Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 5,
della  legge  23  ottobre  1985,  n. 595 (Norme per la programmazione
sanitaria  e  per  il  piano  sanitario  triennale  1986-1988),  come
integrato  dagli  artt.  2 e 7 del d.m. 3 novembre 1989 e dall'art. 2
del  d.m.  13  maggio  1993,  promosso dalla Corte di cassazione, sul
ricorso  proposto  dall'Azienda  sanitaria  locale della Provincia di
Milano 3 e R. S. ed altra, con ordinanza del 24 gennaio 2008 iscritta
al  n. 105  del  registro  ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 17, 1ª serie speciale, dell'anno 2008.
   Udito  nella  Camera di consiglio del 24 settembre 2008 il giudice
relatore Francesco Amirante.
                          Ritenuto in fatto
   Nel  corso  di  una  controversia  promossa  da  un privato contro
un'azienda  sanitaria locale, la Corte di cassazione, sezione lavoro,
ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 5, della
legge  23 ottobre 1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria
e  per il piano sanitario triennale 1986-1988), «come integrato dagli
artt. 2 e 7 del d.m. 3 novembre 1989 e dall'art. 2 del d.m. 13 maggio
1993,  nella  parte  in  cui  non  e'  applicabile  alle  ipotesi  di
prestazioni  sanitarie  ottenute  presso strutture estere diverse dai
centri   di   altissima   specializzazione,  nei  casi  in  cui  tali
prestazioni  siano  l'unica possibilita' per evitare un danno grave e
irreversibile alla salute».
   Premette  la  Corte  che  una  cittadina italiana, nel corso di un
soggiorno  in Messico, aveva dovuto subire un ricovero d'urgenza, con
intervento  di  tracheotomia,  a  causa  di  un  edema  polmonare. In
conseguenza  di  cio',  la  medesima  aveva citato in giudizio la ASL
competente per territorio al fine di ottenere il rimborso delle spese
sanitarie  sostenute.  Respinta  la domanda in primo grado, la stessa
era stata invece accolta dalla Corte d'appello.
   Proposto  ricorso  per cassazione da parte della ASL, il giudice a
quo  osserva  che  la  sentenza  impugnata  e' meritevole di censura,
poiche'  l'art.  3,  comma 5, della legge n. 595 del 1985 consente il
recupero,  da parte dei cittadini italiani, delle spese sostenute per
prestazioni  di assistenza sanitaria ottenute all'estero a condizione
che   le   stesse   siano  state  erogate  da  centri  di  «altissima
specializzazione»   e  che  riguardino  «prestazioni  che  non  siano
ottenibili  nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla
particolarita' del caso clinico». La norma in questione rimanda ad un
decreto ministeriale, successivamente emanato (d.m. 3 novembre 1989),
il  quale  fissa  (art.  2)  le  tipologie  di prestazioni erogabili,
fornendo  altresi'  (art.  5)  la definizione di «centro di altissima
specializzazione»; tale decreto dispone anche, all'art. 7 (modificato
dall'art.  2  del d.m. 13 maggio 1993), che si puo' prescindere dalla
preventiva  autorizzazione  -  ai  fini del rimborso - in presenza di
prestazioni  di  comprovata  eccezionale  gravita'  ed  urgenza,  ivi
comprese   quelle   usufruite  dai  cittadini  che  gia'  si  trovino
all'estero. Tale previsione, tuttavia, non consente - ad avviso della
Corte  di  cassazione  - di ritenere ampliato il novero delle ipotesi
previste  dalla  censurata  disposizione,  poiche'  essa  deve essere
interpretata,  in conformita' ad altre pronunce della medesima Corte,
nel  senso che il rimborso e' consentito solo in quanto relativo alle
prestazioni  di cui all'art. 2 del citato decreto; ne' puo' giungersi
a  diversa conclusione in base alle disposizioni del d.P.R. 31 luglio
1980,  n. 618  -  che  riguarda  l'assistenza  dei cittadini italiani
all'estero - poiche' nel caso di specie si tratta di un cittadino che
si  trovava  all'estero  per  motivi diversi da quelli di studio e di
lavoro.
   La  predetta  interpretazione  da'  conto  della  rilevanza  della
questione,  perche'  il  ricorso  della  ASL,  allo stato attuale del
sistema, dovrebbe essere accolto; ma e' proprio tale interpretazione,
secondo  il  giudice  a  quo,  a  porsi in contrasto con gli invocati
parametri  costituzionali.  E'  vero,  infatti, che la giurisprudenza
costituzionale  ha  affermato  che  la tutela del diritto alla salute
viene a subire le limitazioni ed i condizionamenti che derivano dalla
limitatezza  delle  risorse  finanziarie; e' altrettanto vero, pero',
che  il bilanciamento che il legislatore certamente puo' compiere non
deve assumere «un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo
irriducibile di tale diritto, protetto dalla Costituzione come ambito
inviolabile  della  personalita'  umana».  L'ordinanza  di rimessione
richiama,  in proposito, la sentenza n. 309 del 1999 di questa Corte,
che  ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della disposizione
che  limitava l'assistenza sanitaria gratuita in favore dei cittadini
italiani  all'estero  che versano in disagiate condizioni economiche;
d'altra  parte,  anche  il fatto di soggiornare all'estero per motivi
diversi  da  quelli  di studio o di lavoro non puo' implicare, di per
se', una limitazione del predetto diritto.
   La disciplina vigente - osserva la Corte di cassazione - ha in se'
una  «valenza  espansiva»,  com'e'  dimostrato anche dal fatto che la
stessa disposizione censurata rinvia a vari decreti ministeriali che,
nel  corso  del  tempo, le hanno dato attuazione, indicando i tipi di
patologia  suscettibili di rimborso in relazione alle spese sanitarie
sostenute  all'estero. Tuttavia la lesione del diritto alla salute e'
identica  quando la patologia puo' essere curata soltanto all'estero,
presso un centro di altissima specializzazione, e quando - come nella
specie  -  la  patologia  sia  insorta all'estero e non tolleri alcun
differimento   delle   necessarie   cure,  anche  presso  centri  non
rientranti  tra quelli di altissima specializzazione. Ne consegue che
e'  in  contrasto con l'art. 3 Cost. negare l'assistenza indiretta in
relazione  a situazioni di malattia le quali, benche' sorte in base a
diversi  presupposti,  rappresentano  un'identica minaccia al diritto
alla   salute  costituzionalmente  protetto,  soprattutto  quando  le
prestazioni sanitarie sono rese indispensabili da «comprovate ragioni
di gravita' e urgenza».
                       Considerato in diritto
   1.  -  La  Corte  di  cassazione  ha  rimesso  a  questa Corte, in
riferimento  agli  artt.  3  e 32 della Costituzione, la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma  5, della legge 23
ottobre  1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria e per il
piano  sanitario triennale 1986-1988), come integrato dagli artt. 2 e
7 del d.m. 3 novembre 1989 e dall'articolo 2 del d.m. 13 maggio 1993,
«nella  parte  in  cui non e' applicabile alle ipotesi di prestazioni
sanitarie  ottenute  presso  strutture  estere  diverse dai centri di
altissima  specializzazione  nei  casi  in cui tali prestazioni siano
l'unica  possibilita' per evitare un danno grave e irreversibile alla
salute».
   La  remittente  riferisce  che  pende  davanti ad essa un giudizio
promosso dall'Azienda sanitaria locale n. 3 della Provincia di Milano
per   ottenere  la  cassazione  della  sentenza  della  locale  Corte
d'appello,  che, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto
la  domanda di una cittadina italiana diretta ad ottenere il rimborso
delle spese sanitarie sostenute in Messico, dove, a causa di un edema
polmonare acuto, le era stata praticata la tracheotomia.
   Nell'ordinanza   di   rimessione  si  premette  che  la  normativa
impugnata  prevede  l'assistenza  indiretta  soltanto per i cittadini
italiani  residenti  in  Italia  che  debbono  fruire  di prestazioni
assistenziali    «presso   centri   di   altissima   specializzazione
all'estero, che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente
o  in  forma adeguata alla particolarita' del caso clinico». Poiche',
nella  fattispecie  oggetto  del  giudizio principale, la prestazione
sanitaria, del cui costo si chiede il rimborso, non e' stata ottenuta
nelle  condizioni  e circostanze suddette, il ricorso dovrebbe essere
accolto.
   Tuttavia  la  disciplina  in  scrutinio  puo' essere sospettata di
illegittimita' per contrasto con gli artt. 3 e 32 della Costituzione.
   Secondo  la  remittente,  il principio generale - il quale prevede
che  i  presupposti,  il  tipo  e  le  modalita'  di erogazione delle
prestazioni assistenziali, dirette a tutelare il diritto alla salute,
siano stabiliti dal legislatore nell'esercizio della discrezionalita'
di  apprezzamento che gli compete nel contemperamento tra le esigenze
degli  assistiti  e  quelle  di  bilancio - subisce deroga qualora si
tratti del nucleo essenziale del diritto alla salute e la prestazione
in  questione sia indispensabile e indifferibile per la sua tutela. A
tal  proposito  la  remittente  richiama  la sentenza di questa Corte
n. 309 del 1999, con la quale, scrutinando una questione sollevata in
riferimento   agli   artt.   2,   3   e   32   Cost.,  fu  dichiarata
«l'illegittimita'  costituzionale  degli  articoli  37 della legge 23
dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale),
e  1  e  2 del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 618 (Assistenza sanitaria ai
cittadini  italiani  all'estero),  nella  parte  in cui, a favore dei
cittadini  italiani  che  si  trovano temporaneamente all'estero, non
appartengano alle categorie indicate nell'art. 2 del medesimo decreto
e  versano in disagiate condizioni economiche, non prevedono forme di
assistenza sanitaria gratuita da stabilirsi dal legislatore».
   2.  -  In  via  preliminare si rileva che, pur facendo parte della
normativa  censurata  anche  disposizioni  di  atti regolamentari, la
questione e' ammissibile perche' questi, espressamente previsti dalla
disposizione   di  legge  impugnata,  di  quest'ultima  costituiscono
specificazione  (sentenze n. 1104 del 1988, n. 456 del 1994, nonche',
in applicazione dello stesso principio, ma in senso negativo nei casi
risolti, sentenza n. 162 del 2008 e ordinanza n. 389 del 2004).
   La fattispecie oggetto del giudizio principale e' esaurientemente,
anche  se  succintamente, descritta con l'indicazione della patologia
di  per  se'  grave  (edema  polmonare)  e  della  natura  e  urgenza
dell'intervento  (tracheotomia).  L'assenza  di  qualsiasi cenno alle
condizioni  economiche  della  resistente nel giudizio di cassazione,
alle  ragioni  della  sua  permanenza  in Messico e all'importo delle
spese  sostenute  per  l'intervento  subito  non si configura come un
difetto  di  descrizione della fattispecie, ma invece rende certi che
si  tratta di persona non indigente (neppure in senso relativo, cioe'
in  riferimento  al costo del suddetto intervento terapeutico) che si
trovava all'estero non per ragioni di lavoro o per fruire di borsa di
studio.  Cio'  esclude  la  rilevanza  diretta delle disposizioni del
d.P.R. n. 618 del 1980, sulle quali ha inciso la suddetta sentenza di
questa  Corte n. 309 del 1999, la quale, fra l'altro, ha sottolineato
che  la  mancanza  di  mezzi  economici  dell'assistito  deve  essere
valutata non in assoluto, ma in relazione all'onerosita' della cura.
   Infatti,  la  piena  consapevolezza dimostrata dalla remittente in
merito al contenuto della suddetta sentenza, unitamente all'esplicito
riferimento  effettuato  nell'ordinanza  alla  «vocazione  espansiva»
della   tutela  del  diritto  alla  salute  «indipendentemente  dalle
condizioni  economiche  dei  cittadini  interessati»,  sono il chiaro
sintomo  dell'individuazione  di  una  situazione  diversa  da quella
esaminata  nella  suddetta  decisione,  nella  quale  alle condizioni
economiche  dell'assistito  e'  stato attribuito decisivo rilievo, ai
sensi dell'art. 32 della Costituzione.
   Pertanto, anche sotto i profili indicati, non si ravvisano ragioni
di inammissibilita' della questione.
   3. - E' opportuno premettere che essa venne gia' proposta a questa
Corte  dal  Tribunale di Sondrio e risolta con ordinanza di manifesta
inammissibilita'  n. 78  del 1996. Tale provvedimento fu motivato con
il rilievo che l'estensione della disciplina impugnata ad una ipotesi
del  tutto diversa da quella cui si riferisce la norma stessa avrebbe
imposto  «di  definire  condizioni,  limiti e modalita' di un'ipotesi
nuova  di  assistenza  indiretta  da  dispensare  all'estero, aspetti
rispetto ai quali non e' possibile individuare un'unica soluzione, ma
che    dovrebbero   formare   oggetto   di   scelte   affidate   alla
discrezionalita'  del  legislatore  ed  eventualmente  dell'autorita'
amministrativa».
   Successivamente,   con   la   citata  sentenza  n. 309  del  1999,
richiamata  nell'ordinanza  di  rimessione a conforto del giudizio di
non  manifesta  infondatezza, questa Corte, scrutinando una questione
diversa,  ma  connotata  da  elementi di analogia con la presente, la
risolse  nel merito, emettendo il dispositivo sopra riferito e quindi
una  pronuncia  additiva  di  principio.  La  remittente ipotizza una
pronuncia di questo tipo.
   Conseguentemente,  anche  da  questo punto di vista, la questione,
come  proposta,  non  puo'  essere ritenuta inammissibile in linea di
principio.
   4.  - Per l'esame del merito della questione va precisato che essa
non  riguarda  i trattamenti sanitari fruibili dai cittadini italiani
negli  Stati membri dell'Unione europea (disciplinati dal regolamento
CEE  del  Consiglio  14 giugno 1971, n. 1408 e dal regolamento CE del
Parlamento  europeo  e  del  Consiglio 29 aprile 2004, n. 833), dello
Spazio  economico europeo e della Svizzera (cui si riferisce la legge
di  ratifica  28  luglio  1993,  n. 300)  e  neppure  concerne quelli
garantiti   da   altri   Stati   in  base  ad  accordi  bilaterali  o
multilaterali  (fatti  salvi  dall'art.  2 del d.P.R. 31 luglio 1980,
n. 618).
   Cosi' definitone l'ambito, la questione non e' fondata.
   E'  necessario richiamare gli orientamenti piu' volte enunciati da
questa Corte, anche con la sentenza n. 309 del 1999, secondo i quali,
da  un  lato,  la  tutela  del diritto alla salute nel suo aspetto di
pretesa   all'erogazione  di  prestazioni  «non  puo'  non  subire  i
condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le
risorse  finanziarie  delle  quali dispone»; dall'altro, le «esigenze
della  finanza  pubblica  non possono assumere, nel bilanciamento del
legislatore,  un  peso talmente preponderante da comprimere il nucleo
irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come
ambito inviolabile della dignita' umana» (in questo senso, oltre alla
citata  sentenza,  ex  plurimis: sentenze n. 455 del 1990; n. 267 del
1998; n. 509 del 2000; n. 252 del 2001; n. 432 del 2005).
   Ora,  come  risulta  dall'art.  37  della  legge  n. 833 del 1978,
l'assistenza  sanitaria  agli italiani all'estero costituisce oggetto
di una disciplina specifica rispetto a quella che regola l'assistenza
a  favore  di  coloro  che  si  trovano  nel  territorio dello Stato.
Specificita'  che deriva dal fatto che il servizio sanitario, come in
genere  i  servizi  pubblici, incontra di norma i limiti territoriali
propri   dello   Stato,   sicche'   le  prestazioni  vengono  erogate
direttamente  mediante strutture pubbliche organizzate nel territorio
oppure da soggetti con i quali le pubbliche amministrazioni stipulano
convenzioni (si vedano, in particolare, gli artt. 19 e 25 della legge
n. 833 del 1978).
   Cio'  non  puo'  non riflettersi sulla disciplina delle condizioni
alla cui sussistenza e' subordinato il diritto alle prestazioni e sul
tipo,  entita' e modalita' della loro erogazione e, quindi, anche sui
criteri  cui ci si attiene nell'operare il bilanciamento di cui si e'
detto  tra  tutela del diritto alla salute ed esigenze dello Stato di
natura finanziaria e, piu' in generale, organizzativa.
   Tali   considerazioni   spiegano   perche'   il  legislatore,  nel
disciplinare  l'assistenza  agli  italiani  all'estero esercitando la
delega  di  cui  all'art.  37  della  legge  n. 833  del  1978, abbia
richiesto  che  la  presenza  all'estero fosse motivata da ragioni di
lavoro  o  da  particolari  motivi  di  studio (fruizione di borse di
studio)  ritenendo  che,  in  tali  casi,  l'espatrio realizzasse non
soltanto  l'interesse  individuale dei singoli, ma anche un interesse
generale  e,  come  tale,  meritevole  di  trattamenti  idonei  a non
ostacolarlo.
   5.  --  Ragioni  diverse,  ma pur sempre ispirate a valutazioni di
interesse  generale, sono alla base della normativa impugnata e della
quale   si  postula  l'integrazione  per  ricondurla  a  legittimita'
costituzionale.
   Il  legislatore, preso atto della impossibilita' o della eccessiva
onerosita'  di  predisporre  nel  territorio  nazionale  strutture di
altissima   specializzazione   in   grado   di   fornire  particolari
prestazioni  o  della  impossibilita' di assicurare un'organizzazione
tale  da  fornire,  per  ogni evenienza, in tempo utile le necessarie
terapie,  ha  previsto la facolta' dei residenti in Italia di recarsi
all'estero  in  luoghi  dove  sia  possibile fruire delle prestazioni
richieste  dal caso sotto i profili qualitativo e temporale, sia pure
entro determinati limiti e a precise condizioni.
   La  remittente  invoca la sentenza di questa Corte n. 309 del 1999
per  sostenere  che  da  essa  si deduce l'affermazione del principio
generale  secondo il quale, ogni qual volta sia in pericolo il nucleo
essenziale  del  diritto alla salute, il cittadino italiano, anche se
si trovi all'estero, quali che siano le ragioni che l'abbiano indotto
all'espatrio,  abbia  comunque diritto ad ottenere che il costo delle
necessarie prestazioni sanitarie sia sostenuto dal Servizio sanitario
nazionale o, quanto meno, con il contributo di questo. In realta', la
suddetta  pronuncia  e'  stata  emessa  sul fondamento che l'art. 32,
primo  comma,  Cost.  «garantisce  cure gratuite agli indigenti» e in
considerazione  del  fatto  che,  per  costoro, l'insufficienza delle
condizioni economiche, unitamente alla mancata previsione del diritto
di  ottenere il rimborso delle spese necessarie, potrebbe determinare
l'impossibilita'   di   procurarsi   le   indispensabili  prestazioni
sanitarie e risolversi, quindi, in un pregiudizio diretto e immediato
del  diritto alla salute. Infatti, in essa la Corte ha precisato come
il  richiedere,  anche per gli indigenti (nel senso suddetto), che la
presenza  all'estero  fosse  motivata  da  ragioni  di  lavoro  o  da
particolari ragioni di studio avrebbe costituito «aggravamento di una
condizione  materiale  negativa;  aggravamento  che al legislatore e'
vietato introdurre».
   Per  altro  verso,  dalla  sentenza  richiamata  non  si ricava l'
equiparazione  dei  motivi  del  soggiorno al di fuori del territorio
nazionale diversi da quelli di lavoro o di studio a questi ultimi, ma
soltanto  che  ai primi non e' consentito «collegare una aprioristica
valutazione   negativa»,   tale  da  escludere  qualsiasi  intervento
pubblico anche nel caso di persona indigente.
   In  conclusione,  alla stregua dell'art. 32 Cost., non puo' essere
affermato  in modo assoluto il principio secondo il quale, in caso di
gravita'  della malattia e di urgenza dell'intervento terapeutico, il
costo di quest'ultimo deve essere rimborsato pure a coloro che non si
trovino in una condizione di indigenza anche in senso relativo.