Sentenza 
nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  8  della
legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32  (Regolamentazione
dell'attivita' dei centri di telefonia in sede fissa - phone center),
promosso con  ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
notificato  il  2  febbraio  2008,  depositato  in  cancelleria  l'11
febbraio 2008 ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2008. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  16  dicembre  2008  il  giudice
relatore Ugo De Siervo; 
    Uditi l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il  Presidente
del Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e  Andrea  Manzi
per la Regione Veneto. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ricorso notificato il 2 febbraio 2008  e  depositato  il
successivo 11 febbraio (iscritto al reg. ric. n.  10  del  2008),  Il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso  dalla
Avvocatura  generale  dello  Stato,   ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 8  della  legge  della  Regione
Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione  dell'attivita'  dei
centri di telefonia in sede fissa -  phone  center),  pubblicata  nel
Bollettino ufficiale della Regione Veneto 4 dicembre 2007, n. 104, in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera  e),  e  41  della
Costituzione. 
    La disposizione censurata prevede, al primo comma, che  i  Comuni
debbano individuare «gli ambiti territoriali nei quali e' ammessa  la
localizzazione dei  centri  di  telefonia  in  sede  fissa»,  nonche'
definire «la disciplina urbanistica cui e' in ogni  caso  subordinato
il loro insediamento». Il successivo secondo  comma  dispone  che  la
predetta disciplina urbanistica debba essere stabilita «sulla base di
criteri definiti dalla Giunta regionale entro 90 giorni  dall'entrata
in vigore» della presente legge. Il terzo comma,  infine,  stabilisce
che nelle more della  individuazione  degli  ambiti  territoriali  «e
comunque non oltre il 1° gennaio 2010, non e'  consentita  l'apertura
di nuovi centri di telefonia in sede fissa». 
    Il ricorrente, sulla base della riconduzione  della  disposizione
impugnata alla materia delle comunicazioni elettroniche, sostiene che
la previsione di un sistema di limiti quantitativi per  gli  esercizi
operanti nel settore contrasterebbe con la previsione  di  un  regime
libero nella fornitura di questi servizi configurato dall'art. 3  del
decreto  legislativo  1°  agosto   2003,   n.   259   (Codice   delle
comunicazioni elettroniche). 
    Peraltro - prosegue  il  ricorrente -  la  denunciata  disciplina
contrasterebbe anche con l'art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n.
223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 4  agosto  2006,
n. 248, che esonera lo svolgimento di attivita' commerciali, pur  tra
loro analoghe, dal rispetto di distanze minime obbligatorie. 
    Il censurato art. 8 avrebbe, dunque, introdotto  nel  sistema  un
elemento  di  rigidita'  tale  da   comportare   una   programmazione
dell'offerta,  attraverso  l'imposizione   di   limiti   quantitativi
all'apertura di nuove  strutture  commerciali.  Per  la  salvaguardia
della concorrenza, l'ingresso di nuovi operatori  non  deve,  invece,
incontrare ostacoli e barriere di  tipo  normativo  e  amministrativo
volti a  predeterminare,  con  la  pianificazione  del  numero  degli
esercizi commerciali e  con  l'individuazione  delle  relative  aree,
limiti all'accesso al mercato. 
    2. - Con atto depositato il 26 febbraio 2008, si e' costituita in
giudizio la Regione Veneto per sostenere l'infondatezza del ricorso. 
    2.1.  -  La  difesa   regionale   sostiene,   innanzitutto,   che
l'impugnata  disposizione,  basandosi   esclusivamente   su   criteri
ispirati  alla  protezione  di  interessi   generali   di   carattere
urbanistico riconducibili alla materia, di potesta' concorrente,  del
governo del territorio,  non  violerebbe  la  competenza  statale  in
ordine alla tutela della concorrenza: trattasi, invero, di  interessi
correlati all'esigenza di assicurare un adeguato livello  di  servizi
per i consumatori, con particolare riferimento alla disponibilita' di
aree per parcheggi ed alla compatibilita' con la viabilita' urbana. 
    La  resistente  riconosce  che  una  normativa  locale   difforme
rispetto  agli  standard  tecnici,  stabiliti  a  livello  nazionale,
relativi  alle  caratteristiche  degli  impianti   di   comunicazione
elettronica, sarebbe senz'altro illegittima, in  quanto  contrastante
con i principi fondamentali sanciti dal legislatore statale, come  si
deduce dalla legge 22  febbraio  2001,  n.  36  (Legge  quadro  sulla
protezione  dalla  esposizione  a  campi  elettrici,   magnetici   ed
elettromagnetici), e dal  Codice  delle  comunicazioni  elettroniche.
Peraltro la competenza statale in tema di comunicazioni  elettroniche
riguarderebbe solo «la definizione delle tecnologie  concernenti  gli
impianti   che,   unitariamente,   costituiscono   la   rete    delle
infrastrutture di comunicazione elettronica». 
    Invece - osserva  la  resistente  -,  la  disposizione  censurata
demanda   alla   disciplina   urbanistica   la   definizione    della
«sostenibilita' ambientale al fine di valorizzare la qualita' sociale
ed  urbana  degli  interventi».  Lungi  dall'incidere  sugli  aspetti
afferenti alle reti ed alla loro gestione, la  contestata  disciplina
appare volta a fissare i criteri alla  stregua  dei  quali  i  Comuni
possono  individuare  ambiti   funzionalmente   idonei   a   favorire
l'efficiente collocazione territoriale delle strutture in parola,  in
vista di una loro corretta accessibilita'. 
    Del   resto -   insiste   la   resistente -   la   stessa   Corte
costituzionale avrebbe riconosciuto, con la sentenza n. 336 del 2005,
la   poliedricita'   del   settore   relativo   alla   installazione,
localizzazione  ed  esercizio   degli   impianti   di   comunicazione
elettronica, rispetto ai quali si atteggiano variamente la competenza
legislativa dello Stato e quella delle  Regioni.  In  questo  ambito,
spetta  alle  Regioni  la   disciplina   relativa   all'assetto   del
territorio, attraverso  la  configurazione  di  «ulteriori  misure  e
prescrizioni dirette a ridurne il piu' possibile  l'impatto  negativo
sul territorio, sempreche' naturalmente i criteri localizzativi e gli
standard  urbanistici  non  siano  tali  da  impedire  od  ostacolare
ingiustificatamente l'insediamento degli impianti medesimi» (cosi' la
sentenza n. 307 del 2003). 
    2.2. - Inoltre, l'invocazione dell'art. 3  del  decreto-legge  n.
233 del 2006  sarebbe  inconferente,  posto  che  «la  programmazione
prevista dalla norma impugnata non riguarda il rispetto  di  distanze
minime  obbligatorie  tra  attivita'   commerciali   della   medesima
tipologia, ne' limiti riferiti  a  quote  di  mercato  predefinite  o
calcolate  sul  volume  delle  vendite  ed  e'  quindi  completamente
estraneo ad essa eventuali effetti di contingentamento del mercato». 
    2.3. - La difesa  regionale  allega,  al  fine  di  ulteriormente
avvalorare  il  proprio  apparato  argomentativo,  la  questione   di
legittimita' costituzionale, sollevata dal  Tribunale  amministrativo
regionale della Lombardia, sez. Brescia (iscritta al reg. ord. n. 641
del 2007), che, pur avendo  per  oggetto  alcune  disposizioni  della
disciplina regionale dettata in materia di phone center (legge  della
Regione Lombardia  3  marzo  2006,  n.  6),  non  verte  sull'omologa
disposizione  di  cui  all'articolo  7  che,  analogamente  alla  qui
censurata previsione, assegna ai Comuni il compito di individuare gli
ambiti territoriali nei quali e' ammessa la localizzazione dei centri
in oggetto. 
    2.4.  -  Con  memoria  depositata  in  prossimita'   dell'udienza
pubblica,  la  Regione  Veneto  ha  ulteriormente  ribadito  «che  la
questione, cosi' come prospettata dal Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, e' manifestamente infondata». 
    La difesa regionale sostiene che l'art. 8 della  legge  regionale
n. 32 del 2007 limiterebbe il proprio ambito di operativita' ai  soli
profili urbanistici, senza intaccare la competenza statale in tema di
tutela della concorrenza e di  ordinamento  delle  telecomunicazioni.
Questa Corte avrebbe,  comunque,  piu'  volte  riconosciuto  siffatte
competenze anche nell'ambito delle telecomunicazioni  (e'  richiamata
la sentenza n. 307 del 2003). La stessa recente sentenza n.  350  del
2008, che ha dichiarato la illegittimita' costituzionale della  legge
della Regione Lombardia n. 6 del  2006,  sarebbe  inapplicabile,  dal
momento che la disposizione censurata «si limita a dettare  l'obbligo
per i Comuni di considerare  la  specifica  tipologia  dell'attivita'
svolta nei phone center, configurando i criteri meramente urbanistici
ai quali si dovranno modulare le norme tecniche locali». 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 8 della legge della  Regione
Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione  dell'attivita'  dei
centri di telefonia in sede fissa -  phone  center),  in  riferimento
agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 41 della Costituzione. 
    Il ricorrente lamenta, innanzitutto, la violazione dell'art. 117,
secondo  comma,  lettera  e),   Cost.,   in   quanto   la   censurata
disposizione,  prevedendo  la  necessita'  della  pianificazione  del
numero degli esercizi commerciali e della individuazione  delle  aree
che possono essere destinate  all'apertura  di  nuovi  phone  center,
invaderebbe  la  competenza  esclusiva  del  legislatore  statale  in
materia di "tutela della concorrenza", introducendo nel  sistema  «un
elemento  di  rigidita'  che  si  traduce   in   una   programmazione
quantitativa dell'offerta e nella imposizione di limiti  quantitativi
all'apertura di nuove strutture commerciali nella regione». 
    Il ricorrente denuncia,  altresi',  la  violazione  dell'art.  41
Cost., giacche', contingentando il mercato e limitando l'apertura  di
nuovi  phone   center,   la   denunciata   disposizione   inciderebbe
negativamente sulla liberta' di iniziativa economica privata. 
    La difesa  della  resistente  contesta  la  suesposta  questione,
sostenendo che l'impugnato art. 8 sarebbe espressione  del  legittimo
esercizio della potesta' legislativa regionale concorrente in materia
di «governo del territorio»,  in  quanto  ispirata  dall'esigenza  di
assicurare un adeguato livello di  servizi  per  i  consumatori,  con
particolare riferimento alla disponibilita' di aree per parcheggi  ed
alla compatibilita' con la viabilita' urbana. 
    2. - Questa Corte, con la recente sentenza n. 350  del  2008,  ha
riconosciuto che l'attivita' svolta dai centri di telefonia  in  sede
fissa e' qualificabile, alla luce del decreto legislativo  1°  agosto
2003,  n.  259  (Codice  delle  comunicazioni   elettroniche),   come
fornitura al pubblico di servizi  di  comunicazione  elettronica  (si
vedano in particolare  l'art.  25  e  l'Allegato  n.  9  del  decreto
legislativo n. 259 del 2003). Con la succitata sentenza, questa Corte
ha precisato che la  competenza  statale  in  tema  di  comunicazioni
elettroniche non  riguarda  solo  «la  definizione  delle  tecnologie
concernenti gli impianti che, unitariamente,  costituiscono  la  rete
delle infrastrutture di comunicazione elettronica» (come asserisce la
difesa regionale nel presente  giudizio),  ma  l'intera  serie  delle
infrastrutture relative alle reti ed i relativi  servizi  pubblici  e
privati che operano nel settore. 
    Piu' in generale, questa Corte ha affermato che «le  disposizioni
del suddetto Codice  intervengono  in  molteplici  ambiti  materiali,
diversamente tra loro  caratterizzati  in  relazione  al  riparto  di
competenza  legislativa  fra  Stato   e   Regioni:   sono,   infatti,
rinvenibili in questo settore titoli di competenza esclusiva  statale
("ordinamento  civile",  "coordinamento  informativo  statistico   ed
informatico  dei  dati  dell'amministrazione  statale,  regionale   e
locale",  "tutela  della  concorrenza"),  e  titoli   di   competenza
legislativa ripartita  ("tutela  della  salute",  "ordinamento  della
comunicazione", "governo del territorio"). Vengono, infine in rilievo
anche materie di  competenza  legislativa  residuale  delle  Regioni,
quali, in particolare, l'"industria" ed il  "commercio")»  (cosi'  le
sentenze n. 350 del 2008 e n. 336 del 2005). 
    Inoltre, fin dalla sentenza n.  336  del  2005  questa  Corte  ha
riconosciuto che il Codice delle comunicazioni elettroniche, al  fine
di adeguarsi alla normativa comunitaria,  ha  inteso  perseguire  «un
vasto processo di liberalizzazione  delle  reti  e  dei  servizi  nei
settori  convergenti  delle  telecomunicazioni,  dei  media  e  delle
tecnologie dell'informazione (...)  secondo  le  linee  di  un  ampio
disegno europeo tendente  ad  investire  l'intera  area  dei  servizi
pubblici». 
    Fra i principi fondamentali espressamente enunciati  dall'art.  3
del Codice, in questa  sede  assumono  particolare  rilevanza  quello
secondo il quale sono garantiti «i diritti inderogabili  di  liberta'
delle  persone  nell'uso  dei  mezzi  di  comunicazione  elettronica,
nonche' il diritto di iniziativa economica ed  il  suo  esercizio  in
regime di concorrenza, nel settore delle comunicazioni elettroniche»,
e quello secondo cui «la fornitura di reti e servizi di comunicazione
elettronica, che e' di preminente interesse generale, e' libera».  Ed
e' rilevante che, proprio a proposito di questi principi,  la  citata
sentenza  n.  350  del  2008  sottolinei  come  sia   «evidente   che
disposizioni del genere sono espressione della  competenza  esclusiva
dello Stato in tema di "tutela della concorrenza" e  di  "ordinamento
civile", prima ancora di costituire principi fondamentali in tema  di
"ordinamento della comunicazione"». 
    Coerentemente con questo assetto, l'art. 25  del  Codice  prevede
che i fornitori  di  servizi  di  comunicazione  elettronica  debbano
semplicemente ottenere  una  autorizzazione  generale  da  parte  del
Ministero delle comunicazioni, secondo il modello della  denuncia  di
inizio  attivita'.  L'impresa  pertanto  e'  abilitata  ad   iniziare
immediatamente la propria attivita', salva  la  possibilita'  per  il
Ministero, che  verifica  l'esistenza  dei  presupposti  e  requisiti
richiesti, di vietare motivatamente  la  prosecuzione  dell'attivita'
entro il termine perentorio di sessanta giorni. 
    Senza dubbio  il  legislatore,  sia  statale  che  regionale,  e'
legittimato a porre limiti alle attivita' in oggetto: il terzo  comma
dello stesso art. 3 del Codice contempla  «limitazioni  derivanti  da
esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione
civile, della salute pubblica e della tutela  dell'ambiente  e  della
riservatezza e protezione dei dati  personali,  poste  da  specifiche
disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione».
Appare, inoltre, evidente che possono essere fissati anche  ulteriori
limiti come quelli - tra gli altri - connessi al regime giuridico dei
beni  ovvero  a  normative  attinenti  al  governo  del   territorio.
Trattasi,  infatti,  di  limiti  diversi  da  quelli  espressi  dalla
specifica legislazione sulle comunicazioni elettroniche e  dei  quali
lo stesso legislatore statale tiene conto richiedendo, ai fini  dello
svolgimento dell'attivita', il necessario «rispetto delle  condizioni
che possono essere imposte alle imprese in virtu' di altre  normative
non di settore» (cosi' il succitato Allegato n. 9). 
    3. - La questione e' fondata. 
    Il censurato art. 8  reca  esclusivamente  disposizioni  di  tipo
urbanistico in relazione ai centri di telefonia in sede fissa. 
    Questa  Corte  ha  riconosciuto  la  legittimita'  di  discipline
regionali  adottate   nell'esercizio   della   potesta'   legislativa
concorrente in materia di «governo del territorio», pur  in  presenza
di normative poste dal legislatore  statale  in  tema  di  protezione
dall'inquinamento  elettromagnetico  e  nello  stesso  Codice   delle
comunicazioni elettroniche (per tutte si vedano le  sentenze  n.  336
del 2005 e n. 307 del 2003). Il legittimo  esercizio  della  potesta'
legislativa  regionale  in  questi   ambiti   e'   stato,   peraltro,
subordinato alla  condizione  che  «i  criteri  localizzativi  e  gli
standard  urbanistici  non  siano  tali  da  impedire  od  ostacolare
ingiustificatamente l'insediamento degli impianti medesimi» (cosi' la
sentenza n. 307 del 2003) o che l'esercizio  del  potere  urbanistico
non contraddica  «l'unicita'  del  procedimento  autorizzativo  e  le
collegate  esigenze  di  semplificazione  e  di   tempestivita'   dei
procedimenti» (cosi' la sentenza n. 350 del 2008). 
    Inoltre,  l'art.  4,  comma  1,  lettera  c),  del  Codice  delle
comunicazioni elettroniche dispone che «la disciplina  delle  reti  e
dei servizi di  comunicazione  elettronica»  debba  salvaguardare  il
diritto di «liberta' di iniziativa economica ed il suo  esercizio  in
regime di concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti  e
servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di obiettivita',
trasparenza, non discriminazione e proporzionalita». 
    La censurata disposizione, nel  circoscrivere  la  localizzazione
dei  soli  centri  di  telefonia   fissa   ad   ambiti   territoriali
preventivamente   individuati   e,   soprattutto,   nel   subordinare
l'apertura dei nuovi esercizi alla previa adozione di  una  specifica
normativa urbanistica, risulta quindi eccessiva. In  particolare,  la
previsione  della  necessita'  che  tale  specifica  disciplina   sia
compatibile con le altre funzioni  urbane  e  con  la  viabilita'  di
accesso, nonche' la richiesta di disponibilita' di parcheggi appaiono
piu'  consone  a  grandi  esercizi  commerciali  che  comportino   un
rilevante afflusso di veicoli e persone, piuttosto che ai  centri  di
telefonia fissa, di norma di dimensioni ridotti e con un  accesso  di
persone limitato. 
    E' evidente che tale disciplina urbanistica, non giustificata  in
relazione  alla  natura  e  alle  caratteristiche  dell'attivita'  in
questione, influenza direttamente l'accesso degli operatori economici
ad un determinato  mercato  e  pone  barriere  all'ingresso  tali  da
alterare la concorrenza tra soggetti imprenditoriali. 
    L'impugnato   art.   8   determina,   dunque,   un'ingiustificata
compressione   dell'assetto   concorrenziale   del   mercato    della
comunicazione come disciplinato dal  legislatore  statale,  invadendo
una competenza  spettante  a  quest'ultimo,  secondo  la  consolidata
giurisprudenza costituzionale (v., tra le altre, le sentenze  n.  63,
n. 51 e n. 1 del 2008; n. 431, n. 430 e n. 401 del 2007;  n.  80  del
2006; n. 272 e n. 14 del 2004). 
    Ne' puo' negarsi che subordinare «in  ogni  caso»  l'insediamento
dei  centri  di  telefonia  in  sede  fissa  alle   speciali   scelte
urbanistiche  di  cui  al  censurato  art.  8  comporti  una   palese
contraddizione con le esigenze di semplificazione rese evidenti dalla
disciplina del procedimento dettata dall'art. 25 del predetto Codice.
Questo contrasto e' reso tanto piu' evidente dalla  prescrizione,  al
terzo  comma  dell'art.  8,  che,  in  attesa  delle  speciali  nuove
disposizioni  urbanistiche  dei  Comuni,  si  abbia  un  periodo   di
sospensione nell'apertura di nuovi centri di telefonia  (seppure  non
oltre la fine del 2009). 
    Deve pertanto essere dichiarata la illegittimita'  costituzionale
dell'art. 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32,
per violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),  della
Costituzione. 
    4. - Resta assorbita la residua censura.