IL TRIBUNALE Nella causa n. 779/2006 promossa da Pieraccini Pierpaolo (Avv. Gian Marco Sbrana), ricorrente, contro Cassa Nazionale Forense (Avv. Giovanni Del Seppia, Massimo Luciani), convenuto, all'udienza del 30 ottobre 2008 ha pronunziato la seguente ordinanza. Premesso che con ricorso depositato il 19 giugno 2006 il ricorrente ha chiesto accertarsi il diritto alla restituzione dei contributi versati ex art. 21 della legge n. 576/1980, deducendo la illegittimita' della delibera del Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense del 28 febbraio 2003-23 luglio 2004 (successivamente integrata con delibera del 13 novembre 2004), con la quale e' stato soppresso il diritto alla restituzione dei contributi versati, prevedendo in sostituzione l'erogazione di una pensione a base contributiva; che la legge 20 settembre 1980, n. 576 («Riforma del sistema previdenziale forense») all'art. 21 («Restituzione dei contributi») dispone: «Coloro che cessano dall'iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione hanno diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all'art. 10, nonche' degli eventuali contributi minimi e percentuali previsti dalla precedente legislazione, esclusi quelli di cui alla tabella E allegata alla legge 22 luglio 1975, n. 319. Sulle somme da rimborsare e' dovuto l'interesse legale dal 1° gennaio successivo ai relativi pagamenti»; che il diritto alla restituzione dei contributi previsto dalla specifica disposizione di legge costituisce, come riconosciuto dalla stesa difesa di parte convenuta, un particolare beneficio, eccezionalmente previsto dalla legge a favore dei soggetti iscritti alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (vedi anche, in motivazione, Corte cost., 9 dicembre 2005, n.439); che il Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense in data 28 febbraio 2003 approvava una prima delibera con la quale era soppresso tale diritto alla restituzione dei contributi versati, sostituendolo con la corresponsione di una pensione a carattere contributivo; tale prima delibera del 23 febbraio 2003 veniva sottoposta ad osservazioni da parte del Ministero del lavoro, che richiedeva una serie di modifiche ed emendamenti (vedi doc. 3 di parte convenuta); le richieste di modifiche ed emendamenti erano accolte dal Comitato dei delegati con la delibera del 23 luglio 2004 e tale delibera era approvata dai Ministeri vigilanti (vedi doc. 2 di parte convenuta); che in base alla delibera del 23 luglio 2004 il nuovo testo dell'art. 4 del regolamento generale della Cassa (in chiaro contrasto con il disposto dell'art. 21 della legge n. 576/1980 in precedenza richiamato), con decorrenza dal primo dicembre 2004, recita: «Art. 4: Restituzione dei contributi e pensione contributiva - 1. Tutti i contributi versati legittimamente alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense non sono restituibili all'iscritto o ai suoi aventi causa, ad eccezione di quelli relativi agli anni di iscrizione dichiarati inefficaci ai sensi dell'art. 22, ultimo comma, legge n. 576/1980. 2. Gli iscritti che abbiano compiuto il 65° anno di eta' e maturato piu' di cinque anni ma meno di trenta anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e che non si siano avvalsi dell'istituto della ricongiunzione ovvero della totalizzazione, hanno diritto a chiedere la liquidazione di una pensione calcolata con il criterio contributivo, salvo che intendano proseguire nei versamenti dei contributi al fine di raggiungere una maggiore anzianita' o maturare prestazioni di tipo retributivo»; che, con riferimento alla disciplina previgente, la suprema Corte aveva gia' avuto modo di chiarire che «in tema di potesta' normativa degli enti previdenziali privatizzati, le disposizioni in tema di privatizzazione dei soggetti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza (artt. 2 e 3, d.lgs. n. 509 del 1994) non hanno attribuito agli enti privatizzati il potere di incidere sulla disciplina sostanziale di tali assicurazioni (v. Corte cost. n. 248 del 1997 e sent. n. 15 del 1999), ne' sulla normativa in materia di contributi e prestazioni, salvi i poteri di cui essi, eventualmente, gia' disponessero, sulla base della normativa preesistente. La legge n. 335 del 1995 ha, poi, perfezionato le disposizioni dirette alla garanzia di stabilita' di bilancio dei predetti enti, attribuendo incisivi poteri in materia di contributi e prestazioni quali si evincono dal riferimento, sub art. 3, comma 12, legge n. 335 del 1995 citata, alla "riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, nel rispetto del principio del pro rata, in relazione alle anzianita' gia' maturate rispetto all'introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti". Ne consegue che, alla stregua del tenore letterale della menzionata disposizione, i poteri attribuiti riguardano i criteri di determinazione della misura dei trattamenti pensionistici e non anche i requisiti per l'accesso ai medesimi o per la loro concreta fruizione. Ne' tale conclusione e' smentita dalla successiva disposizione dello stesso comma, in materia di pensionamenti anticipati di anzianita', per i quali e' prevista, con efficacia retroattiva, l'estensione di disposizioni sui requisiti minimi di eta' e di contribuzione di cui dall'art. 1, commi 17 e 18, della citata legge n. 335 del 1995» (vedi Cass. civ., sez. lavoro, 5 aprile 2005, n. 7010); che in effetti la delibera del Comitato dei delegati non si era limitata a introdurre una «variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico» (art. 3, comma 12, legge n. 335 del 1995) ovvero a «determinare la misura e il metodo di calcolo delle prestazioni a favore degli aventi diritto, fissare l'entita' dei contributi dovuti, stabilire le modalita' delle relative corresponsioni» (vedi art. 11, comma secondo lettera d) dello Statuto), ma aveva escluso un autonomo e distinto beneficio gia' riconosciuto da norma di legge, sostituendolo con un diverso trattamento; che, quindi, sulla base della normativa vigente al momento della proposizione del ricorso, la domanda del ricorrente appariva fondata e meritevole di accoglimento; che in corso di causa e' intervenuta la legge 27 dicembre 2006, n. 296 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», che all'art. 1, comma 763 testualmente dispone: «All'articolo 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335, il primo e il secondo periodo sono sostituiti dai seguenti: "Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dal decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del suddetto decreto legislativo n. 509 del 1994, la stabilita' delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi e' da ricondursi ad un arco temporale non inferiore ai trenta anni. Il bilancio tecnico di cui al predetto articolo 2, comma 2, e' redatto secondo criteri determinati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le associazioni e le fondazioni interessate, sulla base delle indicazioni elaborate dal Consiglio nazionale degli attuari nonche' dal Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal suddetto articolo 2, comma 2, sono adottati dagli enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianita' gia' maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualita' e di equita' fra generazioni. Qualora le esigenze di riequilibrio non vengano affrontate, dopo aver sentito l'ente interessato e la valutazione del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, possono essere adottate le misure di cui all'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509". Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge»; che la convenuta Cassa Forense ha chiesto il rigetto della domanda anche sulla base della sopravvenienza, in corso di giudizio, dell'art. 1, comma 763 della legge finanziaria per il 2007; Ritenuto che deve sollevarsi, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 763, secondo periodo della legge 27 dicembre 2006, n. 296 («Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge») in relazione agli artt. 2, 3, 23, 24, 38 Cost..; Considerato, circa la rilevanza: che, come esposto, la domanda del ricorrente volta ad ottenere la restituzione dei contributi versati, in relazione al disposto di cui all'art. 21 della legge n. 576/1980 e dell'art. 3, comma dodicesimo della legge 335/1995 nel testo vigente al momento della presentazione del ricorso, appariva fondata prima della sopravvenienza dell'art. 1, comma 763, secondo periodo della legge 27 dicembre 2006, n. 296; che in effetti l'art. 3, comma dodicesimo della legge n. 335/1995 nel testo vigente al momento dell'adozione delle delibere delle quali il ricorrente contesta la legittimita' prevedeva che gli enti previdenziali privatizzati potessero adottare solo «provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianita' gia' maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti»; che l'art. 1, comma 763 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 da un lato, al primo periodo, modifica l'art. 3, comma 12 della legge n. 335/1995 ampliando considerevolmente l'autonomia ed i poteri degli enti previdenziali privalizzati (stabilendo che possono, genericamente, essere adottati «tutti i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine»); dall'altro, contestualmente, al secondo periodo, ha espressamente fatto «salvi ... gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti ... ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge» (secondo periodo del comma 763); che gli atti ed i provvedimenti precedentemente emanati e «fatti salvi» sono quelli gia' sottoposti ad approvazione dei Ministeri vigilanti e, quindi, a norma dell'art. 3, comma secondo decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509: «a) lo statuto e i regolamenti, nonche' le relative integrazioni o modificazioni; b) le delibere in materia di contributi e prestazioni»; che la delibera del Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense del 28 febbraio 2003-23 luglio 2004 della quale il ricorrente lamenta la illegittimita' rientra tra «gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti ... ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore» della legge finanziaria per il 2007 e quindi tra quelli «fatti salvi» dalla disposizione in esame; questo Tribunale, in altra controversia, aveva gia' sollevato questione di legittimita' costituzionale dell' art. 1, comma 763, secondo periodo della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (vedi ordinanza 12 luglio 2007 del Tribunale di Lucca nei procedimenti riuniti vertenti tra i signori P. G. e P. L. e la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, iscritta al n. 700 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2007) e la Corte costituzionale ha dichiarato tale questione manifestamente inammissibile, osservando in motivazione: «e' di tutta evidenza che il giudice a quo chiede a questa Corte un avallo all'interpretazione (non univoca, ne' basata su un diritto vivente) che ritiene deve essere attribuita alla norma censurata; che il rimettente, oltretutto, illustra diverse letture ermeneutiche della norma, cosi' dando atto di un dubbio interpretativo che chiede alla Corte di risolvere; che, pertanto, la questione non risulta diretta a dirimere un dubbio di legittimita' costituzionale, ma si risolve nella richiesta alla Corte di avallare l'opzione ermeneutica che il remittente, tra le diverse prospettate, ritiene preferibile; che, quindi, la questione, cosi' come proposta, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile» (vedo ordinanza 30 aprile 2008 n. 124); che la riproposizione della questione - previa integrazione della motivazione - e' possibile addirittura nel corso del medesimo giudizio ed e' pacifica, nella giurisprudenza costituzionale, la emendabilita' delle carenze motivazionali che abbiano condotto alla declaratoria di inammissibilita' (vedi ad esempio Corte cost. 10 febbraio 2006, n. 50); che questo giudice intende sollevare nuovamente questione di legittimita' costituzionale, integrando ed emendando la motivazione, al fine di meglio chiarire: a) l'impossibilita' di fornire una «interpretazione adeguatrice» in relazione al tenore testuale della disposizione ed agli altri possibili parametri interpretativi ; b) la insussistenza di qualsiasi «dubbio interpretativo» ovvero intento di utilizzare strumentalmente il giudizio costituzionale per avallare una data interpretazione rispetto ad un'altra, pure possibile; c) che l'unica interpretazione possibile della disposizione pone fondati dubbi di legittimita' costituzionale; che in effetti l'interpretazione adeguatrice corrisponde ad un preciso ed ineludibile dovere del giudice, il quale e' tenuto a ricavare dalle disposizioni interpretate, tutte le volte che cio' sia possibile, norme compatibili con la Costituzione; che il Giudice delle leggi ha precisato, a piu' riprese, che «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perche' e' impossibile darne interpretazioni costituzionali» (sentenza n. 356/1966), specificando che i giudici non possono abdicare all'interpretazione adeguatrice (ordinanza n. 451/1994) e che, nell'adempimento del compito di interpretare le norme di cui devono fare applicazione, «di fronte a piu' possibili interpretazioni di un sistema normativo, essi sono tenuti a scegliere quella che risulti conforme a Costituzione» (ordinanza n. 121/1994); che, tuttavia, «l'interpretazione adeguatrice dei giudici ha possibilita' di esplicazione soltanto quando una disposizione abbia carattere "polisenso" e da essa sia enucleabile, senza manipolare il contenuto della disposizione, una norma compatibile con la Costituzione attraverso l'impiego dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale, mentre nell'impossibilita' di conformare la norma in termini non incostituzionali il giudice non puo' disapplicarla, ma deve rimettere la questione di legittimita' costituzionale al vaglio del Giudice delle leggi»; che, in particolare, il giudice ordinario, e' tenuto autonomamente a verificare, con l'uso di tutti gli strumenti ermeneutici dei quali dispone, se una data disposizione possa realmente assumere un significato costituzionalmente compatibile e, qualora le premesse ermeneutiche della soluzione proclamata costituzionalmente obbligata travalichino i limiti dell'interpretazione letterale-logico-sistematica, il giudice «ha il dovere di non attenersi a quella soluzione, per la decisiva ragione che, in caso contrario, disapplicherebbe una norma vigente e arrecherebbe un vulnus ai principi di legalita' e di soggezione alla legge» (cosi' in motivazione, Cass., s.u. penali, 17 maggio 2004, n. 23016); che, pur in assenza, allo stato, di un diritto vivente, non puo' imporsi al giudice di applicare una disposizione secondo una interpretazione che, sia pure adottata in altre pronunzie di merito, sia tuttavia motivatamente ritenuta contraria al tenore testuale della disposizione e travalicante il significato (unico, lo si ripete) che puo' essere desunto sulla base dei corretti criteri ermeneutici; che, in particolare, nella fattispecie: A) la disposizione non puo' essere intesa come mera «conferma di efficacia» degli agli atti e deliberazioni gia' legittimi secondo la previgente disciplina, in quanto si tratterebbe di una sostanziale interpretatio abrogans: una simile norma non avrebbe alcuna ragion d'essere, posto che, secondo i principi generali, un atto ab origine legittimo non diventa illegittimo o perde efficacia in relazione ad una norma sopravvenuta che modifica (peraltro nella sostanza ampliandolo) il potere e l'autonomia dell'organo che ha emesso l'atto; B) la disposizione neppure puo' essere interpretata come «sanatoria» ma con effetti limitati al solo periodo successivo all'entrata in vigore della legge, posto che, testualmente, sono fatti salvi, dal punto di vista oggettivo, «gli atti ed i provvedimenti» gia' adottati prima dell'entrata in vigore della legge e, quindi sono resi, per disposizione di fonte primaria, valide le deliberazioni assunte in precedenza, con la relativa decorrenza temporale: la «salvezza» dell'atto (amministrativo o comunque non legislativo) disposta con la legge successiva comporta che tale atto debba essere considerato legittimo ab origine, anche se contrario alla legge previgente; la «salvezza» comporta la validita' e legittimita' sopravvenuta della regolamentazione contenuta nell'atto «sanato» con la relativa efficacia temporale; la fonte primaria nel momento in cui «fa salvo» un atto precedente alla sua entrata in vigore ha «naturalmente» (e salva espressa disposizione contraria) effetto retroattivo, coincidente con quello di decorrenza dell'atto «sanato»; che il secondo periodo del comma 763 della finanziaria 2007 con la relativa disposizione di «salvezza» degli atti precedentemente emanati deve poi essere ricollegato, in via di interpretazione sistematica, con quanto stabilito al periodo immediatamente precedente (ovvero: ampliamento dei poteri delle gestioni previdenziali autonome, per garantire la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine e, in particolare, soppressione del vincolo del necessario rispetto del criterio «pro rata», che deve essere solo tenuto presente e contemperato con altri criteri e principi, tra i quali l'equita' tra generazioni): la ratio risulta quindi quella di salvaguardare e mantenere ferme le precedenti regolamentazioni gia' approvate in sede ministeriale, anche se in ipotesi illegittime secondo la legge precedente, perche' gia' in linea con i nuovi criteri, ovvero «piu' rigorose» dal punto di vista dell'arco di tempo di valutazione dell'equilibrio finanziario e del mancato rispetto (almeno in termini rigidi) del criterio del pro rata, a vantaggio delle generazioni future; che, pur in assenza di significativi lavori preparatori (la disposizione non figurava nel disegno di legge originario e fu introdotta con il «maxiemendamento» governativo sul quale fu posta la fiducia), occorre considerare che l'intervento legislativo fu operato quando era gia' insorto un nutrito contenzioso in merito alla legittimita' delle deliberazioni assunte dagli enti previdenziali privatizzati che, per esigenze di equilibrio delle gestioni e di equita' intergenerazionale, avevano introdotto modifiche nei parametri pensionistici anche non nel pieno rispetto del principio del pro rata ed inciso anche sui requisiti di accesso e fruizione di determinati trattamenti pensionistici; che, quindi, non puo' sussistere alcun «dubbio interpretativo» e l'unica e sola interpretazione possibile della disposizione, avuto riguardo al «significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» («salvezza» riferita oggettivamente «agli atti e deliberazioni» precedentemente emanati), alla collocazione sistematica (immediatamente successiva alla introduzione della possibilita' di adottare «tutti i provvedimenti necessari», con possibili «deroghe» al principio del «pro rata»), alle circostanze storiche relative alla emanazione (contenzioso in merito alla legittimita' delle delibere che non avevano «rispettato» il principio del «pro rata») inducono univocamente ad attribuire alla disposizione il significato di una norma di «sanatoria» con la quale sono «fatti salvi» atti e provvedimenti precedentemente emanati (pur se in ipotesi illegittimi per la legislazione previdente), con «naturale» efficacia retroattiva, riferita per relazione alla decorrenza degli atti «sanati»; che, lo si ripete, una diversa interpretazione, non essendo obbiettivamente possibile sulla base dei comuni canonici ermeneutici, condurrebbe questo giudice a violare i principi di legalita' e di soggezione alla legge; che l'unica e sola interpretazione coerente con il dato testuale e sistematico e' quella che la disposizione oggetto della questione di costituzionalita' (sopravvenuta nel corso del giudizio) e' diretta (in piena aderenza con il dato testuale) a far «salve» e «valide» le delibere delle quali il ricorrente assume la illegittimita' in base alla legge previgente; che quindi la disposizione deve trovare applicazione da parte di questo giudice e dall'eventuale accoglimento della questione di costituzionalita' discenderebbe un mutamento nel quadro normativo di riferimento. Considerato, circa la non manifesta infondatezza che codesta Corte ha piu' volte chiarito che «le leggi di sanatoria non sono costituzionalmente precluse in via di principio ma che, tuttavia, trattandosi di ipotesi eccezionali, la loro giustificazione dev'essere sottoposta a uno scrutinio particolarmente rigoroso, aggiungendo che l'intervento legislativo in sanatoria puo' "essere ragionevolmente giustificato soltanto dallo stretto collegamento con le specifiche peculiarita' del caso" (sent. n. 94 del 1995), cosi' da doversi "escludere che possa risultare arbitraria la sostituzione della disciplina generale - originariamente applicabile - con quella eccezionale successivamente emanata" (sent. n. 100 del 1987; cfr. anche sent. n. 402 del 1993, sent. n. 346 del 1991 e sent. 474 del 1988, oltre alla gia' citata sent. n. 94 del 1995)» (cosi', in motivazione, la sentenza n. 14/1999); che, in particolare, e' stato precisato : lo «scrutinio di costituzionalita' estremamente rigoroso» deve essere condotto «tanto sotto il profilo del rispetto del principio costituzionale di parita' di trattamento, quanto sotto il profilo della salvaguardia da indebite interferenze nei confronti dell'esercizio della funzione giurisdizionale» (sentenza n. 94/1995), sottolineandosi che solo pubblici interessi «possono giustificare sanatorie di atti ab origine illegittimi (sent. n. 94 del 1995, 402 del 1993, 100 del 1987), atteso che la volonta' di sanatoria, per poter legittimamente superare, alla stregua dell'art. 3 in riferimento, nella specie, all'art. 97 Cost., una precedente valutazione dell'interesse pubblico gia' operata dalla legge, deve essere sostenuta dall'assunzione di altro interesse pubblico, non irragionevolmente idoneo a giustificare il contrasto che viene a crearsi tra due diverse manifestazioni di volonta' legislativa concorrenti sulla medesima fattispecie» (sentenza n. 141/1999); che la Corte costituzionale in alcune pronunzie ha statuito che «in materia di ordinamento pensionistico, sono costituzionalmente illegittime quelle modificazioni legislative che, intervenendo in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando sia gia' subentrato lo stato di quiescenza, peggiorino, senza un'inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa» (vedi Corte cost., 14 luglio 1988, n.822); che nella specie il ricorrente ha dedotto che la decisione di riscriversi, all'eta' di 61 anni, all'Albo degli avvocati e quindi di riprendere la contribuzione alla Cassa, era stata presa proprio in relazione alla possibilita', allora garantita, di richiedere la restituzione dei contributi nel caso (pressoche' certo) di cessazione dall'iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione; che, essendosi gia' determinato un contenzioso in merito alla legittimita' della delibera l'intervento della disposizione di sanatoria (senza peraltro alcuna specifica previsione in merito ai giudizi pendenti) rischia di ledere «l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, quale elemento essenziale dello Stato di diritto» (Corte cost. 10 febbraio 1993 n. 39, 26 gennaio 1994 nn. 6 e 16, 28 febbraio 1997 n. 50, 23 dicembre 1997 n. 432, 22 novembre 2000 n. 525); che quindi la disposizione di «sanatoria» dei precedenti atti e provvedimenti degli enti previdenziali privatizzati, pur ispirata ad esigenze di equilibrio di bilancio delle gestioni previdenziali e, soprattutto, di equita' tra generazioni, si pone tuttavia in contrasto con l'affidamento nella sicurezza giuridica e con le legittime aspettative dei lavoratori, sanando un atto ab origine illegittimo, quando sono gia' pendenti i giudizi fondati su tale illegittimita' e cosi' peggiorando in misura notevole ed in maniera definitiva il trattamento in precedenza spettante, sulla base della normativa vigente al momento della proposizione della domanda, in contrasto con i principi desumibili dagli artt. 2, 3, 24, 38 della Costituzione; che, peraltro, una sanatoria cosi' «generalizzata», estesa a tutti i provvedimenti amministrativi degli enti di previdenza, anche se non rispettosi del principio del pro rata ed incidenti su trattamenti garantiti da disposizioni di legge risulta di per se' irragionevole ed in contrasto con il principio di riserva di legge ex art. 23 Cost. applicabile in materia (vedi sul punto da ultimo Corte cost. 14 giugno 2007 n. 190);