LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di lavoro iscritta sul ruolo generale affari contenziosi sotto il numero d'ordine 489 dell'anno 2007 tra Rosati Anita, rappresentata e difesa dall'avv. D. Carpagnano appellante; Contro Poste Italiane S.p.A. rappresentata e difesa dagli avv. L. Fiorillo e G. Carrieri appellata; F a t t o Con ricorso depositato il 21 giugno 2005 Rosati Anita conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Trani, in funzione di giudice del lavoro, la S.p.A. Poste Italiane. Esponeva di aver lavorato per le Poste, con le mansioni di portalettere iunior e con inquadramento nel livello E, presso l'Ufficio postale di Andria dal 20 gennaio 2005 al 31 marzo 2005 in virtu' di un contratto di lavoro a tempo determinato, stipulato il 19 gennaio 2005. Precisava che l'apposizione del termine al contratto era giustificata «ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio recapito presso il Polo Corrispondenza Puglia Basilicata assente nel periodo dal 20 gennaio 2005 al 31 marzo 2005». Deduceva che l'apposizione del termine al suddetto contratto era illegittima perche' in contrasto con le disposizioni di legge vigenti pro tempore, e in particolare con l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, il quale consente la stipulazione di contratti a termine solo «a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» e dispone che l'apposizione stessa e' «priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1». Alla luce di tale disposizione, deduceva che la motivazione addotta era generica dal momento che non indicava le ragioni che avevano determinato l'apposizione del termine, si' da non consentire al lavoratore, prima, ed al giudice, poi, di valutare l'effettivita' della motivazione e la sussistenza del necessario nesso eziologico tra il motivo addotto e l'assunzione a tempo determinato. Chiedeva, pertanto, che, previa declaratoria della nullita' del termine apposto al contratto in questione, fosse dichiarato che fra le parti si era instaurato ab origine un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e che la convenuta S.p.A. Poste Italiane fosse condannata a riammetterla in servizio con le mansioni indicate nel contratto stipulato ed al pagamento in suo favore di tutte le retribuzioni maturate a far tempo dal momento in cui aveva posto a disposizione delle Poste le sue energie lavorative, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e con vittoria di spese in distrazione. Instaurato il contraddittorio, la societa' convenuta si costituiva in giudizio e sosteneva la piena legittimita' della apposizione del termine deducendo che l'art. 1, legge n. 230/1962, che prevede la necessita' dell'indicazione nominativa della persona assente sostituita, doveva ritenersi superato dalle disposizioni di legge successive, ovvero dal d.lgs. n. 368/2001, nel cui quadro nessuna norma impone l'indicazione nominativa del personale sostituito. Aggiungeva inoltre che «ai sensi della nuova disciplina, l'ingiustificatezza del termine mai potrebbe determinare la conversione a tempo indeterminato del rapporto» e che, al piu', avrebbe dovuto essere applicato il principio generale della nullita' del contratto per contrasto con norma imperativa (art. 1418 c.c.). Infine, riguardo alle pretese economiche, eccepiva l'aliunde perceptum, considerato il tempo trascorso tra la risoluzione del contratto e l'iniziativa giudiziaria e la possibilita' per il lavoratore di ridurre o evitare il danno con l'ordinaria diligenza. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Trani rigettava il ricorso. A fondamento di tale decisione osservava che l'apposizione del termine era conforme alle previsioni di cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 368/2001, concordando con le Poste sul fatto che «la genericita' del presupposto indicato dalla legge quale fatto legittimante l'assunzione a termine induce ad escludere che debba esistere un nesso di causalita' specifico tra una determinata situazione aziendale e l'intervenuta assunzione a termine. Una diversa opzione interpretativa ricondurrebbe il contratto a termine in un limitato ambito di ipotesi eccezionali, correlato cioe' all'esistenza di situazioni tipiche che dovrebbero legittimare l'apposizione del termine al contratto e che pertanto dovrebbero costituire oggetto di prova con onere a carico del datore». Avverso tale sentenza il lavoratore proponeva appello con ricorso del 27 febbraio 2007 contestando tutti i passaggi della motivazione del Tribunale di Trani e chiedendo la riforma integrale della sentenza e l'accoglimento della sua domanda. Instaurato il contraddittorio, la S.p.a. Poste Italiane si costituiva chiedendo il rigetto dell'impugnazione, difendendo le tesi sostenute nella sentenza impugnata e riproponendo le eccezioni e difese svolte in primo grado. D i r i t t o Il contratto di lavoro a termine stipulato in data 20 gennaio 2005 ha la seguente motivazione: «... ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio recapito presso il Polo Corrispondenza Puglia Basilicata assente nel periodo dal 20 gennaio 2005 al 31 marzo 2005». E' pacifico tra le parti che, data l'epoca di stipulazione del contratto, la normativa di riferimento e' costituita dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368. L'art. 1 di tale decreto legislativo dispone: «E' consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo». Il secondo comma aggiunge: «L'apposizione del termine e' priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1». Quindi le ragioni possono essere di varia natura e devono essere specificate nell'atto scritto. Tra le ragioni di varia natura che devono essere specificate vi sono anche le «ragioni di carattere sostitutivo». Il concetto di ragioni sostitutive e' semplice ed intuitivo: collega la legittimita' dell'apposizione del termine con la sostituzione di uno o piu' altri lavoratori. Il problema che si pone nella fattispecie in esame e' il seguente: e' sufficiente enunciare che l'apposizione del termine avviene per ragioni di carattere sostitutivo di altri lavoratori o e' necessario indicare anche di che tipo specifico di ragioni sostitutive si tratta e chi e' o chi sono i lavoratori per la cui sostituzione avviene l'assunzione a termine? Nelle riflessioni sulla norma vengono richiamati i suoi precedenti. La legge 18 aprile 1962, n. 230 richiedeva l'indicazione dei lavoratori sostituiti. Si potrebbe ipotizzare pertanto che, essendo stata eliminata tale precisazione, l'indicazione dei lavoratori sostituiti non sia piu' necessaria. La soluzione e' pero' troppo sbrigativa, perche' il legislatore del 1962 e quello del 2001 hanno seguito due tecniche diverse. Il primo stabili' una presunzione generale di contratto a tempo indeterminato, ammettendo l'apposizione del termine solo in una serie di casi analiticamente specificati. Il secondo, pur considerando sempre il contratto a tempo determinato una deroga rispetto alla regola generale (cfr. Corte d'appello Bari, 20 luglio 2005, in Foro it.), ha individuato le ipotesi in cui l'apposizione del termine e' consentita affidandosi ad una tecnica per clausole generali e collegando la legittimita' alla sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Le due norme non sono quindi confrontabili. Il secondo intervento non consiste nella eliminazione di un inciso presente nel primo a parita' di struttura normativa, ma trasforma la formulazione della regola, richiedendo la presenza di ragioni di cui indica solo il tipo e che in sede contrattuale devono essere «specificate» (come richiede espressamente il secondo comma). Se ad esempio, l'assunzione a termine avviene per ragioni organizzative, il contratto individuale non puo' limitarsi a ripetere la formula o ad enunciare generiche ragioni organizzative, rimanendo all'interno di un'indicazione meramente tipologica e di genere, ma deve indicare le specifiche ragioni organizzative che spiegano l'apposizione del termine. E' evidente che all'interno del tipo «ragioni di carattere sostitutivo» la specificazione che il contratto individuale deve contenere non puo' non dare un'adeguata risposta alla domanda: sostituzione di chi e per quale motivo? Del resto, nel momento in cui si usa il termine «ragioni» si indica un concetto che, per sua natura, implica la possibilita' della spiegazione e della verifica. Un altro raffronto e' quello con la disciplina specifica introdotta, per le Poste, dalla contrattazione collettiva in forza della delega in bianco (come ha spiegato la Corte di cassazione) conferita in materia alle organizzazioni sindacali dall'art. 23 della legge n. 56 del 1987. L'art. 23 disponeva: «L'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui all'art. 1 della legge i8 aprile 1962, n. 230, e' consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale». Per le Poste il contratto collettivo che compi' quest'operazione, e' il CCNL del 26 novembre 1994, il cui art. 8, secondo comma, cosi' recita: «In attuazione di quanto previsto dall'art. 23, punto 1), della legge 28 febbraio 1987, n. 56, l'ente potra' assumere con contratto a tempo determinato, oltre che nelle ipotesi previste dalle leggi di cui al comma precedente, nei seguenti casi: necessita' di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre; incrementi di attivita' in dipendenza di eventi eccezionali o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo che non sia possibile soddisfare con il normale organico; punte di piu' intensa attivita' stagionale. Il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine non potra' superare la quota percentuale massima del 10% rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato». Pertanto, con riferimento alle ferie, il contratto collettivo Poste, in attuazione della delega di cui all'art. 23 della legge n. 56/1987 e' quindi, in aggiunta alle ipotesi previste dalla legge n. 230/1960, previde la possibilita' di assunzioni a termine in caso di «necessita' di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno - settembre» (la previsione e' stata, poi, riproposta in formulazione identica con l'art. 25 del C.C.N.L. 11 gennaio 2001). Ci si e' chiesti se tale previsione collettiva comportasse o meno la necessita' dell'indicazione, nel contratto di assunzione a termine, del lavoratore da sostituire. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha espresso orientamenti diversi. Una serie di sentenze hanno affermato che, anche in sede di applicazione della normativa contrattuale, e' necessaria l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori sostituiti (cfr., ad es. Cass. 1° dicembre 2003, n. 18354). Sentenze piu' recenti hanno invece sostenuto il contrario (un breve passaggio in Cass. 28 agosto 2006, n. 18602; piu' ampia motivazione in Cass. 9 agosto 2006, n. 17957; in ultimo la recentissima Cass. 5 settembre 2008, n. 22512). Non e' il caso di addentrarsi in questo confronto di orientamenti della cassazione su di una normativa ormai superata. E' necessario, pero', sottolineare che, anche nelle sentenze che interpretano questa normativa nel senso meno garantista per i lavoratori, la Corte di cassazione ha compiuto due affermazioni importanti, che rendono questa giurisprudenza inapplicabile all'interpretazione del decreto legislativo n. 368/2001 (e quindi ai casi del tipo di quello in esame). La prima e' che «1'interpretazione della contrattazione collettiva in tutte le implicazioni e' riservata all'esclusiva competenza del giudice di merito le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimita', ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente» (cfr. Cass. 17957/2006, cit.). La seconda, piu' rilevante ai fini di questa decisione, e' che la deroga operata dalla contrattazione collettiva in forza della delega in bianco conferitale dall'art. 23 della legge del 1987, in tantu e' possibile in quanto il legislatore nel 1987 ha costruito un sistema di regolamentazione che ha il suo perno nell'«esame congiunto» delle parti sociali che costituisce «idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia dei loro diritti». Il legislatore ha, quindi, creato, nel 1987, un sistema con una forte componente di «garantismo collettivo», nel quale la tutela dei diritti dei lavoratori veniva in parte cospicua affidata al ruolo ed ai poteri conferiti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. La conseguenza di questa ricostruzione e' che in un nuovo sistema in cui questo forte elemento di controllo e di contro-bilanciamento e' stato eliminato, l'interpretazione della norma deve attenersi a criteri rigorosi, vuoi perche' il punto di riferimento non sara' piu' la ricerca della comune intenzione delle parti contrattuali (art. 1362 cod. civ.), bensi' i canoni oggettivi delineati dalle preleggi (art. 12 cod. civ.), vuoi, e soprattutto, perche' il sistema delineato nel 2001 non assegna piu' alcuno spazio alla necessita' del consenso sindacale ed al riconoscimento formale e sostanziale del controllo sindacale che esso comporta. Riassumendo, l'interprete dell'art. 1 del decreto legislativo n. 368/2001 non puo' utilizzare gli orientamenti ermeneutici nati all'interno di un sistema delineato nel 1987 su equilibri e poteri normativi diversi, e non puo' operare una comparazione letterale con la norma originaria del 1962 perche', come si e' visto, la struttura e le tecniche utilizzate dal legislatore sono del tutto differenti. Con l'art. 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001 il legislatore detta due regole fondamentali: l'apposizione del termine e' consentita solo per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (primo comma) ed e' priva di effetto se tali ragioni non vengono specificate nell'atto scritto (secondo comma). Se ci si muove all'interno delle ragioni sostitutive, e' evidente che non ci si puo' limitare a indicare il tipo di ragioni parafrasando la dizione legislativa, ma bisogna adempiere a quell'onere di specificazione che la norma impone alle parti che stipulano il contratto individuale di lavoro (in assenza peraltro nel nuovo sistema di una delega di funzioni regolative al sindacato). Indicare ragioni specifiche significa non limitarsi ad enunciare il tipo delle ragioni, ma segnalare chi viene sostituito, per quanto tempo e per quale ragione (ferie, gravidanza, malattia, congedi parentali, permessi per formazione, ecc.). Indicare ragioni specifiche significa fornire indicazioni che consentano il controllo delle ragioni indicate. Una ragione giustificatrice o e' controllabile o non e', tanto piu' se la legge impone di specificarla. E' a questo punto evidente che, ove mai fosse accolta l'opzione interpretativa fin qui esposta, si dovrebbe concludere che la formula adottata nel contratto di lavoro predisposto dalle Poste e' troppo generica perche' possa ritenersi specificata la ragione dell'apposizione del termine. Essa, secondo la tesi dell'appellante, non indica neanche il tipo delle ragioni sostitutive: non precisa, infatti, se si tratta di sostituzioni per ferie o per altro tipo di assenza, limitandosi ad una formula del tutto tautologica: «per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di sostituzione». Quando poi tenta di tracciare la specifica esigenza di sostituzione, in realta' non compie alcuna specificazione rimanendo nella massima vaghezza perche' non sono indicati i lavoratori sostituiti, ne' (quanto meno in generale), le ragioni della sostituzione (ferie, malattia, gravidanza, distacchi, congedi parentali, ecc. del sostituto), ne' la durata della assenza del dipendente o dei dipendenti sostituiti, ne' viene indicato l'ufficio in cui l'assenza si e' verificata, posto che si fa riferimento ad un area vasta quale e' il «Polo Corrispondenza Puglia Basilicata ». Ove le tesi sviluppate dall'appellante fossero accolte, si dovrebbe pervenire alla conclusione che nella fattispecie le ragioni dell'apposizione del termine non sono adeguatamente specificate e non consentono alcun controllo; controllo, peraltro, che deve essere effettuabile ab initio, posto che la specificazione, per legge, deve essere contenuta nel contratto di assunzione e non puo' essere quindi rinviata ad un momento successivo. Ne dovrebbe conseguire, in ipotesi, che il contratto a tempo determinato stipulato tra le odierne parti e' illegittimo per contrasto con il primo ed il secondo comma dell'art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 con la conseguenza che l'apposizione del termine dovrebbe essere considerata priva di effetto ed il contratto dichiarato sin dall'inizio a tempo indeterminato. Secondo la piu' recente giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. 21 maggio 2008 n. 12985) confermativa di tutta una serie di decisioni di giudici di merito, infatti, non solo la mancanza di forma scritta del contratto, ma anche la mancata specificazione nel contratto delle ragioni di cui al comma i comporta come conseguenza che «1'apposizione del termine e' priva di effetto» (secondo comma, art. 1, d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368). Su tale conclusione incide in maniera determinante l'art. 21, comma 1-bis, della legge 6 agosto 2008, n. 133 («Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria») che recita: 1-bis. Dopo l'art. 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e' inserito il seguente: «Art. 4-bis. (Disposizione transitoria concernente l'indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine). - 1. Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 4, il datore di lavoro e' tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di' lavoro con un'indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni.». Sulla base di tale norma, poiche' il presente giudizio era in corso alla data di entrata in vigore della medesima ed e' tuttora pendente, la ritenuta illegittimita' del contratto a tempo determinato stipulato tra le parti per mancanza di specificazione delle ragioni giustificatrici dell'apposizione del termine (ove condivisa da questa Corte) dovrebbe comportare, non gia' la conseguenza che l'apposizione del termine dev'essere considerata priva di effetto ed il contratto deve essere dichiarato sin dall'inizio a tempo indeterminato, con conseguente diritto del lavoratore ad essere riammesso in servizio ed alla corresponsione delle retribuzioni dall'epoca in cui ha posto le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro (eventualmente detratto l'aliunde perceptum), bensi' soltanto il diritto di percepire un'indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto. Tale nuova normativa, ad avviso di questa Corte d'appello, appare non infondatamente sospetta di violare il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Costituzione. Ad alimentare tale sospetto basti pensare che, ove mai altro lavoratore nelle stesse identiche condizioni dell'odierna appellante (assunto cioe' con contratto a tempo determinato di identico tenore dal 20 gennaio 2005 al 31 marzo 2005) facesse valere le stesse ragioni di illegittimita' con un giudizio introdotto ex novo in data odierna, e comunque dopo la data di entrata in vigore dell'art. 4-bis, quel lavoratore avrebbe diritto alla riassunzione e non gia' all'indennita' sopra richiamata non essendo a lui applicabile la norma transitoria. Anzi, a ben vedere, la stessa odierna appellante se, invece di adire immediatamente il giudice dei lavoro con il suo ricorso del 21 giugno 2005, avesse proposto la causa dopo l'entrata in vigore della norma transitoria di cui qui si discute, avrebbe pieno titolo per chiedere la riassunzione in servizio. Ne consegue che diverse persone, nella medesima situazione giuridica, si troverebbero a godere di una tutela dei propri diritti sensibilmente diversa (sicuramente meno intensa nel caso di coloro ai quali viene riconosciuto soltanto l'indennizzo) senza alcuna giustificazione se non quella di aver proposto la domanda giudiziale in tempi diversi pur nell'identita' del quadro normativo generale applicabile alle rispettive fattispecie. Tutto cio' con evidente violazione del principio di ragionevolezza. Senza dire che, per effetto della nuova norma, paradossalmente, verrebbe penalizzato proprio colui che per primo ha fatto ricorso al giudice, di modo che la norma appare, in un certo qual modo, irragionevolmente punitiva nei confronti di chi ha mostrato di voler reagire prontamente ad una violazione di legge. Sotto altro aspetto, la norma denunciata sembra in contrasto anche con il generale principio dell'affidamento legittimamente posto dal cittadino sulla certezza di sicurezza dell'ordinamento giuridico quale elemento essenziale dello Stato di diritto; principio piu' volte valorizzato dalla giurisprudenza costituzionale. In tale prospettiva, si deve rimarcare che la giurisprudenza piu' recente (cfr. ancora una volta Cass. 21 maggio 2008, n. 12985) non dubita che alla violazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 debba conseguire la sanzione della conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato per nullita' parziale della clausola appositiva del termine, con la conseguente instaurazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. E di tanto, a ben vedere, non dubita neanche lo stesso legislatore il quale, altrimenti, piuttosto che la norma transitoria di cui all'art. 4-bis, espressamente dichiarata applicabile ai soli procedimenti in corso, avrebbe dettato una norma interpretativa ovvero una norma destinata stabilmente a regolare tutti i casi presenti e futuri. Ne consegue, dunque, che la nuova norma viola il principio di affidamento dei cittadini sulla certezza dell'ordinamento giuridico posto che solo ad una parte di essi, e cioe' a coloro che avevano intrapreso i giudizi (ancora pendenti) affidandosi ad un'interpretazione giurisprudenziale consolidata, nega il beneficio della riassunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato sostituendolo con quello, molto meno satisfattivo, di un'indennita', oltretutto modesta. La norma denunciata sembra, altresi', contrastare con l'art. 117, comma 1, Costituzione, (secondo cui la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali), in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle liberta' fondamentali del 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. La norma della Convenzione, alla quale lo Stato italiano si deve conformare, nell'affermare che ogni persona ha diritto ad un giusto processo dinanzi ad un Tribunale indipendente ed imparziale, impone, in definitiva, al potere legislativo di non intromettersi nell'amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla risoluzione di una controversia o di una determinata categoria di controversia. Nella fattispecie in esame certamente non infondato e' il sospetto che, con la norma transitoria piu' volte citata, il legislatore abbiamo violato il suddetto principio. Alla stregua di tutte le considerazioni sin qui esposte, la Corte ritiene di dover sollevare di ufficio questione di legittimita' costituzionale della norma indicata in dispositivo, sospendendo il giudizio.