IL TRIBUNALE 
    Ha emesso la seguente ordinanza di  rimessione  degli  atti  alla
Corte costituzionale pronunciata nella  causa  iscritta  al  n.  4627
R.G.L. 2008, promossa da: Capalbo Maddalena, rappresentata  e  difesa
dagli  avv.  Silvia  Boldrini  e  Remigio  Marengo   (domiciliatari),
entrambi del Foro di Torino parte ricorrente; 
    Contro  INPS -  Istituto  nazionale  della  previdenza   sociale,
rappresentato e difeso dall'avv. Silvia Zecchini, dell'Ufficio legale
distrettuale della sede provinciale  dell'istituto  (domiciliatario),
parte convenuta. 
    Oggetto della causa: ricostituzione della pensione per contributi
correlati a periodi di congedo per maternita' verificatisi fuori  del
rapporto di lavoro. 
    Oggetto della rimessione: art.  2,  comma  504,  della  legge  24
dicembre 2007, n. 244, in riferimento agli artt. 3, 31, 37 Cost. 
    Letti atti e documenti di causa, osserva quanto  segue  all'esito
della discussione orale effettuata dai difensori delle parti. 
    1. - La  ricorrente  chiede  che  il  giudice  voglia  condannare
l'istituto convenuto a ricalcolare la pensione di vecchiaia di cui e'
titolare dal 1° luglio 1995, tenendo conto dei due periodi di congedo
obbligatorio per maternita' verificatisi nel 1961 e nel 1966 (doc. n.
3 p. ricorr.), al di fuori del rapporto di lavoro e utilizzabili  nei
termini della contribuzione figurativa, ai sensi dell'art. 25,  comma
2, del decreto legislativo 26 marzo 200l, n. 151. 
    Lamenta  di  avere  avanzato  istanza  in  sede   amministrativa,
ricevuta dall'Inps il 3 ottobre 2007, rimasta  pero'  senza  esito  e
risposta. 
    Prospetta   in    subordine    un'eccezione    di    legittimita'
costituzionale del sopravvenuto art. 2, comma  504,  della  legge  24
dicembre 2007, n. 244, in riferimento agli artt. 3, 31, 32, 37  della
Costituzione. 
    2. - La domanda proposta era originariamente accoglibile,  stando
alla consolidata interpretazione dell'art 25, comma  2,  del  decreto
legislativo n. 151  del  2001  fornita  dalla  Corte  di  cassazione,
secondo cui: 
        «In  base  all'art.  2  del  d.l.  n.  564  del   1996,   poi
sostanzialmente recepito nella norma dell'art. 25 del d.l. n. 151 del
2001, il beneficio dell'accredito figurativo per  maternita',  per  i
periodi corrispondenti all'astensione obbligatoria verificatisi al di
fuori del rapporto di lavoro, spetta, a domanda e  nel  concorso  del
requisito del possesso di almeno cinque anni di contribuzione versata
in costanza di rapporto di lavoro, anche  in  relazione  agli  eventi
antecedenti al 1° gennaio 1994, essendo venuta  meno  la  limitazione
temporale presente nella precedente norma dell'art. 14  del  d.l.  n.
503 del 1992 (esplicitamente abrogata dall'art. 86 del  d.l.  n.  151
del 2001)». 
    Tale interpretazione - gia' adombrata dalla Corte  costituzionale
con ordinanza 14 giugno 2001, n. 193, e  fatta  propria  dal  supremo
Collegio con sentenze 25 novembre 2004, n. 22244, 15 settembre  2005,
n. 18273, 6 giugno 2008, n. 15081 - e' stata altresi' recepita  dalla
Corte dei conti, sezioni riunite, 14 luglio 2006, n. 7, in  atti,  la
quale, a seguito di ampio  excursus  e  di  argomentazioni  di  largo
respiro, ha ritenuto la «sussistenza del diritto  al  riconoscimento,
ai  fini  pensionistici  dei  periodi  corrispondenti  all'astensione
obbligatoria dal lavoro per maternita', verificatasi al di fuori  del
rapporto di lavoro, ai sensi dell'articolo 25, comma 2, del d.lgs. 26
marzo 2001, n. 151, in relazione a quanto disposto dagli articoli  16
e 17 dello stesso testo normativo  i  quali  disciplinano  diritti  e
doveri in occasione della maternita' in ambito lavorativo, a  domanda
e  con  effetti  a  decorrere  dalla   stessa,   prescindendo   dalla
circostanza che il richiedente sia in servizio o meno». 
    Tale interpretazione, infine, e' stata recepita  anche  dall'Inps
con circolare 31 maggio 2002, n. 102, la quale, come si  legge  nella
sua premessa, prende atto dall'ordinanza n. 193 del 2001 del  Giudice
delle leggi e fornisce ai propri uffici i chiarimenti e le  direttive
che seguono: 
        «L'articolo 14, comma 3, del decreto legislativo 30  dicembre
1992, n. 503, nell'introdurre poi i  periodi  relativi  a  maternita'
intervenute al  di  fuori  di  un  rapporto  di  lavoro,  l'accredito
figurativo, nella  durata  corrispondente  a  quella  dell'astensione
obbligatoria, a prescindere dalla circostanza che detti eventi  siano
precedenti o successivi al rapporto di lavoro stesso, aveva stabilito
che tale facolta' era  esercitabile  a  condizione  che  l'evento  da
riconoscere si collocasse temporalmente dopo il  1°  gennaio  1994  e
che, alla data della domanda, l'interessato  potesse  far  valere  il
requisito di 5 anni di contribuzione, versata per effettiva attivita'
lavorativa. 
        Al riguardo l'art. 25, comma 2, del decreto  n.  151  dispone
che «in favore dei soggetti iscritti  al  fondo  pensioni  lavoratori
dipendenti e  alle  forme  di  previdenza  sostitutive  ed  esclusive
dell'assicurazione  generale  obbligatoria  per   l'invalidita',   la
vecchiaia e i superstiti, i  periodi  corrispondenti  al  congedo  di
paternita' di cui agli articoli 16 e 17, verificatisi al di fuori del
rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini  pensionistici,  a
condizione che il soggetto possa far valere, all'atto della  domanda,
almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza  di  rapporto
di lavoro. La contribuzione figurativa viene accreditata  secondo  le
disposizioni di cui all'articolo 8 della legge  23  aprile  1981,  n.
155, con effetto dal periodo in cui si colloca l'evento». 
        L'art. 86 del decreto n. 151 ha abrogato il comma 3 dell'art.
14 del decreto legislativo n. 503/1992. 
        Con l'entrata in vigore del decreto legislativo n.  151/2001,
i  periodi  corrispondenti  a  quello  dell'estensione   obbligatoria
relativi ad eventi verificatisi al di fuori del rapporto  di  lavoro,
fermo restando il requisito  contributivo  minimo  di  5  anni,  gia'
previsto dall'art. 14  del  decreto  n.  503,  sono  riconoscibili  a
domanda indipendentemente dalla loro collocazione temporale. 
        Il suddetto articolo 25, non ponendo  piu'  alcun  limite  in
merito alla collocazione temporale  dell'evento  da  riconoscere,  ha
pertanto  esteso  la  copertura  previdenziale  anche   agli   eventi
antecedenti  il  1°  gennaio  1994,  consentendo  il   riconoscimento
figurativo dei relativi periodi nella durata corrispondente a  quella
dell'astensione  obbligatoria  fruita  in  costanza  di  rapporto  di
lavoro». 
    3. -  Come  evidenziato  dalla  difesa  dell'Istituto  convenuto,
all'accoglimento della domanda e' ora di ostacolo l'art. 2, comma 504
[Interpretazione  autentica  degli  articoli  25  o  35  del  decreto
legislativo n. 151 del 2001], della legge 24 dicembre 2007,  n.  244,
il quale stabilisce che «Le disposizioni degli articoli 25 e  35  del
... decreto legislativo 26 marzo 2001,  n.  151,  si  applicano  agli
iscritti in servizio alla data di  entrata  in  vigore  del  medesimo
decreto legislativo. 
    Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia'
liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge». 
    Nel caso qui in  esame  la  ricorrente  non  risulta  infatti  in
servizio alla data di entrata in vigore del  decreto  legislativo  n.
151 del 2001, essendo pensionata dal 1° luglio 1995, ne' alla data di
entrata in vigore della legge n. 244  del  2007  e'  destinataria  di
trattamento  piu'  favorevole  rispetto  a  quello  scaturente  dalla
novella (e cioe' del trattamento previsto dall'art. 25, comma 2,  del
decreto legislativo n. 151 del 2001, come interpretato dalla Corte di
cassazione, dalla Corte dei conti, sez. riun. e dalla Circolare Inps)
gia' ricalcolato e liquidato. 
    4. - Passando  a  questo  punto  ad  esaminare  la  questione  di
legittimita' costituzionale prospettata da parte  ricorrente  in  via
subordinata, il tribunale osserva quanto segue. 
    Occorre  premettere  che  l'art.  25,  comma   2,   del   decreto
legislativo  26  marzo  2001,  n.  151,  prevedeva,  nel  suo   testo
originario, anteriore cioe' alla novella di cui si e' detto,  che  al
beneficio oggetto di causa potessero accedere  tutti  gli  «iscritti»
all'AGO ovvero a forme sostitutive ed esclusive di essa. 
    Vigente tale norma era sorta questione su cosa dovesse intendersi
per «iscritti» ed essa  era  stata  razionalmente  e  definitivamente
risolta nel senso di ritenere irrilevante l'attualita'  di  servizio,
al momento di presentazione dell'istanza amministrativa, dovendo tale
locuzione esser considerata «quale espressione  atecnica  e  generica
diretta a ricomprendere tutti quelli la cui posizione  e',  comunque,
gestita da un  ente  previdenziale»;  esistendo  oltre  «all'iscritto
attivo, che versa o ha versato i contributi, .... l'iscritto passivo,
che beneficia del trattamento di quiescenza»,  come  si  legge  nella
citata sentenza della Corte dei conti, sez. riun., n. 7 del 2006, che
tale questione ha affrontato e definito,  in  piena  conformita'  con
l'orientamento della Corte di cassazione di cui si e' detto sopra, la
quale ha  ritenuto  dipendere  l'accredito  contributivo  unicamente,
dalla  domanda  dell'interessata,  senza  necessita'  quindi  di   un
ulteriore  requisito,  quale  quello  afferente   lo   status   della
richiedente (occupata, gia' occupata, pensionata). 
    Questa e' altresi' la posizione assunta  ufficialmente  dall'Inps
con la citata circolare  n.  102  del  2002,  indirizzata  ai  propri
uffici, centrali e periferici, ove ai par.  4.1  e  4.2  si  indicano
esplicitamente, tra i casi  tutelati  dalla  legge,  quelli  «in  cui
l'accreditamento  sia  richiesto  da  soggetti   gia'   titolari   di
prestazioni pensionistiche .... aventi decorrenza anteriore alla data
di entrata in vigore del decreto legislativo [n. 151  del  2001]  (1°
maggio 2001) ... ovvero successiva al 30 aprile 2001.» 
    Cio' premesso, si tratta ora di verificare,  sulla  scorta  della
giurisprudenza della Corte costituzionale: 
        se l'enunciato normativo contenuto nell'art.  2,  comma  504,
della  legge  24  dicembre  2007,  n.  244,   abbia   reale   valenza
interpretativa o invece presenti natura innovativa-retroattiva; 
        se risulti o meno violato il limite di ragionevolezza ex art.
3, primo comma Cost. e quindi realizzata  un'ipotesi  di  eccesso  di
potere legislativo; 
        se infine risultino comunque violati principi costituzionali,
destinati a circoscrivere e limitare il legislatore nell'utilizzo  di
tale strumento normativo. 
    Il punto obbligato per tale disamina e' infatti costituito  dalla
sentenza 23 novembre 1994, n. 397, del  Giudice  delle  leggi,  nella
quale si legge quanto segue: 
        «E' costante insegnamento di questa Corte che il  ricorso  da
parte del legislatore a leggi di interpretazione autentica  non  puo'
essere utilizzato  per  mascherare  norme  effettivamente  innovative
dotate di efficacia retroattiva, in quanto  cosi'  facendo  la  legge
interpretativa tradirebbe la funzione che le e'  propria:  quella  di
chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una  delle
possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale, sia  al
fine di eliminare eventuali incertezze  interpretative  (sentenze  n.
163 del 1991 e 413 del 1988), sia per  rimediare  ad  interpretazioni
giurisprudenziali divergenti con la linea politica del diritto voluta
dal legislatore (sentenze n. 6 del 1994; 424 e 402 del  1993;  455  e
454 del 1992; 205 del 1991; 380 e 155 del 1990; 233 del 1988; 178 del
1987). 
        Tale carattere interpretativo  deve  peraltro  desumersi  non
gia' dalla qualificazione che tali leggi danno di se  stesse,  quanto
invece dalla struttura della loro fattispecie normativa, in relazione
cioe' ad «un rapporto fra norme - e non fra disposizioni -  tale  che
il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la  norma
interpretata, ma l'una e l'altra si saldano fra loro dando luogo a un
precetto normativo unitario» (sentenza n. 424 d.l. 1993; analogamente
n. 39 del 1993; 155 del 1990 e 233 del 1988). 
        Tuttavia, come questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato,  la
natura effettivamente interpretativa di una legge non e'  sufficiente
ad escluderne il contrasto con i principi costituzionali. La  sovrana
volonta' del legislatore nell'emanare dette leggi -  sia  che  queste
abbiano effetti meramente retrospettivi sia che  di  vera  e  propria
retroattivita' si tratti - incontra una serie di limiti che la  Corte
ha da tempo individuato, e che attengono alla salvaguardia, oltre che
dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civilta'
giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e  dello  stesso
ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto  del  principio
generale di ragionevolezza che  ridonda  nel  divieto  di  introdurre
ingiustificate disparita' di trattamento (sentenze n. 6 del 1994; 424
e  283  del  1993;  440  del  1992  e  429  del  1991);   la   tutela
dell'affidamento legittimamente sorto nei  soggetti  quale  principio
connaturato allo Stato di diritto (sentenze n. 424 e 39 del 1993;  n.
349 del 1985); la coerenza e la certezza  dell'ordinamento  giuridico
(sentenze n. 6 del 1994; 429 del 1993; 822  del  1988);  il  rispetto
delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.» 
    Orbene, nel caso  in  esame  lo  ius  superveniens  si  inserisce
indiscutibilmente  in  un  contesto  contrassegnato  da   uniformita'
interpretativa da  parte  della  giurisprudenza,  nelle  sue  massime
espressioni istituzionali, cui si e'  altresi'  allineato  lo  stesso
ente  previdenziale,  gestore  dell'AGO,  per  i  quali   l'accredito
contributivo prescinde: 
        α) dalla data dell'astensione per maternita', se anteriore  o
posteriore al 1° gennaio 1994; 
        β)  dalla  condizione  di  lavoratrice   attiva   ovvero   di
pensionata della richiedente, all'atto delta domanda amministrativa. 
    Rovesciando    totalmente     tale     consolidata     situazione
normativa-interpretativa e la stessa prassi  operativa  dell'istituto
previdenziale - ovverossia il  c.d.  diritto  vivente  -  la  novella
sostituisce, con effetto retroattivo, all'espressione «iscritti»; che
si legge nell'art. 25, comma 2, del decreto legislativo  n.  151  del
2001, quella di «iscritti in servizio alla data di entrata in  vigore
del medesimo decreto legislativo». 
    Rimangono  in  tal  modo  estranee  all'insieme  delle  possibili
destinatarie del beneficio, come ex novo ridisegnato, le  lavoratrici
gia' pensionate e  anche  quelle  che,  pur  non  essendo  ancora  in
quiescenza, non si trovino pero' in servizio alla data di entrata  in
vigore del decreto legislativo n. 151 del 2001; alle quali ultime era
invece consentito, in antecedenza,  di  richiedere  la  contribuzione
figurativa. 
    In tale quadro di riferimento, il tribunale ritiene  non  potersi
attribuire   allo   ius   superveniens   alcuna   valenza   di   tipo
interpretativo,  contrariamente  a  quanto  dichiarato  dalla  stessa
legge,  essendone  del  tutto  evidente  la  portata   innovativa   e
retroattiva e cioe' la funzione abrogativa di essa, effettuata con lo
strumento in tal caso non  appropriato  (ma  idoneo  a  garantire  la
retroattivita' dell'intervento normativo) della legge interpretativa. 
    Quale  sia  la  ratio  di  quel  termine  e'  inoltre   difficile
comprendere, a meno di non postulare la volonta' dei  legislatore  di
cancellare e travolgere una civilissima  conquista  in  favore  della
lavoratrice madre, sicuramente dovuta a norma degli  artt.  31  e  37
Cost. 
    Con il nuovo testo normativo,  che  sostituisce  retroattivamente
quello pregresso, il numero delle  possibili  beneficiarie  tende  in
effetti  sostanzialmente   ad   azzerarsi,   dipendendo   l'accredito
figurativo  da  una  circostanza  fortunosa  e  del   tutto   casuale
ovverossia  da  una  sorta  di  azzardo:  l'essere  in  servizio   un
determinato giorno. 
    5. - Alla luce delle considerazioni che precedono la  prospettata
questione di legittimita' costituzionale, la cui definizione  risulta
rilevante  rispetto  al  giudizio   in   corso,   va   ritenuta   non
manifestamente infondata;  con  conseguente  avvio  del  procedimento
davanti al Giudice delle leggi. 
    Il tutto in riferimento: 
        a) all'art. 3, primo comma Cost., inteso quale  principio  di
ragionevolezza, il  quale  limita  e  circoscrive  le  condizioni  di
ammissibilita' della legge  interpretativa,  inibendo  l'utilizzo  di
tale strumento ove la nuova norma: 
          1) non possa in alcun modo  essere  ricondotta  nell'ambito
dei possibili significati della disposizione interpretata; 
          2) si appalesi decisamente irrazionale,  per  l'innovazione
introdotta surrettiziamente; 
        b) agli artt. 31 e 37 Cost., che impongono al legislatore  di
tutelare con misure adeguate la maternita', quella della  lavoratrice
in particolare.