Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 108, primo
comma,  della  legge  24  novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema
penale),  promosso con ordinanza del 17 gennaio 2007 dal Tribunale di
sorveglianza  di  Bari nel procedimento di sorveglianza relativo a V.
G., iscritta al n. 413 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 23,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio del 5 novembre 2008 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
   Ritenuto   che   il   Tribunale   di  sorveglianza  di  Bari,  nel
procedimento  a carico di V. G., con ordinanza del 17 gennaio 2007 ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
all'art.  27,  terzo  comma, della Costituzione, dell'art. 108, primo
comma,  della  legge  24  novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema
penale),  nella  parte in cui non prevede che la frazione di liberta'
controllata  non  ancora  eseguita  possa  essere  convertita in pena
detentiva nel caso in cui si accerti una condotta del condannato che,
pur   non  costituendo  una  diretta  violazione  delle  prescrizioni
impartite   con   il   provvedimento  di  conversione,  sia  comunque
chiaramente  contraria  alle  finalita'  rieducative  e trattamentali
previste;
     che  il  rimettente  premette,  in  fatto,  che il magistrato di
sorveglianza  di  Bari  con  ordinanza  del  9  marzo 2000, dopo aver
accertato  lo stato d'insolvenza di V. G., ha disposto la conversione
dell'originaria  pena  pecuniaria di lire 32.000.000, inflittagli dal
Tribunale  di Brindisi con sentenza del 5 ottobre 1992, in 427 giorni
di liberta' controllata;
     che  il  provvedimento  di  conversione  contiene, tra le altre,
anche la prescrizione della sospensione della patente di guida per la
durata della liberta' controllata;
     che   il   condannato,   durante   l'esecuzione  della  liberta'
controllata,  e' stato sorpreso alla guida di un'autovettura, benche'
avesse  la  patente  sospesa  e,  inoltre, per ben tre volte e' stato
segnalato in compagnia di noti pregiudicati;
     che  il  magistrato  di sorveglianza, dopo aver provvisoriamente
sospeso   con   effetto   immediato   l'esecuzione   della   liberta'
controllata,  ha  trasmesso gli atti al Tribunale di sorveglianza con
proposta  di  conversione della parte residua di liberta' controllata
in  uguale  periodo  di detenzione ai sensi dell'art. 108 della legge
n. 689 del 1981;
     che,  a  parere  del  Tribunale  di  sorveglianza,  la questione
sollevata e' rilevante perche' un'unica violazione delle prescrizioni
impartite   con  il  provvedimento  di  applicazione  della  liberta'
controllata  non potrebbe determinare, ai sensi della norma censurata
(art. 108 della legge n. 689 del 1981), la conversione della parte di
liberta'   controllata   ineseguita   in   pena   detentiva,  essendo
necessaria,  invece,  una  pluralita'  di  violazioni da cui si possa
desumere  che  il  condannato  non  voglia  osservare le prescrizioni
medesime;
     che,  quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il rimettente
evidenzia  che  il  principio  finalistico  di  cui  al  terzo  comma
dell'art.  27  Cost.,  secondo  il  quale le pene devono tendere alla
rieducazione del reo, connota tanto l'esecuzione delle pene detentive
quanto di quelle pecuniarie;
     che, inoltre, per rieducazione deve intendersi l'avvio, da parte
della   persona   condannata,   di  un  serio  ed  efficace  percorso
finalizzato   alla   rivisitazione   critica   dei   reati  commessi,
all'abbandono  di mentalita' e prassi criminogene, all'allontanamento
dagli  ambienti  delinquenziali  frequentati,  alla  interruzione dei
legami   con   persone   dedite   alla  commissione  di  reati,  alla
riabilitazione  e  recupero  dalla dipendenza da sostanze vietate e/o
dannose, all'inclusione ed integrazione sociale e familiare;
     che,  fatta  questa  premessa,  il  Tribunale rimettente osserva
come,  nel  caso  al  suo  esame, il condannato, a fronte di un'unica
violazione  delle  prescrizioni  impartite,  abbia  posto  in  essere
numerose altre condotte che, pur non implicando alcuna violazione del
provvedimento   di  conversione,  sono  comunque  sintomatiche  della
persistente volonta' di continuare ad avere rapporti con pregiudicati
e contesti criminali e di non avviare alcun reale e serio percorso di
rivisitazione critica in ordine ai reati commessi;
     che,  per  questo  motivo, secondo il giudice a quo, l'art. 108,
primo comma, legge n. 689 del 1981, interpretato, a suo avviso, dalla
giurisprudenza  di  legittimita' nel senso che la conversione in pena
detentiva  sia  possibile  solamente se si accerti che il soggetto in
liberta'  controllata  abbia violato ripetutamente le prescrizioni ed
abbia  cosi'  dimostrato,  per  facta  concludentia,  di  non  essere
disposto  ad  osservarle  (e' citata Cassazione, sentenza n. 3754 del
1998),  violerebbe  il  principio  finalistico della rieducazione del
condannato di cui all'art. 27 Cost.;
     che   il   Tribunale   rimettente   lamenta,   in   particolare,
l'impossibilita'  di  valorizzare  quei  comportamenti  che,  pur non
concretandosi  in violazioni delle prescrizioni, appaiono chiaramente
sintomatici  della  volonta'  del soggetto in liberta' controllata di
non  intraprendere  con  serieta'  un  percorso autenticamente teso a
riconsiderare  i reati perpetrati, ad abbandonare prassi criminogene,
ad  allontanarsi  da circuiti e contesti delinquenziali, a tagliare i
rapporti  con  persone  dedite  al  reato,  a  conseguire un'adeguata
inclusione sociale;
     che  e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione infondata;
     che,   a   parere  dell'Avvocatura  dello  Stato,  la  questione
sollevata e' frutto di un'errata impostazione di principio, in quanto
la  disciplina  posta  a  raffronto  con  quella censurata (artt. 51,
51-ter  e  53-bis  della  legge 26 luglio 1975, n. 354 recante «Norme
sull'ordinamento   penitenziario   e   sull'esecuzione  delle  misure
privative  e  limitative della liberta'») attiene alla concessione di
un  «beneficio»  penitenziario in sostituzione di una pena detentiva,
mentre  la  liberta'  controllata «che viene disposta direttamente in
sentenza,  afferisce  ad un sistema sanzionatorio che, pur prevedendo
in astratto una scelta secca tra pena detentiva e pena pecuniaria, in
concreto  consente  l'irrogazione di pene di specie diversa: liberta'
controllata, lavoro sostitutivo»;
     che  la  previsione  di esclusioni oggettive e soggettive per la
sostituzione  servirebbe,  secondo  l'Avvocatura,  a  «soddisfare  in
concreto  quelle  esigenze  di prevenzione generale o speciale che il
legislatore  normalmente  si  prefigge  nel  comminare  una  sanzione
detentiva in astratto»;
     che,  in  tal  modo,  il  legislatore  vuole  assicurare  che le
sostituzioni  avvengano non solo per pene detentive «brevi», ma anche
per  categorie  di reati non particolarmente gravi e nei confronti di
soggetti connotati da non particolare pericolosita';
     che,  pertanto,  l'Avvocatura,  pur rimarcando che il rimettente
non   lamenta   l'irragionevolezza  della  norma  per  disparita'  di
trattamento  tra  pena detentiva e liberta' controllata, conclude che
qualsiasi  paragone  tra  la liberta' controllata e analoghi istituti
penitenziari e' incongruo;
     che,  inoltre,  la difesa governativa propone un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della  norma  censurata, nel senso che
«mentre  gli  obblighi  generali imposti dall'art. 56 della l. n. 689
del  1981  sono  tipici  e discendono dalla legge, il contenuto delle
prescrizioni che possono accedere alla liberta' controllata, ai sensi
dell'art.  62  potrebbe  essere  "atipico"  ed aggiuntivo rispetto ai
primi,    con    funzione    "individualizzante"    del   trattamento
sanzionatorio,   come   sembrerebbe   suggerire  anche  il  richiamo,
contenuto  nell'ultimo  comma  dell'art.  56,  ai servizi sociali con
finalita' di favorire il reinserimento sociale»;
     che,   in   virtu'  di  tale  interpretazione,  le  prescrizioni
potrebbero   essere   liberamente   stabilite   dal   magistrato   di
sorveglianza  e  modificate in corso di esecuzione ai sensi dell'art.
64,  in  modo  da  vietare  tutte  quelle  condotte (come frequentare
pregiudicati   o   determinati  luoghi  di  ritrovo)  che  potrebbero
ostacolare il percorso di reinserimento sociale;
     che, in tal modo, nulla vieterebbe al magistrato di sorveglianza
di  impostare  il  sistema  delle  prescrizioni  in  modo tale che la
condotta   del   soggetto,   che   sia   «contraria   alle  finalita'
rieducative»,   concretizzi   una   violazione   delle   prescrizioni
impartite,   con   conseguente  possibilita'  di  sostituzione  della
liberta' controllata con pena detentiva.
   Considerato  che il Tribunale di sorveglianza di Bari dubita della
legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 27, terzo comma,
della  Costituzione,  dell'art.  108,  primo  comma,  della  legge 24
novembre  1981,  n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in
cui  non  prevede  che la frazione di liberta' controllata non ancora
eseguita possa essere convertita in pena detentiva nel caso in cui si
accerti  una  condotta  del  condannato  che, pur non costituendo una
diretta  violazione delle prescrizioni impartite con il provvedimento
di  conversione,  sia  comunque  chiaramente contraria alle finalita'
rieducative e trattamentali previste;
     che,  ad avviso del rimettente, la norma censurata, interpretata
dalla  giurisprudenza di legittimita' nel senso che la conversione in
pena  detentiva  sarebbe  possibile  solamente  se  si accerti che il
soggetto  in  liberta'  controllata  abbia  violato  ripetutamente le
prescrizioni  ed  abbia  cosi' dimostrato, per facta concludentia, di
non  essere  disposto ad osservarle (cosi' come affermato dalla Corte
di cassazione con sentenza n. 3754 del 16 luglio 1998), violerebbe il
principio  finalistico  della  rieducazione  del  condannato  di  cui
all'art. 27 Cost.;
     che,  in  particolare, il giudice a quo lamenta l'impossibilita'
di  valorizzare  quei  comportamenti  che,  pur  non concretandosi in
violazioni delle prescrizioni, appaiono chiaramente sintomatici della
volonta'  del  soggetto  in liberta' controllata di non intraprendere
con  serieta' un percorso autenticamente teso a riconsiderare i reati
perpetrati,  ad  abbandonare  prassi  criminogene, ad allontanarsi da
circuiti e contesti delinquenziali, a tagliare i rapporti con persone
dedite al reato, a conseguire un'adeguata inclusione sociale;
     che la questione cosi' prospettata e' manifestamente infondata;
     che,  invero,  il  giudice  a quo muove dall'erroneo presupposto
interpretativo  secondo  il  quale  la  violazione  di una sola delle
prescrizioni   impartite   con  il  provvedimento  applicativo  della
liberta'  controllata  non  e'  condizione  sufficiente ai fini della
conversione   in   detenzione   della   parte  restante  di  liberta'
controllata non ancora eseguita;
     che, al contrario, l'art. 108, primo comma, testualmente dispone
che  «Quando  e'  violata  anche solo una delle prescrizioni inerenti
alla  liberta'  controllata,  ivi  comprese quelle inerenti al lavoro
sostitutivo,  conseguenti  alla  conversione  di  pene pecuniarie, la
parte  di  liberta'  controllata  o  di lavoro sostitutivo non ancora
eseguita si converte in un uguale periodo di reclusione o di arresto,
a   seconda   della  specie  della  pena  pecuniaria  originariamente
inflitta»;
     che  nell'applicazione  concreta della suddetta disposizione, al
pari  di  quella  analoga  di  cui all'art. 66 della legge n. 689 del
1981,  era  sorto  un contrasto in giurisprudenza circa l'automatismo
della  conversione,  ovvero se al verificarsi della violazione (anche
di  una  sola) delle prescrizioni inerenti la liberta' controllata si
dovesse  procedere  automaticamente  alla conversione, non residuando
alcun  margine  di discrezionalita' per il giudice di sorveglianza, o
se,  viceversa,  questi  dovesse  valutare  anche  la  gravita' della
violazione  e l'ulteriore condotta del condannato quali indici di una
inidoneita' della sanzione ad assicurarne il reinserimento;
     che,   in   tale  situazione  di  contrasto  interpretativo,  e'
intervenuta  questa  Corte, la quale, con sentenza di non fondatezza,
nei  sensi  di  cui in motivazione, ha affermato che «tra la condotta
che  si discosta dal prescrizionale e l'accertamento della violazione
che   la  norma  postula,  intercorre,  [...]  il  necessario  potere
delibativo  che  il  giudice  e'  chiamato a esercitare, in funzione,
anche  e  soprattutto,  del  principio  enunciato dall'art. 27, terzo
comma,  della Costituzione. In tale prospettiva, allora, ci si avvede
agevolmente  che,  essendo  la conversione delle sanzioni sostitutive
normativamente  riguardata come il riconoscimento della inadeguatezza
delle  sanzioni  medesime a perseguire la funzione rieducativa che e'
loro  propria,  il comportamento del condannato che abbia trasgredito
"anche solo una delle prescrizioni" deve presentare connotazioni tali
da  costituire elemento sintomatico di quella inadeguatezza, cosi' da
assegnare  al  sistema  la  necessaria  flessibilita' e coerenza che,
sola,  puo'  dirsi  rispondente alle reali finalita' dell'istituto ed
all'invocato precetto costituzionale» (sentenza n. 199 del 1992);
     che,  dunque,  e'  pacifico  che  l'art. 108, primo comma, della
legge  n. 689  del 1981, non richiede, ai fini della conversione, una
plurima  violazione  delle prescrizioni, essendo, invece, sufficiente
che  risulti violata «anche solo una delle prescrizioni inerenti alla
semidetenzione  o alla liberta' controllata», gravando sul giudice un
onere  di  motivazione  sul  perche'  ritiene di dover procedere alla
conversione in presenza di una sola violazione;
     che,  pertanto,  allorche' si e' in presenza della violazione di
almeno  una delle prescrizioni tipiche impartite con il provvedimento
di   applicazione  della  liberta'  controllata,  il  giudice  potra'
comunque  procedere  alla  conversione,  valorizzando  o  la gravita'
oggettiva del comportamento violativo della prescrizione ovvero altre
circostanze sintomatiche di una mancata volonta' di reinserimento del
condannato,   come,   ad   esempio,   l'assidua   frequentazione   di
pregiudicati.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.