana  Corte  ha  giudicato  non  fondata  la questione di
legittimita'  costituzionale  della norma di cui all'art. 20, comma 2
del  d.P.R.  25 ottobre 1981, n. 737, omologa a quelle in queste sede
denunciate,  la  quale,  relativamente ai dipendenti della Polizia di
Stato,  inibisce  all'incolpato  di  violazione disciplinare di farsi
assistere  da  un  avvocato,  consentendogli  di  affidare  la difesa
unicamente  ad  altro  dipendente  dell'Amministrazione degli Interni
appartenente ai ruoli della Polizia.
   Ci  si  riferisce  alla  sentenza del 30 maggio 2008, n. 182 (Red.
Cassese),  con  la  quale codesto Giudice delle leggi, nel dichiarare
non  fondata la prospettata questione, ha affermato che il diritto di
difesa  ex  art.  24  Cost.  deve  essere garantito nella sua massima
espansione  solo in caso di procedimenti giurisdizionali ma non anche
relativamente  ai  procedimenti  disciplinati  che  hanno  natura non
giurisdizionale  ma  amministrativa  (negli  stessi sensi Corte cost.
n. 289/1992 e n. 122/1974).
   Opina   tuttavia  il  Collegio  che,  come  dianzi  accennato,  la
fattispecie  odiernamente  all'esame  si  connota  per  considerevoli
profili  differenziali  rispetto  a  quella  scrutinata  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza appena citata.
   E'  di  immediata  evidenza,  infatti, la diversita' sostanziale e
funzionale  dei  due soggetti sottoposti a procedimento disciplinare:
in  un  caso  si  tratta  di  un  agente  (o funzionario) di polizia,
nell'altro di un magistrato, amministrativo o contabile.
   L'appartenente  ai  ruoli  della Polizia di Stato, pur essendo, al
pari  di  un magistrato, un dipendente statale, non e' titolare della
prerogativa costituzionale dell'indipendenza dai poteri dello Stato e
in  specie  dal  potere  esecutivo,  dal quale anzi dipende, la' dove
caratteristica   e   qualita'   essenziale   ed  imprescindibile  del
magistrato   e'  proprio  l'indipendenza.  E  l'indipendenza,  per  i
magistrati  amministrativi  e contabili deve essere sempre assicurata
dal legislatore ordinario in forza dell'art. 108, secondo comma Cost.
come sopra ricordato.
   Ma  se,  come codesta sovrana Corte ha evidenziato a proposito dei
giudici  ordinari nella sentenza n. 497/2000 demolitiva dell'art. 34,
comma  2  del  r.d.  lgs.  n. 511/1946,  e' proprio l'indipendenza ad
imporre  al  legislatore  di  riconoscere al magistrato il diritto di
scegliere  il  difensore tra gli avvocati del libero Foro, allora non
puo'  impedire  di pervenire alla stessa conclusione relativamente ai
magistrati  amministrativi  e  contabili  il  precedente  di cui alla
citata  sentenza n. 182/2008, ove solo si consideri la diversita' dei
soggetti  sottoposti  agli  scrutinati  procedimenti  disciplinari e,
cioe',  la  profonda  differenza  tra  un  magistrato ed un agente di
polizia,  posto  che  quest'ultimo  non  e'  dotato della prerogativa
dell'indipendenza,  la  cui  mancanza  non  impone  in  ogni  caso di
garantire  la  massima  espansione  del  diritto  di  difesa mediante
l'attribuzione  della  facolta'  di nomina di un difensore del libero
Foro.
   Inoltre,  va  adeguatamente  rimarcato che nella sentenza negativa
del  2008  e' stata codesta stessa Consulta a precisare che la scelta
del  legislatore  di limitare ai soli dipendenti dell'amministrazione
di   appartenenza  dell'incolpato  i  possibili  soggetti  eleggibili
difensori non e' irragionevole solo «in considerazione della funzione
svolta (tutela dell'ordine pubblico)» dall'accusato.
   Codesto  supremo  Giudice  ha  infatti avuto cura di precisare che
«non  puo' considerarsi manifestamente irragionevole la decisione del
legislatore  di consentire che l'accusato ricorra ad un difensore, ma
di   limitare,   in  considerazione  della  funzione  svolta  (tutela
dell'ordine  pubblico),  la  sua  scelta  ai  dipendenti della stessa
amministrazione»  (Corte  cost., 30 maggio 2008, 182, p. 3, capoverso
6).
   La  scelta  riduttiva  del  legislatore si giustifica, quindi, nel
pensiero  di  codesto  supremo Consesso, unicamente in considerazione
della  funzione  svolta  dal  dipendente  accusato,  che e' quella di
tutela dell'ordine pubblico.
   Orbene,  non  e'  chi  non  veda  che  il  magistrato  contabile o
amministrativo  svolge  una funzione del tutto diversa, che e' quella
di  somministrare  giustizia,  fornendo  la specificazione concreta e
l'applicazione  del  precetto normativo e quindi fungendo, secondo le
tramandate note prospettazioni illuministiche, da «bouche de la loi».
   6.2.  -  Altro  argomento,  ancora,  multa  a  sostegno della tesi
secondo  cui  il  precedente  di  cui  alla sentenza n. 497/2000 deve
essere   esteso   e   ribadito   da  codesta  Consulta  con  riguardo
all'incidente  disciplinare  e  al relativo procedimento di cui siano
vittime i magistrati contabili o amministrativi.
   Argomento  che  si  rinviene,  ad  attenta  lettura,  nella stessa
motivazione  della  citata decisione del 2000 e che induce a reputare
sovrapponibili  le  due  fattispecie,  ossia quella scrutinata con la
sentenza   n. 497/2000   e  quella  all'esame  e  conseguentemente  a
raggiungere  le medesime conclusioni esegetiche e decisorie che hanno
portato  codesta sovrana Corte ad eliminare l'ostacolo legislativo al
riconoscimento  al  magistrato  incolpato  del  diritto  di scegliere
liberamente il suo difensore.
   Ebbene,  nel  respingere  la  dedotta  censura  di  infrazione del
principio di uguaglianza argomentata sul rilievo che a differenza che
nel  procedimento  disciplinare  a carico degli agenti di polizia, in
quello  a  carico  dei  magistrati  vige ormai la regola delle libera
scelta  del  difensore  a  seguito  della  sentenza  n. 497/2000 pure
invocata  in quel caso dal giudice a quo, codesto supremo Consesso ha
limpidamente osservato quanto segue: «In primo luogo, a differenza di
quanto  sostiene il giudice rimettente, le argomentazioni della Corte
costituzionale  formulate nella sentenza n. 497 del 2000 in relazione
alla  disciplina  del procedimento a carico dei magistrati incolpati,
prevista  dall'art.  34 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946,
n. 511   (Guarentigie   della   magistratura),   non   sono   affatto
''sovrapponibili''  alla  decisione della questione in esame. Secondo
quanto  piu'  volte affermato da questa Corte, tale procedimento ''si
svolge secondo moduli giurisdizionali'' (sentenza n. 145 del 1976) in
base  al  principio  costituzionale  di  garanzia dell'indipendenza e
dell'autonomia   della   magistratura  sancito  dall'art.  101  della
Costituzione.  Quindi,  esso  non  e' comparabile con il procedimento
disciplinare  degli  altri  settori  della  pubblica  amministrazione
(sentenza  n. 289  del  1992)». (Corte cost., 30 maggio 2008, n. 182,
punto 3.2).
   E'   allora  evidente  che  se  non  giova  invocare  la  sentenza
n. 497/2000  per  chiedere l'estensione delle relative conclusioni ai
procedimenti disciplinari di altri settori della p.a., tuttavia dette
conclusioni   debbono   essere   viceversa   estese  ai  procedimenti
disciplinari  delle  magistrature  speciali.  Cio'  in quanto codesta
sovrana  Corte,  nel  passo sopra riportato ha negato l'assimilazione
del procedimento disciplinare a carico dei dipendenti della Polizia a
quello  a  carico'  dei magistrati poiche' quest'ultimo «procedimento
"si svolge secondo moduli giurisdizionali" (sentenza n. 145 del 1976)
in  base  al principio costituzionale di garanzia dell'indipendenza e
dell'autonomia della Magistratura».
   Ebbene, anche il procedimento a carico dei magistrati contabili ed
amministrativi,  pur  avendo  natura  di procedimento amministrativo,
tant'e'  che  la  decisione  finale  e'  devoluta alla cognizione del
giudice   amministrativo,  pur  tuttavia  si  svolge  secondo  moduli
giurisdizionali,  «in  base  al  principio costituzionale di garanzia
dell'indipendenza    e   dell'autonomia   della   magistratura»   (in
riferimento   a   quanto  precisato  al  punto  3.2.  della  sentenza
n. 182/2008 di codesta Consulta) e com'e' confermato, tra l'altro, da
tutta la sua impostazione normativa.
   L'unica  differenza e' che per i magistrati ordinari l'autonomia e
l'indipendenza  sono  garantite  dall'art.  101,  mentre  per  quelli
contabili e amministrativi dall'art. 108 della Costituzione.
   Ed   allora,   posto   che   anche   per  i  giudici  contabili  e
amministrativi   va   perseguita   e  assicurata  l'attuazione  e  la
salvaguardia    del    «principio    costituzionale    di    garanzia
dell'indipendenza  e  dell'autonomia  della Magistratura» in ossequio
all'art.  108,  secondo comma Cost., e se questa e' la ragione per la
quale  con la sentenza n. 497/2000 codesta sovrana Corte ha eliminato
l'ostacolo normativo che impediva al magistrato ordinario accusato di
affidare  l'ufficio  difensivo  a  un  avvocato del libero Foro, alla
stessa  decisione  si  dovra'  pervenire  relativamente ai magistrati
contabili e amministrativi - non meno indipendenti di quelli ordinari
in virtu' dell'art. 108 Cost. - giudicando incostituzionali gli artt.
34,  comma  2  della  legge  n. 186/1982  e  10,  comma 9 della legge
n. 117/1988 nella parte in cui vietano al magistrato amministrativo o
contabile  accusato  di  mancanza  disciplinare  di  scegliere  quale
difensore tecnico un avvocato.
   6.3.  -  L'ultima  ragione  per  la  quale a parere del remittente
Collegio  codesta  sovrana  Corte  dovrebbe  raggiungere  le medesime
conclusioni  cui  e' significativamente e condivisibilmente pervenuta
con  la  sentenza n. 497/2000, riposa sul principio di uguaglianza di
cui all'art. 3 Cost.
   Come  piu'  sopra  lumeggiato, infatti, posto che ormai, a seguito
del  piu' volte invocato intervento di codesta Consulta, i magistrati
dell'ordine   giudiziario   si  vedono  riconosciuto  il  diritto  di
nominare,  se  sottoposti a inchiesta disciplinare, un avvocato della
libera  Avvocatura,  intuitive  ragioni  di  uguaglianza impongono di
attribuire  anche  ai  loro  colleghi delle giurisdizioni contabile e
amministrativa,  la  facolta'  in  parola,  ove  solo  si  consideri,
oltretutto,  che  anche  i magistrati contabili e amministrativi sono
assistiti   dalla  prerogativa  e  godono  dell'indefettibile  valore
dell'indipendenza  ai  sensi  dell'art.  108  Cost.,  tant'e'  che e'
previsto anche per loro un sistema di autogoverno.
   La  suindicate  norma  regolante  il  procedimento  disciplinare a
carico  dei  magistrati  amministrativi, a cui rinvia la norma di cui
all'art. 10, comma 9 della legge n. 117/1988 sull'azione disciplinare
contro  i  magistrati della Corte dei conti, indubitata di infrazione
costituzionale  appare dunque al remittente Collegio in contrasto con
gli articoli 108, 24, e 3 della Carta costituzionale.
   Sul  fondamento delle argomentazioni che precedono ed alla stregua
della  rilevanza  e  della  reputata non manifesta infondatezza della
questione  prospettata,  si  rimette  la  sua  definizione alla Corte
costituzionale con sospensione del presente giudizio.