Sentenza
nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, commi 4,
5,  6, 7, primo e quarto periodo, 10 e 11, della legge 3 agosto 2007,
n. 120  (Disposizioni  in  materia  di attivita' libero-professionale
intramuraria e altre norme in materia sanitaria), e dell'intero testo
dell'art.   1   della  medesima  legge  n. 120  del  2007,  promossi,
rispettivamente,  dalla  Provincia autonoma di Trento e dalla Regione
Lombardia,  con  ricorsi  notificati il 5 ottobre 2007, depositati in
cancelleria il 10 e 15 ottobre 2007 ed iscritti ai numeri 42 e 44 del
registro ricorsi del 2007.
   Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  21  ottobre  2008  il  Giudice
relatore Alfonso Quaranta;
   Uditi  gli  avvocati  Beniamino Caravita di Toritto per la Regione
Lombardia,  Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e
l'avvocato  dello Stato Anna Cenerini per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1. - La Provincia autonoma di Trento, con ricorso (reg. ric. n. 42
del 2007) del 5 ottobre 2007, depositato in cancelleria il successivo
10  ottobre,  ha  promosso  questione  di legittimita' costituzionale
dell'articolo  1,  commi 4, 5, 6, 7, primo e quarto periodo, 10 e 11,
della  legge  3  agosto  2007,  n. 120  (Disposizioni  in  materia di
attivita'  libero-professionale intramuraria e altre norme in materia
sanitaria).
   La ricorrente assume che le impugnate disposizioni contrastino con
gli  artt.  8,  numero  1),  9, numero 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti  lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonche'
con le relative norme di attuazione dello statuto di autonomia, ed in
particolare, con il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione
dello statuto per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene
e sanita), con il d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 (Norme di attuazione
dello   statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige  concernenti
integrazioni  alle norme di attuazione in materia di igiene e sanita'
approvate  con d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), con l'art. 8 del d.P.R.
19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige
ed  alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del
decreto  del  Presidente  della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), e
con  gli  artt.  2  e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266
(Norme  di  attuazione  dello  statuto  speciale per il Trentino-Alto
Adige  concernenti  il  rapporto tra atti legislativi statali e leggi
regionali  e  provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e
coordinamento),  e  che  le  stesse, inoltre, violino anche gli artt.
117,  118 e 120 della Costituzione in connessione con l'art. 10 della
legge  costituzionale  18  ottobre  2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione).
   1.1.   -  In  via  preliminare,  la  ricorrente  reputa  opportuno
rammentare di essere «dotata di competenza legislativa concorrente in
materia  di  "igiene  e  sanita',  compresa l'assistenza sanitaria ed
ospedaliera"»,  ai  sensi  dell'art. 9, numero 10), del d.P.R. n. 670
del  1972,  nonche'  «di  potesta' legislativa primaria in materia di
"ordinamento  degli  uffici  provinciali  e  del  personale  ad  essi
addetto"»,  in  forza  di quanto previsto dall'art. 8, numero 1), del
medesimo  d.P.R.,  essendo,  inoltre, titolare nelle medesime materie
«delle  correlative  potesta'  amministrative»,  giusta la previsione
dell'art. 16 sempre dello statuto di autonomia.
   Deduce,  poi,  che le predette norme statutarie sono state attuate
dal  d.P.R. n. 474 del 1975, il cui art. 2, comma 2, attribuisce alle
Province   autonome   «le   potesta'  legislative  ed  amministrative
attinenti al funzionamento ed alla gestione delle istituzioni ed enti
sanitari» (stabilendo, altresi', che «nell'esercizio di tali potesta'
esse  devono  garantire  l'erogazione  di  prestazioni  di assistenza
igienico-sanitaria ed ospedaliera non inferiori agli standards minimi
previsti   dalle  normative  nazionale  e  comunitaria»),  mentre  il
successivo  comma  3  prevede che le «competenze provinciali relative
allo   stato  giuridico  ed  economico  del  personale  addetto  alle
istituzioni  ed  enti  di  cui  al  secondo comma sono esercitate nei
limiti  previsti  dallo  statuto». Ai sensi, inoltre, dell'art. 3 del
medesimo  d.P.R.  n. 474 del 1975, tra le funzioni per le quali detta
norma  tiene ferma la competenza statale «non rientrano» - osserva la
ricorrente  -  «quelle  di  organizzazione  della  libera professione
intramuraria».
   Cio'  premesso,  la Provincia autonoma di Trento evidenzia di aver
recepito  la  normativa  statale, nella materia di cui si tratta, con
l'art.  51  della  legge  provinciale  27  agosto  1999, n. 3 (Misure
collegate   con   l'assestamento   del  bilancio  per  l'anno  1999),
stabilendo che «per la disciplina dell'attivita' libero professionale
dei  dirigenti  del  ruolo  sanitario  trovano  applicazione,  con la
decorrenza  fissata  dalla  normativa statale, le disposizioni di cui
all'articolo  72,  commi  da  4  a  8 nonche' 11 e 12, della legge 23
dicembre   1998,   n. 448   (Misure   di   finanza  pubblica  per  la
stabilizzazione   e   lo   sviluppo)»;   successivamente,  pero',  la
disciplina  di  fonte  legislativa  provinciale  e' stata abrogata ed
integralmente  sostituita  dall'art.  32  della  legge provinciale 10
febbraio  2005,  n. 1  (Disposizioni  per  la formazione del bilancio
annuale  2005  e  pluriennale  2005-2007  della Provincia autonoma di
Trento - legge finanziaria).
   Rammenta,  infine,  che  con  diverse  deliberazioni  della Giunta
provinciale  -  la  n. 1662  del  27 febbraio 1998, la n. 3334 del 15
dicembre 2000, la n. 1758 del 1° settembre 2006 - sono state «assunte
direttive     per     disciplinare     l'esercizio     dell'attivita'
libero-professionale   intramuraria  da  parte  del  personale  della
dirigenza del ruolo sanitario dipendente dall'Azienda provinciale per
i servizi sanitari», nonche', in concreto, «disciplinate le modalita'
dell'attivita' libero professionale intramuraria».
   La  ricorrente  evidenzia,  pertanto,  di disporre «di una propria
compiuta   disciplina   delle   attivita'   di   libera   professione
intramuraria svolta dai medici del servizio pubblico».
   1.2.  -  Cio'  premesso, la Provincia autonoma di Trento evidenzia
che  il  legislatore  statale  e' intervenuto in materia con la legge
n. 120  del 2007, alcune delle cui disposizioni formano oggetto della
proposta impugnazione.
   1.3.  - Ricostruito in termini generali il contenuto delle singole
disposizioni  censurate,  la ricorrente illustra per ciascuna di esse
gli argomenti a sostegno della dedotta illegittimita' costituzionale.
   1.3.1.  - In relazione, in particolare, al comma 4 dell'art. 1, la
Provincia  autonoma di Trento evidenzia come esso, nel primo periodo,
le  riconosca  la  facolta'  di acquisire spazi ambulatoriali esterni
alle   strutture   sanitarie   per   l'esercizio   di  attivita'  sia
istituzionali  sia  in  regime di libera professione intramuraria, ma
subordinatamente  al  rispetto  di  limiti  e  condizioni procedurali
definiti  nella  legge statale, atteso che «l'acquisto, la locazione,
la  stipula  di convenzioni», destinate a tale scopo, avviene «previo
parere   vincolante  da  parte  del  Collegio  di  direzione  di  cui
all'articolo  17  del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e
successive  modificazioni, o, qualora esso non sia costituito, di una
commissione   paritetica   di  sanitari  che  esercitano  l'attivita'
libero-professionale intramuraria, costituita a livello aziendale».
   La  disposizione  in  questione,  dunque, si rivolge alle Province
autonome ponendo «norme dettagliate sugli strumenti giuridici e sulla
procedura  con cui esse possono acquisire spazi ambulatoriali esterni
per  l'esercizio  delle  attivita'  sia  istituzionali  sia di libera
professione  intramuraria»,  sicche', «sotto l'apparenza di una norma
che  autorizza»,  in  realta'  «comprime  la facolta' di scelta della
Provincia», assoggettandola addirittura ad un «parere vincolante».
   Essa,   pertanto,   risulterebbe  lesiva  delle  competenze  della
Provincia, e cio' assumendo «a punto di riferimento» tanto la materia
-  oggetto  di  potesta'  legislativa primaria - della organizzazione
degli  enti  provinciali  (tra  i quali rientra l'azienda sanitaria),
quanto quella della sanita'.
   Osserva, difatti, la ricorrente - con riferimento a questo secondo
profilo - che la scelta, compiuta dalla legge costituzionale n. 3 del
2001,  di  attribuire  la  materia della tutela della salute - «assai
piu'   ampia»   di   quella  precedente,  costituita  dall'assistenza
sanitaria  (sono  citate,  in  particolare,  le  sentenze della Corte
costituzionale  n. 134  del  2006  e n. 270 del 2005) - alla potesta'
legislativa  concorrente  ex  art.  117,  terzo comma, Cost., esprime
«l'intento  di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale
a legiferare in questa materia e la competenza statale, limitata alla
determinazione  dei principi fondamentali della disciplina» (sentenza
n. 282  del  2002)  e  comporta  anche,  in  virtu'  della previsione
contenuta  nell'art.  10,  il  riconoscimento,  «in  riferimento alle
attribuzioni  proprie  delle  Province  autonome»,  di  una «maggiore
estensione  "della  tutela della salute" rispetto alle corrispondenti
competenze  statutarie  in  materia  sanitaria»  (sentenza n. 162 del
2007).
   A  maggior  ragione,  poi, l'incostituzionalita' del primo periodo
dell'impugnato  comma  4  dovrebbe essere riconosciuta riconducendolo
alla  materia dell'organizzazione degli enti paraprovinciali, essendo
la stessa oggetto di potesta' legislativa primaria.
   Ne',   d'altra  parte,  l'interferenza  statale  in  tale  materia
potrebbe  giustificarsi richiamando la previsione contenuta nell'art.
17,  comma  1,  del  decreto  legislativo  30  dicembre  1992, n. 502
(Riordino   della   disciplina   in   materia   sanitaria,   a  norma
dell'articolo  1  della  legge  23 ottobre 1992, n. 421), a norma del
quale spetta, tra l'altro, al Collegio di direzione costituito presso
ogni  azienda  sanitaria  di  «concorrere»  alla  formulazione «delle
soluzioni     organizzative     per    l'attuazione    dell'attivita'
libero-professionale  intramuraria»;  nella  specie,  infatti, a tale
organo,  per effetto dello «strumento del parere vincolante», risulta
demandato «l'esercizio sostanziale della funzione».
   Anche   il   secondo   periodo   del   predetto  comma  4  sarebbe
costituzionalmente  illegittimo,  in  quanto stabilisce che, in «ogni
caso»,  le  Province  autonome  «devono»  garantire  che le strutture
sanitarie   «gestiscano,   con   integrale  responsabilita'  propria,
l'attivita' libero-professionale intramuraria, al fine di assicurarne
il  corretto esercizio», nel rispetto di talune specifiche modalita';
con la previsione di tali modalita', dunque, il legislatore statale -
osserva  la  ricorrente  -  «non  si  limita  a  fissare obbiettivi e
disporre  principi, ma introduce, sia pure rinviandone l'operativita'
a  leggi  regionali,  disposizioni di dettaglio nella materia "tutela
della salute"».
   1.3.2.  - Quanto, invece, alle doglianze che investono i commi 5 e
6  dell'art. 1, la ricorrente premette di non contestare il principio
che  impone  alla  strutture  sanitarie  sia  di  adottare  un  piano
aziendale,   «concernente,   con   riferimento  alle  singole  unita'
operative,  i  volumi  di  attivita'  istituzionale  e  di  attivita'
libero-professionale   intramuraria»,   sia  di  assicurare  ad  esso
«adeguata pubblicita' ed informazione».
   Reputa, invece, norme di dettaglio quelle, recate dal comma 5, che
«riguardano  le  modalita'  di  pubblicita'  del piano» (segnatamente
nella  parti  in cui pongono il vincolo procedurale consistente nella
necessita'   di  acquisire,  alternativamente,  il  parere  dei  gia'
menzionati   Collegio   di  direzione  e  commissione  paritetica  di
sanitari,  ovvero  stabiliscono  il contenuto delle informazioni alle
quali e' assoggettato il piano stesso).
   Analogamente,  anche  il  comma  6  conterrebbe  «norme di estremo
dettaglio   in  quanto  regola  minuziosamente  le  singole  fasi  di
approvazione  del  piano»,  subordinandone,  oltretutto,  l'efficacia
all'assenza di osservazioni da parte del Ministero della salute.
   Inoltre,  l'illegittimita' del comma 6 deriverebbe anche dal fatto
che  le  disposizioni  da esso recate «pretendono nel loro insieme di
essere   immediatamente   applicabili  nel  territorio  provinciale»,
sebbene   investano   una  materia  di  competenza  provinciale,  con
conseguente  violazione,  pertanto, delle «regole in tema di rapporti
tra  fonti  statali e fonti provinciali» poste dall'art. 2 del citato
d.lgs. n. 266 del 1992.
   1.3.3. - Oggetto del ricorso sono anche le previsioni del comma 7,
primo e quarto periodo.
   Il primo periodo stabilisce che, al fine di assicurare il rispetto
delle previsioni di cui ai commi 1, 2, 4, 5 e 6 del medesimo articolo
1,  Regioni  e  Province autonome possono provvedere all'esercizio di
poteri  sostitutivi  e, soprattutto, alla «destituzione, nell'ipotesi
di   grave   inadempienza,  dei  direttori  generali  delle  aziende,
policlinici ed istituti di cui al comma 5».
   In  particolare,  quest'ultima previsione violerebbe la competenza
legislativa  provinciale  nella  materia  della  tutela della salute,
presentandosi, inoltre, irragionevolmente lesiva dell'autonomia della
Provincia.
   Quanto,  invece, alla previsione relativa all'esercizio dei poteri
sostitutivi, essa sarebbe lesiva dell'autonomia della Provincia nella
materia tutela della salute, quale risulta dall'art. 16 dello statuto
e  dagli artt. 1, 2 e 3 della legge n. 474 del 1975 e dall'art. 8 del
d.P.R. n. 526 del 1987.
   1.3.4. -  L'impugnativa  proposta dalla Provincia autonoma investe
anche  il  comma  10  dell'art.  1,  norma che stabilisce «il periodo
massimo  di  efficacia delle convenzioni (autorizzate dalle Regioni e
dalle Province autonome) di cui al primo periodo del comma 4» (vale a
dire  le  convenzioni  aventi  ad  oggetto  «l'acquisizione  di spazi
ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari, per l'esercizio
di  attivita'  sia  istituzionali sia in regime di libera professione
intramuraria»).  Tale  disposizione,  pertanto,  parteciperebbe degli
stessi  vizi  che inficiano il primo periodo del comma 4 del medesimo
art. 1.
   In particolare, poi, la scelta compiuta dal legislatore statale di
delimitare  l'efficacia  nel  tempo  delle  suddette  convenzioni (le
stesse  sono,  infatti,  autorizzate  «per  il  periodo necessario al
completamento,   da  parte  delle  aziende,  policlinici  o  istituti
interessati,  degli  interventi  strutturali  necessari ad assicurare
l'esercizio   dell'attivita'   libero-professionale   intramuraria  e
comunque non oltre il termine di cui al comma 2, primo periodo», vale
a  dire  quello di diciotto mesi a decorrere dalla data del 31 luglio
2007),  costituirebbe  una illegittima limitazione della facolta' «di
ricorrere  alle  soluzioni organizzative piu' adatte», spettante alla
Provincia  autonoma  «nell'ambito  della sua autonomia legislativa ed
amministrativa».
   1.3.5.  -  Infine,  anche  il  comma 11 dell'art. 1 sarebbe lesivo
«dell'autonomia  provinciale  in materia di organizzazione degli enti
paraprovinciali», ex art. 8, primo comma, dello statuto di autonomia,
in  quanto  «non  regola  aspetti  dello  status  dei  dirigenti  che
attengono  all'erogazione  del  servizio», bensi' individua «l'organo
competente,   all'interno  dell'apparato  dell'ente  a  "dirimere  le
vertenze    dei    dirigenti   sanitari   in   ordine   all'attivita'
libero-professionale intramuraria"».
   Qualora,  poi,  si  volesse  individuare  la  materia  interessata
dall'intervento  legislativo  de  quo  in  quella  della tutela della
salute,  l'illegittimita'  della  disposizione  deriverebbe  dal  suo
«carattere dettagliato ed autoapplicativo».
   2.  - Anche la Regione Lombardia, con ricorso (reg. ric. n. 44 del
2007)  del 5 ottobre 2007, depositato in cancelleria il successivo 15
ottobre,   ha   promosso  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'intero articolo 1 della legge n. 120 del 2007.
   In  via  preliminare, la ricorrente evidenzia che la «possibilita'
di  ricorrere  a  prestazioni  sanitarie intra moenia ma in regime di
tipo  libero-professionale  risponde  alla necessita' di garantire il
fondamentale   diritto   alla   salute  sancito  dall'art.  32  della
Costituzione  anche  sotto  il  profilo  della autodeterminazione dei
singoli». In tale prospettiva, pertanto, gia' l'art. 10, comma 4, del
d.lgs.  n. 502  del 1992 aveva stabilito che «all'interno dei presidi
ospedalieri   e  delle  aziende  ospedaliere  siano  riservati  spazi
adeguati  per consentire la libera professione intramuraria in regime
di degenza con camere a pagamento».
   Tuttavia,   la   legge  impugnata  recherebbe,  all'art.  1,  «una
disciplina     analitica     e     di     dettaglio    sull'attivita'
libero-professionale  intramuraria»  che  «infrange in modo palese il
vigente riparto di competenze tra Stato e Regioni».
   2.1.  -  Alla  luce  di  tale  premessa  generale,  la  ricorrente
ipotizza,  in  primo  luogo,  la  violazione  degli artt. 117, quarto
comma,  e  118 Cost., nonche' «dei principi di ragionevolezza (art. 3
Cost.),  buon  andamento (art. 97 Cost.) e leale collaborazione (art.
120 Cost.)».
   Essa   assume,   difatti,   che  le  disciplina  in  contestazione
inciderebbe «pesantemente all'interno di un settore, l'organizzazione
sanitaria,  tradizionalmente  affidato  alle  Regioni», atteso che la
giurisprudenza  costituzionale,  gia'  con  riferimento al sistema di
riparto  delle  competenze legislative delineato dal testo originario
del  Titolo V della Parte II della Costituzione, avrebbe «manifestato
chiaramente   l'importanza   e   la  necessita'  che  la  gestione  e
l'organizzazione  della sanita' venisse svolta in modo autonomo dalle
Regioni».
   2.1.1. - Richiamato, pertanto, quel tradizionale indirizzo secondo
cui, a norma dell'art. 117 Cost., quella dell'assistenza sanitaria ed
ospedaliera  e' materia di competenza delle Regioni, le quali possono
quindi,  secondo  le  previsioni costituzionali, regolarla variamente
nel  quadro dei principi delle leggi statali, la ricorrente evidenzia
come   -   secondo   la   giurisprudenza   costituzionale   formatasi
anteriormente  alla  riforma  del titolo V della Costituzione - nella
materia  «assistenza  sanitaria  ed  ospedaliera»,  nella  quale alle
Regioni  risultava  anche «riservata la generalita' delle correlative
funzioni   amministrative»  (sentenza  n. 307  del  1983),  fosse  da
includere   pure   la   «disciplina   dell'organizzazione  sanitaria»
(sentenza n. 214 del 1988).
   2.1.2.  - Inoltre, se per effetto della riforma del titolo V della
parte  II  della Costituzione la materia della tutela della salute e'
divenuta  oggetto  di  potesta'  legislativa  concorrente,  statale e
regionale, nulla e' stato, invece, disposto - osserva la ricorrente -
«rispetto   alla   "vecchia"  materia  dell'"assistenza  sanitaria  e
ospedaliera"».
   La Regione Lombardia ritiene, pertanto, che la stessa, non essendo
«piu'  contemplata  nell'elenco  delle  materie  su  cui  insiste  la
competenza  concorrente»,  vada «ricondotta alla competenza esclusiva
delle Regioni».
   La   conclusione   proposta   sarebbe   suffragata   anche   dalla
giurisprudenza  costituzionale, secondo cui - osserva la ricorrente -
la  tutela  della salute dovrebbe ritenersi ripartita «fra la materia
di  competenza  regionale  concorrente  della  "tutela  della salute"
(terzo  comma),  la  quale  deve essere intesa come "assai piu' ampia
rispetto  alla precedente materia assistenza sanitaria e ospedaliera"
(sentenze   n. 181   del   2006   e   n. 270   del  2005),  e  quella
dell'organizzazione  sanitaria,  in  cui  le Regioni possono adottare
"una   propria   disciplina  anche  sostitutiva  di  quella  statale"
(sentenza n. 510 del 2002)» (e' citata la sentenza n. 328 del 2006).
   2.1.3.  -  Tutto  cio'  premesso,  la ricorrente evidenzia come le
disposizioni  censurate  rivelino in modo inequivocabile «la volonta'
di  comprimere  gli  spazi  di  autonomia  regionale  in  materia  di
organizzazione sanitaria».
   Se, infatti, lo Stato, in questa materia, ha unicamente titolo per
intervenire   -   come  avrebbe  chiarito  la  sentenza  della  Corte
costituzionale  n. 88  del  2003  - per la determinazione dei livelli
essenziali  di assistenza, ponendosi gli stessi come «un fondamentale
strumento  per  garantire il mantenimento di una adeguata uniformita'
di  trattamento  sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un
sistema  caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale
decisamente  accresciuto»,  deve riconoscersi che nella disciplina in
contestazione  «non  vi  e'  traccia di alcun elemento attinente alla
garanzia dell'uniformita' dei diritti e delle prestazioni».
   Ed  invero,  l'art.  1  della  legge  n. 120  del 2007: «impone la
ristrutturazione  edilizia  per  garantire l'esercizio dell'attivita'
libero   professionale  intramuraria»;  «definisce  le  modalita'  di
acquisizione   degli   spazi   ambulatoriali   esterni,  aziendali  e
pluridisciplinari»;  «impone  la  determinazione,  in  accordo  con i
professionisti, di tariffe idonee ad assicurare l'integrale copertura
dei     costi     correlati    alla    gestione    delle    attivita'
libero-professionali intramurarie».
   In    conclusione,   essa   incide   in   un   ambito   -   quello
dell'organizzazione   sanitaria   -   sul   quale   le  Regioni  gia'
«esercitavano  precise funzioni normative ed amministrative», oggetto
di  «un  sostanziale  ampliamento  e  rinvigorimento» dopo la riforma
operata  dalla  legge  costituzionale n. 3 del 2001, essendo stata la
stessa affidata «alla competenza residuale esclusiva delle Regioni».
   2.2.  -  E' solo, quindi, in via di subordine - per il caso in cui
si  ritenesse  di  identificare la materia oggetto delle disposizioni
impugnate in quella non dell'organizzazione sanitaria ma della tutela
della salute - che viene dedotta la violazione degli artt. 117, terzo
comma,  e  118 Cost., nonche' «dei principi di ragionevolezza (art. 3
Cost.),  buon  andamento (art. 97 Cost.) e leale collaborazione (art.
120 Cost.)».
   2.2.1.   -  Difatti,  secondo  la  ricorrente,  la  disciplina  in
contestazione  risulta  «estremamente  dettagliata  e  minuziosa  non
lasciando alcun margine discrezionale all'ente regionale».
   La  ricorrente,  difatti,  deduce  che  - come avrebbe chiarito la
giurisprudenza  costituzionale,  a  partire dalla sentenza n. 510 del
2002  -  nella  materia della tutela della salute, venendo in rilievo
un'ipotesi  di  competenza legislativa ripartita tra Stato e Regioni,
«spetta al primo la fissazione dei principi fondamentali, mentre alle
seconde  compete dettare la disciplina attuativa di tali principi con
l'autonomia  e  l'autodeterminazione che, nel disegno costituzionale,
ad esse sono state riconosciute».
   Inoltre,  talune piu' recenti pronunce avrebbero non solo ribadito
tale  affermazione, ma anche precisato che «la materia della sanita',
dopo  la  riforma  del  titolo  V  della parte II della Costituzione,
ricomprende   sia   la  tutela  della  salute,  che  assume  oggi  un
significato    piu'    ampio   rispetto   alla   precedente   materia
dell'assistenza   sanitaria   e   ospedaliera,  sia  l'organizzazione
sanitaria  in  senso stretto, nella quale le Regioni possono adottare
una  disciplina  anche  sostitutiva  di  quella  statale»  (cosi'  la
sentenza  n. 105  del 2007, ma nello stesso senso anche la successiva
sentenza n. 162 del 2007).
   Conforme sarebbe, inoltre, la stessa giurisprudenza amministrativa
(e'  citata,  in  particolare,  la  decisione  n. 398  del  2004  del
Consiglio di Stato, Sezione IV).
   Cio'   premesso,   la  ricorrente  sottolinea  che  nessuna  delle
disposizioni  contenute  nell'art.  1 della legge n. 120 del 2007 «e'
configurabile  come  "principio  fondamentale"»  della materia tutela
della salute.
   Difatti,  dopo  la riforma operata dalla legge costituzionale n. 3
del  2001, spetta allo Stato, nella materia suddetta, «predisporre un
quadro  normativo  di base capace di assicurare un indirizzo generale
alle  diverse  Regioni  che,  nell'ambito  del  relativo  territorio,
potranno  disciplinare  l'organizzazione  e  la fornitura dei servizi
sanitari  in  autonomia  e nel rispetto di tali principi fondamentali
statali».
   Sulla base, pertanto, di tali rilievi la ricorrente evidenzia che,
nel  caso  di  specie,  le  censurate disposizioni siano ben lontane,
proprio in ragione del loro carattere dettagliato ed autoapplicativo,
dal  configurarsi come principi fondamentali, essendo per tale motivo
costituzionalmente illegittime.
   3.  - Si e' costituito in entrambi i giudizi - con atti depositati
in  cancelleria  il 23 ottobre 2007 - il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo che i ricorsi siano rigettati perche' inammissibili
e comunque non fondati.
   3.1.  -  La  difesa  statale  reputa opportuno evidenziare, in via
preliminare,  come  la  Corte  costituzionale, con sentenza n. 50 del
2007,  abbia  avuto  modo di pronunciarsi sul tema delle modalita' di
esercizio, da parte dei sanitari, dell'attivita' libero-professionale
intramuraria.
   Essa,  infatti, nel pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale
dell'articolo  14,  comma  1, lettera i), della legge della Provincia
autonoma  di  Bolzano 10 agosto 1995, n. 16 (Riforma dell'ordinamento
del   personale  della  Provincia),  «pur  riconoscendo  all'istituto
dell'esclusivita'  del  rapporto  di  lavoro del dirigente sanitario»
l'idoneita'   ad  «incidere  contestualmente  su  una  pluralita'  di
materie»,  ha  individuato  nella  tutela  della  salute - sottolinea
l'Avvocatura generale dello Stato - «l'ambito materiale prevalente».
   In  particolare,  la  citata  sentenza  avrebbe  chiarito  «che le
disposizioni  regolanti  la  facolta'  di  scelta tra i due regimi di
lavoro,  esclusivo  e  non esclusivo, costituiscono espressione di un
principio fondamentale, volto a garantire una tendenziale uniformita'
tra  le  diverse  legislazioni  e  i sistemi sanitari delle Regioni e
delle  Province  autonome  in  ordine  ad un profilo qualificante del
rapporto tra sanita' ed utenti».
   Tali  rilievi,  sottolinea  la difesa statale, costituirebbero «un
punto  fondamentale  a  dimostrazione  della perfetta coerenza con la
Carta costituzionale delle disposizioni censurate».
   Ed  invero,  l'impugnata  legge  n. 120  del  2007 non farebbe che
reiterare «la possibilita' di utilizzo degli studi privati in caso di
carenze  di  strutture  e  spazi idonei alle necessita' connesse allo
svolgimento   dell'attivita'  libero  professionale  dei  medici  del
servizio sanitario nazionale».
   Difatti, la disciplina in contestazione si sarebbe resa necessaria
in   quanto   e'   rimasta   lungamente   priva   di   attuazione  la
«predisposizione  di  spazi adeguati per consentire l'esercizio della
libera   professione   in   strutture  aziendali»,  e  cio'  malgrado
l'attivazione  di tali strutture costituisse uno dei principi cardine
fissati  dall'art. 1, commi 8, 10 e 11, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662   (Misure   di   razionalizzazione  della  finanza  pubblica).
Conseguentemente,  lo Stato, «di fronte all'inerzia di quasi tutte le
Regioni e le Province autonome, si e' limitato a prorogare di anno in
anno   la  possibilita'  di  esercizio  in  intra  moenia  allargata»
dell'attivita' libero-professionale dei sanitari.
   Orbene,  «di  fronte  all'inerzia di buona parte delle Regioni» il
Parlamento  ha deliberato di concedere un'ulteriore proroga, dettando
al   contempo   norme   stringenti   finalizzate   ad  assicurare  il
conseguimento dell'obiettivo.
   In  forza,  dunque,  di tali considerazioni, l'Avvocatura generale
dello  Stato  ha concluso affinche' i ricorsi siano rigettati perche'
inammissibili o non fondati.
   4.  -  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica,  il Presidente del
Consiglio dei ministri, in data 7 ottobre 2008, ha depositato memorie
in  ordine  ad  entrambi  i  ricorsi,  deducendo  in  particolare che
l'attivita'  libero-professionale intramuraria sarebbe riconducibile,
per  alcuni  profili,  alla  fissazione  dei  livelli  essenziali  di
assistenza, per altri, alla tutela della salute.
   Le norme impugnate - secondo la difesa statale - tendono, inoltre,
a  salvaguardare le risorse pubbliche da un uso improprio, garantendo
che  i  costi che lo Stato sostiene per lo svolgimento dell'attivita'
intra  moenia  siano  integralmente  finanziati dalle tariffe poste a
carico  dei  cittadini.  Cio',  quale  manifestazione  specifica  del
generale   principio   di   economicita'  della  gestione,  alla  cui
osservanza e' tenuto il Servizio sanitario nazionale.
   L'Avvocatura generale dello Stato ribadisce, altresi', richiamando
lo  specifico  contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, che
le  stesse  sono  dirette  a  fissare  principi  generali, al fine di
garantire che: l'attivita' in questione si svolga in spazi adeguati e
specifici;    non    diventi    prevalente   rispetto   all'attivita'
istituzionale e dunque potenzialmente sostitutiva di questa; prevenga
situazioni  di  potenziale  conflitto  di  interessi e di concorrenza
sleale;  sia  esercitata in modo da non interferire negativamente con
l'ordinario  svolgimento  dell'attivita' istituzionale; sia tariffata
in  modo  da  comportare  l'integrale  copertura  dei  relativi oneri
diretti ed indiretti.
   La  fissazione  dei suddetti principi, in particolare, costituisce
diretta  conseguenza  del  fatto che l'attivita' in esame concorre, a
tutti  gli  effetti, alla formazione dell'offerta sanitaria pubblica,
determinando, in termini quantitativi e qualitativi, il livello delle
prestazioni fruibili dai cittadini.
   Si   sarebbe,  quindi,  in  un  contesto  che,  stabilendo  limiti
dimensionali   entro  i  quali  possono  essere  validamente  erogate
prestazioni  in  regime  di  intra  moenia,  tutela  l'erogazione  di
prestazioni  nell'ambito  del  regime  istituzionale  e rientra nella
sfera della fissazione dei livelli essenziali di assistenza.
   Infine,  la  difesa  statale  rileva come la previsione del potere
sostitutivo  tenda  a garantire il rispetto del generale principio di
economicita'  della  gestione, che deve essere osservato dal Servizio
sanitario nazionale.
   5.  -  In  data  8  ottobre  2008  entrambe  le  ricorrenti  hanno
depositato  una memoria, insistendo nelle conclusioni gia' proposte e
confutando la tesi difensive dell'Avvocatura generale dello Stato.
                       Considerato in diritto
   1.  -  La  Provincia  autonoma  di Trento ha promosso questione di
legittimita'  costituzionale dell'articolo 1, commi 4, 5, 6, 7, primo
e  quarto  periodo,  10  e  11,  della  legge  3  agosto 2007, n. 120
(Disposizioni    in   materia   di   attivita'   libero-professionale
intramuraria e altre norme in materia sanitaria).
   Nel  ricorso  si  deduce che le impugnate disposizioni contrastano
con  gli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti  lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonche'
con le relative norme di attuazione dello statuto di autonomia ed, in
particolare, con il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione
dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene
e sanita), con il d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 (Norme di attuazione
dello   statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige  concernenti
integrazioni  alle norme di attuazione in materia di igiene e sanita'
approvate  con d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), con l'art. 8 del d.P.R.
19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige
ed  alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del
decreto  del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), con
gli  artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme
di  attuazione  dello  statuto  speciale  per  il Trentino-Alto Adige
concernenti   il  rapporto  tra  atti  legislativi  statali  e  leggi
regionali  e  provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e
coordinamento) e che le stesse, inoltre, violano anche gli artt. 117,
118 e 120 della Costituzione in connessione con l'art. 10 della legge
costituzionale  18  ottobre  2001,  n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione).
   Sul  presupposto  di  essere  titolare,  in forza dello statuto di
autonomia   (e   delle  norme  che  ad  esso  danno  attuazione),  di
«competenza  legislativa concorrente in materia "di igiene e sanita',
compresa   l'assistenza   sanitaria  ed  ospedaliera"»,  nonche'  «di
potesta' legislativa primaria in materia di "ordinamento degli uffici
provinciali  e  del  personale  ad  essi  addetto"», oltre che, nelle
stesse  materie,  delle  «correlative  potesta'  amministrative»,  la
ricorrente  lamenta  la  violazione  di  tali  norme  ad  opera della
disciplina in contestazione.
   2.   -  Anche  la  Regione  Lombardia  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale dell'intero articolo 1 della legge n. 120
del 2007, ipotizzando, in primo luogo, la violazione degli artt. 117,
quarto  comma,  e  118 Cost., nonche' «dei principi di ragionevolezza
(art. 3 Cost.), buon andamento (art. 97 Cost.) e leale collaborazione
(art. 120 Cost.)», sul presupposto che la disciplina in contestazione
inciderebbe «pesantemente all'interno di un settore, l'organizzazione
sanitaria, tradizionalmente affidato alle Regioni».
   Soltanto  in  subordine  -  per  il  caso  in  cui si ritenesse di
identificare  la  materia  oggetto  delle  disposizioni  impugnate in
quella della tutela della salute - la ricorrente deduce la violazione
degli  artt.  117, terzo comma, e 118 Cost., nonche' «dei principi di
ragionevolezza (art. 3 Cost.), buon andamento (art. 97 Cost.) e leale
collaborazione  (art.  120  Cost.)»,  assumendo  che la disciplina in
contestazione  sarebbe  «estremamente  dettagliata  e  minuziosa  non
lasciando alcun margine discrezionale all'ente regionale».
   3. - Preliminarmente, poiche' i predetti ricorsi pongono questioni
analoghe,  deve  essere  disposta la riunione dei relativi giudizi ai
fini di un'unica decisione.
   4. - Ancora in via preliminare, per individuare quale sia l'ambito
materiale  interessato  dalle  disposizioni  di  cui all'art. 1 della
legge n. 120 del 2007, e' necessario specificare il loro contenuto.
   I  commi  1 e 2 del citato art. 1 fanno carico alle Regioni e alle
Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  di assumere, entro il
termine di diciotto mesi decorrente dal 31 luglio 2007, allo scopo di
garantire     l'esercizio     dell'attivita'     libero-professionale
intramuraria  dei  sanitari,  «le  piu'  idonee  iniziative  volte ad
assicurare  gli  interventi  di  ristrutturazione edilizia, presso le
aziende   sanitarie   locali,  le  aziende  ospedaliere,  le  aziende
ospedaliere  universitarie,  i  policlinici  universitari  a gestione
diretta  e  gli  istituti  di ricovero e cura a carattere scientifico
(IRCCS) di diritto pubblico».
   In  particolare,  il  comma  2  stabilisce che, limitatamente allo
stesso  periodo  e agli ambiti in cui non siano ancora state adottate
le iniziative sopra descritte, «in deroga a quanto disposto dal comma
2  dell'articolo  22-bis  del  decreto-legge  4  luglio 2006, n. 223,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge 4 agosto 2006, n. 248»
(che  ha  prorogato  fino  al 31 luglio 2007 la facolta' spettante ai
dirigenti  sanitari,  «in caso di carenza di strutture e spazi idonei
alle   necessita'   connesse   allo   svolgimento   delle   attivita'
libero-professionali  in  regime  ambulatoriale»,  di  avvalersi «del
proprio   studio   professionale»),   «continuano   ad  applicarsi  i
provvedimenti gia' adottati per assicurare l'esercizio dell'attivita'
libero-professionale intramuraria»; nel medesimo periodo, inoltre, le
Regioni  e  le  Province  autonome  di  Trento  e  di Bolzano debbono
procedere  «all'individuazione  e all'attuazione delle misure dirette
ad  assicurare,  in  accordo  con  le  organizzazioni sindacali delle
categorie  interessate  e  nel  rispetto  delle  vigenti disposizioni
contrattuali, il definitivo passaggio al regime ordinario del sistema
dell'attivita'   libero-professionale  intramuraria  della  dirigenza
sanitaria,  medica  e  veterinaria del Servizio sanitario nazionale e
del  personale  universitario di cui all'articolo 102 del decreto del
Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382».
   Ai  sensi  del  comma  3,  poi,  la  «risoluzione degli accordi di
programma  di  cui all'articolo 1, comma 310, della legge 23 dicembre
2005,  n. 266, si applica anche alla parte degli accordi di programma
relativa   agli   interventi   di  ristrutturazione  edilizia»  sopra
indicati,  per  i  quali la Regione «non abbia conseguito il collaudo
entro il termine stabilito dal comma 2, primo periodo».
   A  sua volta, il successivo comma 4, innanzitutto, individua - tra
le misure che le Regioni e le Province autonome possono assumere allo
scopo  di  garantire  l'esercizio dell'attivita' libero-professionale
intramuraria   dei   sanitari,   sempre  che  «ne  sia  adeguatamente
dimostrata  la  necessita' e nell'ambito delle risorse disponibili» -
«l'acquisizione   di   spazi   ambulatoriali   esterni,  aziendali  e
pluridisciplinari, per l'esercizio di attivita' sia istituzionali sia
in  regime  di libera professione intramuraria, i quali corrispondano
ai  criteri di congruita' e idoneita' per l'esercizio delle attivita'
medesime,   tramite   l'acquisto,   la   locazione,   la  stipula  di
convenzioni,  previo  parere  vincolante  da  parte  del  Collegio di
direzione  di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 30 dicembre
1992,  n. 502,  e  successive  modificazioni, o, qualora esso non sia
costituito,  di una commissione paritetica di sanitari che esercitano
l'attivita'  libero-professionale  intramuraria, costituita a livello
aziendale».
   Inoltre,  il  medesimo  comma 4 fa comunque carico alle Regioni ed
alle Province autonome di «garantire che le aziende sanitarie locali,
le  aziende  ospedaliere,  le  aziende  ospedaliere  universitarie, i
policlinici  universitari  a  gestione diretta e gli IRCCS di diritto
pubblico   gestiscano,   con   integrale   responsabilita'   propria,
l'attivita' libero-professionale intramuraria, al fine di assicurarne
il  corretto  esercizio,  in  particolare nel rispetto delle seguenti
modalita':
     a)  affidamento a personale aziendale, o comunque dall'azienda a
cio'  destinato,  senza  ulteriori  oneri aggiuntivi, del servizio di
prenotazione  delle  prestazioni, da eseguire in sede o tempi diversi
rispetto  a  quelli istituzionali, al fine di permettere il controllo
dei  volumi  delle  medesime  prestazioni,  che  non devono superare,
globalmente considerati, quelli eseguiti nell'orario di lavoro;
     b)  garanzia  della  riscossione  degli  onorari  relativi  alle
prestazioni   erogate   sotto   la   responsabilita'  delle  aziende,
policlinici  e  istituti  di  cui al comma 1. Agli eventuali oneri si
provvede ai sensi della lettera c);
     c)  determinazione,  in  accordo  con  i  professionisti,  di un
tariffario  idoneo  ad  assicurare  l'integrale  copertura di tutti i
costi   direttamente   e   indirettamente   correlati  alla  gestione
dell'attivita' libero-professionale intramuraria, ivi compresi quelli
connessi  alle  attivita'  di  prenotazione  e  di  riscossione degli
onorari;
     d)  monitoraggio aziendale dei tempi di attesa delle prestazioni
erogate   nell'ambito   dell'attivita'   istituzionale,  al  fine  di
assicurare   il   rispetto   dei  tempi  medi  fissati  da  specifici
provvedimenti;  attivazione  di  meccanismi di riduzione dei medesimi
tempi  medi;  garanzia che, nell'ambito dell'attivita' istituzionale,
le  prestazioni  aventi  carattere  di  urgenza  differibile  vengano
erogate entro 72 ore dalla richiesta;
     e)  prevenzione delle situazioni che determinano l'insorgenza di
un  conflitto  di  interessi  o  di  forme  di  concorrenza  sleale e
fissazione  delle  sanzioni disciplinari e dei rimedi da applicare in
caso   di   inosservanza   delle  relative  disposizioni,  anche  con
riferimento  all'accertamento  delle  responsabilita'  dei  direttori
generali per omessa vigilanza;
     f)    adeguamento   dei   provvedimenti   per   assicurare   che
nell'attivita' libero-professionale intramuraria, ivi compresa quella
esercitata   in   deroga   alle   disposizioni  di  cui  al  comma  2
dell'articolo   22-bis  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge 4 agosto 2006, n. 248,
siano  rispettate le prescrizioni di cui alle lettere a), b) e c) del
presente  comma,  anche nel periodo di operativita' transitoria delle
convenzioni  di  cui all'alinea, primo periodo, del presente comma, e
fermo  restando  il  termine  di  cui al comma 2, primo periodo, e al
comma 10;
     g)  progressivo  allineamento  dei  tempi  di  erogazione  delle
prestazioni nell'ambito dell'attivita' istituzionale ai tempi medi di
quelle  rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di
assicurare  che  il  ricorso a quest'ultima sia conseguenza di libera
scelta del cittadino e non di carenza nell'organizzazione dei servizi
resi   nell'ambito  dell'attivita'  istituzionale.  A  tal  fine,  il
Ministro   della   salute  presenta  annualmente  al  Parlamento  una
relazione    sull'esercizio    della    libera   professione   medica
intramuraria,  ai  sensi  dell'articolo  15-quaterdecies  del decreto
legislativo  30  dicembre  1992,  n. 502, con particolare riferimento
alle   implicazioni   sulle   liste   di  attesa  e  alle  disparita'
nell'accesso ai servizi sanitari pubblici».
   Quanto  al  contenuto del comma 5, esso fa carico a ciascuna delle
strutture  sanitarie  di  cui  ai commi precedenti di predisporre «un
piano  aziendale,  concernente,  con  riferimento alle singole unita'
operative,  i  volumi  di  attivita'  istituzionale  e  di  attivita'
libero-professionale   intramuraria».   Di  tale  piano  deve  essere
assicurata  «adeguata  pubblicita'  ed informazione»; in particolare,
ciascun  ente  sanitario  deve  provvedere alla esposizione del piano
«nell'ambito  delle proprie strutture ospedaliere ed all'informazione
nei  confronti delle associazioni degli utenti, sentito il parere del
Collegio  di direzione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo
30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, o, qualora esso
non  sia costituito, della commissione paritetica di sanitari» di cui
al comma 4 del medesimo articolo 1. Lo stesso comma precisa, poi, che
le  informazioni  suddette  debbono  riguardare,  in particolare, «le
condizioni  di  esercizio  dell'attivita'  istituzionale  e di quella
libero-professionale  intramuraria,  nonche'  i  criteri che regolano
l'erogazione delle prestazioni e le priorita' di accesso».
   La  procedura  di approvazione dei piani e' disciplinata dal comma
6,  il  quale  stabilisce  che  essi  debbano  essere presentati alla
Regione  o  alla  Provincia  autonoma  competente,  «in fase di prima
applicazione,  entro  quattro  mesi  dalla  data di entrata in vigore
della  presente  legge e, successivamente, entro un limite massimo di
tre  anni dall'approvazione del piano precedente». Ciascuna Regione o
Provincia  autonoma  «approva  il  piano,  o  richiede  variazioni  o
chiarimenti,   entro   sessanta   giorni   dalla  presentazione»;  in
quest'ultimo  caso  le  variazioni  o  i chiarimenti «sono presentati
entro sessanta giorni dalla richiesta medesima» ed esaminati «entro i
successivi  sessanta  giorni». Infine, subito dopo l'approvazione, la
Regione  o  Provincia autonoma «trasmette il piano al Ministero della
salute»;  decorsi  sessanta giorni dalla trasmissione, «in assenza di
osservazioni  da  parte  del  Ministero  della  salute,  i  piani  si
intendono operativi».
   In   base  al  comma  7,  inoltre,  Regioni  e  Province  autonome
«assicurano il rispetto delle previsioni di cui ai commi 1, 2, 4, 5 e
6 anche mediante l'esercizio di poteri sostitutivi e la destituzione,
nell'ipotesi  di  grave  inadempienza,  dei  direttori generali delle
aziende,  policlinici  ed  istituti  di  cui al comma 5». E' previsto
anche  che  sia  il  Governo ad esercitare, a propria volta, i poteri
sostitutivi  «ai  sensi  e secondo la procedura di cui all'articolo 8
della   legge   5   giugno   2003,   n. 131»,  e  cio'  «in  caso  di
inadempimento»,  pure  «con  riferimento  alla destituzione di cui al
primo  periodo  del  presente  comma», da parte delle Regioni e delle
Province  autonome,  alle  quali  e',  per l'effetto, anche «precluso
l'accesso  ai finanziamenti a carico dello Stato integrativi rispetto
ai   livelli  di  cui  all'accordo  sancito  l'8  agosto  2001  dalla
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province  autonome  di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2001».
   Il  comma  8  fa  carico  alle  Regioni  e  Province  autonome  di
trasmettere  al  Ministro della salute «una relazione sull'attuazione
dei  commi  1,  2,  4,  5,  6  e  7,  con cadenza trimestrale fino al
conseguimento  effettivo,  da  parte  della  stessa,  del  definitivo
passaggio  al  regime  ordinario di cui al comma 2, e successivamente
con cadenza annuale».
   Limitatamente,   poi,   all'attivita'  clinica  e  di  diagnostica
ambulatoriale,  il  comma  9 dispone che «gli spazi e le attrezzature
dedicati  all'attivita' istituzionale possono essere utilizzati anche
per  l'attivita'  libero-professionale  intramuraria,  garantendo  la
separazione  delle  attivita'  in  termini  di  orari, prenotazioni e
modalita' di riscossione dei pagamenti».
   In  stretta connessione con la previsione di cui al comma 4, primo
periodo,  del  medesimo  art.  1,  il  comma  10  stabilisce  che  le
convenzioni  ivi menzionate vengano autorizzate dalle Regioni e dalle
Province  autonome  «per  il  periodo necessario al completamento, da
parte  delle  aziende,  policlinici  o  istituti  interessati,  degli
interventi    strutturali   necessari   ad   assicurare   l'esercizio
dell'attivita' libero-professionale intramuraria e comunque non oltre
il  termine di cui al comma 2, primo periodo» (e cioe', diciotto mesi
a decorrere dalla data del 31 luglio 2007).
   Il  comma 11 affida, poi, al Collegio di direzione o, qualora esso
non sia costituito, alla commissione paritetica di sanitari di cui al
comma  4  del  medesimo  art.  1,  «anche  il  compito di dirimere le
vertenze    dei    dirigenti   sanitari   in   ordine   all'attivita'
libero-professionale intramuraria».
   Il  comma  12,  viceversa,  pone  a  carico  di Regioni e Province
autonome   il   compito  di  «definire  le  modalita'  per  garantire
l'effettuazione,  da  parte  dei  dirigenti  veterinari  del Servizio
sanitario  nazionale,  delle prestazioni libero-professionali che per
la  loro  particolare tipologia e modalita' di erogazione esigono una
specifica regolamentazione».
   Ai  sensi  del comma 13 e' stabilita l'attivazione, entro tre mesi
dalla  data  di  entrata  in  vigore  legge  n. 120  del  2007, di un
«Osservatorio  nazionale  sullo  stato di attuazione dei programmi di
adeguamento  degli  ospedali  e  sul  funzionamento dei meccanismi di
controllo   a   livello   regionale   e   aziendale,   come  previsto
dall'articolo  15-quaterdecies  del citato decreto legislativo n. 502
del 1992».
   Infine,  il  comma 14 dispone che dalla «eventuale costituzione» e
«dal funzionamento delle commissioni paritetiche di cui ai commi 4, 5
e  11,  nonche'  dall'attuazione  del  medesimo  comma 11, non devono
derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
   5.  -  Cosi'  precisato il contenuto delle disposizioni impugnate,
occorre  preliminarmente  procedere alla individuazione della materia
entro la quale esse devono essere collocate, almeno in prevalenza.
   Al  riguardo, la ricorrente Provincia autonoma di Trento prospetta
la tesi della loro riconducibilita' alle materie dell'ordinamento del
personale  provinciale  o  dell'igiene  e  sanita',  con  particolare
riferimento    alla    organizzazione    della   libera   professione
intramuraria,   richiamando   norme   dello  statuto  speciale  o  di
attuazione  di  questo e, in alternativa, le disposizioni degli artt.
117 e 118 Cost.
   La  Regione  Lombardia, dal canto suo, fa riferimento alla materia
dell'organizzazione  sanitaria  che  sarebbe  di esclusiva competenza
regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.
   Solo  in  via  subordinata entrambe le ricorrenti, sul presupposto
dell'appartenenza  delle  norme  censurate  alla materia della tutela
della  salute,  lamentano  la  eccessiva specificita' ed analiticita'
delle  stesse,  che  non potrebbero essere considerate espressione di
principi  fondamentali di competenza statale ai sensi del terzo comma
della citata disposizione costituzionale.
   L'Avvocatura  generale  dello Stato nelle sue difese, a sua volta,
ha  insistito  nella  tesi  secondo  cui le disposizioni in questione
rientrerebbero  nella  competenza  esclusiva  dello Stato a fissare i
livelli  essenziali di assistenza in materia sanitaria. In ogni caso,
anche  a  volerle  considerare  rientranti nella materia della tutela
della  salute,  esse  conterrebbero  principi  fondamentali  di detta
materia, come tali di competenza concorrente statale.
   Cio'  premesso,  deve innanzitutto chiarirsi che, per la Provincia
autonoma  di  Trento,  non  vengono  in  rilievo  norme dello statuto
speciale   del   Trentino-Alto   Adige/Südtirol   (o  delle  relative
disposizioni  di  attuazione), bensi' l'art. 117 Cost., pure invocato
nel ricorso e nelle successive difese.
   Questa  Corte,  infatti,  nella sentenza n. 50 del 2007 - oltre ad
aver  escluso che l'art. 2 del d.lgs. n. 474 del 1975 abbia integrato
la competenza legislativa delle Province autonome di Trento e Bolzano
in  materia  sanitaria  (negando,  cosi',  che con esso si sia inteso
«assimilare,  quanto alla natura primaria della potesta' legislativa,
le  competenze  provinciali  ivi  contemplate  alla  competenza della
Regione  Trentino-Alto  Adige»)  -  ha  anche  ribadito  che «l'unica
competenza  legislativa  della Provincia in materia sanitaria (quella
appunto  di  cui  all'art. 9, numero 10, dello Statuto regionale)» si
configura  «come  una competenza di tipo concorrente». E nella stessa
sentenza  la  Corte  ha ulteriormente precisato che «nessuna norma di
attuazione,  pur  notoriamente  dotata di un potere interpretativo ed
integrativo  del  dettato  statutario  (si  vedano,  fra le altre, le
sentenze di questa Corte n. 51 del 2006, n. 249 del 2005 e n. 341 del
2001), potrebbe trasformare una competenza di tipo concorrente in una
competenza di tipo esclusivo, cosi' violando lo statuto regionale».
   La  giurisprudenza  costituzionale  ha,  altresi', affermato che i
poteri  delle  Province  autonome  in  materia  sanitaria si radicano
direttamente  nel  terzo  comma dell'art. 117 Cost., il quale prevede
una  loro  competenza in tale materia, attraverso il riferimento alla
tutela  della  salute,  sicche'  -  a  norma dell'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001 - e' alla disposizione costituzionale di
cui  al citato art. 117 che occorre fare riferimento (sentenze n. 162
del 2007 e n. 134 del 2006).
   Cio'  chiarito,  le tesi sostenute, in via principale, dalle parti
contendenti, nella loro assolutezza, non sono condivisibili.
   In  particolare,  non  lo e' quella che colloca le norme censurate
nella  materia  dell'ordinamento degli uffici regionali o provinciali
ovvero  nell'ambito dell'organizzazione sanitaria locale. Tale ultimo
ambito,  peraltro,  neppure puo' essere invocato come «materia» a se'
stante,  agli  effetti  del  novellato  art.  117  Cost.,  in  quanto
l'organizzazione   sanitaria  e'  parte  integrante  della  «materia»
costituita  dalla  «tutela  della  salute»  di cui al terzo comma del
citato art. 117 Cost.
   Neppure  puo'  ritenersi  fondata la tesi della difesa dello Stato
che  riconduce,  in  toto,  le  norme stesse ai livelli essenziali di
assistenza  (cosidetti  LEA),  in  quanto  la  determinazione di tali
livelli   presuppone   la  individuazione  di  prestazioni  sanitarie
essenziali   da   assicurare   agli  utenti  del  Servizio  sanitario
nazionale.
   Occorre  in proposito ricordare, infatti, che nella giurisprudenza
di questa Corte la fissazione dei livelli essenziali di assistenza si
identifica   esclusivamente   nella  «determinazione  degli  standard
strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi
diritto  su  tutto  il  territorio  nazionale», non essendo «pertanto
inquadrabili  in  tale categoria le norme volte ad altri fini, quali,
ad  esempio,  l'individuazione  del  fondamento  costituzionale della
disciplina,  da  parte  dello  Stato,  di  interi  settori  materiali
(sentenze   n. 383   e   n. 285   del  2005)  o  la  regolamentazione
dell'assetto   organizzativo   e   gestorio   degli   enti   preposti
all'erogazione  delle prestazioni (sentenza n. 120 del 2005)» (cosi',
da ultimo, la sentenza n. 237 del 2007).
   In realta', e' indubbio che l'art. 1 della legge impugnata - anche
in  ragione  dell'eterogeneita'  del  suo  contenuto  -  investa, nel
complesso,  una  pluralita'  di ambiti materiali, ivi compresi quelli
cui  hanno  fatto riferimento le parti del giudizio. Tuttavia, questa
Corte  ritiene  che la materia sulla quale le disposizioni de quibus,
in  via prevalente, incidono sia quella della tutela della salute, di
competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni.
   D'altronde,  la  Corte  ha gia' sottolineato - nello scrutinare un
intervento  operato  dal  legislatore statale proprio sul rapporto di
lavoro  dei  dirigenti  sanitari, relativo anche ad aspetti attinenti
all'attivita'  libero-professionale  da  essi  svolta - che il «nuovo
quadro costituzionale», delineato dalla legge di riforma del titolo V
della  parte  II  della  Costituzione,  recepisce,  come  si e' sopra
precisato,  una  nozione  della  materia «tutela della salute» «assai
piu'  ampia  rispetto alla precedente materia "assistenza sanitaria e
ospedaliera"»,  con  la  conseguenza  che  le  norme  attinenti  allo
svolgimento  dell'attivita'  professionale  intramuraria, «sebbene si
prestino  ad incidere contestualmente su una pluralita' di materie (e
segnatamente,  tra  le  altre, su quella della organizzazione di enti
"non  statali  e  non  nazionali")»,  vanno  «comunque  ascritte, con
prevalenza,  a  quella  della "tutela della salute"». Rileva, in tale
prospettiva,  «la  stretta  inerenza  che  tutte  le  norme de quibus
presentano  con  l'organizzazione del servizio sanitario regionale e,
in  definitiva,  con le condizioni per la fruizione delle prestazioni
rese all'utenza, essendo queste ultime condizionate, sotto molteplici
aspetti,  dalla  capacita',  dalla professionalita' e dall'impegno di
tutti  i  sanitari  addetti  ai servizi, e segnatamente di coloro che
rivestono  una  posizione  apicale» (sentenze n. 181 del 2006 e n. 50
del 2007).
   6.   -   Ancora  in  via  preliminare,  devono  essere  dichiarate
inammissibili  le  questioni  proposte  dalla  Regione  Lombardia con
riferimento  alla  violazione  dei principi di ragionevolezza (art. 3
Cost.) e di buon andamento (art. 97 Cost.).
   Ed  invero, quanto all'ipotizzato contrasto con i citati parametri
costituzionali,  deve ribadirsi il consolidato orientamento di questa
Corte (ex multis, sentenze n. 216 del 2008 e 401 del 2007) secondo il
quale   «le   Regioni   sono  legittimate  a  censurare,  in  via  di
impugnazione   principale,   leggi  dello  Stato  esclusivamente  per
questioni   attinenti   al   riparto  delle  rispettive  competenze»,
essendosi «ammessa la deducibilita' di altri parametri costituzionali
soltanto  ove  la  loro  violazione comporti una compromissione delle
attribuzioni   regionali  costituzionalmente  garantite»;  evenienza,
questa, neppure ipotizzata nel caso di specie.
   Non  fondata  e',  invece,  la dedotta violazione del principio di
leale collaborazione, atteso che costituisce «giurisprudenza pacifica
di  questa  Corte  che  l'esercizio dell'attivita' legislativa sfugge
alle  procedure  di leale collaborazione» (cosi', da ultimo, sentenze
n. 222 del 2008 e n. 401 del 2007).
   7. - Nel merito, le questioni prospettate dalle ricorrenti sono in
parte  fondate,  per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in
relazione al riparto della competenza concorrente dello Stato e delle
Regioni e Province autonome nella materia in questione.
   Risulta,  in  particolare, costituzionalmente illegittimo l'intero
testo dei commi 6 e 11 dell'impugnato art. 1, nonche', ma soltanto in
parte qua, quello dei commi 4, 7 e 10 del medesimo articolo.
   Si   presentano,   invece,   esenti   dai   denunciati   vizi   di
costituzionalita' i restanti commi 1, 2, 3, 5, 8, 9, 12, 13 e 14.
   8.  -  Non e' fondata - come si e' appena rilevato - la questione,
proposta dalla sola Regione Lombardia, avente ad oggetto i commi 1, 2
e 3 dell'impugnato art. 1.
   Le   disposizioni   ivi   contenute   lasciano   alla  piu'  ampia
discrezionalita'  delle Regioni e delle Province autonome di Trento e
di  Bolzano  (salva  l'enunciazione  di  alcuni criteri, quali quelli
ricavabili  dagli  stessi  commi  2 e 3, che hanno comunque carattere
generale) l'assunzione delle iniziative che esse reputino piu' idonee
ad    assicurare    l'effettuazione    di    quegli   interventi   di
ristrutturazione  edilizia,  presso le strutture sanitarie pubbliche,
occorrenti  per  la  predisposizione  dei  locali  da  destinare allo
svolgimento  dell'attivita'  libero-professionale intramuraria. Esse,
pertanto,  si  pongono  l'obbiettivo  di garantire l'effettivita' del
diritto,  spettante ai sanitari che abbiano optato per l'esclusivita'
del  rapporto  di  lavoro, di svolgere la sola tipologia di attivita'
libero-professionale loro consentita, cioe' quella intramuraria.
   Giova,   in   proposito,   ricordare   che,   ai  sensi  dell'art.
15-quinquies   del  decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n. 502
(Riordino   della   disciplina   in   materia   sanitaria,   a  norma
dell'articolo  1  della  legge  23  ottobre  1992,  n. 421),  se  gli
«incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, implicano
il  rapporto  di lavoro esclusivo» del sanitario (comma 5), l'opzione
per  tale  tipologia  comporta «il diritto all'esercizio di attivita'
libero-professionale   individuale,   al  di  fuori  dell'impegno  di
servizio,  nell'ambito  delle  strutture  aziendali  individuate  dal
direttore  generale  d'intesa con il collegio di direzione» (comma 2,
lettera a).
   Nella  stessa  prospettiva,  del  resto,  deve  osservarsi  che la
«facolta' di scelta tra i due regimi di lavoro dei dirigenti sanitari
(esclusivo  e  non  esclusivo)»,  e'  essa  stessa «espressione di un
principio fondamentale, volto a garantire una tendenziale uniformita'
tra  le  diverse  legislazioni  ed i sistemi sanitari delle Regioni e
delle  Province  autonome  in  ordine  ad un profilo qualificante del
rapporto tra sanita' ed utenti» (sentenza n. 50 del 2007).
   Ne  consegue,  pertanto,  che e' destinata a partecipare di questo
stesso  carattere  di  normativa  di  principio anche quella volta ad
assicurare che non resti priva di conseguenze, in termini di concrete
possibilita'   di   svolgimento  dell'attivita'  libero-professionale
intramuraria, l'opzione compiuta dal sanitario in favore del rapporto
di lavoro esclusivo.
   In  forza  di  tali  rilievi  deve, quindi, concludersi per la non
fondatezza della censura che investe i primi tre commi dell'impugnato
art. 1.
   9.  -  Deve ritenersi parzialmente illegittimo, invece, il comma 4
dell'art. 1.
   Sul  punto  e'  necessario  esaminare partitamente - seguendo, del
resto,  la  prospettazione  contenuta  nel  ricorso  della  Provincia
autonoma  di  Trento  - il contenuto della norma, giacche' esso forma
oggetto di due censure.
   Il  comma  in questione stabilisce, per un verso, che «puo' essere
prevista» - tra le misure idonee a garantire il reperimento di locali
destinati  allo svolgimento dell'attivita' libero-professionale intra
moenia  -  anche  «l'acquisizione  di  spazi  ambulatoriali  esterni,
aziendali  e  pluridisciplinari,  per  l'esercizio  di  attivita' sia
istituzionali  sia  in  regime  di libera professione intramuraria, i
quali   corrispondano  ai  criteri  di  congruita'  e  idoneita'  per
l'esercizio   delle   attivita'   medesime,  tramite  l'acquisto,  la
locazione, la stipula di convenzioni»; cio' «previo parere vincolante
da parte del Collegio di direzione di cui all'articolo 17 del decreto
legislativo  30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, o,
qualora  esso  non  sia  costituito, di una commissione paritetica di
sanitari     che    esercitano    l'attivita'    libero-professionale
intramuraria, costituita a livello aziendale».
   Per  altro  verso,  lo stesso comma dispone che Regioni e Province
autonome   devono   garantire   che  tutte  le  strutture  sanitarie,
individuate    nel   comma   stesso,   «gestiscano,   con   integrale
responsabilita'     propria,     l'attivita'     libero-professionale
intramuraria,   al   fine  di  assicurarne  il  corretto  esercizio»,
attenendosi, in particolare, ad una serie di specifiche prescrizioni,
indicate nelle lettere da a) a g) del medesimo comma 4.
   Orbene,  la  censura che investe la previsione da ultimo indicata,
contenuta  nella seconda parte del comma in esame, non e' fondata, in
quanto  il  legislatore  statale  ha  inteso  fissare soltanto alcuni
criteri  di  carattere  generale  attinenti  al  corretto svolgimento
dell'attivita'   libero-professionale   intramuraria   dei  sanitari,
nell'ambito  della  disciplina,  ad esso spettante per le motivazioni
gia'  in  precedenza  indicate,  di questo peculiare aspetto del loro
rapporto di lavoro.
   Tali  criteri attengono, nell'ordine: al «servizio di prenotazione
delle  prestazioni»  ed al loro volume (lettera a); alla «riscossione
degli  onorari  relativi  alle  prestazioni  erogate» (lettera b); al
«tariffario»  (lettera  c);  al  «monitoraggio aziendale dei tempi di
attesa   delle   prestazioni   erogate   nell'ambito   dell'attivita'
istituzionale»  (lettera  d);  alla «prevenzione delle situazioni che
determinano  l'insorgenza  di un conflitto di interessi o di forme di
concorrenza sleale» (lettera e); ai «provvedimenti per assicurare che
nell'attivita'  libero-professionale  intramuraria» siano «rispettate
le  prescrizioni  di  cui  alle  lettere  a), b) e c)» sopra indicate
(lettera  f);  al  «progressivo  allineamento dei tempi di erogazione
delle  prestazioni  nell'ambito dell'attivita' istituzionale ai tempi
medi  di  quelle  rese in regime di libera professione intramuraria »
(lettera g).
   Merita, viceversa, parziale accoglimento la censura che investe la
prima  parte  del comma 4, giacche' - nell'ambito di una disposizione
che  pur  riconosce  un'ampia  facolta' a Regioni e Province autonome
nella scelta degli strumenti piu' idonei ad assicurare il reperimento
dei locali occorrenti per lo svolgimento della attivita' intra moenia
-  si  prevede  un  parere  «vincolante»  (da esprimersi da parte del
Collegio  di direzione di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 502 del 1992,
o,  in  mancanza,  della  commissione  paritetica  dei  sanitari  che
esercitano  l'attivita'  libero-professionale  intramuraria)  ai fini
dell'acquisto,  della  locazione  o  della  stipula delle convenzioni
finalizzate  al  reperimento  di  quegli spazi ambulatoriali esterni,
aziendali  e  pluridisciplinari,  da  adibire  anche allo svolgimento
dell'attivita' libero-professionale intramuraria.
   In tal modo e' stata posta una prescrizione che, lungi dall'essere
espressiva  di  un principio fondamentale, regola in modo dettagliato
ed   autoapplicativo   l'attivita'   di  reperimento  dei  locali  in
questione.  Cosi'  disponendo,  pero',  la  norma  statale  opera una
eccessiva  compressione  della  facolta'  di  scelta  spettante  alle
Regioni  e alle Province autonome. Essa e', quindi, lesiva della loro
potesta'   di   disciplinare   aspetti  relativi  alle  modalita'  di
organizzazione  dell'esercizio  della libera professione intra moenia
da  parte  dei  sanitari  che  abbiano  optato  per  il  tempo pieno.
Pertanto,  deve  essere  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, limitatamente alla
parola «vincolante».
   10.  -  In relazione a quanto sopra, deve ritenersi fondata, e per
le medesime ragioni, anche la questione di costituzionalita' proposta
dalle  ricorrenti nei confronti del comma 10, che viene esaminato qui
per la sua connessione con quanto previsto dal comma 4.
   Il  citato comma 10 stabilisce che le «convenzioni di cui al comma
4,  primo  periodo»  debbano essere autorizzate dalle Regioni e dalle
Province  autonome  di Trento e di Bolzano «per il periodo necessario
al  completamento,  da  parte  delle  aziende, policlinici o istituti
interessati,  degli  interventi  strutturali  necessari ad assicurare
l'esercizio   dell'attivita'   libero-professionale   intramuraria  e
comunque  non  oltre  il termine di cui al comma 2, primo periodo» (e
cioe', diciotto mesi a decorrere dalla data del 31 luglio 2007).
   Anche  la  fissazione  di  questo  termine, che risulta eguale per
tutte  le realta' territoriali, senza che sia possibile tenere conto,
se  del  caso, delle peculiarita' di ciascuna di esse, costituisce un
intervento  di dettaglio, essendo tale termine riferito (diversamente
da  quello previsto dal comma 2, che presenta portata generale) ad un
adempimento    specifico,   l'autorizzazione   alla   stipula   delle
convenzioni  finalizzate  all'acquisizione  degli spazi ambulatoriali
esterni, aziendali e pluridisciplinari, occorrenti per l'esercizio di
attivita'  sia  istituzionali,  sia  in  regime di libera professione
intramuraria.  Esso,  pertanto,  avrebbe  dovuto essere lasciato alla
potesta' legislativa delle Regioni e delle Province autonome.
   Il    comma   in   esame   deve,   pertanto,   essere   dichiarato
costituzionalmente  illegittimo  nella parte in cui cosi' dispone: «e
comunque non oltre il termine di cui al comma 2, primo periodo».
   11.  - Merita, inoltre, accoglimento, tra le questioni relative ai
commi 5 e 6, esclusivamente quella concernente il secondo.
   Ed  invero,  il  comma  5 detta - come e' riconosciuto, del resto,
dalla stessa Provincia autonoma di Trento (che, coerentemente, omette
di  impugnarlo,  sotto  questo  specifico  profilo)  -  una  norma di
principio,  facendo  carico  a  ciascuna  «azienda  sanitaria locale,
azienda  ospedaliera,  azienda ospedaliera universitaria, policlinico
universitario  a  gestione  diretta ed IRCCS di diritto pubblico», di
predisporre  un  piano  aziendale,  concernente, con riferimento alle
singole  unita'  operative,  i volumi di attivita' istituzionale e di
attivita'  libero-professionale  intramuraria. Il successivo comma 6,
invece,  nel disciplinare minuziosamente le modalita' di approvazione
dello  stesso,  integra  un  non consentito intervento legislativo di
dettaglio;  cio'  che  invece  non puo' ritenersi per le modalita' di
pubblicazione  ed  informazione  del  piano  stesso previste dal gia'
citato     comma     5.     D'altronde,     la    stessa    eccessiva
procedimentalizzazione  indicata  dal  comma  in  esame  si  presenta
incompatibile  con  la  fissazione di un principio fondamentale della
materia,  appartenendo  -  per  sua  stessa natura - all'ambito della
disciplina  meramente  attuativa, come tale rientrante nella sfera di
competenza  legislativa  concorrente  delle  Regioni e delle Province
autonome.
   12.  ― Costituzionalmente illegittimo, in parte qua, e' anche il
successivo comma 7.
   Deve   premettersi,   innanzitutto,   che  puo'  ritenersi  esente
dall'ipotizzato vizio di costituzionalita' il primo periodo del comma
in  esame, nella parte in cui fa carico alle Regioni ed alle Province
autonome  di  assicurare  il  rispetto  delle  previsioni  di  cui ai
precedenti commi sia attraverso l'esercizio di poteri sostitutivi nei
confronti   delle  strutture  di  sanita'  pubblica,  sia  attraverso
l'irrogazione   della   sanzione   della   destituzione,   per  grave
inadempienza,  dei  direttori  generali delle aziende, policlinici ed
istituti di cui al comma 5.
   Ed  invero,  quanto  alla censura che investe la seconda parte del
comma 7, deve rilevarsi che si mantiene nell'ambito dell'enunciazione
di  un  principio  fondamentale  la scelta del legislatore statale di
ricollegare  alla  «grave  inadempienza» dei direttori generali delle
strutture  sanitarie  pubbliche  la  misura della destituzione. Resta
invece  ferma,  ovviamente,  la  competenza  di  Regioni  e  Province
autonome   -   nell'esercizio  della  potesta'  legislativa  ad  esse
spettante  -  di  stabilire  i casi in cui sia ravvisabile una «grave
inadempienza»,    di   disciplinare   il   procedimento   finalizzato
all'applicazione  della  suddetta  misura  sanzionatoria,  nonche' di
fissare  le  altre sanzioni irrogabili in presenza di inadempienze di
minore rilievo.
   Deve   ritenersi,   invece,   costituzionalmente   illegittima  la
previsione,  contenuta nel medesimo comma 7, secondo cui, in «caso di
mancato  adempimento  degli  obblighi  a carico delle Regioni e delle
Province  autonome di cui al presente comma, e' precluso l'accesso ai
finanziamenti a carico dello Stato integrativi rispetto ai livelli di
cui  all'accordo  sancito l'8 agosto 2001 dalla Conferenza permanente
per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6
settembre 2001».
   Si   tratta,   infatti,   di  una  disposizione  che  puo'  essere
qualificata  come  di  dettaglio,  giacche'  incide  su  profili  che
attengono  direttamente  all'organizzazione  del  servizio sanitario;
profili  che rientrano nella competenza organizzativa delle Regioni e
delle Province autonome data la stretta inerenza tra l'organizzazione
sanitaria regionale e provinciale e i flussi finanziari necessari per
assicurare  il  regolare  espletamento del servizio sanitario in sede
locale.
   E',  infine,  lesiva dell'art. 120 Cost. la previsione - contenuta
nell'ultimo  periodo  del comma in esame - relativa all'esercizio dei
poteri sostitutivi, da parte del Governo, nei confronti delle Regioni
e  delle Province autonome, giacche' destinata ad operare al di fuori
dei casi espressamente contemplati dalla norma costituzionale. Non vi
e'  dubbio  al  riguardo che l'art. 120 Cost. trovi applicazione, nel
caso  di  specie,  anche  nei  confronti  della Provincia autonoma di
Trento,  avendo  affermato questa Corte che e' «da respingere la tesi
secondo  la  quale  i  principi  dell'art. 120 Cost. non sarebbero in
astratto   applicabili   alla  Regioni  speciali»  (o  alla  Province
autonome),  dovendo  invece  «concludersi  che  un potere sostitutivo
potra'  trovare  applicazione  anche nei loro confronti», giacche' la
sua previsione e' diretta a fare «sistema con le norme costituzionali
di allocazione delle competenze» (sentenza n. 236 del 2004).
   Resta,  invece,  salva  la  facolta'  delle  Regioni  e  delle due
Province  autonome,  prevista  nel  medesimo comma 7, prima parte, di
esercitare   poteri   sostitutivi  nell'ipotesi  in  cui  le  singole
strutture  di  sanita'  pubblica  non  assicurino  il  rispetto delle
prescrizioni contenute nei commi precedenti.
   13.  ―  Merita  accoglimento  anche  la  censura  proposta,  nei
confronti del comma 11, da entrambe le ricorrenti.
   La  norma impugnata, in primo luogo, investe profili che attengono
strettamente  all'organizzazione  del  servizio sanitario, incidendo,
cosi',  sull'autonomia  delle  scelte  organizzative  delle Regioni e
delle Province autonome.
   Essa, inoltre, anche in ragione delle incertezze che circondano la
qualificazione  giuridica  da  riservare  all'attivita'  affidata  al
Collegio  di  direzione  o  alla  commissione  paritetica di sanitari
(«dirimere le vertenze dei dirigenti sanitari in ordine all'attivita'
libero-professionale  intramuraria»),  nonche'  alla  natura  di tali
controversie  e dei soggetti «contraddittori» dei dirigenti sanitari,
si  presenta  troppo generica per poter essere ritenuta espressiva di
un principio fondamentale della materia «tutela della salute».
   14.  ―  Infine,  non  fondate  devono  ritenersi  le questioni -
promosse dalla sola Regione Lombardia - aventi ad oggetto le restanti
disposizioni di cui ai commi 8, 9, 12, 13 e 14.
   Viene  nuovamente  in  rilievo,  al  riguardo,  l'enunciazione  di
principi  generali,  attinenti  ora  alle  informazioni che Regioni e
Province autonome dovranno fornire al Ministro della salute in ordine
alla  piena  attuazione  del  regime dell'intra moenia (comma 8), ora
alla   separazione  che  dovra'  essere  assicurata  tra  l'attivita'
istituzionale  espletata  presso  le  strutture sanitarie pubbliche e
quella  libero-professionale  destinata  a  svolgersi  nei loro spazi
(comma  9), ora, infine, alla necessita' di prevedere un'attivita' di
monitoraggio  attraverso  l'istituzione  di  un apposito Osservatorio
nazionale (comma 13).
   Infine,  non  assistiti  da fondamento devono ritenersi i dubbi di
costituzionalita'  prospettati con riferimento ai restanti commi 12 e
14,  dal momento che il primo riconosce a Regioni e Province autonome
un'amplissima    facolta'    di    regolamentazione    dell'attivita'
libero-professionale dei dirigenti veterinari (senza, invero, dettare
prescrizioni   di  sorta  in  grado  di  limitare  l'autonomia  delle
ricorrenti),  mentre  il  secondo  si  limita  a  stabilire che dalla
costituzione   e   dal  funzionamento  delle  piu'  volte  menzionate
commissioni   paritetiche  di  sanitari  che  esercitano  l'attivita'
libero-professionale   intramuraria  «non  devono  derivare  nuovi  o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Trattandosi di norme
che   possono   essere   qualificate   come  espressive  di  principi
fondamentali  della  materia, esse non sono suscettibili di apportare
alcuna lesione alla potesta' spettante alle ricorrenti di intervenire
con  legislazione  di  dettaglio  nella  materia  della  tutela della
salute.