Sulla vicenda processuale il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona ha chiesto il rinvio a giudizio di Augussori Luigi, Bacchin Francesco Maria, Baldani Luca, Bevegni Lorenzo, Boatto Stefano Mario, Borghezio Mario, Bosio Bernardino, Bosisio Alberto Maria, Bossi Umberto, Brogantini Matteo, Calderoli Roberto, Cavaliere Enrico, Cavallin Stefano, Cavallini Sergio, Ceresa Roberto, Cerini Fabiano, Chiappori Giacomo, Corini Angelo, Flego Enzo, Formentini Marco, Garbin Giogo, Gobbo Gian Paolo, Gomarasca Moreno, Gnutti Vito, Grammatica Luciano, Lonzar Franco, Maddalena Giuseppe, Magagnin Patrizio, Magrotti Stefano, Marchini Corinto Amedeo, Maroni Roberto, Mazzonetto Alberto, Mercanzin Marco, Nicoletto Giovanni, Paggi Riccardo, Pagliarini Giancarlo, Perin Renzo, Pini Tiziano, Pollini Alfredo, Provenzi Piercarlo, Robbiani Andrea Ambrogio, Savoi Alessandro, Secco Giampietro, Speroni Francesco, Vascon Luigino, Zanardini Mario: a) omissis; b) omissis; c) omissis; d) del reato di cui agli artt. 81 c.p., 1, d.lgs. 14 febbraio 1948, n. 43, per avere, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, promosso, costituito, diretto, e partecipato - con molte altre persone, alcune identificate ed altre da identificare - ad una associazione di carattere militare con scopi politici, denominata «camicie verdi», poi confluita in altra piu' complessa struttura denominata GNP (guardia nazionale padana), organizzata secondo precise regole di ammissione e reclutamento degli aderenti - tutti dotati di uniforme costituita da una camicia verde con maniche lunghe recante un particolare stemma sulla manica sinistra e sul taschino sinistro - e di inquadramento in gruppi territoriali gerarchicamente organizzati, con l'individuazione di responsabili locali tenuti a seguire rigorosamente le direttive del «capo» o delle persone da lui delegate, ed a riferire periodicamente sull'attivita' compiuta in esecuzione di tali direttive; associazione contigua al movimento politico Lega Nord ed avente lo scopo di meglio attuare e di rendere praticabili le proclamate finalita' politiche di tale movimento di creazione di nuove realta' statuali - rappresentandone in qualche modo le istituzioni di polizia e militari - mediante la creazione di una struttura gerarchicamente organizzata cd opportunamente addestrata per un eventuale impiego collettivo in azioni di violenza e minaccia - peraltro presentate come azioni di legittima difesa di pretesi diritti violati - ed utilizzata, anche, per intimidire gli aderenti contrari alle direttive politiche dei Vertici del movimento, e quindi impedirne la partecipazione al dibattito interno, e cosi' imporre, attraverso la riduzione al silenzio dei dissenzienti, all'interno dello stesso movimento Lega Nord una precisa linea politica. Con l'aggravante del possesso di armi, essendo state rinvenute numerose armi, peraltro legittimamente detenute, munizioni ed esplosivo nelle abitazioni di vari aderenti all'associazione. In Verona in un periodo ricompreso tra giugno e settembre 1996 e anche successivamente. I procedimenti penali sono stati riuniti all'udienza preliminare del 13 febbraio 2001. All'udienza preliminare del 5 ottobre 2006 e' stata disposta la riunione del procedimento penale nei confronti di Francesco Bacchin, la cui posizione processuale era stata separata nel prosieguo dell'udienza del 13 febbraio 2001 per questioni di nullita' delle notifiche degli atti introduttivi. All'udienza preliminare del 5 ottobre 2006 nei confronti di tutti gli imputati e' stata pronunciata sentenza diproscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p. per essere i fatti loro ascritti ai capi A, B e C della richiesta di rinvio a giudizio (violazioni degli artt. 241, 283 e 271 c.p.) non piu' previsti dalla legge come reato (in forza della sentenza della Corte costituzionale n. 243 del 12 luglio 2001 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 271 c.p., e della novella legislativa n. 85 del 24 febbraio 2006 che ha riformulato le violazioni di cui agli artt. 241 e 283 c.p.), e per essere il reato loro ascritto al capo D, limitatamente alla violazione dell'art. 2 del d.lgs. n. 43/1948, estinto per prescrizione. Il processo penale verte, pertanto, unicamente sulla residua imputazione di cui all'originario capo D della domanda di giudizio, ossia la violazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 43/1948 citato. Con ordinanza n. 102 del 7 marzo 2007 la Corte costituzionale, richiamata la propria sentenza di inammissibilita' n. 267 del 7 luglio 2005, ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da questo giudice nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alle deliberazioni adottate dall'Assemblea nella seduta del 31 gennaio 2001 (doc. IV-quater n. 60) con le quali e' stato ritenuto che i fatti oggetto del procedimento penale in epigrafe a carico dei senatori Vito Gnutti e Francesco Speroni concernono opinioni espresse da membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni e, in quanto tali, sono insindacabili (la decisione della Corte costituzionale e' fondata sul profilo che il conflitto contro la stessa delibera del Senato e' stato riproposto nel corso della stessa fase del giudizio e dall'identico giudice, ossia dal g.u.p.). Con sentenza pronunciata all'udienza preliminare del 31 marzo 2008 questo giudice ha, pertanto dichiarato non doversi procedere, ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e dell'art. 6, comma 8, della legge n. 140 del 20 giugno 2003, nei confronti degli imputati Gnutti e Speroni per difetto della condizione di procedibilita', operando l'eccezione al principio di obbligatorieta' della legge penale sancito dall'art. 3 c.p. in quanto gli imputati sono stati ritenuti immuni ai sensi dell'art. 68, comma primo, della Costituzione. Con ordinanza in data 9 ottobre 2006 questo Giudice, respinta l'eccezione formulata all'udienza preliminare del 5 ottobre 2006 ai sensi dell'art. 68, comma primo, della Costituzione nell'interesse degli imputati onorevoli Umberto Bossi, Roberto Calderoli, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Luigino Vascon, Enzo Flego, Mario Borghezio, Roberto Maroni, Giancarlo Pagliarini, Marco Formentini e Gian Paolo Gobbo (Gobbo gia' membro del Parlamento europeo), ha rimesso gli atti al Parlamento italiano e, per il Gobbo, al Parlamento europeo, applicando le disposizioni degli artt. 3, commi quarto e quinto, della legge n. 140 del 20 giugno 2003 e 68, comma primo, della Costituzione, nonche' dell'art. 10 del protocollo di Bruxelles dell'8 aprile 1965, reso esecutivo in Italia con legge n. 437 del 3 maggio 1966. Con nota del 27 novembre 2006 il Presidente del Senato della Repubblica ha comunicato che alcuno dei predetti imputati ricopriva la carica di senatore all'epoca dei fatti. Con nota del 12 marzo 2007 il Presidente della Camera dei deputati ha comunicato che Marco Formentini ed Enzo Flego non erano deputati al momento dei fatti. Con decisione del 24 ottobre 2007 l'Assemblea di Strasburgo, in relazione all'ordinanza pronunciata da questo Giudice il 9 ottobre 2006 con cui gli atti sono stati trasmessi anche al Parlamento europeo, ha ritenuto di non difendere l'immunita' ne' i privilegi del parlamentare europeo on. Gian Paolo Gobbo, reputando che i fatti attribuitigli non siano coperti da immunita' parlamentare. Con nota del 4 maggio 2007 il Presidente della Camera dei deputati ha comunicato che l'Assemblea, nella seduta del 2 maggio 2007, ha approvato la relazione doc. IV-quater n. 9, deliberando che i fatti per i quali e' in corso il presente processo penale a carico di Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, deputati all'epoca dei fatti, concernono opinioni espresse da membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni, ai sensi dell'art. 68, comma primo, della Costituzione. Il pubblico ministero ha chiesto che questo giudice sollevi conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera di insindacabilita' approvata il 2 maggio 2007. Le difese degli imputati hanno chiesto, in principalita', la pronuncia di sentenza ex art. 129 c.p.p. in quanto gli imputati non possono essere chiamati a rispondere ai sensi dell'art. 68, comma primo, della Costituzione e dell'art. 6, comma 8, della legge n. 140/2003; hanno osservato, inoltre, che il conflitto di attribuzione contro la Camera dei deputati sarebbe inammissibile poiche' la Corte costituzionale ha gia' adottato simile decisione nel conflitto di attribuzione contro il Senato della Repubblica. Questo giudice ritiene di riproporre il conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alle citate deliberazioni del 2 maggio 2007 di insindacabilita', ex art. 68, comma primo, della Costituzione, dei fatti per i quali si procede a carico degli imputati Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiapparti, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, dando lettura alle Parti del presente ricorso. Sul ritenuto conflitto di attribuzione Rileva questo giudice che, nel presente processo, la Corte costituzionale non e' stata mai investita della risoluzione di un conflitto di attribuzione contro la delibera della Camera dei deputati con la quale, in data 2 maggio 2007, i fatti addebitati ai parlamentari Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiapparti, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, sono stati ritenuti insindacabili ai sensi dell'art. 68 comma primo della Costituzione. Esiste dunque l'interesse a ricorrere, in ragione della variazione intervenuta nella situazione processuale dei nominativi imputati, nelle more della udienza preliminare, in forza della recente citata delibera della Camera dei deputati. Ad avviso del ricorrente le declaratorie di inammissibilita' dei ricorsi con cui era stato sollevato conflitto contro il Senato della Repubblica - e di cui alla sentenza della Corte n. 267 del 2005 e ad alla ordinanza della Corte n. 102 del 2007 -, spiegano i loro effetti unicamente con riguardo alle posizioni processuali degli imputati Gnutti e Speroni (per i quali, infatti, e' stata pronunciata sentenza di non doversi procedere). La considerazione che precede trova fondamento anche nel dettato di cui all'art. 38 della legge n. 87 del 1953 secondo il quale «La Corte costituzionale risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla». Nel caso in esame, il ricorso viene proposto contro la Camera dei deputati e avverso la delibera del 2 maggio 2007, ossia avverso un atto nuovo e distinto dalla delibera all'epoca adottata da un altro ramo del Parlamento, e cioe' dal Senato della Repubblica, e che si ritiene viziato da incompetenza. Agli onorevoli Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli e' contestato di avere partecipato, promuovendola, costituendola e dirigendola, ad una associazione di carattere militare articolata in piu' compagnie corrispondenti alle province del Nord d'italia, denominata «Camicie Verdi» o «Guardia Nazionale Padana»; lo scopo politico dell'associazione e' individuato nel programma perseguito dal partito Lega Nord cui i predetti parlamentari hanno aderito, diretto ad affermare l'autonomia della c.d. «Padania» o «Nazione Padana» e la sua separazione dall'ordinamento costituzionale, creando una entita' statuale del tutto autonoma. Collocati al vertice, o componenti di rilievo, di istituzioni proprie della c.d. «Repubblica Federale Padana», costituite come apparati burocratici paralleli ed antagonisti alle istituzioni dello Stato Italiano (Bossi e Maroni rispettivamente capo e portavoce del «Comitato di Liberazione della Padania», e Maroni altresi' quale presidente del Governo Provvisono della Padama», Cavaliere e Gobbo quali componenti del predetto «Comitato di Liberazione»; Borghezio, Pagliarini, Chiappori e Cavaliere quali componenti del «Governo Provvisorio della Padania»; Vascon quale responsabile, succeduto a Flego, delle Camicie Verdi per il Veneto; Calderoli individuato, tra gli altri, quale promotore delle menzionate istituzioni della «Nazione Padana» nell'ambito delle assemblee del «Parlamento della Padania»), i nominati parlamentari, secondo la tesi accusatoria, hanno contribuito a costituire, potenziare e dirigere il gruppo associativo «Camicie Verdi» o «Guardia Nazionale Padana», teorizzandone le finalita', coordinando le modalita' di impiego degli appartenenti all'associazione, provocando l'adesione di terzi a detta associazione ed ai suoi scopi attraverso un'attivita' di diffusione del programma. Come argomentato da questo giudice nell'ordinanza di trasmissione degli atti al Parlamento in data 9 ottobre 2006, ai sensi dell'art. 3, comma quarto, della legge n. 140/2003, risulta dagli atti del fascicolo del Pubblico ministero che la «Guardia Nazionale Padana» sia stata costituita quale struttura a sostegno delle iniziative, nonche' a difesa, delle istituzioni della c.d. «Repubblica Federale Padana», e cioe' i citati Parlamento e Governo - di cui i nominati parlamentari facevano parte - nonche' il c.d. «Comitato di Liberazione della Padania» - al cui vertice erano collocati Bossi e Maroni. Le adesioni alla Guardia Nazionale Padana, riservate ai cittadini padani, sono state inoltrate, come da statuto, ai predetti Parlamento e Governo - e dunque agli imputati parlamentari che ne facevano parte. Nell'atto di fondazjone del «Comitato di Liberazione della Padania» (istituzione presieduta, si ripete, da Bossi e da Maroni) si legge, all'art.8, che il C.L.P. si dota di un servizio d'ordine organizzato nell'ambito dei territori della Padania, che viene denominato «Camicie Verdi». Nello «Statuto della Federazione delle Compagnie della Guardia Nazionale Padana» (la federazione e' apparato in cui si e' evoluta l'originaria struttura delle Camicie Verdi), tra le disposizioni transitorie, si legge che la federazione sarebbe stata retta dai membri del Governo Provvisorio della Padania (tra cui Borghezio, Pagliarini, Chiappori e Cavaliere). Nella prospettazione dell'accusa, cosi' delineata alla stregua della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti contenuti nel fascicolo trasmesso dal pubblico ministero, i nominativi parlamentari avrebbero pertanto sovrinteso, attraverso i descritti ruoli e attivita' in seno alle «istituzioni padane», alla complessiva gestione degli associati, cosi' partecipando, mediante attivita' di promozione, proselitismo, diffusione del programma, organizzazione e direzione della struttura, ad una associazione di carattere militare; essa e' articolata in piu' compagnie corrispondenti alle province del Centro-Nord d'Italia, e' dotata di una forza di intervento in ragione dell'attitudine e/o potenzialita' al dispiego di forza fisica od intimidatoria, con capacita' e possibilita' di farne uso; lo scopo politico dell'associazione e' individuato nel programma perseguito dal partito Lega Nord, cui i nominati parlamentari hanno aderito, diretto ad affermare l'autonomia della cd. «Padania» o «Nazione Padana» e la sua separazione dall'ordinamento costituzionale, creando una entita' statuale del tutto autonoma. Diversamente da quanto sostenuto nella relazione approvata dalla Camera dei deputati all'Assemblea del 2 maggio 2007, secondo cui «l'associazione delle Camicie Verdi altre non era che un Servizio d'ordine simile a quelli organizzati dai partiti in occasione dei comizi e dellle, manifestazioni di piazza ancora oggi cosi' frequenti nella vita politica e sociale italiana», ritiene questo giudice che i risultati delle indagini preliminari testimonino aspetti per contro significativi con riguardo alle caratteristiche dell'associazione in oggetto: per un verso, l'imponente lavoro di reclutamento, organizzazione ed impiego degli appartenenti all'associazione; per altro verso, la struttura organizzativa di tipo gerarchico piramidale, al cui vertice e' stato posto un responsabile federale al quale si relazionano i responsabili regionali («nazionali», secondo il lessico dell'associazione, poiche' ogni regione del centro-nord e' elevata al rango di «nazione» della Repubblica Federale) e i responsabili provinciali, contraddistinta da regole per la costituzione e l'arruolamento; in terzo luogo, gli esiti investigativi conforterebbero la tesi secondo cui detta forza di intervento sia stata destinata ad operare, e di fatto impiegata, come struttura operativa di immediata mobilizzazione, ossia una sorta di apparato parallelo alle forze armate od alle forze di polizia dello Stato (tali caratteristiche sono emerse anche dall'esame della documentazione sequestrata in occasione delle perquisizioni domiciliari a carico dei dirigenti, del responsabile federale e dei responsabili regionali e provinciali della Guardia Nazionale Padana eseguite nel settembre e nel novembre 1996; dai contenuti delle conversazioni telefoniche intercettate, in astratto utilizzabili nei confronti dei terzi non parlamentari alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 390/2007 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge n. 140/2003). Dai fatti storici emerge dunque, di tutta evidenza, come accanto ad un governo - che ha emanato propri decreti, proposte di legge e delibere - e ad un parlamento - riunitosi periodicamente in proprie sedi e che ha emesso dichiarazioni a carattere costituente -, si sia costituito un comitato di liberazione nazionale con forze di intervento diffuse sul territorio ed una forza di sostegno con articolazione gerarchica definita attraverso la individuazione di responsabili su piu' livelli territoriali; apparati riuniti e contraddistinti da una propria bandiera (il sole celtico verde su sfondo bianco) ed un proprio inno nazionale («Va pensiero» tratto dall'opera lirica Nabucco), con apposite forme di pubblicita' legale e di stampa (la Gazzetta Ufficiale della Padania) con diffusione capillare e concreta idoneita' a raccogliere Consensi di massa. Oltre ai suddetti apparati burocratico istituzionali, anche la struttura di appoggio delle istituzioni costituita quale forza gerarchicamente organizzata e' organismo parallelo ed antagonista alla analoga istituzione dello Stato, alle sue forze armate; a mezzo di essi e con la loro stessa costituzione e' stato ampiamente manifestato il perseguimento del proposito secessionista, avviandosi alla sua attuazione pratica. La connotazione della Guardia Nazionale Padana, evolutasi nella Federazione delle Compagnie della Guardia Nazionale Padana, sorta dal nucleo iniziale delle Camicie Verdi, e' parsa dunque quella di una pluralita' di persone, o formazione sociale, avente il carattere della stabilita', articolata in una serie di ruoli - attraverso cui sono esplicate le funzioni essenziali dirette prima alla costituzione ed al consolidamento, quindi al massimo rafforzamento dell'ente come tale -, rivolta al perseguimento di uno scopo politico - che si identifica nel programma politico del partito Lega Nord -, e dotata di una forza di intervento, in ragione dell'attitudine e/o potenzialita' al dispiego di forza fisica o intimidatoria, con capacita' e possibilita' di farne uso, di modo che la lotta politica, anziche' sulla pacifica discussione, sarebbe stata impostata sull'uso di mezzi violenti e sulla creazione di un'atm,osfera di paura (non a caso tra i reclutati e gli stessi dirigenti delle Camicie Verdi vi erano anche legittimi detentori di armi da sparo, e nella domanda di adesione alla Guardia Nazionale Padana, mediante compilazione di moduli predisposti da inviare al Governo ed al Parlamento di cui facevano parte gli onorevoli odierni imputati, vi era espresso riferimento al possesso di porto d'armi; soltanto in epoca successiva si leggera' nello Statuto della Federazione delle Compagnie della Guardia Nazionale Padana, all'art. 2, che uno dei principi ispiratori e' «il rifiuto di ogni attivita' che implichi, anche indirettamente il ricorso all'uso delle armi o della violenza» all'art. 3 che, tra gli scopi della Federazione, ricorre quello di «combattere gandhianamente ingiustizie sociali ed assumere le difese di chi ha bisogno della solidarieta' umana, anche attraverso l'assunzione di iniziative pacifiche e non violente, ivi inchise la disobbedienza civile e la resistenza passiva contro ogni tipo di oppressione», nel Regolamento delle «Camicie Verdi» si vietera', all'art. 2, il porto di armi durante lo svolgimento dei servizi di sicurezza; nella proposta di legge 11 gennaio 1998 di iniziativa del «Governo della Padania» inerente le «norme per la costituzione della Guardia Nazionale Padana» all'art. 3 si leggera' che, tra i requisiti per l'iscrizione, e' richiesta la «buona condotta civile certificata da autorita' o testimoniata da cinque cittadini e 1'inesistenza di precedenti condanne penali e procedimenti penali in corso per ... delitti di violenza privata aggravata contro le persone». Secondo la tesi del Pubblico ministero l'apparato organizzativo originario di cui si discute, supportato da attivita' di propaganda e proselitismo, e' parso non riconoscere il metodo democratico e pacifico di azione politica, articolandosi in corpi e reparti organizzati in guisa militare e dotati di «gradi ed uniformi»; cio' che, al di la' dell'aspetto «ideale» di usurpazione del monopolio statuale della forza, andava a materialmente turbare la tranquillita' dei cittadini intaccando tale bene collettivo sociale, prima ancora che quello squisitamente politico della esclusiva pertinenza allo Stato dei poteri di coazione. La Giunta per le autorizzazioni, la cui proposta e' stata approvata dalla Camera dei deputati nella seduta del 2 maggio 2007, ha ritenuto che i fatti addebitati agli onorevoli Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarmi, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli concernono opinioni espresse nell'esercizio della funzione parlamentare e, in quanto tali, sono insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. Nella parte motiva della relazione della Giunta si legge: «La Giunta ha constatato, a sua volta, che oggi le specifiche condotte ascritte ai singoli deputati imputati consistono nell'aver ''contribuito a costituire, potenziare e dirigere il gruppo associativo Camicie Verdi o Guardia Nazionale Padana, teorizzandone le finalita', coordinando le modalita' di impiego degli appartenenti all'associazione, provocando l'adesione di terzi a detta associazione ed a suoi scopi attraverso un'attivita' di diffusione del programma. In particolare (...) la Guardia Nazionale Padana e' stata costituita a sostegno delle iniziative nonche' a difesa delle istituzioni della cosiddetta Repubblica Federale Padana, e cioe' i citati parlamento e governo nonche' il cosiddetto Comitato di Liberazione della Padania''. Orbene, a giudizio unanime della Giunta e' apparso che tali condotte (al di la' di una valutazione di merito che potrebbe per alcuni inclinare al folkloristico e per altri al cattivo gusto istituzionale) possano agevolmente ricondursi al novero delle manifestazioni pubbliche tutelate dall'art. 21 della Costituzione, dei momenti di riunione e associazione partitica di cui agli artt. 17, 18 e 49 del della Costituzione stessa e in definitiva delle opinioni espresse in connessioni con la funzione parlamentare ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. E' noto, infatti, che la Lega Nord nelle legislature XIII e XIV ha avanzato numerose proposte di legge volte a introdurre in Italia una forma di Stato marcatamente federalista, fino a chiedere e a ottenere nella XIV legislatura per il deputato Bossi la titolarita' del ministero delle riforme istituzionali e a concorrere all'approvazione di una modifica costituzionale che, a detta della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica italiana, andava sotto il nome di devolution e come tale e' stata sottoposta a referendum, confermativo del 25 e 26 giugno 2006. Nella parte conclusiva della relazione in esame si legge, infine, che «Da ultimo, e per completezza, si puo' osservare che l'associazione delle Camicie Verdi altro non era che un servizio d'ordine, simile a qualli organizzati dai partiti in occasione dei comizi e delle manifestazioni di piazza ancora oggi cosi' frequenti nella vita politica e sociale italiana. All'evidenza, la mera esistenza e organizzazione di tali servizi d'ordine non costituiscono di per se' un attacco all'integrita' dello Stato e alla quiete pubblica. Ad avviso di questo giudice - che considerazioni analoghe ha espresso nell'ordinanza di trasmissione degli atti al Parlamento, in data 9 ottobre 2006 - gli atti integranti il reato di partecipazione ad una associazione di tipo militare, svolgendo in essa compiti promozionali, direttivi e organizzativi, nonche' sovrintendendo alle adesioni al gruppo da parte di terze persone, sono estranei al concetto di opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, ancorche' letti nel contesto ideologico da cui si e' mossa l'azione politica della Lega Nord ed il programma secessionista cui i parlamentari imputati hanno aderito. D'altronde, il perseguimento dello «scopo politico» da parte dell'associazione e' uno degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 1, d.lgs. n. 43 del 1948, onde la finalita' politica non potrebbe, da un lato, integrare un requisito del reato e, dall'altro lato e al tempo stesso, consistere in un'opera di divulgazione delle attivita' parlamentari in quanto tale insindacabile e, dunque, con l'effetto di rendere non punibile la condotta delittuosa. Le condotte addebitate ai suddetti parlamentari sono comportamenti materiali, che incidono direttamente e negativamente sulla sicurezza delle persone, e che per loro natura sono del tutto avulsi dalla manifestazione del pensiero, ossia dalle «opinioni». La proposta della Giunta delle autorizzazioni non ha affrontato in modo esaustivo il tema della connessione tra l'esercizio delle funzioni parlamentari e le attivita' svolte, invece, in relazione all'associazione vietata dalla legge, ne' ha esplicitato le ragioni per cui attivita' materiali come quelle piu' volte descritte nei paragrafi superiori possano ricondursi alla categoria delle «opinioni» espresse nell'esercizio delle funzioni di parlamentare. Pare, invece, che la Giunta abbia qualificato le condotte in violazione dell'art. 1 del d.lgs n. 43/1948 come una proiezione del disegno politico portato avanti nelle istituzioni, esaltando in particolare le iniziative volte ad introdurre in Italia una forma di Stato federalista, e sottolineando come il gruppo parlamentare di appartenenza dei deputati in questione si chiamasse Lega nord per l'indipendenza della Padania» nella XIII legislatura, e «Lega nord-Padania» nella XIV. Se cosi' fosse, deve evidenziarsi come la tesi in questione si discosti dai principi stabiliti dalla Corte costituzionale sull'ambito di operativita' della particolare garanzia prevista dall'art. 68, comma primo, Costituzione. Nella sentenza n. 137 del 17 maggio 2001 la Corte ha infatti affermato che: «La prerogativa parlamentare non puo' infatti essere estesa sino a comprendere gli insulti - di cui e' comunque discutibile la qualificazione come opinioni - solo perche' collegati con le ''battaglie'' condotte da esponenti parlamentari in favore delle loro tesi politiche; cosi' argomentando, il nesso funzionale, lungi dal tradursi in una corrispondenza tra espressioni verbali e atti parlamentari tipici, si risolverebbe in un generico collegamento con un contesto politico indeterminabile, del tutto avulso dall'esercizio di funzioni parlamentari suscettibili di essere concretamente individuate. A maggior ragione la prerogativa parlamentare di cui all'art. 68 Costituzione non puo' essere riferita ai comportamenti materiali che sono stati qualificati come resistenza a pubblico ufficiale. L'art. 68, primo comma, Costituzione, si riferisce unicamente alle ''opinioni espresse'' e ai ''voti dati'' dai membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni, mentre gli atti di resistenza e di violenza descritti nel capo di imputazione ... non sono in alcun modo qualificabili come tali». Non ignora questo giudice l'impostazione secondo cui nel concetto di opinione rientrano anche comportamenti materiali diretti ad illustrare le iniziative svolte nella qualita' di parlamentare, ma Ritiene tuttavia che debba trattarsi di comportamenti che non incidano negativamente sui diritti di altri individui, mentre la fattispecie incriminatrice la cui violazione e' addebitata ai parlamentari, per sua natura, crea turbativa all'ordine pubblico ed e' lesiva della sicurezza sociale. Qualificando i fatti in contestazione come «opinioni» - cio' che non si condivide -, la Giunta ne ha poi ritenuto la connessione alla funzione parlamentare in ragione dell'intento divulgativo del disegno politico portato avanti nelle istituzioni, il disegno cioe' di un assetto costituzionale diverso dall'attuale. Ritiene questo giudice che affermare l'esistenza di un «nesso funzionale» con l'attivita' parlamentare per il fatto che l'asociazione «Camicie Verdi» persegua il programma politico della Lega Nord, cui i senatori hanno aderito, sia una petizione di principio poiche', come argomentato in premessa, lo «scopo politico» e' gia' di per se' un requisito imprescindibile del reato di cui trattasi. Cosi' facendo la Giunta ha finito col riscontrare una connessione sufficiente nella semplice posizione politica del movimento cui i parlamentari appartengono. La tesi della Giunta pare allora discostarsi dalle consolidate linee giurisprudenziali della Corte costituzionale secondo cui gli atti del parlamentare svolti extra moenia sono insindacabili solo se e nella misura in cui siano «identificabili» come attivita' parlamentare, vale a dire abbiano una «corrispondenza sostanziale» di contenuto con atti parlamentari tipici (ex plurimis sentenze n. 10, 11, 56, 58, 82, 320, 321 e 420 del 2000; n. 137 e 289 del 2001; n. 50, 51, 52, 79, 207, 257, 270, 294 e 421 del 2002; n. 298, 347 e 348 del 2004; n. 79 del 2005; n. 336 e 383 del 2006; n. 52, 151, 152, 236, 271 e29l del 2007). Appare qui rilevante riportare alcuni passaggi tratti dalla sentenza «pilota» n. 10 del 2000: «E' pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della camera e dei suoi vari organi ... L'attivita' politica del parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma, Cosi' ... Ne' si puo' accettare, senza vanificare tale delimitazione, una definizione della funzione del parlamentare cosi' generica da ricomprendervi l'attivita' politica che egli svolga in qualsiasi sede, e nella quale la sua qualita' di membro delle Camere sia irrilevante. Nel linguaggio e nel sistema della Costituzione, le ''funzioni'' riferite agli organi non indicano generiche finalita', ma riguardano ambiti e modi giuridicamente definiti: e questo vale anche per la funzione parlamentare, ancorche' essa si connoti per il suo carattere non specializzato. Discende da quanto osservato che la semplice comunanza di argomento fra dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima della immunita' che copre le seconde. Tanto meno puo' bastare a tal fine la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca ... In questo senso va precisato il significato del nesso funzionale che deve riscontarsi, per potere ritenere la insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare. Non cioe' come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare». Nei comportamenti addebitati ai parlamentari Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli manca del tutto la riproduzione o divulgazione di una precedente attivita' parlamentare rispetto alla quale i fatti in esame presentino una «sostanziale identita' di contenuti» tale da comportare un «nesso funzionale». I parlamentari non avrebbero certamente svolto attivita' di propaganda, all'interno delle Camere, di una associazione vietata dalla legge - giacche' intra moenia essi sono sottoposti alla sorveglianza della Presidenza dell'Assemblea e delle Commissioni -, ed e' allora del tutto irrilevante che detta associazione fosse animata dall'identico spirito indipendentista e secessionista che contraddistingue il programma politico del partito di appartenenza dei senatori. Ne' e' decisiva, sotto tale profilo, la circostanza che i comportamenti incriminati, che la Giunta riconduce al novero delle manifestazioni pubbliche e dei momenti di riunione ed associazione partitica tutelati dagli artt. 21, 17, 18 e 49 della Costituzione, siano stati posti in essere fuori dalla sede parlamentare e per tale motivo avrebbero assunto connotazioni differenti rispetto a quelli realizzabili all'interno delle Camere. La Corte costituzionale ha infatti precisato che la legge n. 140/2003 - il cui art. 3, comma primo, rinvia all'art. 68 comma primo, Costituzione per tutte le attivita' ivi descritte «espletate anche fuori del Parlamento» - «non ha innovato 1'art. 68 Costituzione ma ne ha precisato l'ambito. fissando principi gia' enucleabili dalla Costituzione e dalla giurisprudenza costituzionale, e cioe' le opinioni espresse e gli atti compiuti dai parlamentari sono insindacabili anche se compiuti fuori del Parlamento, ma soltanto a condizione che sussista un preciso collegamento di scopo (c.d. nesso funzionale) tra l'atto compiuto ed il mandato parlamentare». Gli atti non tipici del parlamentare «debbono comunque essere connessi alla funzione parlamentare, a prescindere da ogni criterio di localizzazione, in concordanza con le indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale in materia,dalla quale e' comunque enucleabile il principio, che costituisce oggi il limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita', secondo cui questa non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera ''qualita'' di parlamentare» (sent. n. 120 e 347 del 2004; n. 151 del 2007). Nel senso del difetto di riferibilita' alla funzione parlamentare dei comportamenti posti in essere da uno degli imputati nel presente processo, attualmente parlamentare europeo, l'onorevole Gian Paolo Gobbo, si e' espresso, da ultimo, il Parlamento europeo, cui gli atti sono stati trasmessi da questo giudice con ordinanza del 9 ottobre 2006. Con decisione del 24 ottobre 2007 l'Assemblea di Strasburgo ha ritenuto di non difendere l'immunita' ne' i privilegi dell'on. Gobbo, reputando che i fatti a lui attribuiti non siano coperti da immunita' parlamentare. L'Assemblea ha considerato che «stando al pubblico ministero italiano, l'obiettivo delle Camicie Verdi era di creare un movimento organizzato gerarchicamente, addestrato per intraprendere azioni collettive di carattere violento o intimidatorio e utilizzato anche per dissuadere i propri membri dall'opporsi alle direttive politiche dei capi, nonche' per evitare che sorgesse disaccordo in seno al movimento, contribuendo cosi' a imporre una linea politica determinata dalla Lega Nord e mettendo a tacere qualsiasi manifestazione di dissenso al suo interno»; che, inoltre «1'art. 9 del protocollo sui privilegi e sulle immunita' accorda ai deputati l'immunita' assoluta da procedimenti giudiziari solo nel caso delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni»; che, infine «la partecipazione ad un movimento i cui membri indossavano un'uniforme di stile militare e che a quanto pare intendeva raggiungere i propri obiettivi mediante l'uso potenziale o effettivo della forza, e' chiaramente in contraddizione e incompatibile con il ruolo e le responsabilita' inerenti a un mandato parlamentare e che, pertanto, tale partecipazione nomi puo' essere ritenuta un legittimo esercizio del diritto di liberta' di espressione ne' il normale esercizio delle funzioni di deputato a un parlamento eletto che rappresenta i cittadini»; pertanto, l'Assemblea ha ritenuto che «ai sensi dell'art. 9 del protocollo dell'8 aprile 1965 sui privilegi e sulle immunita' delle Comunita' europee e, nella misura in cui e' pertinente, dell'art. 68, primo comma, della Costituzione italiana, l'immunita' parlamentare non copra i fatti attribuiti all'on. Gian Paolo Gobbo e decide pertanto di non difenderne l'immunita' ne' i privilegi». La deliberazione della Camera dei deputati, approvata il 2 maggio 2007, si rivela allora, ad avviso di questo giudice, in contrasto col potere ed il dovere di assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale attribuito dalla Costituzione in capo agli uffici giudiziari, in primo luogo per il radicale difetto di riferibilita' dei comportamenti posti in essere dai parlamentari Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli alla funzione parlamentare e, in secondo luogo, per avere fondato la decisione sulla base di valutazioni di merito della vicenda oggetto del presente processo, espressamente riconducendo all'intento divulgativo del programma politico teorizzato in Parlamento la realizzazione di condotte materiali, quali appunto la promozione, la direzione e l'organizzazione di un'associazione vietata dalla legge, e, in aggiunta, arrivando ad escludere che le Camicie Verdi Costituissero struttura integrante la figura dell'associazione di tipo militare vietata dalla legge (nella parte conclusiva della relazione si legge, infatti, come sopra riportato, che «... si puo' osservare che l'associazione delle Camicie Verdi non era che un servizio d'ordine, simile a quelli organizzati dai partiti in occasione dei comizi e delle mnanifestazioni di piazza ancora oggi cosi' frequenti nella vita politica e sociale italiana. All'evidenza, la mera esistenza e organizzazione di tali servizi d'ordine non costituiscono di per se' un attacco all'integrita' dello Stato e alla quiete pubblica»). Cosi' facendo la Camera ha mostrato di condividere l'impostazione, seguita dalla prassi parlamentare a partire dalla XIII legislatura, fondata sui criteri che la prerogativa costituzionale copre tutti i comportamenti riconducibili all'attivita' politica latu sensu intesa del parlamentare, e che la sua ricorrenza non e' esclusa anche di fronte a comportamenti che in astratto possono rivestire natura illecita. In conclusione, poiche' la deliberazione della Camera esorbita dall'ambito derogatorio consentito dall'art. 68, primo comma, Costituzione, risultano violati, da un lato, anche gli artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, e 104, primo comma, Costituzione, posti a tutela della titolarita' della funzione giurisdizionale in capo alla magistratura e della legalita' ed indipendenza del suo esercizio; dall'altro l'art. 3, primo comma, Costituzione, per la disparita' di trattamento che in tal modo viene introdotta tra cittadini ordinari e parlamentari, consentendosi a questi ultimi condotte in ipotesi integranti figure di reato prive di qualsiasi connessione con la funzione parlamentare. Questo giudice intende percio' sottoporre al vaglio regolatore della Corte costituzionale l'uso del potere esercitato dalla Camera dei deputati che, con delibera in data 2 maggio 2007, ha ritenuto che i fatti addebitati ai parlamentari, all'epoca deputati, Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, e loro ascritti quale violazione dell'art, 1 del d.lvo n. 43/1948 come delineata al capo D della richiesta di rinvio a giudizio e specificata nel presente ricorso, rientrino nelle opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni parlamentari, rendendo improcedibile nei loro confronti l'azione penale e non esercitatile la giurisdizione. Consegue ex lege (artt. 37, quinto comma, e 23, secondo comma, legge n. 87 del 1953) la sospensione del processo nei confronti dei predetti parlamentari, nonche', tenuto conto della concorde richiesta delle Parti formulata gia' all'udienza del 5 ottobre 2006, nei confronti dei coimputati essendo tutti chiamati a rispondere del medesimo reato, che integra una figura di concorso di persone necessario e sussistendo dunque, connessione ai sensi dell'art. 12, lettera a) c.p.p.