IL TRIBUNALE
   Nel  procedimento  penale  a  carico di: 1) Mills Mackenzie Donald
David  nato a Oxted (GB) il 31 maggio 1944; 2) Berlusconi Silvio nato
a  Milano  (I)  il  29 settembre 1936, imputati del reato di cui agli
artt.  110,  319,  319-ter  e  321  c.p., contestato come commesso in
Milano,  Londra,  Ginevra,  Gibilterra  e altrove fino al 29 febbraio
2000;
   Sull'eccezione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. l della
legge  23  luglio 2008, n.124, intitolata «Disposizioni in materia di
sospensione  del  processo  penale  nei  confronti delle alte cariche
dello  Stato»,  sollevata  dal p.m. all'udienza del 27 settembre 2008
per contrasto con gli artt. 3, 112, 136 e 138 della Costituzione;
   Sentite la parte civile Presidenza del Consiglio dei ministri (che
si  e'  rimessa  alle  valutazioni  del  Tribunale) e le difese degli
imputati (che si sono opposte), pronuncia la seguente ordinanza.
   La rilevanza della questione posta e' di assoluta evidenza.
   Infatti  nel  presente  procedimento  Silvio  Berlusconi,  attuale
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  e'  imputato,  come  gia'
riportato  in premessa, del reato di cui agli artt. 110, 319, 319-ter
e  321  c.p.  in  concorso con Donald David Mills Mackenzie per fatti
commessi,  secondo l'ipotesi accusatoria, in Milano, Londra, Ginevra,
Gibilterra e altrove fino al 29 febbraio 2000.
   La  legge  23  luglio 2008, n. 124, che prevede la sospensione dei
processi  penali,  anche  per  fatti  antecedenti  l'assunzione della
carica,  nei  confronti,  fra gli altri, del Presidente del Consiglio
dei ministri, comporterebbe dunque una declaratoria di sospensione.
   Non  puo'  pertanto  che  esser  riconosciuta  la  rilevanza della
questione posta.
   Nel  caso  concreto tale rilevanza assume particolari connotati in
relazione  al  complesso  andamento  ed  allo  stato cui e' giunto il
processo,  che  pertanto  va  qui  sommariamente  descritto,  per  le
necessarie  valutazioni  in  tema di non manifesta infondatezza della
questione, come meglio si vedra' nel prosieguo.
   L'istruttoria  dibattimentale  (scandita  dalla  effettuazione  di
numerose  rogatorie  e  dalla  risoluzione di molteplici questioni ed
eccezioni  sollevate dalle parti) e' iniziata il 18 maggio 2007, dopo
sei  lunghe  udienze  dedicate  alla  trattazione  e  decisione delle
questioni  preliminari,  alle  richieste di prova ed alle conseguenti
determinazioni.
   In  Italia  si  sono  potuti  esaminare  soltanto  i  testi  Paolo
Marcucci,  Marina  Mahler,  Flavio Briatore (dopo plurimi tentativi),
Diego  Attanasio (appositamente qui giunto, due volte, dall'estero) e
Livio  Gironi  (imputato  di  reato connesso, che si e' avvalso della
facolta'  di  non rispondere), oltre naturalmente ai consulenti delle
parti.
   Sono  stati  sentiti  da  questo collegio in videoconferenza dalla
Confederazione Elvetica i testimoni Pierre Amman e Antonio Mattiello;
in  videoconferenza  da Londra il testimone Benjamin Marrache, la cui
citazione era stata inutilmente tentata per lunghi mesi anche per via
rogatoriale  nel  Regno  Unito (ove il teste non si era in precedenza
recato),  a  Gibilterra  (ove  il  teste  risiede ed ove non e' stata
accolta  la  richiesta  di  rogatoria)  ed in Spagna (ove l'Autorita'
giudiziaria non ha potuto notificare la citazione).
   Per  esaminare  i  testimoni  Heimo  Quaderer,  Maria  De  Fusco e
l'imputato  di reato connesso Paolo Del Bue il Tribunale si e' dovuto
recare  rispettivamente  a  Vaduz,  Berna  e  Lugano; per esaminare i
testimoni Robert Drennan, David Barker, Andrew Costard, Jeremy Scott,
Virginia Rylatt, Sue Mullins, Nadia Ignatius e Tanya Maynard Ghazvini
il Tribunale si e' dovuto recare a Londra.
   Le deposizioni di Marrache, Amman, Mattiello e De Fusco sono state
prontamente  trasmesse  a questa autorita' giudiziaria, non essendovi
stata alcuna opposizione.
   La  difesa Berlusconi si e' invece opposta alla trasmissione della
deposizione  del  teste  Quaderer,  avvenuta  il  9  luglio  2007:  i
relativi  atti  sono  qui pervenuti solo il 15 luglio 2008, a seguito
del rigetto, in prima e seconda istanza, di tale opposizione.
   Le  difese  si  sono  inoltre  opposte  alla  presenza in aula del
collegio  durante l'esame dei testi (sia del p.m. che propri) sentiti
a  Londra  nei  giorni dal 24 al 28 settembre 2007, in relazione alla
maggior  parte  delle  domande  che  venivano  agli  stessi poste. La
questione,  a  seguito dell'accoglimento della richiesta da parte del
giudice inglese, ha determinato una complessa vicenda, che qui non e'
necessario  ripercorrere,  sfociata  nell'acquisizione  del materiale
istruttorio,    trasmesso    su   supporto   informatico   da   parte
dell'Autorita'  britannica  il  9  novembre  2007  e  successivamente
trascritto.
   Paolo  Del  Bue  -  pur  essendosi solo parzialmente avvalso della
facolta'  di  non  rispondere - non ha acconsentito alla trasmissione
del  verbale  del  proprio  interrogatorio,  ad  oggi non pervenuto a
questo tribunale.
   All'ultima  udienza  del 19 luglio 2008 antecedente l'approvazione
della  legge  n. 124/2008,  e' stata in parte esaminata la consulente
Claudia Tavernari, indicata dalla difesa Berlusconi.
   Con  i  limiti qui indicati sono pertanto state acquisite tutte le
prove  documentali  ed  orali  ammesse  sulla  base  delle  richieste
iniziali  delle parti e di quelle suppletive avanzate a seguito della
modificazione dell'imputazione operata dal p.m. il 14 dicembre 2007.
   Cio'  detto,  la  trattazione della questione di costituzionalita'
posta esige, preventivamente, un breve excursus storico.
   Come  e'  noto, la legge 23 luglio 2008, n. 124, e' stata adottata
dopo  che  la  Corte  costituzionale,  con  sentenza  n. 24 del 13-20
gennaio   2004,   aveva  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art.  l, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140, intitolata
«Disposizioni  per  l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione,
nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei  confronti delle alte
cariche dello Stato».
   La  norma abrogata dalla Corte costituzionale, nell'individuare al
primo  comma  le alte cariche dello Stato nelle figure del Presidente
della  Repubblica,  del  Presidente  del Senato della Repubblica, del
Presidente  della  Camera  dei deputati, del Presidente del Consiglio
dei  ministri e del Presidente della Corte costituzionale, stabiliva:
«Dalla  data di entrata in vigore della presente legge» - e cioe' dal
22  giugno 2003 - «sono sospesi, nei confronti dei soggetti di cui al
comma  1  e  salvo  quanto  previsto  dagli  articoli  90  e 96 della
Costituzione, i processi penali in corso in ogni fase, stato o grado,
per  qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione
della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime».
   La  Corte  costituzionale,  con  la sentenza n. 24 del 2004, aveva
osservato:
     che  la natura e la funzione della norma consistevano, come ogni
altra  ipotesi  di  sospensione,  «nel temporaneo arresto del normale
svolgimento»  del  processo  penale e miravano «alla soddisfazione di
esigenze  extraprocessuali  ...  eterogenee rispetto a quelle proprie
del processo»;
     che il presupposto della sospensione era dato dalla «coincidenza
delle  condizioni  di imputato e di titolare di una delle cinque piu'
alte cariche dello Stato»;
     che  il  bene  che la misura intendeva tutelare andava ravvisato
«nell'assicurazione  del  sereno svolgimento delle rilevanti funzioni
che ineriscono a quelle cariche». Nel testo della sentenza, tale bene
veniva  definito  dapprima  come  «interesse  apprezzabile,  che puo'
essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di
diritto,   rispetto   al   cui  migliore  assetto  la  protezione  e'
strumentale»,   e  poi  come  espressione  dei  «fondamentali  valori
rispetto ai quali il legislatore ha ritenuto prevalente l'esigenza di
protezione della serenita' dello svolgimento delle attivita' connesse
alle cariche in questione»;
     che   proprio   «considerando   che  l'interesse  pubblico  allo
svolgimento  delle  attivita' connesse alle alte cariche comporti nel
contempo  un legittimo impedimento a comparire», il legislatore aveva
voluto stabilire «una presunzione assoluta di legittimo impedimento».
   La  Corte  aveva  ravvisato  profili  di incostituzionalita' della
norma  nel  fatto  che  la sospensione in esame, che per se' «crea un
regime  differenziato  riguardo all'esercizio della giurisdizione, in
particolare  di  quella  penale»,  fosse  «generale,  automatica e di
durata non determinata».
   Generale,  in  quanto  la  sospensione  concerneva «i processi per
imputazioni  relative  a  tutti  gli ipotizzabili reati, in qualunque
epoca  commessi,  che  siano  extrafunzionali,  cioe'  estranei  alle
attivita' inerenti alla carica».
   Automatica,  in  quanto la sospensione veniva disposta «in tutti i
casi  in  cui  la  suindicata  coincidenza» di imputato e titolare di
un'alta  carica  «si  verifichi,  senza  alcun  filtro, quale che sia
l'imputazione  ed  in  qualsiasi momento dell'iter processuale, senza
possibilita' di valutazione delle peculiarita' dei casi concreti».
   Di  durata non determinata, in quanto la sospensione, «predisposta
com'e'  alla  tutela  delle  importanti funzioni di cui si e' detto e
quindi  legata alla carica rivestita dall'imputato», subiva nella sua
durata  «gli  effetti della reiterabilita' degli incarichi e comunque
della possibilita' di investitura in altro tra i cinque indicati».
   In  particolare,  la  Corte  considerava che la norma per un verso
violava   il   diritto   di   difesa   previsto  dall'art.  24  della
Costituzione,  in  quanto  all'imputato  «e'  posta l'alternativa tra
continuare a svolgere l'alto incarico sotto il peso di un'imputazione
che,  in ipotesi, puo' concernere anche reati gravi e particolarmente
infamanti,   oppure  dimettersi  dalla  carica  ricoperta  alfine  di
ottenere,   con   la   continuazione   del  processo,  l'accertamento
giudiziale  che  egli  puo' ritenere a se' favorevole, rinunciando al
godimento   di  un  diritto  costituzionalmente  garantito  (art.  51
Cost.)».
   Per  altro  verso  la  norma  violava gli articoli 111 e 112 della
Costituzione:  «All'effettivita' dell'esercizio della giurisdizione»,
scriveva la Corte, «non sono indifferenti i tempi del processo. Ancor
prima  che  fosse  espressamente sancito in Costituzione il principio
della  sua ragionevole durata (art. 111, secondo comma), questa Corte
aveva  ritenuto  che una stasi del processo per un tempo indefinito e
indeterminabile vulnerasse il diritto di azione e di difesa (sentenza
n. 354  del  1996)  e  che  la  possibilita' di reiterate sospensioni
ledesse il bene costituzionale dell'efficienza del processo (sentenza
n. 353 del 1996)».
   Per   altro  verso,  ancora,  la  Corte  affermava  la  violazione
dell'art.  3  della  Costituzione,  rilevando che la norma da un lato
accomunava  in  un'unica disciplina «cariche diverse non soltanto per
le  fonti  di  investitura,  ma anche per la natura delle funzioni» e
dall'altro  distingueva,  «per  la prima volta sotto il profilo della
parita'  riguardo  ai  principi  fondamentali  della giurisdizione, i
Presidenti  delle  Camere,  del  Consiglio dei ministri e della Corte
costituzionale  rispetto  agli  altri componenti degli organi da loro
presieduti».  Ne'  tralasciava  la Corte l'ulteriore contrasto tra la
norma  e  l'art.  3 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1,
che  aveva  esteso  a  tutti  i giudici della Corte costituzionale il
godimento  dell'immunita'  accordata  nel  secondo comma dell'art. 68
della Costituzione ai membri delle due Camere.
   La  norma  che  ora si sottopone al vaglio del giudice delle leggi
dispone al primo comma che «salvi i casi previsti dagli articoli 90 e
96  della  Costituzione, i processi penali nei confronti dei soggetti
che   rivestono  la  qualita'  di  Presidente  della  Repubblica.  di
Presidente  del  Senato  della Repubblica, di Presidente della Camera
dei  deputati e di Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi
dalla  data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della
funzione.  La  sospensione  si  applica  anche ai processi penali per
fatti  antecedenti  l'assunzione  della  carica o della funzione»; al
secondo comma si stabilisce che «l'imputato o il suo difensore munito
di   procura   speciale   puo'   rinunciare   in  ogni  momento  alla
sospensione».
   Restano inalterate la previsione della sospensione del corso della
prescrizione   del  reato,  ex  art.  159  c.p.,  e  la  disposizione
concernente  l'applicabilita' della norma anche ai processi penali in
corso,  in  ogni fase, stato o grado, come gia' stabilito dalla legge
abrogata.
   Viene invece sancito:
     che  «la  sospensione  opera  per l'intera durata della carica o
della  funzione  e  non e' reiterabile, salvo il caso di nuova nomina
nel  corso  della  legislatura,  ne' si applica in caso di successiva
investitura in altra delle cariche o delle funzioni»;
     che, ove ne ricorrano i presupposti non e' impedita l'assunzione
di prove non rinviabili ai sensi degli artt. 392 e 467 c.p.p.;
     che  la parte civile puo' trasferire l'azione in sede civile, ed
in  questo  caso  il termine per comparire e' dimezzato e la causa ha
carattere prioritario.
   Ritiene  il  collegio  che  la  nuova normativa non corrisponda ai
parametri  indicati  dalla  Corte nella sentenza n. 24/2004 e che non
siano   pertanto   infondate   le   questioni   di  costituzionalita'
prospettate.
   Va in primo luogo sollevata la questione in relazione all'art. 138
della Costituzione.
   La  norma  in esame dispone l'automatica sospensione dei processi,
qualunque sia il titolo ed il tempo del reato commesso, in favore del
Presidente   della  Repubblica,  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  e  dei  Presidenti  della Camera e del Senato, per tutta la
durata del mandato conferito.
   La normativa sullo status dei titolari delle piu' alte istituzioni
della  Repubblica  e' in se' materia tipicamente costituzionale, e la
ragione   e'   evidente:   tutte   le  disposizioni  che  limitano  o
differiscono  nel  tempo  la  loro  responsabilita'  si pongono quali
eccezioni  rispetto al principio generale dell'uguaglianza di tutti i
cittadini   davanti   alla   legge  previsto  dall'articolo  3  della
Costituzione,  principio  fondante di uno Stato di diritto (questione
che si affrontera' piu' specificamente nel prosieguo).
   Dalla  dizione letterale della norma in esame emerge che la stessa
conferisce  una  garanzia  aggiuntiva  alle  piu'  alte cariche dello
Stato;  si  tratta  quindi  di valutare se il privilegio accordato in
deroga  alla  generale disciplina in vigore per tutti i cittadini sia
da  assimilare alle specifiche ed eccezionali garanzie previste nella
Carta  costituzionale  ed  in  leggi  costituzionali  in favore degli
organi  primari  a  tutela e salvaguardia delle funzioni dai medesimi
esercitate.
   Espressione  di  tali garanzie sono le previsioni normative di cui
agli  articoli  68, 90, 96 della Costituzione, nonche' l'art. 3 della
legge  costituzionale  9  febbraio  1948, n. 1 e l'art. 5 della legge
costituzionale  11 marzo 1953 n. 1, relative alle guarentigie proprie
del Presidente e dei giudici della Corte costituzionale.
   L'art.  68  al  primo  comma stabilisce l'immunita' dei membri del
Parlamento  per  le  opinioni  espresse  e i voti dati nell'esercizio
delle  loro  funzioni.  Al  secondo  e  al  terzo  comma  prevede uno
specifico  filtro,  costituito  dalla necessaria autorizzazione della
Camera  di  appartenenza,  per  la  sottoposizione del parlamentare a
perquisizioni    personali    e    domiciliari,   ad   attivita'   di
intercettazione e a sequestro di corrispondenza, a misure restrittive
della liberta' personale. Nessuna autorizzazione e' invece necessaria
in  caso  di esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna o di
arresto  in  flagranza  per reato per il quale sia previsto l'arresto
obbligatorio ex art. 380 c.p.p.
   L'articolo    90    della    Carta    costituzionale    stabilisce
l'irresponsabilita'  del  Capo  dello  Stato  per  gli  atti compiuti
nell'esercizio delle sue funzioni e prevede al secondo comma la messa
in  stato  di  accusa  del medesimo da parte del Parlamento in seduta
comune   per   i  reati  di  alto  tradimento  e  di  attentato  alla
Costituzione.
   L'articolo  96  della  Costituzione  prevede che il Presidente del
Consiglio  ed i ministri siano sottoposti per i reati c.d. funzionali
alla  giurisdizione  ordinaria,  previa  autorizzazione  di una delle
Camere  «secondo le norme stabilite con legge costituzionale». Questo
articolo, sostituito dalla legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1,
prevede  per  tabulas la riserva di costituzionalita' non solo quanto
alle   condizioni   di   procedibilita'   ma  anche  quanto  ai  modi
dell'esercizio della giurisdizione nei confronti di tali cariche.
   Assume  primaria  rilevanza  il  fatto  che  la  deroga  alla pari
efficacia  della  legge penale prevista dalle norme elencate riguardi
la  disciplina  procedimentale e sostanziale dei reati funzionali del
Presidente  della  Repubblica,  del  Presidente  del  Consiglio e dei
ministri,  ed  anche  dei  reati  c.d. extrafunzionali dei membri del
Parlamento.
   Cio'  significa  che  il  vigente  sistema  delle  guarentigie  e'
disciplinato  esclusivamente  da  norme di rango costituzionale; esso
naturalmente  non  costituisce  un  sistema chiuso, astrattamente non
modificabile  nei  tempo;  e' tuttavia di immediata evidenza che ogni
eventuale  modifica puo' essere introdotta soltanto con norme di pari
forza  adottate  secondo  la  procedura  prevista dall'art. 138 della
Costituzione.
   Il   principio   e'  stato  espressamente  affermato  dalla  Corte
costituzionale  con  la citata sentenza n. 24 del 2004 nella parte in
cui  statuisce  che  «all'origine  della  formazione  dello  Stato di
diritto  sta  il principio della parita' di trattamento rispetto alla
giurisdizione,  il  cui esercizio, nel nostro ordinamento, sotto piu'
profili e' regolato da precetti costituzionali».
   La  Corte evidenziava la necessita' di un equo contemperamento dei
contrapposti  interessi  dell'uguaglianza  della  giurisdizione e del
sereno   svolgimento   delle  altissime  funzioni  istituzionali,  da
intendersi  quale  regolare svolgimento delle predette funzioni, come
espressamente  scritto  nella  sentenza, che individua il citato bene
nell'«interesse  pubblico  allo  svolgimento delle attivita' connesse
alle  alte  cariche».  Non risulta infatti in alcun modo previsto dal
dettato  costituzionale  un  interesse  primario identificabile nella
serenita'  psicologica  della persona fisica che assume la carica; il
bene tutelabile non puo' quindi che essere espressione della pubblica
funzione  esercitata.  Deve  pertanto  affermarsi  che le guarentigie
concesse  a  chi  riveste  cariche istituzionali risultano funzionali
alla  protezione  delle  funzioni  apicali esercitate; ognuna di esse
costituisce  un  munus  publicum,  del tutto svincolato dalla persona
fisica,  come  tale esclusivamente inerente alla funzione esercitata.
Per  tale  motivo  appare  irragionevole la possibilita' di rinuncia,
oltretutto  non  irretrattabile, come meglio si vedra' nel prosieguo,
esaminando  i  profili di incostituzionalita' in relazione all'art. 3
della Costituzione.
   Tanto  premesso,  va  sottolineato che ogni intervento legislativo
che  modifichi  e  ridefinisca  le  funzioni  pubbliche e le speciali
garanzie   delle  maggiori  cariche  istituzionali  interferisce  con
l'architettura  ad  oggi  delineata  dalla Costituzione e dalle leggi
costituzionali   successivamente  emanate;  esso  deve  garantire  il
necessario  rispetto  dei principi fondamentali delineati dalla Carta
costituzionale,    e   in   primo   luogo   quello,   irrinunciabile,
dell'uguaglianza  dei  cittadini  di  fronte  alla legge; comporta il
necessario  bilanciamento  dei  molteplici  interessi  tutelati  e il
rispetto  dei  rapporti  di  equilibrio tra i poteri dello Stato (fra
essi  l'esercizio  dell'attivita' giurisdizionale e l'esercizio delle
funzioni legislative ed esecutive apicali).
   Osservano  le  difese  che  la natura temporanea della sospensione
prevista dalla legge in esame ne fa un mero istituto processuale, che
non incide ne' sul promovimento dell'azione penale ne' sull'esercizio
della  giurisdizione.  Come  gia'  osservato  dal Tribunale di Milano
(sezione I penale, ordinanza 26 settembre 2008), pero', «la categoria
giuridica  prescelta  per il raggiungimento dello scopo perseguito e'
assolutamente irrilevante ai fini che qui interessano», non potendosi
comunque  sottrarre  al bilanciamento di valori fondamentali, proprio
del  legislatore  costituzionale.  Tale  considerazione e' tanto piu'
pregnante ove si consideri che la sospensione opera per tutti i reati
comuni  commessi  prima dell'assunzione della carica e durante il suo
esercizio  e che la sua durata potrebbe in ipotesi, come previsto dal
comma  5 dell'articolo unico della legge, protrarsi per un tempo cosi
lungo   da   vanificare   nella   sostanza   il  concetto  stesso  di
«temporaneita'».
   In  altri  termini,  l'effetto  giuridico della norma e' quello di
introdurre  un'esenzione dalla giurisdizione prolungata nel tempo, di
fatto  della  stessa  natura  delle  immunita'  previste  dalle norme
costituzionali.
   I   principi   enunciati  appartengono  alla  storia  della  Carta
costituzionale, come si legge nei lavori dell'Assemblea costituente.
   Affermava la difesa che anche l'art. 32-bis della legge n. 195 del
1958,  aggiunto  dall'art. 5, legge 3 gennaio 1981, n. 1, concernente
la  non  punibilita'  dei  componenti  del  Consiglio superiore della
magistratura  per  le  opinioni  espresse  nell'esercizio  delle loro
funzioni,   era  stato  adottato  con  legge  ordinaria.  Osserva  il
tribunale  che,  a  voler  tutto concedere, la pretesa illegittimita'
costituzionale  di  una  diversa  disposizione  non potrebbe comunque
costituire  una  sorta  di  sanatoria  dei  profili di illegittimita'
costituzionale qui evidenziati.
   E'  stato  altresi'  affermato  dalle  difese  che  sono in vigore
immunita' frutto di previsioni normative attuate con leggi diverse da
quelle  costituzionali,  citando ad esempio quelle previste in favore
degli  appartenenti  ai Corpi diplomatici dei Paesi esteri. Sul punto
va  affermata  l'inconferenza  del  richiamo  operato, in ragione del
rilievo  costituzionale  attribuito  dall'art.  10 della Costituzione
alle   norme   del  diritto  internazionale,  anche  consuetudinarie,
generalmente   riconosciute:   la   compressione   del  principio  di
uguaglianza  e  del  diritto alla tutela giurisdizionale trova dunque
fondamento  nella  natura  primaria  della  norma  di  adattamento ai
Trattati internazionali cui aderisce l'Italia.
   La  questione  va poi esaminata in relazione agli artt. 3, 68, 96,
111 e 112 della Costituzione.
   Anche  per la presente legge vale quanto gia' la Corte considerava
nella  sentenza n. 24/2004 a proposito della legge n. 140/2003: cioe'
che  il  contenuto di tutte le disposizioni in argomento incide su un
valore  centrale  per  il  nostro  ordinamento  democratico, quale e'
l'uguaglianza  di  tutti  i  cittadini  davanti  all'esercizio  della
giurisdizione  penale;  esercizio  che, per l'appunto, gia' la citata
sentenza   n. 353   del   1996   collegava   strettamente   al  «bene
costituzionale  dell'efficienza del processo, qual e' enucleabile dai
principi  costituzionali  che  regolano  l'esercizio  della  funzione
giurisdizionale»; esercizio che, altresi', deve rispondere al «canone
fondamentale della razionalita' delle norme processuali».
   Non  v'e'  dubbio che la sospensione prevista sia dalla precedente
che   dalla   attuale   legge   viene   a   incidere   sul  principio
dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla giurisdizione penale. Non
solo: mentre prevede un meccanismo sospensivo del procedimento penale
riguardante  i  reati  extrafunzionali ascritti alle alte cariche, la
legge  (ordinaria)  lascia  salvi  i  precetti (costituzionali) degli
articoli 90 e 96, cosi' fin dall'inizio affermando, espressamente, di
voler  incidere,  con uno strumento diverso, sugli stessi presupposti
di'  cui  trattano  le  fonti massime dell'ordinamento, per le stesse
finalita',   e  con  la  sola  differenza  che  si  tratta  di  reati
extrafunzionali   e  non  di  reati  «commessi  nell'esercizio  delle
funzioni».
   Ma  la disuguaglianza che cosi' si crea e' evidente: dato atto che
il  bene  giuridico  considerato  dalla  legge  ordinaria, e cioe' il
regolare svolgimento delle funzioni apicali dello Stato, e' lo stesso
che  la  Costituzione  tutela  per il Presidente della Repubblica con
l'art.  90,  per  il  Presidente  del  Consiglio e per i ministri con
l'art.  96,  entrambi  fatti  salvi  nell'incipit della legge 124 del
2008, si osserva:
     che   l'art.   68   della   Costituzione  non  e'  menzionato  -
diversamente  dalla  espressa  previsione  contenuta nel titolo della
legge  n. 140/2003 - fra le norme costituzionali fatte salve. Poiche'
nessuna  norma  ordinaria  puo'  ovviamente prevalere su una norma di
rango  costituzionale,  ne  discende, in astratto, nel caso in cui il
soggetto  che  riveste  la  «alta  carica» sia membro del Parlamento,
l'obbligatorieta'  dell'arresto  in  flagranza  nelle  ipotesi di cui
all'art.   380  c.p.p.,  e  l'immediata  successiva  sospensione  del
procedimento;
     che  il medesimo bene giuridico viene tutelato con due tipologie
normative di grado diverso: circostanza, questa, che come si e' detto
mina  di  per  se' la scala gerarchica delle fonti del diritto e quel
primato  della  Costituzione  che  costituisce il nucleo fondamentale
dello Stato democratico;
     che  la  diversita'  dello strumento adottato - l'autorizzazione
del  Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, «secondo le
norme stabilite con legge costituzionale», per i reati funzionali del
Presidente  del  Consiglio  e dei ministri; la generale ed automatica
sospensione  del  procedimento  penale  per  i  reati extrafunzionali
ascritti al solo Presidente del Consiglio - comporta uno stridente ed
ineliminabile  contrasto  tra  la  norma  in  esame e l'art. 96 della
Costituzione.  Ne  deriva  l'assoluta  irragionevolezza  di una norma
ordinaria  che,  a  parita'  di  bene  tutelato,  formula per i reati
extrafunzionali  una  disciplina  ordinaria  diversa da quella voluta
dalla  Costituzione  per i reati funzionali. Ma se l'antico brocardo,
fondamento  del  principio di uguaglianza, esige che ubi eadem sia la
ratio,  ibi  eadem  sia  la  dispositio, davvero non si vede come una
disposizione  ordinaria diversa da quella costituzionale possa essere
introdotta  quando  la  Carta  costituzionale  stabilisce  il diverso
strumento  dell'autorizzazione  in  presenza  di identici presupposti
soggettivi  e  di presupposti oggettivi analoghi, perche' consistenti
in  ogni caso nella ipotizzata violazione della norma penale. Si deve
considerare,  in  altri  termini, che per il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  accomunato ai ministri dalla Costituzione per i reati
funzionali,  viene  previsto  uno  strumento  diverso, introdotto con
legge  ordinaria,  per  i reati extrafunzionali, cosi' stabilendo uno
jus  singulare  francamente  irragionevole.  E cio' tanto piu' ove si
ponga  mente  al  fatto  che  nel  nostro  ordinamento  la figura del
Presidente  del  Consiglio  e' posta sullo stesso piano di quelle dei
ministri:  il  primo,  vertice  dell'organo collegiale per eccellenza
politico,  e'  un primus inter pares rispetto ai titolari dei diversi
dicasteri,  come  chiaramente sancito dall'art. 95 della Costituzione
nella    formulazione    del   principio   di   collegialita'   della
responsabilita' ministeriale.
   Se  cosi'  e',  non  si puo' fare a meno di osservare che la nuova
norma  non  sana  quei  connotati  di generalita' ed automatismo che,
nella  precedente  sentenza,  il giudice delle leggi riteneva tali da
violare la Costituzione.
   Ed  infatti, la novella introduce bensi' la facolta' di rinunciare
alla  sospensione  da parte dell'alta carica cui questa e' riservata,
ma nulla dice rispetto a quella necessita' di filtri e di valutazione
della  peculiarita'  dei  casi  concreti che la stessa Corte reputava
essenziali  per  il  meccanismo  introdotto. Ancora una volta, non si
puo'  fare a meno di considerare che mentre per i reati funzionali e'
previsto  il  filtro  dell'autorizzazione  di  una  delle Camere, nel
rispetto  di  quell'equilibrio  dei  poteri  che sta alla base di una
Repubblica  parlamentare  quale la nostra, per i reati non funzionali
del   solo   Presidente   del   Consiglio  si  prevede  una  generale
sospensione,   temperata   da   una   facolta'   di  rinuncia  -  non
necessariamente motivata - che non lascia alcuno spazio a valutazioni
degli  altri  organi  statali.  Quella discrezionalita' motivata, che
viene  giustamente  richiesta  a chiunque eserciti un munus publicum,
nel  caso  di  specie  viene  dunque  meno, fino a divenire meramente
potestativa;   una  scelta  cosi'  sconfinata  risulta  contraria  al
principio  di  ragionevolezza,  avuto  riguardo all'universalita' dei
reati  per i quali la sospensione e' prevista, senza alcun filtro. La
previsione  di  demandare  allo  stesso  soggetto che beneficia della
sospensione  ogni  potesta' relativa al prosieguo o meno del processo
non  rimedia  al generalizzato automatismo stigmatizzato dalla Corte,
ne'  al  vulnus  al diritto di azione che la Corte ha gia' piu' volte
evidenziato,  potendo  il rimedio consistere solo in un filtro avente
carattere di terzieta'.
   Non  e'  condivisibile  l'obiezione secondo cui i reati funzionali
provocherebbero  maggiore  allarme rispetto a quelli extrafunzionali,
in  quanto  commessi  dal  titolare della carica o della funzione nel
distorto  uso  del  proprio potere: oltre al fatto che possono essere
portati innumerevoli esempi di delitti extrafunzionali per i quali e'
prevista  una  pena edittale piu' grave di quella stabilita per reati
funzionali,  non  si vede perche', ove il reato extrafunzionale fosse
piu' lieve, dovrebbero ad esso venire connesse guarentigie e garanzie
maggiori.
   Ed  ancora:  non  meno  rilevante e' la fondatezza della questione
posta  in  riferimento  al  principio  della  ragionevole  durata del
processo. Se e' vero che l'art. 111 della Costituzione mira per prima
cosa  alla  tutela del diritto di difesa dell'imputato ed al rispetto
del  diritto  di  ogni  persona  «che  la  sua  causa  sia  esaminata
imparzialmente,  pubblicamente  e  in  un  tempo  ragionevole» (cosi'
l'art.   6   della   Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo),  non  e'  men  vero  che  la  Corte  costituzionale, come
ricordato  in  premessa,  gia' in precedenti sentenze ha sottolineato
che   i   tempi   del   processo   non   sono   affatto  indifferenti
all'effettivita' dell'esercizio della giurisdizione.
   Per  di  piu',  una  sospensione  cosi'  formulata,  bloccando  il
processo  in  ogni  stato e grado per un periodo potenzialmente molto
lungo,  provoca  un  evidente  spreco di attivita' processuale. Basti
pensare  che  mentre  la  norma,  riferendosi agli articoli 392 e 467
c.p.p.,  consente al giudice di provvedere all'assunzione delle prove
non  rinviabili,  ove  ne ricorrano i presupposti (con un richiamo di
difficile  applicazione in concreto), nulla dice sull'utilizzabilita'
delle  prove  gia'  assunte, che potrebbero venire del tutto disperse
qualora,  al termine dell'eventualmente lungo periodo di operativita'
della  sospensione (di per se' inevitabile causa dell'affievolirsi se
non  addirittura  del  venir  meno  delle  fonti di prova), divenisse
impossibile la ricostituzione del medesimo collegio.
   Cio'  assume  speciale  rilievo  ove  si tratti, come nel presente
procedimento,     di    dibattimenti    particolarmente    complessi,
caratterizzati anche dall'effettuazione di plurime rogatorie, sui cui
tempi   di   effettuazione   e  sui  cui  sviluppi  e  condizioni  di
utilizzabilita'   l'Autorita'   rogante   non   ha  alcun  potere  di
interloquire.
   L'utilizzabilita'   delle  prove  gia'  assunte,  infine,  non  e'
prevista  neppure  in  relazione  alla facolta' della parte civile di
trasferire  l'azione  in  diversa  sede con tempi accelerati, dal che
consegue  per  la  stessa  parte  la  necessita' di sostenere ex novo
l'onere probatorio in tutta la sua ampiezza.