IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza sulle eccezioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 7, legge n. 124/2008 (disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato), dedotte dal p.m.; Sentiti le parti civili ed i difensori degli imputati; O s s e r v a La prospettata questione di costituzionalita' e' in primo luogo rilevante in quanto e' in corso di svolgimento davanti a questo Tribunale il processo penale indicato in epigrafe a carico di vari imputati, tra i quali l'attuale Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi per fatti antecedenti all'assunzione della carica. Con l'entrata in vigore della legge della cui conformita' alle norme costituzionali si dubita, il Tribunale si trova infatti nell'alternativa di dichiarare la sospensione del processo a carico di Silvio Berlusconi ovvero - nel caso di non manifesta infondatezza delle eccezioni - di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale. Cio' posto, va rilevato che la normativa in esame trova un precedente nella legge 20 giugno 2003, n. 140, che e' stata dichiarata incostituzionale con sentenza del 20 gennaio 2004, n. 24, la quale, ritenuto assorbito ogni altro profilo di incostituzionalita', ha accolto la questione in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. La Corte, in tale pronuncia, premesso che l'istituto della sospensione del processo penale non e' soggetto a una disciplina generale ma e' costituito da ipotesi che «soddisfano esigenze del processo e sono finalizzate a realizzare le condizioni perche' esso abbia svolgimento ed esito regolari», e dunque «e' funzionale al suo regolare proseguimento», non esclude che il legislatore possa prevedere altre ipotesi di sospensione «finalizzate anche alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali, precisando pero' che cio' implica la necessita' di identificare i presupposti di tali sospensioni e le finalita' perseguite, eterogenee rispetto a quelle proprie del processo». La sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche - conclude sul punto la Corte - mira a proteggere lo svolgimento sereno della rilevante funzione da esse svolta. Si tratta di un interesse apprezabile, eterogeneo rispetto al processo, che puo' essere protetto «in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto». Ma proprio da questa premessa della Corte emerge, con tranquillizzante evidenza, che disposizioni normative riguardanti le prerogative, l'attivita' e quant'altro di organi costituzionali richiedono il procedimento di revisione costituzionale. E cio' in quanto la circostanza che l'attivita' di detti organi sia disciplinata tramite la previsione di un'ipotesi di sospensione del processo penale, non esclude che in realta' essa riguardi non gia' il regolare funzionamento del processo, bensi' le prerogative di organi costituzionali e comunque materie gia' riservate dal legislatore costituente alla Costituzione. L'intervento legislativo incide, infatti, su plurimi ulteriori interessi di rango costituzionale quali la ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e l'obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112 Cost.), comunque vulnerata seppur non integralmente compromessa, per cui il loro bilanciamento deve necessariamente avvenire con norma costituzionale. Ed invero, come ha correttamente sottolineato il p.m., gia' nella fase costituente, prima in sede di commissione, poi in fase assembleare (esame dell'emendamento Bettiol nella seduta del 24 ottobre 1947), si pose il problema dell'eventuale non perseguibilita' per reati extrafunzionali nei confronti del (solo) Presidente della Repubblica. L'assemblea, nell'occasione, pervenne ad una conclusione negativa, mostrando, tuttavia, inequivocabilmente che la norma, ove fosse stata introdotta, avrebbe dovuto esserlo nella Carta costituzionale. La circostanza che, nella specie, si trattava di limitazione dell'azione penale piu' pregnante di quell'attuale non rileva sulla necessita' di disciplinare la materia mediante norma costituzionale. In sostanza, la categoria giuridica prescelta per il raggiungimento dello scopo perseguito e' assolutamente irrilevante ai fini che qui interessano, posto che non puo' essere messo in dubbio che si tratta in ogni caso di materia riservata, ex art. 138 Cost., al legislatore costituente, cosi' come dimostrato dalla circostanza che tutti i rapporti tra gli organi con rilevanza costituzionale ed il processo penale sono definiti con norma costituzionale. Ne' il rilievo che precede appare smentito dalla decisione n. 148/83 della Corte costituzionale in tema di prerogative dei componenti del C.S.M., relativamente alla previsione con legge ordinaria (art. 5, legge n. 1/1981) della causa di non punibilita' ivi prevista. Afferma, infatti, la Corte: «certo rimane il fatto che la scriminante in esame non e stata configurata dalla Carta costituzionale, bensi' da una legge ordinaria ed appena nel gennaio 1981, a molti anni dall'entrata in funzione del Consiglio Superiore della magistratura». La Corte, cosi' dicendo, mostra di ritenere normalmente necessaria una legge costituzionale laddove si intervenga su organi costituzionali, tanto e' vero che nel superare la questione non afferma affatto il principio della sufficienza della legge ordinaria in similari situazioni, ma perviene alla conclusione di legittimita' costituzionale sulla base di un complesso ragionamento che in sostanza giustifica il ricorso alla legge ordinaria con la ritardata sistemazione e collocazione della disciplina del C.S.M. Proprio la decisione in esame, quindi, lungi dall'autorizzare il ricorso alla legge ordinaria nelle fattispecie di cui trattasi, implicitamente afferma che questa materia deve essere trattata con legge costituzionale. Solo per completezza va evidenziato che, nella specie, si era comunque in presenza di una scriminante che ricalca cause di giustificazione generalissime quali l'esercizio di un diritto e/o l'adempimento di un dovere, per cui, di fatto, non veniva ad essere disciplinato l'ambito delle prerogative di un organo costituzionale. Ne' ai rilievi che precedono vale ancora obiettare che la Corte, nella citata sentenza n. 24/2004, non ha rilevato il contrasto del c.d. «Lodo Maccanico-Schifani» con l'art. 138 Cost. Si deduce al riguardo che la Corte avrebbe implicitamente rigettato tale profilo, in quanto, siccome pregiudiziale rispetto ad ogni altra questione, avrebbe dovuto necessariamente dichiararlo, ove lo avesse ritenuto. Una tale conclusione si fonda sulla considerazione che la Corte aveva espressamente sottolineato che la violazione dell'art. 138 Cost., pur non essendo stata indicata dal tribunale nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione, era stata ripetutamente dedotta nel corso di tutto l'iter argomentativo del provvedimento. La tesi non appare condivisibile: ed invero nella specie non esiste alcuna pregiudizialita' tecnico-giuridica e nemmeno essa e' deducibile dalla complessiva motivazione della sentenza, in quanto la Corte, nell'accogliere la questione di legittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dichiara espressamente «assorbito ogni altro profilo di illegittimita' costituzionale», lasciando cosi' intendere che, in via gradata, sarebbero state prospettabili altre questioni. Di conseguenza, la circostanza che la Corte si sia fermata all'accoglimento delle censure di legittimita' della legge attinenti ai principi supremi e ai valori fondanti, quali quello di uguaglianza e di tutela giurisdizionale dei diritti, ritenendo assorbito ogni altro profilo di legittimita', non autorizza l'interprete a dedurne che sia stato esaminato e disatteso il profilo attinente la violazione dell'art. 138 Cost. In ogni caso questa asserita decisione implicita, sull'errato presupposto dell'esistenza di una pregiudizialita' atecnica, peraltro all'interno di una pronuncia di accoglimento, all'evidenza non rende manifestamente infondata la questione di legittimita' come sopra prospettata. Ne' a diverse conclusioni possono condurre le note del Quirinale del 2 e del 23 luglio 2008, posto che le prerogative che si ritengono attribuite al Capo dello Stato in sede di autorizzazione alla presentazione alle Camere di un disegno di legge e in sede di promulgazione comportano un controllo diverso rispetto a quello demandato al giudice ordinario prima ed alla Corte costituzionale poi. Difatti, nelle stesse citate note del Quirinale, si legge che al Presidente della Repubblica compete esclusivamente «un primo esame», valutazione questa di contenuto ben diverso da quella rimessa al giudizio di costituzionalita'. Deve, quindi, ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 1, commi 1 e 7, della legge 23 luglio 2008, n. 124, per violazione dell'art. 138 Cost. Sussistono peraltro ulteriori profili di non manifesta infondatezza di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 7, della legge n. 124/2008. Ed invero, la legge n. 124/2008, pur avendo eliminato alcuni punti gia' censurati dalla Corte ed in particolare l'indeterminatezza del periodo di sospensione con l'esclusione della reiterabilita' della stessa in caso di nuovo incarico istituzionale (comma 5), e pur garantendo il diritto al processo sia all'imputato che alla parte civile (comma 2 e 6), incorre nuovamente nella illegittimita' costituzionale, gia' ritenuta dalla Corte sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost. Al riguardo la Corte aveva infatti dichiarato che la norma censurata violava l'art. 3 Cost. per aver accomunato «in una unica disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni», ed inoltre per aver distinto irragionevolmente e «per la prima volta sotto il profilo della parita' riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri ... rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti». La norma in esame, avendo riproposto la medesima disciplina sul punto, appare violare, quindi, la previsione di cui all'art. 136 della Costituzione, interpretato cosi' come ritenuto dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 922/1988, non potendosi ritenere sufficiente ad eliminare la censura di illegittimita' gia' dichiarata la sola non reiterazione della inclusione tra le alte cariche del Presidente della Corte costituzionale. Deve, quindi, ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 1, commi 1 e 7, della legge 23 luglio 2008, n. 124, anche per violazione dell'art. 136 Cost.