IL TRIBUNALE

   Sciogliendo  la  riserva  che precede (udienza 11 agosto 2008) nel
procedimento a seguito del ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il 2
luglio 2008 e di cui al n.r.g. 10503/2008;
                             R i l e v a

   C. M. e R. G. hanno esposto:
     di  essere  coniugati  dal  2001 e di essere coppia infertile ai
sensi  della  legge  n. 40/2004,  non essendo riusciti ad avere figli
nonostante  ripetuti  tentativi  tra  cui  anche quelli attraverso le
tecniche di procreazione medicalmente assistita;
     di  avere tentato fin dal 2001 di ottenere una gravidanza in via
naturale  ma  senza esito e di avere proceduto inutilmente poi con un
tentativo di fecondazione in vitro nel 2006;
     che dagli ultimi e recenti esami diagnostici e' emersa, inoltre,
una  seria oligospermia di esso ricorrente, probabilmente derivata da
un  evento  emorragico  dovuto  alla patologia genetica di cui soffre
esso  R.  (affezione  dalla  nascita  da  retinoblastoma  bilaterale,
malattia   genetica   ereditaria  rara  di  tipo  tumorale,  per  ora
incurabile  e  trattabile  temporaneamente  solo  per  via laser, che
colpisce la retina, con mutazione genica 2184insGGACCC in eterozigoti
a  livello  dell'esone  1  del  gene  retino  blastoma  - RB1 -), con
possibilita'  di  essere  trasmessa ai figli con una probabilita' del
50%  e  probabilita'  di trasmissione a un proprio figlio del proprio
tumore  che  aumenta  in  genere  laddove anche un altro membro della
famiglia  risulta  affetto  da retinoblastoma; che nella specie nella
famiglia di esso ricorrente il retinoblastoma e' presente nel padre e
nella sorella;
     di  essere  essa  C.  affetta da mutazione della fibrosi cistica
(G542X) e di essere portatrice sana di beta-talassemia;
     di   essere  esso  R.,  oltre  che  affetto  da  retinoblastoma,
portatore sano di alfatalassemia;
     di essersi in data 11 marzo 2008 essi coniugi, sussistendo tutti
i  requisiti  di  legge  per  accedere  nuovamente  alle  tecniche di
procreazione  medicalmente  assistita  (PMA),  rivolti  al  Centro di
procreazione  assistita  Demetra s.r.l., con sede in Firenze; che ivi
si sono svolti i colloqui preliminari secondo la legge n. 40/2004, al
fine   di   individuare  le  metodiche  appropriate  per  la  propria
situazione  e  avviare  le  procedure  del  caso;  di avere il Centro
Demetra  accettato  la  richiesta  di  essi  coniugi  di  avviare una
procedura  di  fecondazione  in vitro al fine dell'ottenimento di una
gravidanza,  nonche'  -  a seguito della emanazione delle nuove Linee
guida  di  applicazione della legge n. 40/2004 (D.M. Salute 11 aprile
2008)  -  di effettuare la diagnosi c.d. di preimpianto relativamente
ed   esclusivamente   in   ordine  alla  patologia  grave  e  maligna
(retinoblastoma)  di cui e' affetto esso Ruta, in particolare al fine
di  fornire,  allo  stato,  gli  elementi  informativi  necessari per
valutare  la  probabilita' di trasmissione della patologia genetica o
la presenza di una anomalia cromosomica;
     che  la  dott.ssa  C.  L.,  direttrice  del  Centro  Demetra, ha
riconosciuto  legittima  la  richiesta  dei  coniugi sotto il profilo
medico  e  scientifico,  cosi' come riconosciuto in giurisprudenza da
Trib.  Cagliari  24  settembre  2007, Trib. Firenze, ord. 17 dicembre
2007,  e  Tribunale  amministrativo  regionaleLazio, 21 gennaio 2008,
n. 398,  e  dalle gia' citate attuali Linee guida ministeriali, ed ha
quindi  dichiarato  la  disponibilita'  del Centro ad eseguire la PMA
secondo  le  migliori  tecniche  della  scienza  medica atteso che il
Centro  si avvale della collaborazione - per la diagnosi genetica del
blastomero  embrionale  (PGD)  - di laboratori di biologia molecolare
con  esperienza specifica in materia; che tuttavia la stessa dott.ssa
Livi  si  e'  trovata  a  dover  opporre  la sussistenza di divieti e
obblighi  (derivanti  dalla  citata  legge  n. 40  del  2004, secondo
corrente  interpretazione  restrittiva)  che  di fatto impediscono di
applicare al caso dei ricorrenti le migliori pratiche mediche diffuse
e accettate dalla comunita' scientifica internazionale;
     di   essere   in  particolare,  la  miglior  pratica  medica  da
utilizzarsi per essi coniugi C. - R., inibita:
      1)  dal divieto di creare un numero di embrioni superiore a tre
e comunque in correlazione ad un unico e contemporaneo impianto (art.
14, comma 2, legge n. 40/2004);
      2)  dal  divieto  di crioconservazione degli embrioni (art. 14,
comma 1, legge n. 40/2004);
      3)   dalla   irrevocabilita'  del  consenso  e  la  conseguente
impossibilita' di interrompere la procedura di fecondazione assistita
una volta fecondato l'ovocita (art. 6, comma 3, legge n. 40/2004);
     essere per essi ricorrenti necessita' medica e scientifica che:
      A) siano prodotti piu' di tre embrioni;
      B)  siano  crioconservati  gli  embrioni  non utilizzati per il
primo impianto;
     tutto  cio'  al  fine  di  ottenere,  applicando  come e' dovere
professionale  del  medico  la  miglior  tecnica possibile allo stato
delle   conoscenze  scientifiche  a  disposizione,  sia  la  maggiore
probabilita' di riuscita dell'intervento, sia la piu' accurata tutela
della salute di essa C.
   Hanno quindi i ricorrenti chiesto:
     «che  il  Tribunale di Firenze, ritenuta la sussistenza nel caso
dedotto  dei  requisiti del fumus boni juris e del periculum in mora,
ordini al Centro di procreazione assistita «Demetra» s.r.l., con sede
in   Firenze   via   della   Fortezza,   6,  in  persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,  di  eseguire  a favore dei ricorrenti,
secondo    l'applicazione    delle   metodiche   della   procreazione
medicalmente  assistita,  la  c.d.  fecondazione in vitro, secondo le
migliori  e accertate pratiche mediche, previa diagnosi pre-impianto,
provvedendo  a  trasferire  nell'utero  della signora C. gli embrioni
creati  in  base  alle direttive impartite dalla medesima paziente ed
applicando  le  procedure dettate dalla scienza medica per assicurare
il miglior successo della tecnica in considerazione dell'eta' e dello
stato  di  salute  della  paziente,  considerato  anche il rischio di
gravidanze   plurigemellari   pericolose,   provvedendo   altresi'  a
crioconservare per un futuro impianto gli embrioni risultati idonei e
che non sia possibile trasferire immediatamente».
   Ai  fini  dell'instaurando  giudizio di merito, i ricorrenti hanno
preannunciato,   con  riserva  di  ogni  opportuna  integrazione,  le
seguenti conclusioni.
   «Piaccia al Tribunale di Firenze, contrariis reiectis:
     accertare  e  dichiarare il diritto dei ricorrenti ad effettuare
mediante    l'applicazione   delle   metodiche   della   procreazione
medicalmente  assistita,  la  c.d.  fecondazione in vitro, secondo le
migliori e accertate pratiche mediche, previa diagnosi pre-impianto;
     accertare  e  dichiarare  il diritto della signora C. a chiedere
che  siano  trasferiti  nell'utero  gli  embrioni creati in base alle
direttive impartite dalla medesima paziente;
     accertare  e  dichiarare  il  diritto  a  che la procedura della
fecondazione  in vitro sia effettuata secondo i migliori canoni della
scienza  medica,  per assicurare il miglior successo della tecnica in
considerazione  dell'eta'  e  dello  stato  di salute della paziente,
considerato anche il rischio di gravidanze plurigemellari pericolose;
     accertare  e dichiarare il diritto degli attori a crioconservare
per  un  futuro  impianto,  gli embrioni risultati sani e che non sia
possibile trasferire immediatamente;
     nella  denegata  ipotesi  in  cui  il  Tribunale  ritenesse  non
accoglibili la domanda cautelare e le conclusioni formulate in quanto
contrastanti  con la disciplina contenuta nella legge n. 40 del 2004,
si chiede che il tribunale, gia' in sede cautelare, sollevi questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 2 e 3, legge n. 40
del  2004  per  violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.; dell'art. 14,
comma   1,  legge  n. 40  del  2004  limitatamente  alle  parole  «la
crioconservazione  e»,  per  violazione  degli  artt.  3  e 32 Cost.;
dell'art.  6,  comma  3,  legge  n. 40 del 2004, per violazione degli
artt. 2, 13 e 32 Cost.;
     condannare,  per  l'effetto,  il  Centro  medico  convenuto alla
effettuazione  del  protocollo di procreazione medicalmente assistita
secondo i criteri di cui alle conclusioni che precedono;
     con vittoria di spese, diritti e onorari di giudizio solo per il
non  creduto  caso  di  contestazione  da  parte  del  Centro  medico
convenuto».
   Questo  giudice designato, con suo decreto 4-7 luglio 2008, atteso
che non vi e' stata richiesta affinche' si procedesse inaudita altera
parte,  ha  fissato  per  la  comparizione  delle parti innanzi a se'
l'udienza  dell'11  agosto  2008; ha mandato alle parti ricorrenti di
notificare  ricorso  e  pedissequo  decreto al Centro di procreazione
assistita  Demetra  s.r.l.  e  al pubblico ministero in sede entro il
termine  del  25  luglio  2008;  ha  infine  concesso  al  Centro  di
procreazione assistita Demetra s.r.l. e al pubblico ministero in sede
termine per eventuale memoria di risposta sino al 6 agosto 2008.
   Nonostante  rituale  notifica del ricorso e del decreto, non si e'
costituito il pubblico ministero in sede.
   Si e' invece costituito, con memoria depositata il 30 luglio 2008,
il  Centro  di  procreazione  assistita  Demetra  s.r.l., a sua volta
esponendo:
     di  non  essere  legittimato,  se non in virtu' di un ordine del
giudice, ad adottare una interpretazione meno restrittiva, rispetto a
quella  risultante  dal dato letterale delle disposizioni della legge
n. 40/2004,  che  consenta  di  esaudire  le  richieste  avanzate dai
coniugi  ricorrenti,  senza  tuttavia  incorrere nelle sanzioni anche
penali previste dalla legge;
     di essere remissivo ad un eventuale ordine del giudice avente ad
oggetto  l'esecuzione delle richieste avanzate dai ricorrenti, avendo
le  strutture  e  il  personale  sanitario  competente  e in grado di
effettuare  le  prestazioni  richieste,  atteso  la  possibilita'  di
avvalersi  della  collaborazione di laboratori di biologia molecolare
con esperienza specifica in materia;
     che  una lettura restrittiva e drastica delle disposizioni della
legge  n. 40/2004  e  una loro applicazione rigida possa da una parte
produrre rischi per la salute della donna sottoposta alle tecniche di
fecondazione   assistita  e  dall'altro  vanificare  i  tentativi  di
ottenimento di una gravidanza;
     che  la  condotta  ex adverso richiesta non si pone in contrasto
con   i   principi  del  vigente  Codice  deontologico  medico  e  in
particolare con gli artt. 16, 18, 44 e 46 dello stesso.
   Ha quindi il Centro di procreazione assistita Demetra s.r.l. cosi'
concluso:
   «che  il  Tribunale  di Firenze, disattesa ogni contraria istanza,
difesa  ed  eccezione,  assuma  tutti  i  provvedimenti ritenuti piu'
opportuni  rispetto  alla fattispecie in esame, dichiarando sin d'ora
la  propria  disponibilita'  a procedere con il trattamento sanitario
oggetto  del  presente giudizio, se ritenuto legittimo e a seguito di
un esplicito ordine».
   All'esito   dell'udienza   dell'11   agosto  2008,  in  cui  parti
ricorrenti  hanno  formulato,  senza alcuna contestazione avversaria,
ulteriori  deduzioni  a  verbale,  questo  Giudice si e' riservato di
decidere.
                               Osserva

   Dalla  documentazione  medica prodotta dai ricorrenti e i cui dati
non  sono  stati  contestati  dalla parte intimata e' emerso, oltre a
quanto gia' sopra riportato:
     che  i  tentativi, senza esito, effettuati in passato all'estero
dai  ricorrenti  hanno  avuto  i  seguenti  risultati:  nel 2006 su 8
embrioni,  4 sono risultati sani; in un primo tentativo ne sono stati
trasferiti  due  e  nel  successivo  tentativo  altri  due;  cio'  in
considerazione   degli   standard   di  successo  delle  tecniche  di
fecondazione  in  vitro  (dati  ESHRE) e per limitare la reiterazione
delle   procedure   di   stimolazione   ovarica,   preparatorie  alla
fecondazione in vitro e comunque invasive sulla salute della donna;
     che  nella  specie  l'obbligo previsto dalla legge n. 40/2004 di
produrre  al massimo tre embrioni sia nei casi di patologie genetiche
con  un  elevato  grado  di  trasmissibiita'  (es. il 50% come per il
retinoblastoma)  sia  per  garantire  il  piu'  possibile  la  futura
gravidanza  si  risolve in una prassi inadeguata e si sostanzia in un
comportamento  inumano  per  le conseguenze che ne derivano sul piano
psicologico  e  fisico  per  la  madre  e  per il nascituro; che tale
impatto  e  tali  danni  vengono  ulteriormente amplificati dal dover
trasferire  tutti  gli  embrioni  prodotti  senza  alcuna valutazione
medica e relativa alla integrita' psico-fisica dei soggetti coinvolti
(ad  es.  gravidanze  trigemine  terminate  con la morte o la nascita
prematura dei nascituri e con gravi rischi di vita della madre);
     che  in casi del genere, tentare di produrre un numero inferiore
potrebbe  condurre solo a risultati negativi con gravissimo nocumento
per la donna che dovrebbe sottoporsi a ripetuti cicli di stimolazione
ormonale  e  successivamente  a  vivere il tragico evento dell'aborto
spontaneo con successivo intervento di raschiamento o di aspirazione,
ovviamente con un rilevante impatto fisico e psicologico.
   I  ricorrenti  hanno  quindi  in  via  principale  richiesto,  sul
presupposto della accertata legittimita' delle c.d. diagnosi genetica
di preimpianto dell'embrione (DGP), prima cioe' del suo trasferimento
in  utero  e quindi prima dell'inizio della gravidanza (come ammesso,
secondo  una lettura costituzionalmente orientata, dalle citate Trib.
Cagliari  24  settembre  2007,  in  Foro  It.,  2007,  I, 3245; Trib.
Firenze,  ord.  17  dicembre  2007,  in  Foro  It.,  2008,  I, 627, e
Tribunale  amministrativo  regionaleLazio, sez. III, 21 gennaio 2008,
n. 398,  in  Foro  It., 2008, III, 207) e ora non vietato dalle nuove
Linee  guida  di  applicazione della legge n. 40/2004 (D.M. Salute 11
aprile  2008), di accedere, con conseguente emanazione dell'ordine di
cui  alle  sopra  articolate  conclusioni  in  via principale, ad una
lettura  parimenti  costituzionalmente orientata degli artt. 6, comma
3, e 14, commi 1, 2 e 3, legge n. 40/2004.
   In  sintesi  le  argomentazioni al riguardo esposte dai ricorrenti
sono le seguenti:
     a) la disposizione di cui all'art. 14, comma 2, legge n. 40/2004
(nella    parte    in    cui   opera   il   richiamo   all'evoluzione
tecnico-scientifica  e  alle c.d. Linee Guida a sua volta contemplate
dall'art.  7,  comma  3  secondo  l'aggiornate  periodico, e comunque
almeno    triennale,    in    rapporto    alla    stessa   evoluzione
tecnico-scientifica)   apparirebbe   ridondante   e  priva  di  reale
significato  ove  non collegata ad una concreta possibilita' da parte
del  medico  di  uniformarsi, nel caso concreto oggetto di cura, alle
migliori tecniche mediche da applicarsi secondo scienza e coscienza e
secondo  quanto  previsto  dalla  buona  pratica medica; che la norma
stessa,  quindi,  suggerirebbe  la possibilita' di liberare il medico
dal  vincolo della cura uguale per tutti indipendentemente dalla loro
condizione  che,  nell'interpretazione  tradizionale,  costituisce il
postulato  dell'art.  14,  comma  2; che pertanto la lettura corretta
della  norma  sarebbe quella in base alla quale il medico, secondo le
proprie conoscenze mediche, applicando le migliori e piu' appropriate
tecniche,  dovra'  creare  il  numero  di  embrioni necessario per le
esigenze  concrete  della  paziente,  effettuando il trasferimento in
utero  di  un  numero  di  embrioni (comunque non superiore a tre per
unico  trasferimento),  con  la  precisazione  che  il  secondo comma
dell'art.  14  non  parla  di  unico e contemporaneo trasferimento in
utero, ma di «impianto», che e' un evento successivo al trasferimento
e  solo  eventuale,  del  quale  il medico puo' prevedere l'incidenza
statistica  in  base alle risultanze scientifiche; che in conclusione
sarebbe  corretta  ed  appropriata  l'interpretazione che consenta al
medico  di  tentare  di fertilizzare il numero di ovociti necessario,
secondo  le  condizioni  cliniche  della  coppia  per  raggiungere il
risultato   definitivo   dell'impianto  di  un  numero  di  embrioni,
comunque,  non  superiore  a  tre;  che  una  simile  interpretazione
consentirebbe  al medico di applicare le tecniche secondo le migliori
pratiche  mediche  in  relazione  al risultato prevedibile secondo le
conoscenze    scientifiche,    evitando    gli    inconvenienti   che
determinerebbero  l'incostituzionalita'  della norma; che inoltre, in
particolari  situazioni,  al fine di giungere ad un trasferimento con
tre  embrioni,  vitali  e  trasferibili,  e'  necessario  tentare  di
fertilizzare  un numero maggiore di ovociti (ad es. nel caso di donne
avanti  negli  anni  o  in  ipotesi  di  spermatozoi poco vitali e, a
maggior ragione, laddove sia necessaria la diagnosi di preimpianto);
     a2) qualora a seguito dell'applicazione delle tecniche dovessero
risultare    embrioni    sovrannumerari   (nell'esempio   precedente,
immaginando  che  il  calcolo  statistico non sia rispettato, vengano
prodotti  4  embrioni idonei al trasferimento) sovverrebbe il comma 3
dello  stesso  articolo  14  ai  sensi  del  quale  «e' consentita la
crioconservazione   degli   embrioni   stessi   fino  alla  data  del
trasferimento  ...»;  che in particolare in considerazione dei rischi
connessi  al  trasferimento di un numero di embrioni elevato e della,
relativa,  imprevedibilita' del numero di ovociti che si feconderanno
generando  embrioni  idonei  al trasferimento, potrebbe considerarsi,
infatti,  il  verificarsi  di  un  rischio  per la salute della donna
imprevedibile  all'atto  della  fecondazione  degli ovociti che renda
necessario  il  ricorso  alla crioconservazione in vista di un futuro
trasferimento,  giusta quanto in via eccezionale consentito dall'art.
14, comma 3, legge n. 40/2004;
     b) l'interpretazione rigida degli artt. 14, comma 1 («e' vietata
la crioconservazione e la soppressione degli embrioni, fermo restando
quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194») e comma 3, della
legge (qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti
possibile  per  grave  e documentata causa di forza maggiore relativa
allo  stato  di  salute  della donna non prevedibile al momento della
fecondazione e' consentita la crioconservazione degli embrioni stessi
fino alla data del trasferimento da realizzare non appena possibile»)
(con  la  paradossale  conseguenza,  ad  es.,  di poter effettuare la
crioconservazione  per  una  febbre della donna ma non per il rischio
ben  piu'  grave  per  la  salute  fisica  e psichica della stessa di
trasmissione  di  una gravissima malattia genetica) verrebbe evitata,
vieppiu'  per  il tramite del riferimento alla legge n. 194/1978, dal
bilanciamento  degli  interessi  e dei diritti dei soggetti coinvolti
previsti in tale ultima legge, secondo cui non esiste equivalenza fra
il  diritto  non  solo  alla vita ma anche alla salute di chi e' gia'
persona,  come la madre, e la salvaguardia di chi persona deve ancora
diventare»  (cosi'  Corte  Cost., 18 febbraio 1975, n. 27, confermata
nel suo impianto da Corte Cost., 10 febbraio 1997, n. 35);
     b2)  d'altra  parte  le  Linee  guida  alla legge n. 40 del 2004
prevedono  la  crioconservazione  qualora  per  qualsiasi  ragione un
trasferimento non risulti attuato;
     c) la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 6, comma 3,
della legge n. 40/2004 (in virtu' del quale la volonta' di entrambi i
soggetti  di  accedere  alle  tecniche  di  procreazione medicalmente
assistita  puo'  essere  revocata  da  ciascuno dei soggetti indicati
dallo  stesso  comma  fino  al momento della fecondazione dell'ovulo)
deriverebbe sia dai principi fondamentali previsti dall'art. 32 della
Costituzione  (che  riconoscono  il  diritto  incondizionato  di ogni
cittadino di poter rifiutare le cure mediche non volute, salvo i casi
previsti  per  i  trattamenti  sanitari obbligatori, e sempre che non
siano  contrari alla dignita' umana), sia dalla contemporanea lettura
dell'art.  6  (comma  4),  laddove  si  prevede  che  il medico possa
interrompere   la  procedura  qualora  insorgano  ragioni  di  ordine
medico-sanitario  (attinenti  anche a rischi e pericoli per la futura
madre  e  non  solo a problemi di carattere organizzativo, ecc.); che
siffatta  interpretazione  appare  maggiormente  corretta  rispetto a
quella  incongrua  e  paradossale  che vede negare la possibilita' di
revoca alla donna e la attribuisce unicamente al personale sanitario,
in  chiaro  spregio al principio per il quale nessuno puo' imporre un
comportamento  ad  un  altro soggetto e meno che mai cio' puo' essere
fatto  da  una  legge  sanitaria,  salvo la sussistenza di ragioni di
ordine   pubblico   e   di   interesse   generale  (es.  vaccinazioni
obbligatorie);  che,  infine, la facolta' di rinuncia alla maternita'
e'  consentita  e tutelata dalla Legge fino alla nona settimana (art.
4, legge n. 194/1978);
     d)   che   quanto  sostenuto  in  ordine  alla  possibilita'  di
crioconservazione  prevista  dal  comma  1  dell'art.  14 della legge
n. 40/2004 varrebbe, inoltre, anche in relazione all'ipotesi prevista
dal quarto comma dello stesso art. 14 (che stabilisce: «ai fini della
presente  legge  e'  vietata  la  riduzione embrionaria di gravidanze
plurime, salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194»)
;  che  una  lettura  costituzionalmente  orientata  consentirebbe di
ridurre  il  numero  degli  embrioni  da trasferire avendo riguardo i
rischi per la salute fisica e psichica della madre.
   Ritiene  questo giudice (come gia' si e' espresso altro giudice di
questo  tribunale, con ordinanza 12 luglio 2008, resa nell'ambito del
procedimento ex art. 700 c.pc. di cui al n.r.g. 5895/2008) che non si
possa  accedere alla lettura costituzionalmente orientata proposta in
via principale dai ricorrenti.
   Si e' infatti in presenza di un impianto normativo caratterizzato,
secondo  le  dichiarazioni di principio di cui all'art. 1 della legge
n. 40/2004,  dalla  necessita'  di favorire la soluzione dei problemi
riproduttivi  derivanti  dalla sterilita' o dalla infertilita' umana,
consentendo,  qualora  non vi siano altri metodi terapeutici efficaci
per  rimuovere  le  cause  della  sterilita' o della infertilita', il
ricorso  alla  procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e
secondo  le  modalita'  previste  dalla legge stessa, e assicurando i
diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.
   In   tale   contesto   la   ragione   di   fondo  del  divieto  di
crioconservazione  degli  embrioni (a differenza di quanto avviene ad
es. per i gameti maschile e femminile, per i quali, giusta l'art. 14,
comma  8,  la  crioconservazione  e',  previo  consenso  informato  e
scritto,  espressamente  consentita)  e' da rinvenirsi non solo nella
necessita' di evitare (facendone anzi espresso divieto: cfr. art. 14,
commi 1 e 4) la soppressione embrionaria, ma anche di limitare quanto
piu'  possibile  i  casi  di  produzione,  per  qualunque ragione, di
embrioni  in  sovrannumero.  Tutto  cio'  nell'ottica  di  tutela dei
diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.
   Ha  ritenuto  quindi  il  legislatore  di codificare, imponendola,
quale  pratica  a  cio' idonea quella della creazione di un numero di
embrioni non superiore a quello strettamente necessario ad un unico e
contemporaneo  impianto,  e comunque non superiore a tre, consentendo
in    via   del   tutto   eccezionale   (comma   3)   la   temporanea
crioconservazione   degli  embrioni  qualora  il  loro  trasferimento
nell'utero  non  risulti  possibile  per grave e documentata causa di
forza  maggiore  relativa  allo  stato  di  salute  della  donna  non
prevedibile al momento della fecondazione.
   Il  dato  normativo,  munito  di  severe sanzioni penali (art. 14,
commi  6  e  7),  e' da considerarsi rigido, sia in quanto contenente
dati  di  natura  quantitativa  niente  affatto  equivoci  («unico  e
contemporaneo»,  «numero  ...  comunque non superiore a tre»), sia in
quanto  detti dati, come si evince dall'utilizzo e dal posizionamento
dell'avverbio  «comunque»,  non  attribuiscono  alcun espresso potere
derogatorio  (o, se si vuole, deregolamentatorio) per via del duplice
richiamo,  diretto e indiretto (per il tramite dell'art. 7, comma 3),
all'evoluzione tecnico-scientifica.
   Non   ritiene   inoltre  questo  giudice,  per  quanto  si  voglia
tecnicamente  operare  un distinguo fra «trasferimento» ed «impianto»
dell'embrione,   che   il  legislatore  abbia  voluto  usare  le  due
espressioni  secondo un criterio di relazione non biunivoca fra i due
eventi,  consentendo  cioe'  piu' impianti nell'ambito di un'unitaria
operazione  di trasferimento, con effetto moltiplicatorio rispetto al
numero di tre.
   Non  potendo  l'interprete, secondo una interpretazione, non solo,
come   sopra   visto,  teleologica,  ma  anche  logica  e  letterale,
svincolarsi  dal  dato  numerico  cardinale  «tre»  - che deve essere
riferito al sostantivo «numero», quale oggetto dell'atto di creazione
degli  embrioni  -  e dalla menzione dell'unicita' e contemporaneita'
dell'operazione  di  impianto,  ogni  diversa  lettura deve ritenersi
effettuata contra legem.
   Non puo' nemmeno ritenersi risolutivo il ragionamento per absurdum
proposto  dai  ricorrenti  (pag.  13 del loro ricorso) secondo cui il
legislatore,  per  garantire in modo pieno e coerente il diritto alla
vita   del  concepito  avrebbe  dovuto  consentire  la  produzione  e
l'impianto  di un solo embrione alla volta, eliminando in tal modo il
rischio,   anche   solo   potenziale,  che  alcuni  embrioni  vengano
inutilmente sacrificati.
   Va  infatti  osservato  (come gia' messo in evidenza da TAR Lazio,
cit.)  che,  secondo l'ottica del legislatore del 2004 (che configura
espressamente   in   capo  al  concepito  una  situazione  soggettiva
espressamente  qualificata  come  diritto  -  diversamente  da quanto
avviene  per  la legge n. 194/1978 sull'interruzione volontaria della
gravidanza  dove  il  riferimento  e', art. 1, alla tutela della vita
umana  dal  suo  inizio  -)  ,  il rapporto di 1 embrione creato ed 1
embrione   trasferito  (e  impiantato)  costituirebbe  la  situazione
ottimale,  se  non  altro  in  quanto e' l'unica idonea ad evitare la
soppressione  o  la  crioconservazione,  con la conseguenza del pieno
rispetto  di  quanto  previsto  dall'art.  14,  comma 1, della legge.
Trattasi,  ovviamente,  di  una  situazione in cui l'assoluta e piena
precauzione  dal pericolo di crioconservare o sopprimere gli embrioni
ha  forti,  se  non  fortissime,  probabilita'  di  rendere del tutto
utopistica  la  soluzione  dei  problemi riproduttivi derivanti dalla
sterilita' o dalla infertilita' umana.
   La  situazione  di  compromesso  (cura  della  sterilita'  o della
infertilita'  vs. crioconservazione o soppressione degli embrioni) si
e'  ritenuto  di poterla realizzare attraverso il ricorso alla regola
di  produzione  di  massimo  tre  embrioni  per  un  unico  impianto,
ritenendo  la  produzione  di  tre embrioni mezzo idoneo da un lato a
dare  inizio  comunque  ad una gravidanza, dall'altro a contenere gli
effetti  di  gravidanze  gemellari.  E' per l'appunto questo il senso
scaturito  da  quella  parte  dei  lavori parlamentari opportunamente
citata  dai  ricorrenti  (on. Ercole, sed. Camera n. 124 del 27 marzo
2002:  «Un  punto  fondamentale e' rappresentato dal divieto relativo
alla  crioconservazione  e  alla  soppressione  degli  embrioni.  Per
evitare   dunque  di  ripetere  la  situazione  attuale  -  che  vede
l'esistenza  di  una  riserva  di oltre 24 mila embrioni conservati -
questa normativa rifiuta che le tecniche di produzione degli embrioni
ne  creino  un  numero superiore a tre per un unico impianto e impone
che tutti gli embrioni prodotti debbano essere poi contemporaneamente
inseriti  nell'utero  materno. E' una salvaguardia fondamentale della
vita dell'embrione»).
   In  questo senso il riferimento all'evoluzione tecnico-scientifica
di  cui  al  comma  2  dell'art.  14  quale criterio ispiratore delle
tecniche  di  produzione degli embrioni, lungi dall'avere, come sopra
esposto,  effetti  derogatori o deregolamentatori, consente invece di
operare una scelta fra la produzione e il necessario impianto di uno,
due   o   tre   embrioni,  con  una  modulazione  che  sara'  attuata
dall'operatore   a   seconda  dei  casi  di  specie,  ferma  restando
l'unicita' dell'operazione di impianto.
   Parimenti  il  comma  3  dell'art. 14 non puo' che essere letto in
quello  che  e'  il  suo  significato  reso  palese dalle espressioni
utilizzate  e  per  le quali la causa di forza maggiore relativa allo
stato  di  salute  della donna deve essere, oltre che grave, altresi'
non  prevedibile  al  momento  della  fecondazione:  per quanto possa
sembrare    paradossale   concretizza   l'eccezione,   proprio   come
rappresentato  dai  ricorrenti,  una sindrome febbrile della donna ma
non  per  il  precognito  rischio  di  trasmissione di una gravissima
malattia genetica.
   Nel  caso  di specie la causa attinente allo stato di salute della
donna  (alto  rischio  di trasmissione di grave malattia genetica) e'
ampiamente  prevedibile  e  come  tale  al di fuori di alcuna ipotesi
eccettuata contemplata dal comma 3 cit.
   A fronte, quindi, di un dato normativo inequivocabile, deve essere
disattesa  l'immediata  valutazione del fumus boni juris invocata dai
ricorrenti   in   ordine   alla  possibilita',  secondo  una  lettura
costituzionalmente  orientata  dell'art.  14,  commi  1,  2,  e 3, di
procedere  alla  produzione  ed  impianto, in uno o piu' contesti, di
piu' di tre embrioni, previa, ove necessario, loro crioconservazione.
   I   ricorrenti   chiedono   infine  darsi  luogo  ad  una  lettura
costituzionalmente  orientata  altresi'  dell'art.  6,  comma 3, ult.
parte,  della  legge  n. 40 del 2004, che consente che la volonta' di
accedere  alle  tecniche  di procreazione medicalmente assistita puo'
essere  revocata  da  ciascuno  dei  componenti  della coppia fino al
momento della fecondazione dell'ovulo.
   Anche detta lettura, per questo giudice, deve essere disattesa, in
quanto e' chiaramente da un lato indicato il termine ultimo di revoca
del  consenso  e  dall'altro  in quanto uno spostamento in avanti nel
tempo  della  facolta'  di  revoca  avrebbe  come  logica conseguenza
l'integrazione delle fattispecie vietate di cui all'art. 14, comma 1,
della legge.
   I  ricorrenti  hanno  chiesto in via subordinata che, gia' in sede
cautelare,   questo   giudice   sollevi   questione  di  legittimita'
costituzionale:
     dell'art.  14,  commi 2 e 3, legge n. 40 del 2004 per violazione
degli artt. 2, 3 e 32 Cost.;
     dell'art.  14,  comma 1, legge n. 40 del 2004 limitatamente alle
parole  «la  crioconservazione  e», per violazione degli artt. 3 e 32
Cost.;
     dell'art. 6, comma 3, legge n. 40 del 2004, per violazione degli
artt. 2, 13 e 32 Cost.;
     con  conseguente sospensione del presente procedimento cautelare
e rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
   Circa  la sollevabilita' nell'ambito del procedimento cautelare di
questione  di legittimita' costituzionale, questo giudice ritiene che
il  giudice della cautela, e segnatamente, per quello che qui rileva,
della  cautela  ante causam, abbia tutti i requisiti per poter essere
considerato giudice a quo.
   Cio'   sia   in  quanto  il  giudice  della  cautela  ante  causam
sovrintende ad una fase in cui deve avere pieno rispetto il principio
del  contraddittorio  in  uno scenario che, anche nel caso di specie,
permane  di  contrapposizione  di  interessi  (da  un lato quello dei
ricorrenti  ad  ottenere la prestazione richiesta e dall'altro quello
di  chi  opera  per conto della s.r.l. intimata a non incorrere nelle
sanzioni di natura penale ed interdittiva contemplate dai commi 6 e 7
dell'art.  14 della legge n. 40 del 2004), sia in quanto anche per il
giudice  della  cautela  la  disapplicazione  di  norme  sospette  di
illegittimita' costituzionale - e per le quali, come sopra visto, non
sia   affatto   possibile  una  semplice  lettura  costituzionalmente
orientata   -   richiede   pur  sempre,  secondo  il  nostro  assetto
costituzionale,    l'intervento    del    giudice   istituzionalmente
controllore della legittimita' costituzionale.
   Non  puo' peraltro il giudice della cautela ante causam accogliere
in  via  temporanea  la  pretesa  di  quella  parte  che  dichiara di
risentire pregiudizio dalla vigenza di quella norma che assume essere
costituzionalmente  illegittima,  al contempo sollevando questione di
legittimita'   costituzionale   della   stessa,  sia  in  quanto  con
l'emanazione del provvedimento cautelare, che sia temporaneo o invece
idoneo  ad  assumere  una  sua  stabilita'  secondo il dettato di cui
all'art.  669-octies,  commi  6  e  7, c.p.c., detto giudice verrebbe
cosi'  a spogliarsi di ogni potere in ordine alla pretesa dedotta nel
procedimento,  sia  in quanto la immediata temporanea disapplicazione
di  una norma ritenuta costituzionalmente illegittima verrebbe, per i
suoi  effetti,  a  creare  un  vero  e proprio vulnus nell'ambito del
principio di separazione fra i poteri dello Stato.
   Il   rigetto,   poi,   della   domanda  cautelare  motivato  dalla
argomentazione  che  e'  il  giudizio  di  merito  quello tipicamente
deputato   alla   sollevazione   della   questione   di  legittimita'
costituzionale  rischia  di  risolversi  -  soprattutto laddove siano
dedotte  situazioni  che  per  loro  natura, come nel caso di specie,
richiedono una rapida risposta giurisdizionale - in un vero e proprio
diniego di giustizia.
   Non  vi  e' nemmeno modo per sollevare la questione all'interno di
quella  modalita' procedimentale pur consentita dall'art. 669-sexies,
comma  2,  c.p.c.  (con la sequenza 1) emanazione di decreto inaudita
altera   parte,   2)   sollevazione   di  questione  di  legittimita'
costituzionale,  3)  conferma,  modifica  o  revoca con ordinanza del
decreto  a seconda dell'esito del giudizio di costituzionalita'), dal
momento  che  questo  giudice  ha  ritenuto di non far luogo a simile
modalita'  procedimentale  (per  carenza  di  richiesta sul punto dei
ricorrenti)  ed  altresi'  in  quanto sarebbe inimmaginabile, data la
peculiarita'    della    situazione    dedotta    nel   procedimento,
l'eliminazione  dei  possibili  effetti  prodotti  da  una  pronuncia
anticipatoria  del  giudice remittente, poi dichiarata non rispettosa
di   quella  legge  di  cui  sia  stata  confermata  la  legittimita'
costituzionale.
   Cio'  posto  occorre verificare se, e in caso positivo entro quali
termini,  la  dedotta, in via subordinata, questione di' legittimita'
costituzionale sia rilevante e non manifestamente infondata.
   La questione deve considerarsi rilevante.
   Le  disposizioni della legge n. 40 del 2004 - di cui viene, per le
ragioni sopra esposte, negata la lettura costituzionalmente orientata
-  costituiscono  chiaro  ostacolo  all'accoglimento  delle richieste
formulate dai ricorrenti (di procedere, cioe', secondo l'applicazione
delle  metodiche  della procreazione medicalmente assistita, alla cd.
fecondazione  in  vitro,  secondo  le  migliori  e accertate pratiche
mediche,  previa  diagnosi  pre-impianto,  provvedendo  a  trasferire
nell'utero  della  signora  C.  gli  embrioni  creati  in  base  alle
direttive   impartite   dalla  medesima  paziente  ed  applicando  le
procedure  dettate  dalla  scienza  medica  per assicurare il miglior
successo  della  tecnica in considerazione dell'eta' e dello stato di
salute  della  paziente,  considerato  anche il rischio di gravidanze
plurigemellari  pericolose, provvedendo altresi' a crioconservare per
un  futuro  impianto  gli  embrioni  risultati  idonei  e che non sia
possibile trasferire immediatamente).
   Lo  sono  in  primo  luogo  le  disposizioni di cui ai commi 2 e 3
dell'art. 14, nelle parti che saranno infra specificate.
   Lo e' pure il comma 3 dell'art. 6, nella parte in cui impedisce la
revoca  del  consenso  dei  soggetti  interessati  alla  PMA oltre il
momento della fecondazione dell'ovulo.
   Non  e'  superfluo ricordare come la sufficienza della pretesa dei
ricorrenti  in  ordine  al  bene  della  vita  richiesto  ha come suo
ineludibile  presupposto  l'assoluta legittimita' della c.d. diagnosi
di  preimpianto, oramai da considerarsi perfettamente consentita, con
efficacia  erga  omnes,  dopo  la  pronuncia Tribunale amministrativo
regionaleLazio,   sez.  III,  21  gennaio  2008,  n. 398  e  dopo  la
emanazione  delle  nuove  Linee  guida  di  applicazione  della legge
n. 40/2004 per via del D.M. Salute 11 aprile 2008.
   Ha  dato  atto  di  tutto  cio'  questo  stesso Tribunale, con sua
ordinanza  12  luglio 2008, resa nell'ambito del procedimento ex art.
700  c.p.c.  di cui n.r.g. 5895/2008, con la quale e' stata sollevata
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2,
legge  n. 40/2004,  per  contrasto,  quanto  ai commi primo e secondo
dell'art.  14 cit., cogli artt. 3 e 32, primo e secondo comma Cost. e
dell'art.  6,  comma  3  ultima parte legge n. 40/2004, per contrasto
coll'art.  32,  secondo  comma Cost., nella parte in cui impongono il
divieto   di  crioconservazione  degli  embrioni  soprannumerari,  la
necessarieta'  della  creazione  di  massimo  tre embrioni nonche' la
necessarieta'   dell'unico   e  contemporaneo  impianto  di  embrioni
comunque  non superiori a tre, e laddove prevedono la irrevocabilita'
del  consenso  da  parte  della  donna  all'impianto  in  utero degli
embrioni  creati.  Nell'ordinanza  si da' infatti atto da un lato che
gli  stessi ricorrenti erano stati, con separata precedente ordinanza
17  dicembre  2007  (e'  quella gia' menzionata ed edita in Foro it.,
2008, I, 627) resa all'esito di precedente e distinto procedimento ex
art.  700  c.p.c.  e  nella  vigenza  delle  precedenti  Linee guida,
autorizzati  all'accesso  alla diagnosi preimpianto e all'altro che a
seguito  dell'intervento della pronuncia del Tribunale amministrativo
regionaleLazio  del  gennaio 2008 e alla conseguente emanazione delle
Linee guida del 18 aprile 2008, che non contengono piu' la previsione
della legittimita' della sola diagnosi osservazionale, non vi e' piu'
divieto di diagnosi di preimpianto.
   Va  peraltro osservato che la stessa Corte costituzionale, con sua
ordinanza  9  novembre  2006,  n. 369, ha dichiarato inammissibile la
questione   di   legittimita'   costituzionale  (sollevata  da  Trib.
Cagliari,  16 luglio 2005, in Foro It., 2005, I, 2876, in riferimento
agli  artt.  2,  3  e  32 Cost.) dell'art. 13 legge 19 febbraio 2004,
n. 40,  nella  parte  in cui faceva divieto di sottoporre l'embrione,
prima  dell'impianto,  a  diagnosi  per  l'accertamento  di eventuali
patologie, sul presupposto della necessita' di sottoporre al giudizio
di   costituzionalita'   anche  altri  articoli  della  stessa  legge
(segnatamente della disciplina della «revocabilita' del consenso solo
fino  alla  fecondazione  dell'ovulo»,  del  «divieto di creazione di
embrioni  in  numero  superiore  a  quello  necessario  per  un unico
impianto,  obbligatorio  quindi per tutti gli embrioni», del «divieto
di  crioconservazione  e  di  soppressione  di embrioni», di cui agli
articoli  che  in  questa sede si chiede di sottoporre al giudizio di
costituzionalita'),   non   impugnati,  nonche'  dall'interpretazione
dell'intero testo legislativo.
   Appare  quindi  evidente l'inutilita' del diritto dei ricorrenti a
procedere  a  diagnosi  di  c.d.  preimpianto  laddove non svincolati
dall'obbligo  di  unico  e  contemporaneo impianto di non piu' di tre
embrioni,  dal  divieto di crioconservazione degli stessi al di fuori
della  rigida  ipotesi  eccettuata di cui all'art. 14, comma 3, della
legge,  e  dall'irrevocabilita'  del  consenso  al trattamento di PMA
allorquando sia avvenuta la fecondazione dell'ovulo (art. 6, comma 3,
ult. parte).
   Vi  e'  rilevanza  delle  dedotte  questioni  anche  in  ordine al
periculum  in  mora,  posto  che  i  tempi  di  un giudizio ordinario
(sicuramente  piu'  lunghi  di un procedimento cautelare ante causam)
costituiscono  fattore di per se' idoneo a pregiudicare l'esigenza di
tutela rappresentata dai ricorrenti, in relazione al dato notorio che
la  percentuale  di  successo  del  ricorso  alle  tecniche di PMA e'
inversamente proporzionale all'eta' del componente di sesso femminile
della  coppia  coinvolta (nella specie la ricorrente Consales e' nata
nel 1978).
   I  ricorrenti  hanno  poi  ad  abundantiam  rappresentato  il loro
interesse   a   che   lo   scrutinio   di  costituzionalita'  avvenga
contestualmente a quello gia' fissato dalla Corte in ordine al citato
Tribunale  amministrativo  regionaleLazio, sez. III, 21 gennaio 2008,
n. 398,   che  primo  fra  tutti  ha  dichiarato  non  manifestamente
infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
commi  2 e 3, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui limitano
ad  un  massimo  di  tre  il  numero  di  embrioni che possono essere
prodotti, da impiantarsi tutti contestualmente, prevedendosi altresi'
il  divieto  -  tranne  in ipotesi eccezionali - di crioconservazione
degli  embrioni stessi, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost. (nella
specie  i  ricorrenti, nelle loro deduzioni a verbale dell'udienza 11
agosto  2008,  hanno  rappresentato  essere stata fissata al riguardo
dalla   Corte   costituzionale   al  3  novembre  2008  l'udienza  di
discussione,  che dubbi di amniissibilita' potrebbero sorgere per via
della  forma  -  di  sentenza  -  adottata  per  il  provvedimento di
rimessione ad opera del Tribunale amministrativo regionale- dalla cui
lettura,  invero,  ritiene questo giudice possa agevolmente evincersi
contenuto  sostanziale  misto,  al  contempo  cioe'  di  sentenza  ed
ordinanza  -; che infine vi e' un pressoche' consolidato orientamento
della Corte costituzionale - vd. da ultimo Corte cost., ord. 6 giugno
2006,  s.n.,  allegata alla sent. 7 luglio 2006, n. 279, in Foro It.,
2007,  I, 1066; Corte cost., ord. 19 giugno 2007, s.n., allegata alla
sentenza  3  luglio  2007,  n. 25,  in Foro It., 2007, I, 2648; Corte
cost.,  ord.  3  luglio 2007, s.n., allegata alla sentenza 24 ottobre
2007,  n. 349,  in Foro It., 2008, I, 41; - che ritiene inammissibile
l'intervento  di terzi nel giudizio costituzionale sulle leggi in via
incidentale   allorche'   l'interveniente  non  sia  titolare  di  un
interesse    qualificato,   immediatamente   inerente   al   rapporto
sostanziale  dedotto  nel  giudizio  e non semplicemente regolato, al
pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura).
   Altrettanto   ad   abundantiam   va   rilevato   come  il  mancato
raggiungimento  dei quorum costitutivi, all'esito della consultazione
popolare  del  12-13  giugno  2005, in ordine a referendum abrogativi
(nella  specie  ammessi  con  sentenze  della Corte Cost., 28 gennaio
2005,  nn.  47  e 48) aventi ad oggetto le stesse norme che in questa
sede  si  assumono  viziate  da illegittimita' costituzionale, non ha
efficacia  ostativa del giudizio di costituzionalita', operando i due
istituti   su  piani  diversi  e  sortendo  efficacia  reciprocamente
vincolante quei soli atti di tipo caducatorio che promanano a seconda
dei casi dal corpo elettorale o dalla Corte costituzionale.
   In  ordine  al vaglio di non manifesta infondatezza osserva questo
giudice quanto segue.
   Nel ricorso e' chiaramente esposto come la regola della produzione
e  dell'unico  e  contemporaneo impianto di non piu' di tre embrioni,
per  quanto  conseguenza  di  una  precisa  scelta  del  legislatore,
parimenti  preoccupato di non determinare (o quanto meno di contenere
il  piu'  possibile)  pratiche di crioconservazione o soppressione di
embrioni  (per  quest'ultimo  caso,  se  si  vuole,  anche per via di
estinzione  a  seguito di mantenimento di coltura in vitro: vd. parte
finale,  con  riferimento  all'art. 13 della legge, delle Linee guida
del  2004,  ora  soppressa), non sia quella piu' idonea a raggiungere
gli  obiettivi  indicati  dalla  legge  (di favorire la soluzione dei
problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita'
umana), in quanto, per la sua rigidita':
   1)  ha,  nelle  coppie  -  come  i  ricorrenti  - ad alto tasso di
sterilita'  ed  infertilita',  scarse  possibilita'  di  esito felice
(intendendosi  per esito felice quello di permettere la nascita di un
figlio non portatore di grave malattia geneticamente trasmessa);
   2)  e',  soprattutto  per  la  donna in giovane eta', idonea a dar
luogo a gravidanze gemellari;
   3)   non   e',   in  via  generale,  rispettosa  delle  condizioni
anagrafiche  del  componente  di sesso femminile della coppia, la cui
fertilita' e' inversamente proporzionale all'eta' (nel caso di specie
si ribadisce che la ricorrente Consales e' nata nel 1978);
   con la conseguenza per la donna:
     di  ricorrere  a  ripetuti cicli di stimolazione ovarica, di per
se'  dotati  di  alto tasso di invasivita' e pericolosita' per la sua
salute fisica e psichica (un catalogo delle situazioni di pericolo e'
contenuto  nel modulo di consenso informato curato dal Centro Demetra
-  doc.  2  Demetra  -:  tumori  alle  ovaie  e  al seno, sindrome da
iperstimolazione   ovarica  severa  con  alterazione  dell'equilibrio
elettrolitico   ed   emocoagulativo,   fenomeni   tromboembolici   ed
insufficienza  renale  acuta,  rischi connessi alla sottoposizione ad
anestesia, rischio di lesione di organi interni durante la manovra di
aspirazione follicolare);
     di dover fronteggiare gravidanze gemellari;
     di dover subire comunque una forma di discriminazione indiretta,
in  quanto  un  trattamento apparentemente egualitario per ogni donna
non  risulta in concreto tale in relazione ai singoli casi, in cui ha
rilievo il fattore eta' (opportunamente i ricorrenti hanno richiamato
la nota sentenza Corte cost., 15 aprile 1993, n. 163);
     di  dover  ricorrere a centri di PMA posti in Paesi esteri (dove
non  vigono  i  limiti  cui  al  comma in questione), con conseguenti
notevoli  esborsi  che  costituiscono fattore discriminatorio in base
alle condizioni economico-patrimoniali.
   I  dati  esposti  non  sono  stati contestati nel caso di specie e
risultano   confermati  dalla  copiosa  documentazione  prodotta  dai
ricorrenti  (docc.  2-9, aggravata dalla circostanza che i ricorrenti
hanno  gia' effettuato senza esito all'estero piu' di un tentativo di
PMA).
   La  stessa relazione del Ministro della salute al Parlamento sullo
stato  di  attuazione  della  Legge  contenente  norme  in materia di
procreazione  medicalmente  assistita (legge 19 febbraio 2004, n. 40,
articolo  15)  per  l'anno 2007 del 30 aprile 2008 (brani della quale
sono  ampiamente riportati nella citata ordinanza di questo Tribunale
del  12  luglio 2008) da' atto sotto l'aspetto statistico, a conferma
di  quanto  gia'  riscontrato  per l'anno precedente, dell'insuccesso
della  Legge  in questione (vd. in particolare pagg. 40 e 41 circa le
percentuali  di  gravidanza  ottenute con tecniche a fresco - FIVET e
ICSI  sui prelievi effettuati e sui trasferimenti eseguiti negli anni
2003-2006;  vd.  pagg.  41  e  42  circa la percentuale di gravidanze
gemellari  e di gravidanze multiple ottenute da tecniche di secondo e
terzo  livello:  la relazione del Ministro della salute puo' leggersi
in www.ministerosalute.it/imgs/C 17 pubblicazioni 817 allegato.pdf) .
   Ne deriva la conseguenza che la normativa rigida di cui al comma 2
dell'art. 14, laddove impone la creazione di non piu' di tre embrioni
ai  fini  di  un  loro  unico  e  contemporaneo  impianto,  appare in
contrasto  con  i precetti costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 32
Cost., in quanto:
     determina  la reiterata sottoposizione della donna a trattamenti
che, in quanto invasivi e a basso tasso di efficacia, sono lesivi del
principio  di  rispetto  della  dignita'  umana, in ispregio a quanto
previsto dall'art. 2 Cost.;
     ingenera disparita' di trattamento fra situazioni che eguali fra
loro  non  sono e richiedono trattamenti differenziati, in violazione
del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 Cost.;
     viola   il   diritto   fondamentale   alla  salute  solennemente
proclamato   dall'art.  32  della  Carta  costituzionale,  in  quanto
determina  il forte rischio di reiterata sottoposizione della donna a
trattamenti ad alto tasso di pericolosita' per la sua salute fisica e
psichica.
   Sorge  a  questo punto legittimo chiedersi, una volta ammessa come
lecita la c.d. diagnosi di preimpianto (che non puo' non considerarsi
finalizzata  ad  evitare che la donna dia inizio ad una gravidanza ad
esito  infausto o nelle condizioni di cui all'art. 6, legge 22 maggio
1978,   n. 194,   con  la  conseguente  sottoposizione  al  non  meno
traumatico  evento  interruttivo),  quale  debba  essere la sorte del
divieto  di  crioconservazione  e soppressione degli embrioni, la cui
ragione  di  esistenza  era  sicuramente  piu'  che  coerente  con il
preesistente     divieto     (che     imponeva     tale     sequenza:
creazione-trasferimento-impianto  dell'embrione, in una situazione di
irrevocabilita'  del  consenso  dalla donna fornito alla PMA, a tutto
vantaggio   di  una  situazione  che  lo  stesso  legislatore  -  vd.
l'intitolazione  del  Capo  VI della legge, in cui sono contenuti gli
artt.  13  e  14  - definisce di «tutela dell'embrione», e che gia' i
menzionati  interventi  giurisdizionali  di  cui  a Trib. Cagliari 24
settembre  2007  e  Trib.  Firenze,  ord. 17 dicembre 2007 hanno, con
lettura  costituzionalmente  orientata,  subordinato  alla prevalente
esigenza  di  tutela  della  salute  della  donna, riconosciuta dalle
citate sentenze della Corte costituzionale 18 febbraio 1975, n. 27, e
10 febbraio 1997, n. 35).
   In  altri  termini  occorre chiedersi se la crioconservazione e la
soppressione  degli embrioni debbano essere atti comunque consentiti,
in  quanto  il  divieto del loro compimento altra giustificazione non
trova  se  non  nel  divieto  di diagnosi di preimpianto e nei rigori
contemplati   dal   comma  2  dell'art.  14  nella  sua  formulazione
integrale.
   Ritiene questo giudice come, pure in uno scenario che a seguito di
Trib.  Cagliari  24  settembre  2007, Trib. Firenze, ord. 17 dicembre
2007,  e  Tribunale  amministrativo  regionaleLazio, 21 gennaio 2008,
n. 398,  e  delle  nuove e vigenti Linee guida ministeriali, non puo'
non   ritenersi   profondamente   mutato,  la  crioconservazione,  la
soppressione  -  o,  se  si  vuole,  la produzione sovrannumeraria di
embrioni  quale antefatto che genera l'una e l'altra - siano pratiche
che la comunita' medico-scientifica e' chiamata in via generale a non
compiere se non in casi che devono comunque costituire eccezione alla
regola.
   Non  e'  questa  la  sede per approfondire le ragioni del generale
divieto   di  crioconservazione  e  soppressione.  La,  se  vogliamo,
assoluta   liberta'   di   produzione   sovrannumeraria  di  embrioni
determinerebbe  una  situazione  che, pur se inserita all'interno dei
ragionevoli  presupposti  normativi  di cui agli artt. 1, 4 e 5 della
legge,  rischia  di  essere  pur  sempre foriera di problematiche non
scevre  da  implicazioni  di  natura  etica  (per un esempio vd., per
tutte,  la  discussione  sorta  in  sede di Comitato nazionale per la
bioetica:  vd.  Parere  del  Comitato  nazionale  per la bioetica sul
destino  degli  embrioni derivanti da PMA e non piu' impiantabili, 26
ottobre         2007,         che         si         legge         in
www.governo.it/bioetica/testi/parere061007.pdf), giuridica, in ultimo
anche  gestionale  ed  economica  (solo  se  si pensa, ad es., che le
stesse Linee guida, sia nella loro versione secondo il d.m. 21 luglio
2004  sia  nella  attuale  versione  secondo  il d.m. 11 aprile 2008,
prevedono  che  «gli  embrioni  che  verranno  definiti  in  stato di
abbandono saranno crioconservati in maniera centralizzata con oneri a
carico  dello  Stato») e a cui non deve tendere, a sommesso parere di
questo   giudice,   una   generale  ed  indistinta  dichiarazione  di
incostituzionalita'.
   Coerentemente quindi con gli stessi parametri di costituzionalita'
sopra evidenziati (artt. 2, 3 e 32 Cost.) il giudizio di legittimita'
costituzionale  dovra',  quanto ai primi tre commi dell'art. 14 della
legge n. 40 del 2004, limitarsi alle seguenti parole:
     «ad  un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a
tre» (comma 2);
     «Qualora  il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti
possibile»  «di  forza  maggiore»  «non  prevedibile al momento della
fecondazione»  «fino  alla  data del trasferimento, da realizzare non
appena possibile» (comma 3);
   risultandone quindi un testo:
     «1. E'   vietata  la  crioconservazione  e  la  soppressione  di
embrioni,  fermo  restando  quanto  previsto dalla 1. 22 maggio 1978,
n. 194.
     2.  Le  tecniche  di  produzione  degli  embrioni,  tenuto conto
dell'evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall'art. 7,
comma  3,  non devono creare un numero di embrioni superiore a quello
strettamente necessario.
     3.  Per  grave e documentata causa relativa allo stato di salute
della   donna  e'  consentita  la  crioconservazione  degli  embrioni
stessi».
   L'intervento  nel  corpo del comma 3, secondo gli stessi parametri
di costituzionalita' (ovviamente, quanto all'art. 32 Cost., alla luce
anche  della  necessita'  di  evitare  che  la  donna,  costretta  ad
accettare  l'impianto di embrioni portatori di gravi patologie, debba
dapprima  iniziare  una  gravidanza  per poi, volontariamente o meno,
interromperla,  con  grave  nocumento  per  la  sua  salute  fisica e
psichica)  appare  sufficiente  ad evitare da un lato la creazione di
situazioni   paradossali   come   quelle   evidenziate   nel  ricorso
(nell'esempio  fatto una sopravvenuta ed improvvisa sindrome febbrile
potrebbe   dar   luogo   a  crioconservazione  al  contrario  di  una
preesistente   grave   patologia   geneticamente   trasmissibile)   e
dall'altro uno degli inconvenienti al riguardo rimarcati dalla citata
Corte  cost.,  9  novembre  2006,  n. 369  (transitorieta' e non gia'
permanenza degli ostacoli patologici all'impianto).
   Il  comma ult. cit., implicando un trattamento sulla persona senza
il  consenso  di  quest'  ultima e in assenza di superiori ragioni di
interesse  generale  o  di  tutela  della  sicurezza  ed  incolumita'
pubbliche  contemplate  da  espressa  disposizione  normativa, appare
altresi' in contrasto con gli artt. 13 e 32, secondo comma, Cost.
   Parallelamente    deve    essere    sottoposta    al   vaglio   di
costituzionalita'  la  norma  (art. 6, comma 3, legge n. 40 del 2004)
che,  a  corollario di quelle di cui si e' gia' da ultimo prospettata
la  censura, prevede che la volonta' di sottoposizione al trattamento
di  PMA  non  possa essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati
dal  medesimo comma (per rinvii trattasi dei soggetti di cui all'art.
5 della legge) dopo che sia avvenuta la fecondazione dell'ovulo.
   I  parametri di costituzionalita' sono anche in tal caso gli artt.
2,  13 e 32 (quest'ultimo in tutta la sua estensione) Cost., cui deve
aggiungersi   anche   l'art.   3   Cost.,   indicando  quale  tertium
comparationis il successivo comma 4, che espressamente attribuisce in
ogni  tempo  al  medico  responsabile  della  struttura  il potere di
decidere  di  non  procedere alla procreazione medicalmente assistita
per  motivi  di  ordine  medico-sanitario,  che  nel  loro ambito non
possono  non  annoverare anche quelli piu' specificamente inerenti la
salute fisica e psichica della donna.
   La  richiesta  di  censura  costituzionale  del comma ult. cit. e'
contenuta  nella menzionata ordinanza di rimessione 12 luglio 2008 di
questo   Tribunale  con  espresso  (ed  esclusivo)  riferimento  alla
posizione  della  donna cui deve essere praticato l'impianto, con una
richiesta  di  pronuncia  («laddove  prevedono la irrevocabilita' del
consenso  da  parte  della donna all'impianto in utero degli embrioni
creati») che, sotto l'aspetto formale, appare essere di (ammissibile,
in   quanto  vincolata)  natura  additiva,  in  considerazione  della
superiore  tutela  dell'interesse  della  salute  del  soggetto della
coppia  (il  componente  di  sesso  femminile)  in  cui  si chiede di
effettuare l'impianto dell'embrione fecondato.
   La   richiesta   di   censura  in  questa  sede  richiesta  sembra
formalmente non operare alcun distinguo, anche se nelle motivazioni a
supporto (pagg. 16-18 del ricorso; pag. 5 delle allegate deduzioni di
udienza)  e'  evidente  il  riferimento  al  diritto  alla  salute  e
all'inviolabilita' personale della donna, persona della coppia in via
immediata  e diretta chiamata a sopportare le conseguenze del ricorso
alla  PMA  e  unica  titolare  di  poteri di disposizione sul proprio
corpo.
   Se   tuttavia  appare  coerente  prevedere,  secondo  l'originario
impianto  della legge, l'efficacia della revoca del consenso alla PMA
anche  da  parte  del  solo  componente di sesso maschile (anche egli
artefice  del  procedimento  di  fecondazione)  fino al momento della
fecondazione dell'ovulo, a diverse, e piu' limitate, conclusioni deve
giungersi una volta che la fecondazione abbia avuto compimento.
   Ritiene  questo  giudice  come  l'intervento sull'art. 6, comma 3,
della  legge n. 40 del 2004 non possa essere richiesto se non al fine
di dare coerenza ad un sistema normativo che con una censura limitata
(per  le  ragioni  sopra  esposte), ai soli commi 2 e 3 dell'art. 14,
permarrebbe   comunque   viziato   da   una  sua  disarmonia  interna
(evidenziata  dalla  Corte costituzionale, nella ordinanza n. 369 del
2006, anche con riferimento alla norma ora in questione).
   Se  quindi  il  sistema  normativo  che si chiede scaturisca dalla
ottenuta  liceita'  della  diagnosi  di preimpianto e dalla richiesta
censura   di   costituzionalita'  e'  improntato  sulla  superiorita'
riconosciuta  alla  tutela  della  salute  della donna (sancita dalla
legge  n. 194 del 1978 sulla interruzione volontaria della gravidanza
e  che  non  puo'  essere  vanificata da una normativa come quella in
esame), e' allora conseguenza necessaria che, per ragioni di coerenza
sistematica,  sia la sola donna ad essere legittimata alla revoca del
consenso al trattamento di PMA.
   A  conferma di quanto sopra vi e' la chiara disposizione (sia pure
non  di  rango  legislativo  e  contraria ad un precedente ante legem
quale e' Trib. Bologna, 9 maggio 2000, in Famiglia e dir., 2000, 487)
contenuta  in  ciascuna  delle  versioni  delle  Linee guida (sezione
«Crioconservazione  degli  embrioni:  modalita'  e  termini») a mente
della   quale   «la  donna  ha  sempre  il  diritto  ad  ottenere  il
trasferimento degli embrioni crioconservati».
   Viene  quindi  sollevata  questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  6, comma 3, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui
non   contiene,   in   fine,   le   parole  «e,  dalla  donna,  anche
successivamente».
   In  un  breve  passo del loro ricorso (pag. 11) i ricorrenti hanno
posto  in  dubbio, sul presupposto della legittimita' dell'accesso ad
una  lettura costituzionalmente orientata in via principale richiesta
con riguardo ai commi immediatamente precedenti, la sopravvivenza del
divieto  di  riduzione  embrionaria  di  gravidanze  plurime  di  cui
all'art. 14, comma 4, della legge n. 40 del 2004.
   Non  hanno  poi  i  ricorrenti chiesto di sottoporre a giudizio di
legittimita' costituzionale detto comma.
   Sommessamente  questo  giudice  ritiene, a conferma di quanto gia'
rilevato   da  dottrina  a  commento,  come  la  norma  in  questione
(espressione di' quello che efficacemente e' stato da subito definito
come  «doppio  regime»  introdotto dalla legge n. 40 del 2004 - cosi'
Trib. Cagliari, 5 giugno 2004 e 30 giugno 2004, in Foro It., 2004, I,
risp.  3498  e  3497)  non  sia  di immediata chiarezza (l'originaria
versione  del  disegno  di legge, come risultante dal testo unificato
della  competente Commissione della Camera dei deputati, testualmente
prevedeva  -  art.  13,  comma  5  - «ai fini della presente legge e'
vietato  l'aborto selettivo di gravidanze plurigemellari»). Non e' in
particolare   chiaro   se  essa  sia  una  norma  sulla  interruzione
volontaria  della  gravidanza  (come si evince dal ricorso al termine
«gravidanze»  e  al  richiamo alla legge n. 194 del 1978) - nel senso
cioe'  di  non  impedire una interruzione volontaria della gravidanza
riguardo  a  parte soltanto degli embrioni coinvolti (come rimedio ex
post  a  non  desiderate  gravidanze  gemellari  da PMA) - o (come si
evince  dall'iniziale  inciso  «ai  fini  della  presente legge sulla
procreazione  medicalmente assistita») una specificazione del divieto
di crioconservazione o soppressione degli embrioni, di cui al comma 1
dell'art.
   Correttamente i ricorrenti hanno evidenziato come il divieto abbia
una  sua giustificazione laddove, adottata la scelta di produrre piu'
di un embrione (due o al massimo tre, secondo l'imposizione di cui si
chiede la censura), si decida poi di impiantarne in numero minore, in
violazione della regola del loro unico e contemporaneo impianto.
   Laddove  invece  venga  a cadere la regola della produzione di non
piu'  di  tre embrioni, del loro unico e contemporaneo impianto e del
rigido  divieto  di  crioconservazione,  non avrebbe pero' piu' senso
nemmeno il divieto di riduzione embrionaria.
   Una  ragion d'essere della norma potrebbe permanere per il tramite
del  richiamo  contenuto  alla  disciplina  sulla  interruzione della
gravidanza   (per   l'ipotesi  cioe'  di  impianto  gia'  avvenuto  e
gravidanza  gia' iniziata). Ma trattasi di un richiamo a questo punto
superfluo e ridondante, essendo gia' sufficiente quello contenuto nel
primo  comma  dell'art.  14 (possibilita' di soppressione di embrioni
nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194).
   La  stessa  giurisprudenza  di  merito  da  ultimo  citata  (Trib.
Cagliari,  5  giugno  2004  e  30 giugno 2004) ha infatti ritenuto (a
seguito  di  perplessita'  insorte  negli  operatori  nel  primissimo
periodo  di  vigenza  della legge n. 40 del 2004) la sufficienza e la
piena  operativita'  della  disciplina  sull'interruzione  volontaria
della gravidanza, sia nell'ipotesi di gravidanza plurima iniziata per
via  naturale  sia  nell'ipotesi  di  gravidanza  plurima  iniziata a
seguito di PMA.
   Deve  quindi,  di  conseguenza,  sollevarsi d'ufficio questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 14, comma 4, della legge n. 40
del  2004,  per  contrasto  con  gli  artt.  2,  3,  13  e  32  della
Costituzione.
   Sorge,  infine,  una,  mai superflua, considerazione di fondo (che
scaturisce  anche da una precisa disposizione normativa - quale e' il
divieto di ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni,
di  cui  all'art. 13, comma 3, lett. b), della legge n. 40 del 2004 -
che,  per  ovvie  ed  intuibili  ragioni  non  costituisce oggetto di
richiesta  di  censura  costituzionale da parte di questo giudice, ma
che pur fa, per cosi' dire, «sistema» nell'impianto complessivo della
legge)  se non si corra cioe' il rischio di una deriva eugenetica, in
particolare  di  una  «eugenetica negativa», intendendosi tale quella
volta  a  far  si'  che  non  nascano  persone portatrici di malattie
ereditarie  e  non  gia'  a perseguire scopi di «miglioramento» della
specie umana.
   La  tematica,  in  giurisprudenza,  non e' ovviamente nuova. Su di
essa   ha   apertis   verbis   argomentato  Tribunale  amministrativo
regionaleLazio,  9 maggio 2005, n. 3452 (in Foro It., 2005, III, 518:
trattasi della prima delle pronunce rese nell'ambito della vicenda in
cui  e'  stata  poi  pronunciata  la  citata Tribunale amministrativo
regionaleLazio n. 398/2008, quest'ultima a sua volta resa dopo che il
Consiglio  di  Stato,  accogliendo l'appello per ragioni di carattere
processuale  avverso la prima pronuncia, ha, con sua sentenza sez. V,
19  dicembre  2006-28  marzo  2007, n. 1437, disposto la restituzione
degli atti al giudice di prima istanza).
   Altro,  e  non meno importante, dubbio e' se davvero coppie al cui
interno  non  vi  sia sterilita' o infertilita', ma che siano a forte
rischio  di  trasmissibilita'  di  malattie  genetiche, non vengano a
ricevere,  per il fatto di non poter ricorrere a PMA e nell'ambito di
essa  a  diagnosi  di  preimpianto  e  a  selezione  embrionaria,  un
trattamento  deteriore  rispetto  a coppie, sempre a forte rischio di
trasmissibilita'  di  malattie  genetiche  ma  al  cui interno vi sia
sterilita'  o  infertilita',  che  invece, ove accolte le prospettate
questioni  di  legittimita'  costituzionale,  a  tutto  quanto  sopra
potrebbero ricorrere.
   Appare  essere  proprio questa una delle disparita' di trattamento
che  i  quesiti referendari, coinvolgenti anche gli artt. 1 e 4 della
legge  n. 40  del 2004 e giudicati ammissibili con le citate sentenze
della  Corte  cost., 28 gennaio 2005, nn. 47 e 48 (che hanno peraltro
escluso  ogni contrarieta' dell'assetto che si intendeva ottenere con
l'abrogazione  referendaria con i principi posti dalla convenzione di
Oviedo  del  4  aprile  1997  e  con il protocollo addizionale del 12
gennaio  1998,  n. 168,  sul divieto di donazione di esseri umani, di
cui e' stata autorizzata la ratifica nel nostro ordinamento con legge
28 marzo 2001, n. 145), intendevano colmare.
   Occorre  tuttavia  pur  sempre  rilevare  come, data prevalenza al
diritto   alla  salute  della  donna  su  ogni  possibile  situazione
soggettiva  dell'embrione, quello della «eugenetica negativa» finisce
con  l'essere un falso problema, che viene a non essere risolto, anzi
viene  ad  essere  aggravato  dalla  costrizione  della  donna,  gia'
sottoposta  a  stimolazione  ovarica  e  ad intervento di impianto, a
ricorrere  poi ad interruzione, volontaria o meno che essa sia, della
gravidanza.
   E seppure voglia ritenersi, per usare una espressione di Tribunale
amministrativo regionaleLazio, 9 maggio 2005, n. 3452, cit., come «la
salute  psichica  della  madre  possa  essere compromessa anche dalla
consapevolezza della malattia del figlio» (madre che in altri termini
verserebbe  in  una  tipica  situazione di accettazione del rischio),
v'e'  tuttavia  da  chiedersi  (come e' piu' che evidente nel caso di
specie)  se sia in via generale proprio vero (o quanto meno se sia un
principio  di  civilta'  umana, prima che giuridica) che la difficile
esperienza  della  malattia  debba  a tutti i costi risolversi in una
forma  di  infelicita'  o se invece l'«eugenetica negativa» altro non
sia,  per  chi  versa  nella  situazione  come  quella dei ricorrenti
(oggettivamente   diversa  rispetto  a  quella  delle  coppie  i  cui
componenti  godono di buona salute), che uno di quei mezzi attraverso
i  quali,  proprio  secondo  quanto solennemente sancito dall'art. 3,
comma  2,  Cost.,  debba  essere  rimosso  uno fra quegli ostacoli di
ordine  sociale,  che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
   Quanto  infine  al  timore di disparita' di trattamento fra coppie
portatrici  di  malattie geneticamente trasmissibili, a seconda cioe'
se  in  esse  vi  sia  o  meno sterilita' o infertilita', piu' che il
ricorso  al brocardo adducere inconveniens non est solvere argumentum
puo'  essere  di  utilita'  il  semplice  richiamo  al  rispetto  del
principio  di  rilevanza  della  questione,  che,  pur costituendo un
oggettivo limite al controllo di costituzionalita' delle leggi per il
nostro  ordinamento,  non  ha  certamente  impedito a quest'ultimo il
raggiungimento,  nelle occasioni, nei tempi e nei modi consentiti, di
sempre piu' alti livelli di civilta' giuridica.