IL TRIBUNALE 
    Il giudice del lavoro Annalisa Multari nella  causa  sub.  RG  n.
662/07 promossa con ricorso depositato il 25 maggio 2007  da  Antonio
Di Giuseppe, assistito e difeso dagli  avv.  Franco,  Carlo  Berti  e
Paolo e Piero Longo per mandato a margine del  ricorso  introduttivo,
contro Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, assistito  e  difeso
dall'avv.  Gianni  Sadar  per  delega  a  margine  della  memoria  di
costituzione, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 15
ottobre 2008 ha pronunciato la seguente ordinanza. 
                           I n  f a t t o 
    Con ricorso depositato in data 25 maggio 2007 Antonio Di Giuseppe
premesso  di  aver  operato  senza  soluzione  di  continuita'   alle
dipendenze del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia con una serie
di rapporti a  tempo  determinato  in  qualita'  di  elettricista  3°
livello B C.C.N.L. per i  dipendenti  dei  teatri  stabili  e  teatri
gestiti dall'Eti, contratti di  data  dall'11  febbraio  2002  al  31
maggio 2002 prorogato al 30 giugno 2002, dal 16 settembre 2002 al  31
maggio 2003 prorogato al 6 giugno 2003, sempre come elettricista, dal
21 luglio 2003 al 28 luglio 2003 come tecnico anche se di  fatto  con
mansioni di elettricista per la  rassegna  Miramare  Estate,  dal  1°
settembre 2003 al 30 aprile 2004 come elettricista  prorogato  al  31
maggio  2004,  dal  27  settembre  2004  al  31  maggio   2005   come
elettricista,  dal  9  ottobre  2005  al  26   febbraio   2006   come
elettricista con proroga a maggio  2006,  che  il  teatro  utilizzava
circa  20  dipendenti  tra   amministrativi   e   tecnici   a   tempo
indeterminato oltre ad una dozzina di tecnici  a  tempo  determinato,
che la gran parte degli assunti  a  tempo  indeterminato  avevano  un
passato  pluriennale  come  contrattisti  a  tempo  determinato,  che
l'attore  svolgeva  le  medesime  mansioni  del  personale  a   tempo
indeterminato ed era inserito nella  medesima  struttura  funzionale,
gerarchica e disciplinare, che l'impegno orario era pieno ed  anzi  a
fronte di rappresentazioni teatrali pomeridiane e serali aveva svolto
un numero esorbitante di ore di lavoro straordinario tanto da operare
a livello orario in modo equivalente ad un dipendente che lavorava su
12 mesi,  che  la  stagione  teatrale  iniziava  a  meta'  ottobre  e
proseguiva fino ai primi di giugno dell'anno successivo con  i  saggi
di fine anno, che d'estate nessun dipendente tecnico lavorava  per  2
mesi e mezzo ed in tale periodo i dipendenti  a  tempo  indeterminato
fruivano di ferie, riposi, riduzione orario, istituti che  invece  al
personale a tempo determinato erano pagati  senza  fruizione,  che  i
contratti a termine non si riferivano  a  particolari  spettacoli  ma
alla stagione teatrale, che le sue attivita' come elettricista  erano
anche quelle di manutenzione ordinaria, che i contratti  erano  stati
sottoscritti in  piena  violazione  dell'art.  1  legge  n.  368/2001
poiche'  mancava  qualsiasi   indicazione   scritta   delle   ragioni
giustificative  del  contratto,   ed   inoltre   l'atto   era   stato
sottoscritto dopo il suo inizio come pure  le  proroghe  erano  state
comunicate dopo la scadenza del termine originario, ha  convenuto  in
giudizio l'ex datore di lavoro al fine di ottenere l'accertamento del
rapporto a  tempo  indeterminato  a  fronte  dell'illegittimita'  dei
contratti a termine stipulati dalle parti. 
    Da ultimo osservava il ricorrente l'illegittimita' della condotta
aziendale che nell'effettuare nuove assunzioni a tempo  indeterminato
non aveva rispettato l'art. 1 del  C.C.N.L.  2001  che  prevedeva  un
diritto di precedenza per coloro  che  nelle  tre  stagioni  teatrali
precedenti l'assunzione avevano avuto un rapporto a termine;  instava
quindi per l'assunzione a tempo  indeterminato  a  far  data  dal  1°
gennaio  2002  ed  in  via  subordinata  il  risarcimento  del  danno
derivante  dalla  mancata  assunzione  a  far  data  dalla   stagione
2006/2007. 
    Parte  convenuta  Teatro  Stabile  nel  costituirsi  in  giudizio
contestava le pretese attoree rispetto alle quali nel  confermare  la
stipulazione  dei  contratti  a  termine  con  l'attore  nei  periodi
indicati dallo stesso evidenziava che comunque  nel  periodo  dal  21
luglio 2003 al 28 luglio 2003 il ricorrente  aveva  operato  per  una
rassegna estiva organizzata dallo stesso convenuto con  contratto  di
scrittura artistica in qualita'  di  tecnico,  che  le  assunzioni  a
termine erano giustificate dalle punte stagionali di attivita' che il
teatro subiva nella  rassegna  teatrale,  che  il  personale  tecnico
stagionale non aveva mai raggiunto le 12 unita' ma al piu' 7  unita',
che non vi  era  alcuna  differenza  come  trattamento  orario  e  di
mansioni tra il personale tecnico a  tempo  determinato  e  quello  a
tempo indeterminato, che non corrispondeva al vero lo svolgimento  da
parte  dell'attore  di  attivita'  di  lavoro   straordinario   nella
quantita' indicata dallo stesso, che nessuno dei contratti  stipulati
dall'attore erano stati sottoscritti dopo l'inizio della prestazione,
che le proroghe  erano  state  realizzate  per  la  medesima  ragione
giustificante i contratti, che il ricorrente non era stato  riassunto
a fronte dei rilievi disciplinari che aveva  subito  per  aver  fatto
timbrare il suo cartellino ad  altro  dipendente,  che  peraltro  sia
nell'estate 2005 che nel 2006 il ricorrente aveva operato  per  altri
datori di lavoro, che la lamentata violazione dell'art. 1, d.lgs.  n.
368/2001 non poteva avere quale  conseguenza  la  trasformazione  del
rapporto a tempo indeterminato previsto dal legislatore  soltanto  in
ipotesi di  stipulazione  successiva  di  due  contratti  ex  art.  5
medesimo decreto, che per la proroga  non  era  necessaria  la  forma
scritta, che comunque  la  stipulazione  di  contratti  di  scrittura
artistica anche con altri  soggetti  denotava  la  concorde  volonta'
delle parti di risolvere il rapporto di lavoro alla scadenza naturale
senza alcun  affidamento  rispetto  ad  assunzioni  future;  eccepiva
quindi la nullita' della  domanda  per  indeterminatezza,  attesa  la
mancata indicazione delle ragioni di fatto e di  diritto  a  sostegno
della richiesta attorea, oltre ad eccepire  l'aliunde  perceptum,  la
decadenza ex art. 6, legge n. 604/1966 e la prescrizione quinquennale
dei crediti retributivi. 
    Il  giudice  interrogate  le  parti,  ritenuta   la   causa   non
abbisognevole di istruttoria  aveva  disposto  la  discussione  della
causa per il giorno 10 giugno 2008, ma il processo veniva rinviato su
richiesta concorde delle parti alla successiva data  del  15  ottobre
2006. 
                         I n  d i r i t t o 
    E' sufficiente esaminare i contratti stipulati  nel  tempo  dalle
parti per rendersi conto che nessuno di essi indica espressamente  le
ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo
che ex art. 1, d.lgs. n. 368/2001 avrebbero legittimato l'apposizione
del termine al contratto di lavoro subordinato  (cfr.  doc.  1  parte
convenuta). 
    In base quindi alla normativa applicabile ratione temporis atteso
che il primo contratto e' stato concluso in data 11 febbraio 2002 con
scadenza 31 maggio 2002 ed in particolare la norma di cui all'art. 1,
comma 2, d.lgs. n. 368/2001 secondo cui «...l'apposizione del termine
e' priva di effetto se non risulta direttamente o  indirettamente  da
atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di  cui  al  primo
comma», la sanzione applicabile dal giudice a fronte di tale  carenza
ed ai sensi dell'art. 1419 cod. civ. comma secondo  (cfr.  in  merito
Corte di cassazione, sezione lavoro, 21 maggio 2008 n. 12985) sarebbe
quella di considerare il rapporto di lavoro a tempo  indeterminato  a
far data dall'11 febbraio 2002. 
    Ne' ritiene la scrivente che possa  aderirsi  all'interpretazione
di merito richiamata dalla parte convenuta nelle  note  difensive  in
quanto  contrastante  con  l'orientamento  giurisprudenziale  sposato
dall'ufficio nelle controversie dei contratti a termine illegittimi e
da ultimo sancito nella sentenza  della  Corte  di  cassazione  sopra
citata. 
    Trattasi inoltre di orientamento che non e'  condivisibile  anche
perche' del tutto contrastante con  l'interpretazione  che  la  Corte
costituzionale nella sentenza n. 210/1992 diede a suo tempo dell'art.
1419, comma primo codice civile; da  cio'  l'irrilevanza  allo  stato
della questione sollevata da parte attrice in sede di discussione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1 cit. per non conformita' alla
legge delega e direttiva comunitaria di attuazione. 
    Ed  invero  -  e  da  cio'  la  rilevanza  della   questione   di
costituzionalita' oggi sollevata d'ufficio dalla scrivente  -  se  la
causa fosse stata decisa in  data  10  giugno  2008  -  data  fissata
originariamente  per  la  discussione  -  la  sentenza  emessa  dalla
scrivente sarebbe stata di accoglimento con accertamento del rapporto
di lavoro a tempo indeterminato a far  data  dalla  stipulazione  del
primo  contratto  di  lavoro,  salvo  poi  la   valutazione   se   la
stipulazione di  ulteriori  contratti  con  altri  datori  di  lavoro
(realizzati dal ricorrente nell'estate dell'anno 2005 e 2006) potesse
essere intesa quale manifestazione di volonta' concorde  delle  parti
di ritenere risolto il contratto di lavoro a tempo indeterminato alla
scadenza dell'ultimo rapporto a termine. 
    Nelle more pero' e nella pendenza del giudizio il  Parlamento  ha
approvato la legge di conversione del decreto legge 25  giugno  2008,
n. 112, il cui art. 21, comma 1-bis della legge  6  agosto  2008,  n.
133, dispone espressamente: «...dopo l'art. 4 del decreto legislativo
6 settembre 2001,  n.  368,  e'  inserito  il  seguente  art.  4-bis:
(Disposizione transitoria concernente 1'indennizzo per la  violazione
delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine). - 1.
Con riferimento ai soli giudizi in corso  alla  data  di  entrata  in
vigore della presente disposizione e fatte salve le sentenze  passate
in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni  di  cui  agli
artt. 1, 2,  e  4  il  datore  di  lavoro  e'  tenuto  unicamente  ad
indennizzare il prestatore di lavoro  con  un'indennita'  di  importo
compreso tra un minimo  di  2,5  ad  un  massimo  di  sei  mensilita'
dell'ultima retribuzione globale di fatto avuto riguardo  ai  criteri
indicati nell'art. 8  legge  15  luglio  1966  n.  604  e  successive
modificazioni». 
    Da cio' come detto la rilevanza della questione  di  legittimita'
costituzionale   atteso   che   il    legislatore    nell'intervenire
esclusivamente  sulle  conseguenze   risarcitorie   derivanti   dalla
violazione degli artt. 1, 2 e 4 del decreto legislativo  n.  368/2001
con riferimento ai giudizi pendenti alla data di  entrata  in  vigore
dello stesso, tenuto conto che l'odierno giudizio e' ancora  pendente
alla data di entrata in vigore della legge citata,  non  consente  al
giudice adito di accordare al sig. Di Giuseppe la medesima tutela che
gli avrebbe accordato se la causa  fosse  stata  decisa  in  data  10
giugno 2008; tutela  che  invece  puo'  essere  riconosciuta  a  quei
lavoratori che pur trovandosi nella medesima situazione di fatto  del
ricorrente,  tuttavia  non  hanno  ancora  promosso  alcuna  causa  o
addirittura l'hanno instaurata il giorno  successivo  all'entrata  in
vigore della legge citata. 
    Ad avviso della scrivente  la  normativa  sopravvenuta  e'  stata
adottata in violazione dell'art. 3 Cost. poiche'  ha  introdotto  una
regolamentazione normativa  che  non  riguarda  tutti  i  rapporti  a
termine stipulati ad una certa data ma solamente quelli per  i  quali
il  giudizio  e'  in  corso  indipendentemente dalla  data  di   loro
stipulazione, penalizzando quindi  coloro  che  hanno  sollecitamente
adito il giudice a tutela dei propri diritti rispetto  a  quelli  che
invece sono rimasti inerti e cio'  senza  alcuna  giustificazione  in
piena  violazione  del  canone  di  ragionevolezza  che  consente  al
legislatore di differenziare anche situazioni  eguali,  ancorando  il
trattamento differenziato nelle conseguenze  ad  un  fatto  puramente
casuale. 
    D'altra parte se e' vero che la norma  e'  stata  adottata,  come
hanno  sostenuto  alcuni  autori,  per  deflazionare  il  contenzioso
esistente per alcuni datori di lavoro (ossia le  Poste  italiane  che
come e' noto hanno sempre  utilizzato  correntemente  i  contratti  a
termine), va anche osservato che la disposizione non  appare  neppure
idonea a realizzare il fine per il quale era stata introdotta, atteso
che con questa norma e' stato sottratto soltanto  il  contenzioso  in
essere  e  non  tutto  il  potenziale  contenzioso,  senza  che  tale
disposizione  sia  in  qualche   modo   giustificata   da   interessi
costituzionalmente rilevanti ovvero dalle dimensioni dell'impresa. 
    Tanto piu' che il legislatore non ha  inteso  modificare  in  via
generale  le  conseguenze  derivanti  dalla  violazione  delle  norme
attinenti i contratti a termine disponendo che per  il  futuro  dette
conseguenze saranno meramente risarcitorie,  ma  si  e'  limitato  ad
incidere   esclusivamente   sul   contenzioso   pendente,   con   una
disposizione  che  risulta  testualmente  confermativa   della   tesi
interpretativa seguita dalla Corte di cassazione  nella  sentenza  n.
12985/08 cit., secondo cui  -  come  detto  -  le  conseguenze  della
violazione delle norma di cui agli artt. l, 2, 4, d.lgs. n.  368/2001
sono quelle della trasformazione del rapporto a  tempo  indeterminato
(unico rapporto cui e' applicabile appunto la disciplina risarcitoria
prevista per il licenziamento individuale). 
    Ad avviso della scrivente la disposizione citata risulta anche in
contrasto con l'art. 117 Cost. comma primo secondo  cui  la  potesta'
legislativa e' esercitata da  Stato  e  regioni  nel  rispetto  della
Costituzione e dei vincoli che derivano dall'ordinamento  comunitario
e dagli  obblighi  internazionali,  in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali del 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848. 
    In particolare tale disposizione,  cui  lo  Stato  italiano  deve
conformarsi, prevede che ogni  persona  abbia  diritto  ad  avere  un
giusto processo innanzi ad un tribunale indipendente ed imparziale  e
si traduce in un obbligo per  il  legislatore  di  non  intromettersi
nell'amministrazione della giustizia per influire sull'esito  di  una
controversia o di determinate categorie  di  controversie  tanto  che
anche  di  recente  la  Corte  di  Strasburgo  seconda  sezione   nel
pronunciarsi nel ricorso n. 71399/01 Borghesi ed altri contro  Italia
con riferimento alla violazione del  precitato  art.  6,  comma 1  ha
deliberato che «...se in linea di principio non e' vietato al  potere
legislativo regolamentare la materia civile  con  nuove  disposizioni
aventi effetto retroattivo i diritti derivanti da leggi in vigore, il
principio della preminenza del diritto e la nozione di processo  equo
di cui all'art. 6 della  Convenzione,  si  oppongono,  salve  ragioni
imperiose di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo
nell'amministrazione della giustizia allo  scopo  di  influenzare  la
conclusione giudiziaria della controversia...». 
    Nel  caso  che  ci  occupa  non  pare  alla  scrivente   che   la
disposizione censurata si basi su un interesse generale ed  imperioso
che possa  giustificare  la  sua  applicazione  retroattiva  ai  soli
giudizi in corso, come  recentemente  opinato  in  altra  fattispecie
dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 22260/08. 
    D'altra parte che la violazione dell'art.  6  comma  primo  della
Cedu possa tradursi in una  violazione  dell'art.  117,  primo  comma
Cost. e' stato riconosciuto anche dalla  Corte  costituzionale  nella
sentenza n. 349/2007. 
    Ne'  pare  alla  scrivente  che  nel  caso  di  specie  la  norma
incriminata nel proprio contenuto sia  disapplicabile  in  forza  del
principio  della  preminenza  del  diritto  comunitario  sul  diritto
nazionale per violazione della clausola del  non  regresso  contenuta
nell'art. 8 della Convenzione quadro sul lavoro a  tempo  determinato
concluso dall'UNICE, CEEP, CES di cui  alla  direttiva  1999/70/  Ce,
poiche' secondo l'interpretazione del giudice comunitario (cfr. Corte
di giustizia 22 novembre 2005, n. 144/04 caso  Malgold)  una  riforma
peggiorativa  della  protezione  offerta  ai   lavoratori   a   tempo
determinato non e' in quanto tale vietata dall'accordo quadro  quando
non sia in alcun modo collegata con l'applicazione dello  stesso;  ne
consegue che tale clausola puo' essere invocata soltanto  nell'ambito
di cio' che concerne la Direttiva (cfr. Corte cost. n. 44/2008). 
    Ed invero l'accordo quadro recepito con questa direttiva e  legge
attuativa non stabilisce in via generale  l'obbligo  da  parte  degli
Stati  di  prevedere  la  trasformazione  dei   contratti   a   tempo
determinato  in  rapporto  a  tempo  indeterminato,  occupandosi   la
direttiva di una tutela non discriminatoria dei lavoratori a  termine
e  della  prevenzione  degli  abusi  dell'istituto,  ma   non   delle
conseguenze derivanti  dalla  violazione  della  normativa  e  quindi
trattandosi di ambito  diverso,  non  si  puo'  ricorrere  alla  mera
disapplicazione del diritto interno in favore di quello comunitario. 
    Per questa ragione il Giudice  del  lavoro  di  Trieste  Annalisa
Multari ritiene di poter  sollevare  questione  di  costituzionalita'
della norma indicata in dispositivo sospendendo il relativo  giudizio
in corso.