LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
proposto  da  Ministero  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della
ricerca, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma via
dei  Portoghesi  n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che
lo rappresenta e difende ope legis, ricorrente;
   Contro  Poncina  Nadia, domilciliata in Roma presso la cancelleria
della  Corte  suprema  di  Cassazione,  rappresentata  e difesa dagli
avvocati  Claudio  Mondin,  Nicola  Zampieri,  giusta delega in atti,
controricorrente,  verso  la  sentenza  n. 412/2004  del Tribunale di
Venezia, depositata il 4 giugno 2004 R.G.N. n. 459/2003;
   Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3
giugno 2008 dal consigliere dott. Pasquale Picone;
   Udito l'avvocato Sullan per delega Mondin;
   Udito  il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott.
Marcello Matera che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
                         Ritenuto  in  fatto
   Nadia  Porcina,  con  ricorso al Tribunale di Venezia del 27 marzo
2003   ha  chiesto,  nei  confronti  del  Ministero  dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca  (denominazione  attuale, secondo
l'organizzazione  del  Governo  disegnata  dall'art. 1 d.l. 16 maggio
2008,  n. 85),  di  accertare  che,  quale  appartenente al personale
amministrativo,  tecnico  ed  ausiliario  (denominato  A.T.A.),  gia'
dipendente    di    ente    locale    e   passato   alle   dipendenze
dell'amministrazione  scolastica  statale  ai sensi dell'art. 8 della
legge   3  maggio  1999,  n. 124,  aveva  diritto  al  riconoscimento
integrale   dell'anzianita'   di   servizio  maturata  al  tempo  del
trasferimento    del    rapporto   di   lavoro,   con   la   condanna
dell'amministrazione   statale   al   pagamento   delle   conseguenti
differenze   retributive  dal  1  gennaio  2000,  oltre  interessi  e
rivalutazione monetaria.
   Il giudice adito, con la sentenza di cui si domanda la cassazione,
pronunciata  all'esito  del procedimento previsto dall'art. 64 d.lgs.
30  marzo  2001, n. 165, ha accertato «1'invalidita' e la conseguente
inefficacia,   per  contrasto  con  quanto  stabilito  dal  combinato
disposto  dell'art.  8,  commi  2 e 3, della legge n. 124/1999, della
disposizione   contenuta   nell'art.   3,   comma   1,   dell'accordo
Aran-Rappresentanti  delle  organizzazioni e confederazioni sindacali
in data 20 luglio 2000 recepito nel d.m. 5 aprile 2001».
   A giudizio del tribunale, la previsione legislativa, secondo cui a
detto  personale  e'  riconosciuta  ai  fini  giuridici  ed economici
l'anzianita'   maturata,   obbligava   l'amministrazione  statale  ad
applicare,  dal  1°  gennaio 2000, il c.c.n.l. del comparto scuola al
personale  trasferito  tenendo  conto  di tutta l'anzianita' maturata
alle  dipendenze  dell'ente  locale,  cosicche'  non  era conforme al
dettato  della  fonte  primaria l'attuazione datane (mediante accordo
collettivo recepito in decreto interministeriale) con il collocamento
del  detto  personale  nella  fascia  stipendiale corrispondente alla
retribuzione  in  godimento  al  1°  dicembre  1999  (c.d.  «maturato
economico»)  e  non in quella corrispondente all'effettiva anzianita'
di servizio.
   Il  ricorso per cassazione dell'amministrazione, proposto ai sensi
dell'art.  64,  comma  3,  d.lgs.  n. 165/2001,  e' articolato in due
motivi;  resiste  con  controricorso Nadia Porcina. Entrambe le parti
hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
                      Considerato  in  diritto
   1.  -  I  due  motivi  di  ricorso,  concernenti  entrambi l'unica
questione  controversa,  denunciano,  violazione  dell'art.  8, legge
n. 124/1999  e  vizio  di  motivazione,  sostenendo  che il risultato
dell'interpretazione  accolta  dalla decisione impugnata si traduceva
nel  riconoscere  un  aumento  della  retribuzione  per  effetto  del
mutamento  del  soggetto  datore  di lavoro e dell'applicazione di un
c.c.n.l.   (comparto  scuola)  che  dava  rilievo  all'anzianita'  di
servizio ai fini stipendiali (diversamente dal contratto dei comparto
enti   locali),   mentre  il  legislatore  aveva,  inteso  unicamente
garantire  la  conservazione  delle  posizioni  acquisite, escludendo
l'assunzione  di  oneri  economici  maggiori  di quelli gia' gravanti
sugli  enti  locali. Si afferma, inoltre, che la legge aveva espresso
un  principio,  circa il riconoscimento dell'anzianita', necessitante
di   essere  specificato  dalla  formazione  secondaria,  di  cui  si
contemplava  l'emanazione,  del  decreto ministeriale, di recepimento
dell'accordo  stipulato  tra  l'Aran  e  le organizzazioni sindacali,
aveva  legittimamente  disciplinato  il sistema di allineamento degli
istituti  retributivi. del comparto enti locali a quelli del comparto
scuola,     riconoscendo     l'anzianita'     pregressa    ai    fini
dell'inquadramento  secondo  il  sistema  del  maturato economico. Si
aggiunge,  infine,  con  argomentazione  svolta  in  via  logicamente
subordinata,  che  l'accordo  sindacale  20  luglio 2000, relativo al
sistema di inquadramento del personale A.T.A. secondo il criterio del
maturato   economico,  aveva  natura  di  vero  e  proprio  contratto
collettivo   nazionale  di  lavoro  -  come  desumibile  anche  dalle
disposizioni  contenute  nel  c.c.n.l.  8 marzo 2002 - ed era percio'
abilitato  a  derogare  anche a norme di legge, ai sensi dell'art. 2,
comma 2, secondo periodo, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
   Nella   memoria,   depositata   in  prossimita'  dell'udienza,  la
ricorrente  amministrazione  invoca  la  sopravvenuta interpretazione
autentica,  della  disposizione  della  quale  si  denuncia  l'errata
interpretazione,  ad  opera  dell'art.  1,  comma  218 della legge 23
dicembre 2005, n. 266.
   2.  - Tanto premesso, la Corte osserva che, effettivamente, l'art.
1,  comma 218, legge n. 266/2005, appena citato, dispone: «Il comma 2
dell'art.  8  della  legge  3  maggio 1999, n. 124, si interpreta nel
senso  che  il  personale  degli enti locali trasferito nei ruoli del
personale  amministrativo,  tecnico  ed  ausiliario  (ATA) statale e'
inquadrato,  nelle  qualifiche funzionali e nei profili professionali
dei   corrispondenti   ruoli  statali,  sulla  base  del  trattamento
economico  complessivo  in  godimento all'atto del trasferimento, con
l'attribuzione   della   posizione  stipendiale  di  importo  pari  o
immediatamente  inferiore  al  trattamento  annuo  in godimento al 31
dicembre   1999   costituito   dallo  stipendio,  dalla  retribuzione
individuale   di  anzianita'  nonche'  da  eventuali  indennita'  ove
spettanti,  previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro del
comparto  degli  enti  locali,  vigenti alla data dell'inquadramento.
L'eventuale  differenza  tra l'importo della posizione stipendiale di
inquadramento  ed  il  trattamento  annuo in godimento al 31 dicembre
1999,   come   sopra   indicato,  viene  corrisposta  ad  personam  e
considerata  utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento
della successiva posizione stipendiale».
   La  struttura  formale  della  norma appena riportata la qualifica
effettivamente  come  norma  d'interpretazione autentica, della quale
possiede  i requisiti essenziali, riscrivendo una regola destinata ad
operare  in  termini  generali  per le controversie in corso come per
quelle    future.   L'anzidetto   comma   218,   infatti,   manifesta
espressamente  l'intento  di  precisare  e  chiarire la portata della
norma   interpretata   e   si  limita  ad  intervenire,  con  effetti
retroattivi,  soltanto  su  quei suoi profili applicativi che avevano
originato  un  contenzioso  cui peraltro questa Corte, nella funzione
sua  propria,  sembrava  avviata  a  dare  una risposta passabilmente
univoca  (v. infra). Ne' pare contestabile che il contenuto normativo
della  disposizione  corrisponda  -  astrattamente, e non importa qui
stabilire  con  quale  grado  di persuasivita' - ad uno dei possibili
significati  ascrivibili alla norma interpretata, posto che, a fronte
di  una  lettura del sintagma «anzianita'. giuridica ed economica» di
cui  al  comma  2  dell'art.  8,  legge  n. 124  del 1999 coestensiva
rispetto  al  significato  letterale  dei  termini ivi utilizzati, il
legislatore del 2005 ha optato per una interpretazione restrittiva.
   3.  - Dalle considerazioni sopra esposte discende che questa corte
dovrebbe   fare   applicazione,   nella  presente  causa,  dello  ius
superveniens,  rappresentato  dal ricordato comma 218, e, in forza di
esso,   accogliere  il  ricorso  modificando  le  conclusioni  cui  -
nell'attribuzione  di  senso  alla  disposizione  del  secondo  comma
dell'art.  8, legge n. 124/1999 - era pervenuta, statuendo - sia pure
con   percorsi   argomentativi   diversi   -   che  la  garanzia  del
riconoscimento    ai    fini    giuridici,    oltreche'    economici,
dell'anzianita'  maturata  presso  gli  enti  locali,  in  favore dei
dipendenti  coinvolti  nel  passaggio dai ruoli ditali enti in quelli
del  personale statale, in quanto apprestata dalla legge, non potesse
essere  ridotta,  in  forza  di  norme  di rango inferiore, alla sola
garanzia  del  riconoscimento economico dell'anzianita', e risolversi
nell'attribuzione  al  dipendente  del  cd. maturato economico, cosi'
come   disposto   nel   decreto   interministeriale   5  aprile  2001
conformemente  ai  contenuti dell'Accordo 20 luglio 2000 fra l'ARAN e
le  OO.SS.  (v.,  tra  le  tante,  cass.  nn.  3224/2005,  3356/2005,
4722/2005, 18652/2005, 18829/2005).
   Si   tratterebbe   di   un   revirement,   esplicitamente  fondato
sull'intervenuta  norma  interpretativa, cui questa corte peraltro ha
gia'  messo  capo  -  in  applicazione  dell'art.  1/218  piu'  volte
richiamato - con le sentenze nn. 25482/2007, 511/2008, 677/2008.
   Peraltro,  la  controricorrente,  nelle  memorie  depositate prima
dell'udienza,   deduce,   tra  le  altre  difese,  una  questione  di
legittimita'  costituzionale della norma interpretativa da applicare,
perche'   -   a  suo  giudizio  -  tale  norma  violerebbe  l'obbligo
internazionale  derivante  all'Italia dall'art. 6/1 della Convenzione
europea  per  la protezione dei diritti dell'uomo (di seguito, CEDU),
sottoscritta  dall'Italia  il  4  novembre  1950 e resa esecutiva con
legge 4 agosto 1955, n. 848.
   Trattasi  di  questione  senz'alcun  dubbio rilevante nel presente
giudizio,  perche'  investe  la  norma  di legge della quale dovrebbe
farsi  applicazione  per  la  decisione del ricorso, non apparendo in
contrario   configurabile   una  questione  pregiudiziale,  ai  sensi
dell'art.  234  del  trattato  CE, per stabilire (come pure richiesto
dalla  difesa  controricorrente)  se  la  fattispecie  in  esame  sia
riconducibile  alla direttiva 77/187 Cee, il che comporterebbe per il
giudice  nazionale  l'obbligo di disapplicare la norma interpretativa
in  ipotesi  confliggente  con  la direttiva, infatti, la vicenda del
trasferimento,  in  base  alla  legge  n. 124 del 1999, del personale
degli  enti  locali,  nei  ruoli  del  personale Ata (amministrativo,
tecnico,  ausiliario)  dello  Stato  non e' riconducibile al campo di
applicazione  delle direttive comunitarie in materia di trasferimento
d'azienda   (direttiva   77/187/Cee,   modificata   dalla   direttiva
98/50/Ce),   giacche',  anche  in  ragione  dei  principi  desumibili
dall'interpretazione di dette direttive da parte della giurisprudenza
della Corte di giustizia (sent. 26 settembre 2000, in C-175/99; sent.
25  gennaio  2001,  in C-172/99; sent. 24 gennaio 2002, in C-5 1/00),
essa  non  si'  e'  concretata  nella  assegnazione,  preesistente al
passaggio  di  personale, di una attivita' unitariamente considerata,
di competenza di un determinato soggetto pubblico, ad altro soggetto:
ipotesi che configura il conferimento o il trasferimento di attivita'
cui  l'art. 34 del d.lgs. n. 29 del 1993, e successive modificazioni,
riconnette,    nell'ambito   del   rapporto   di   lavoro   pubblico,
l'applicazione  dell'art.  2112  c.c. Ne consegue che l'art. 1, comma
218,  legge  n. 266  del 2005, interpretando autenticamente l'art. 8,
comma  2,  legge  n. 124  del 1999, nel senso che, relativamente alla
vicenda  del  trasferimento  del  suddetto personale Ata, gli effetti
dell'anzianita'  giuridica  sono  limitati  a  quelli  che essa abbia
eventualmente  gia'  prodotto nel precedente rapporto, non puo' porsi
in contrasto con il diritto comunitario innanzi richiamato; in quanto
disposizione  che,  appunto  regola  una  fattispecie estranea al suo
campo  applicativo.  Si'  che,  conclusivamente,  non  v'e'  luogo  a
formulare   il   dubbio   che   dovrebbe  essere  oggetto  di  rinvio
pregiudiziale  ai sensi dell'art. 234, comma 3, del trattato Ue. (sul
punto  v.,  diffusamente,  cass. n. 677/08 cit., in particolare punti
14-30).
   4. - L'accertata rilevanza della questione, ne impone lo scrutinio
per stabilire se la stessa possa ritenersi «manifestamente infondata»
(art. 1, legge cost. n. 1/1948).
   Per  vero,  un  tale  scrutinio e' stato gia' effettuato da questa
Corte  (v., in particolare, cass. n. 677/08 cit.) che ha concluso nel
senso  della  manifesta  infondatezza  della questione. E tuttavia il
dovere di fedelta' ai precedenti non dispensa questa stessa corte dal
procedervi  anche  nella  presente  causa,  non  solo  e non tanto in
ragione   di  profili  o  argomenti  nuovi  addotti  dalla  parte  ma
soprattutto  perche'  la  nomofilachia  si  atteggia in maniera molto
diversa   a   seconda  che  la  Corte  sia  chiamata  a  pronunciarsi
sull'esatta  osservanza della legge, fornendo l'interpretazione delle
norme  sottoposte  ai  suo  esame,  ovvero a giudicare manifestamente
infondato  il  dubbio di legittimita' costituzionale afferente ad una
di  tali  norme.  Nel primo caso, infatti, si tratta di attribuire un
significato  alla  disposizione  di  legge con carattere di, sia pure
tendenziale   (arg.   ex   aliis  dall'art.  374,  comma  2  c.p.c.),
stabilita';  nel  secondo,  per  contro,  si  tratta di ritenere o di
escludere  come manifestamente infondato soltanto un dubbio; formula,
quest'ultima, che fonda per il giudice, anche e soprattutto di ultima
istanza,  il  dovere  di sollevare la questione di costituzionalita',
tutte   le  volte  in  cui  -  essendo  impossibile  attribuire  alla
disposizione  scrutinata  un  significato che ne escluda il possibile
contrasto  con  i  precetti costituzionali - per la sussistenza di un
siffatto  contrasto  residui un non implausibile argomento, ancorche'
di  peso  minore  rispetto  agli  argomenti  che  depongono  in senso
contrario. E cio' perche', in uno Stato costituzionale di diritto, la
certezza del diritto - che e' l'obiettivo cui tende la nomofilachia -
e',  innanzitutto,  certezza  che  il  diritto vivente sia conforme a
Costituzione.
   Tanto  precisato,  giova  ricordare  che  la  questione proposta a
questa corte e', come accennato nel paragrafo che precede, se il piu'
volte  citato art. 1, comma 218 della legge n. 266/2005 contrasti con
l'art.   117/1   della   Costituzione   per  violazione  dell'obbligo
internazionale  assunto  dall'Italia con la CEDU, il cui art. 6 comma
primo,  nel  prescrivere  il  diritto  di  ogni  persona ad un giusto
processo   dinanzi   ad   un  tribunale  indipendente  e  imparziale,
imporrebbe    al    potere    legislativo   di'   non   intromettersi
nell'amministrazione  della  giustizia  allo  scopo  d'influire sulla
singola  causa  o  su  di  una determinata categoria di controversie.
L'art.   6/1  della  CEDU,  cosi'  come  interpretato  con  specifico
riferimento al profilo qui evocato dalla Corte europea di Strasburgo,
viene  in  tal  modo  a costituire la «fonte interposta» che fornisce
concretezza  e  contenuto  al  parametro  costituzionale invocato del
rispetto  degli  obblighi  internazionali Corte cost. n. 348/2007, in
particolare punti 4.5 e 4.6).
   Il  giudizio  di  manifesta  infondatezza della questione e' stato
fondato,  dalla  cit.  Cass.  n. 677/2008, sulla sentenza della Corte
europea  di  Strasburgo  in causa Scordino c. Italia n. 36813/1997, i
cui  paragrafi  78/80 sono stati assunti come esplicativi della fonte
interposta, rappresentata dall'art. 6/1 della CEDU nella parte in cui
prescrive  le  condizioni di un giusto processo. Dai citati paragrafi
della  sentenza  Scordino,  cass. n. 677/2008 ha ricostruito la fonte
interposta  in esame siccome prescrittiva, per gli Stati membri della
CEDU,  di  un  obbligo  di  non  «esercitare  un'ingerenza  normativa
finalizzata  ad ottenere una determinata soluzione delle controversie
in  corso»,  salvo  che «l'intervento retroattivo sia giustificato da
motivi imperiosi di carattere generale». Sulla base di tale premessa,
la  stessa Corte ha escluso che l'art. 1/218, legge n. 266/2005 violi
l'obbligo  come  sopra  definito  poiche'»  non  vi e' … alcun
elemento  che  induca  a  ritenere  la  disposizione  nazionale  come
esclusivamente   (grassetto   dell'e.)   diretta  ad  influire  sulla
soluzione delle controversie in corso)», dovendosi piuttosto ritenere
che «… il legislatore abbia dovuto governare una operazione di
riassetto  organizzativo  di  ampia portata, sicche' sono palesemente
ravvisabili,  nel  caso  di specie, le pressanti ragioni di interesse
generale che abilitano … anche interventi retroattivi».
   Questa,  nelle  sue  linee  essenziali,  la  ratio decidendi che -
unitamente  alla  considerazione  delle  differenze  correnti  tra la
presente  fattispecie  e quella oggetto della sentenza Scordino ed al
rilievo  che  la  CEDU non assicura in materia civile l'immutabilita'
della  regola  di  giudizio  per  tutti  i procedimenti in corso - ha
condotto  la  corte a ritenere manifestamente infondato il dubbio che
la  disposizione  in  esame  violii l'obbligo dello Stato italiano di
rispettare l'art. 6 CEDU come interpretato dalla corte di Strasburgo.
   5.  -  Il  Collegio  ritiene, al contrario, che la suesposta ratio
decidendi  e  le  considerazioni  ulteriori  che  la sorreggono - pur
somministrando  argomenti  in favore di una determinata soluzione del
dubbio  -  non valgano tuttavia e ritenerlo manifestamente infondato.
Cio' per le seguenti considerazioni:
     a)  e' ben vero che la sentenza Scordino ed i precedenti in essa
richiamati  (v.  in  particolare  sentenza Anagnostopoulos e altri c.
Grecia,  n. 39374/98  par.  20-21)  affermano  che il divieto dileggi
retroattive    riguarda    l'ingerenza,    del   potere   legislativo
nell'amministrazione  della giustizia, finalizzata ad una determinata
soluzione  delle controversie in corso («dans le but d'influer sur le
denouement  judiciaire  du  litige»),  ma e' altrettanto, vero che la
suindicata  giurisprudenza  non  richiede  anche  che la disposizione
retroattiva  sia  «esclusivamente diretta ad influire sulla soluzione
delle controversie in corso» ne' che tale scopo venga in qualche modo
enunciato,   poiche'  nei  suddetti  precedenti  la  conclusione  che
l'intervento  legislativo volta a volta esaminato costituisse una non
consentita  ingerenza  del  potere  legislativo  sull'esercizio della
giurisdizione  viene raggiunta sulla scorta, da una parte, dell'esame
del  risultato  che,  nel  procedimento  in  relazione al quale viene
lamentata  l'ingerenza,  ha  avuto  l'applicazione della disposizione
denunciata   e,   dall'altra,   della  considerazione  che  lo  Stato
legislatore  era,  al  tempo  stesso, parte di quel procedimento e la
disposizione  interpretativa assegnava alla disposizione interpretata
un  significato  vantaggioso per lo Stato - parte; il che sembrerebbe
costituire la ragione che induce a ritenere l'intervento come dettato
dalla non consentita finalita'. Ad analoghe conclusioni conduce anche
la  giurisprudenza  piu'  recente della corte europea (v., per tutte,
sentenza  SCM Scanner de l'Ouest et autres c. France, 21 giugno 2007,
ricorso n. 12106/03);
     b)  Entrambe le suddette situazioni ricorrono nel caso in esame,
mentre  -  d'altro  canto - il notevole contenzioso svuppatosi subito
dopo  l'entrata  oggetto d'interpretazione autentica, e, in relazione
al quale, questa corte ha gia' avuto modo di pronunciarsi piu' volte,
nonche'  il  rilevante  numero  di ricorsi pendenti aventi ad oggetto
proprio    l'interpretazione    di    detta    normativa,    lasciano
ragionevolmente  ritenere  che  la definizione ditale contenzioso nel
senso,  favorevole  allo  Stato  amministrazione, imposto dalla norma
interpretativa,  rientrasse  certo  tra  le  finalita' perseguite dal
legislatore con l'introduzione di quest'ultima norma.
     c)  Per altro verso, l'esigenza per il legislatore di «governare
una  operazione  di  riassetto organizzativo», da un lato, non sembra
integrare  le  «imperiose  ragioni  d'interesse  generale», richieste
dalla   corte   europea  come  condizione  per  superare  il  divieto
d'ingerenza;  per  altro  lato,  di  quell'esigenza - e tanto meno di
altre  ragioni,  imperiose  o  meno  -  non  e'  traccia  alcuna  nel
procedimento  legislativo  che  ha  messo capo al ricordato comma 218
dell'art.  1, legge n. 266/2005; che' anzi tale comma, che non figura
nell'originario  disegno  di  legge  presentato  dal governo, risulta
inserito dalla relatrice Santanche' nella seduta della 5ª Commissione
(emendamento   1.4547,   comma   149-quater),  rimane  invariato  per
decadenza  del sub-emendamento Crosetto 1.4547/10, e viene votato nei
successivi  passaggi,  caratterizzati dal voto di fiducia al Governo,
senz'alcuna  indicazione  delle  ragioni,  imperiose  o  meno, che lo
sorreggono.
     d)  Ne' infine, ad escludere la violazione dell'art. 6/1 CEDU da
parte  della  disposizione  in  esame,  puo' valere il rilievo che la
Corte  di  giustizia europea abbia sempre riaffermata la liberta' del
legislatore  di emanare norme interpretative che incidano, in materia
civile,  su diritti attribuiti dalle leggi in vigore, perche' qui non
e'  in discussione questa liberta' ma piuttosto quella d'intervenire,
a  mezzo  di  leggi  retroattive,  sui giudizi pendenti dei quali sia
parte lo Stato amministrazione. Com'e' stato lucidamente precisato da
questa  stessa  Corte  nell'ordinanza  n. 402/2006,  il  senso  della
giurisprudenza  della  corte  europea  in  materia e' che «la parita'
delle  parti  dinanzi  al giudice implica la necessita' che il potere
legislativo  non  si  intrometta nell'amministrazione della giustizia
allo  scopo  d'influire sulla risoluzione della controversia o di una
determinata  categoria  di controversie». Scopo, si e' gia' precisato
supra,  che  la  stessa  corte europea sembra desumere dall'incidenza
oggettiva  che  la  norma  denunciata  ha  sull'esito di controversie
pendenti  e  dalla  qualita'  di parte dello Stato-amministrazione in
tali  controversie.  Ne'  -  e'  appena  il  caso  di  rilevare  - la
retroattivita' coessenziale alle norme d'interpretazione autentica e'
d'ostacolo  al  rispetto  del  vincolo  in questione, poiche' un tale
vincolo  esige  soltanto  che  il  legislatore escluda dall'ambito di
applicazione  della  norma  interpretativa o, piu' in generale, della
norma  dichiarata  retroattiva)  i  processi  in  corso  alla data di
entrata  in vigore della norma, secondo uno schema che il legislatore
nazionale  ben  conosce  ed  ha piu' volte praticato (emblematico, al
riguardo, l'art. 6, comma 2, d.l. 29 marzo 1991, n. 103). Scarsamente
comprensibile,   poi,   appare   l'obiezione   che   un  tale  modulo
provocherebbe un proliferare d'iniziative giudiziarie volto a rendere
immodificabile  una  situazione  di  vantaggio  in ipotesi assicurata
dalle   norme   vigenti:   obiezione   che   sembra   postulare   uno
Stato-legislatore   che,   in   rapporti   di   cui  sia  parte  come
Stato-amministrazione,  accordi  una  situazione di vantaggio per non
adempiere  l'obbligazione  che  su  di  esso Stato-amministrazione ne
deriva  (il  proliferare  d'iniziative giudiziarie presuppone appunto
l'inadempimento),    riservandosi   poi   d'intervenire   con   legge
interpretativa.
     e)  Infine,  e'  appena  il  caso  di  rilevare che la manifesta
infondatezza del dubbio di cui sopra non potrebbe esser fondata sulla
sentenza  n. 234/2007 della corte costituzionale e/o sulla successiva
ordinanza  n. 400  della  stessa  corte,  che  hanno  rispettivamente
dichiarato  non  fondata  e  manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 218, legge n. 266/2005
con  riferimento  a  parametri di costituzionalita' diversi da quello
qui evocato.
   6.  -  Pertanto,  ritenuta  - in virtu' delle considerazioni sopra
svolte  -  rilevante  e  non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  218  della  legge
n. 266/2005  per  violazione  deIl'art.  117  della  Costituzione  in
relazione  all'art.  6 CEDU come interpretato dalla corte europea dei
diritti  dell'Uomo,  devesi  disporre la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale e sospendere il presente giudizio.