Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 85  del  d.P.R.
30  giugno  1965,  n.  1124  (Testo  unico  delle  disposizioni   per
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni  sul  lavoro  e  le
malattie  professionali),  promosso  dal  Tribunale  di  Milano,  nel
procedimento civile vertente tra M.R. in proprio e quale esercente la
patria potesta' sul figlio minore J.P.Q. e l'Inail, con ordinanza del
6 maggio 2008, iscritta al n.  268  del  registro  ordinanze  2008  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2008. 
    Visti l'atto di costituzione di M.R. nonche' l'atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  10  febbraio  2009  il  giudice
relatore Alfio Finocchiaro; 
    Uditi l'avvocato Maria Stefania  Masini  per  M.R.  e  l'avvocato
dello Stato Francesco Lettera per il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ordinanza del 6 maggio 2008, il Tribunale  di  Milano  -
nel corso del procedimento civile promosso  dalla  signora  R.M.,  in
proprio e quale  esercente  la  patria  potesta'  sul  figlio  minore
J.P.Q., per il conseguimento della rendita Inail  pari  al  cinquanta
per  cento  della  retribuzione  percepita  dal  suo  convivente   in
conseguenza  del  decesso  dello  stesso,  avvenuto  a   seguito   di
infortunio sul  lavoro,  ovvero  la  somma  di  €  17.216,46,  o,  in
subordine, per il  riconoscimento  del  diritto  del  minore  ad  una
rendita Inail pari al quaranta per cento della retribuzione annua del
padre - ha sollevato, su eccezione  della  ricorrente,  questione  di
legittimita' costituzionale  dell'art.  85  (recte:  art.  85,  primo
comma, numeri 1 e 2) del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo  unico
delle  disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria  contro   gli
infortuni sul lavoro e le  malattie  professionali),  in  riferimento
agli artt. 2, 3, 10, 11, 30, 31, 38 e 117 Costituzione e  agli  artt.
12 e 13 del Trattato C.E. 
    1.1. - Il giudice a quo, con riguardo alla domanda proposta dalla
signora R.M., in proprio, rileva  che  il  predetto  art.  85,  primo
comma, n. 1, del citato d.P.R. n. 1124 del 1965, prevedendo  che,  in
caso di decesso del lavoratore,  sia  disposta  una  rendita  per  il
coniuge nella misura del cinquanta per cento si porrebbe,  anzitutto,
in  contrasto  con  l'art.  2  della  Costituzione  in  quanto,   non
garantendo al convivente more uxorio la  rendita  del  cinquanta  per
cento prevista invece per il coniuge, non offrirebbe adeguata  tutela
alla famiglia di fatto che, al pari di quella fondata sul matrimonio,
rende possibile lo svolgimento della personalita' dell'individuo. 
    La norma censurata violerebbe anche l'art. 3 della  Costituzione,
negando il diritto alla  rendita  al  convivente  more  uxorio  anche
quando la convivenza abbia acquistato i  caratteri  di  stabilita'  e
certezza propri del vincolo coniugale. 
    Sarebbe, ancora, violato l'art. 31 della Costituzione,  sotto  il
profilo del vulnus al principio del favor familiaris, che obbliga  lo
Stato ad impegnarsi per promuovere ed agevolare il  nucleo  familiare
qualunque sia la sua forma. 
    Allo stesso favor si ispira  anche  la  Convenzione  sui  diritti
dell'infanzia, siglata a  New  York  in  data  20  novembre  1989,  e
ratificata dall'Italia  con  legge  27  maggio  1991,  n.  176,  che,
all'art. 27, impone agli Stati di adottare adeguati provvedimenti, in
considerazione delle condizioni nazionali  e  compatibilmente  con  i
loro mezzi, per aiutare i genitori ad  attuare  il  diritto  di  ogni
fanciullo a un livello  di  vita  sufficiente  a  consentire  il  suo
sviluppo fisico, mentale, spirituale e sociale. 
    Si lamenta, poi, la violazione dell'art. 38 Cost., in virtu'  del
quale la Repubblica  e'  direttamente  investita  delle  funzioni  di
assistenza e previdenza sociale che garantiscano al lavoratore  e  ai
familiari  a  suo  carico  un'adeguata  protezione  verso  i   rischi
professionali e non. 
    La norma censurata non consentirebbe al genitore non coniugato di
provvedere al mantenimento dei propri figli  e  non  preverrebbe  ne'
ridurrebbe  in  alcun  modo  le  condizioni  di  bisogno  e   disagio
individuale e familiare. 
    La norma censurata si porrebbe, inoltre,  in  contrasto  con  gli
artt.  11  e  117  della  Costituzione,  non  rispettando  i  vincoli
derivanti dall'ordinamento  comunitario  (Trattato  U.E.,  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000)  e  dagli  obblighi  internazionali  (Convenzione  sui
diritti sull'Infanzia). Infatti, il Trattato prevede, all'art. 13, un
meccanismo attivabile dal Consiglio, su proposta della Commissione  e
previa consultazione del Parlamento europeo, al fine di combattere le
discriminazioni   comunque   verificatesi   all'interno   dell'Unione
europea. Inoltre,  la  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea,  all'art.  21,  vieta  qualsiasi  forma  di  discriminazione
fondata sulla nascita e, al secondo comma, prevede  che  «nell'ambito
d'applicazione del Trattato che istituisce la Comunita' europea e del
Trattato sull'Unione europea, e'  vietata  qualsiasi  discriminazione
fondata sulla  cittadinanza».  Nel  caso  di  specie,  la  ricorrente
subirebbe una discriminazione in ragione della sua nazionalita',  dal
momento che se  essa  fosse  stata  convivente  more  uxorio  con  un
cittadino non italiano o se il  sig.  Q.  avesse  subito  l'incidente
mortale in uno stato dell'Unione europea diverso dall'Italia (in base
al Regolamento CEE 1408/71, la legge applicabile  e'  infatti  quella
del Paese in cui viene svolta l'attivita' lavorativa,  a  prescindere
dalla residenza), la ricorrente avrebbe  avuto  diritto  a  percepire
l'indennita' prevista in caso di decesso sul lavoro.  L'art.  85  del
d.P.R. n. 1124 del 1965 sarebbe, dunque,  illegittimo  per  contrasto
con gli artt. 11 e 117 Costituzione, in quanto non  rispetterebbe  il
vincolo derivante dalle norme di  diritto  comunitario  e  violerebbe
l'art. 12 del Trattato C.E. 
    1.2. - Quanto alla domanda proposta da R.M.  quale  esercente  la
potesta' sul figlio minore, osserva il giudice a quo  che,  ai  sensi
dell'art. 85, primo comma, n. 2, del d.P.R.  n.  1124  del  1965,  in
conseguenza di morte per  infortunio,  spetta  una  rendita  pari  al
«venti per cento per ciascun figlio legittimo, naturale, riconosciuto
e/o riconoscibile e adottivo fino al raggiungimento del  diciottesimo
anno d'eta' ed il quaranta per  cento  se  si  tratti  di  orfani  di
entrambi i genitori». 
    La normativa, pero' - si rileva nella ordinanza - non  prende  in
considerazione,  tenuto  anche  conto  dell'epoca  in  cui  e'  stata
adottata, l'ipotesi del decesso di un genitore in una  situazione  di
famiglia di fatto consolidata, con la conseguenza che anche in questo
caso viene erogato al figlio superstite solo il venti per cento della
rendita. In tal modo, viene sottratta al figlio  anche  quella  quota
della rendita riservata al coniuge che e'  naturalmente  destinata  a
soddisfare le esigenze del nucleo familiare e non soltanto quelle  di
sostentamento del coniuge stesso. Tale  dato  e'  riconosciuto  anche
dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia siglata  a  New  York  in
data 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con  legge  27  maggio
1991, n. 176, che, per garantire protezione  e  cure  particolari  al
fanciullo, prevede la tutela anche della famiglia (non strettamente e
giuridicamente intesa) come «unita'  fondamentale  della  societa'  e
ambiente naturale per la crescita ed il benessere  di  tutti  i  suoi
membri ed, in particolar modo, dei fanciulli». In particolare, l'art.
27 della Convenzione riconosce il diritto di  ogni  fanciullo  ad  un
livello di vita sufficiente a  consentire  il  suo  sviluppo  fisico,
mentale, spirituale,  morale  e  sociale  spettando  ai  genitori  la
responsabilita' fondamentale di  assicurare  le  condizioni  di  vita
necessarie allo sviluppo del fanciullo. Di contro, spetta agli  Stati
aderenti alla Convenzione adottare «ogni  adeguato  provvedimento  al
fine di garantire il mantenimento del fanciullo  da  parte  dei  suoi
genitori».  Proprio  per  effetto  del  richiamato  art.   27   della
Convenzione, il diniego opposto dall'Inail a riconoscere una  rendita
inferiore spettante alla madre  sol  perche'  non  riconosciuta  come
«coniuge»,  inciderebbe  sulle  garanzie  offerte  al  minore.  Nella
specie, infatti, la rendita  spettante  alla  sig.ra  R.  M.  sarebbe
ridotta ad € 382,59 sol perche' quest'ultima non era coniugata con il
lavoratore deceduto. 
    Al rimettente sembra incostituzionale che  un  adeguato  sviluppo
della personalita' e della vita del  minore  J.Q.  non  possa  essere
equamente garantito perche' i  suoi  genitori  non  erano  uniti  nel
giuridico vincolo del  matrimonio,  e  la  soluzione  adottata  dalla
normativa vigente non e' condivisibile neppure la' dove non riconosce
la famiglia di fatto:  al  convivente  superstite,  infatti,  non  e'
riconosciuta  alcuna  rendita,  laddove  al  minore  dovrebbe  essere
riconosciuta quella quota di rendita aggiuntiva che, nell'ipotesi  di
famiglia giuridicamente riconosciuta,  e'  conglobata  nella  rendita
complessivamente  destinata  al  coniuge  nella   sua   qualita'   di
superstite amministratore del menage familiare. 
    Al riguardo, si richiama la sentenza della  Corte  costituzionale
n. 360 del 1985, che ha dichiarato la  illegittimita'  costituzionale
del predetto articolo nella parte in cui  dispone  che  nel  caso  di
infortunio  mortale  dell'assicurato,  agli  orfani  di  entrambi   i
genitori spetta il quaranta per cento della rendita, ma  esclude  che
detta rendita spetti anche all'orfano dell'unico  genitore  che  l'ha
riconosciuto. 
    Secondo il rimettente la norma in questione  violerebbe,  dunque,
il combinato disposto degli  artt.  2,  3  e  30  della  Costituzione
determinando una irragionevole disparita' di trattamento tra i  figli
nati fuori dal matrimonio e quelli legittimi. Ogni minore ha  infatti
il diritto assoluto e inviolabile (art. 2) al  pieno  sviluppo  della
sua personalita' (art. 3) e ad una vera famiglia (art.  30)  che  gli
garantisca tale sviluppo. L'art. 30 della  Costituzione  risulterebbe
violato sia sotto il  profilo  del  diritto-dovere  dei  genitori  di
mantenere, istruire ed educare  i  figli  anche  se  nati  fuori  dal
matrimonio, sia sotto il profilo dell'obbligo per il  legislatore  di
assicurare a questi ultimi ogni tutela giuridica e  sociale.  Sarebbe
violato anche l'art. 31 Costituzione, che, al secondo comma, sancisce
il principio del favor sia  nei  confronti  della  famiglia  sia  del
minore ed individua a livello costituzionale i cardini  di  un  ampio
programma di intervento a sostegno della famiglia e di protezione  di
infanzia e gioventu'. Insieme a detta norma, anche  l'art.  30  della
Costituzione  si  impegna  a  considerare  le  singole   disposizioni
relative a gioventu' e infanzia non quali forme episodiche di  tutela
e di soggetti istituzionalmente deboli, ma come elementi  costitutivi
di una strategia d'intervento legislativo fortemente  innovativa.  La
predetta tutela, poi, trova esplicito riferimento nell'art. 24  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea  del  7  dicembre
2000, il quale sancisce il diritto dei bambini al benessere e afferma
il principio dell'interesse superiore del bambino in tutti  gli  atti
compiuti da autorita' pubbliche o  da  istituzioni  private,  e  pari
tutela viene  garantita  dai  citati  artt.  26  e  27  della  citata
Convenzione sui diritti dell'infanzia. 
    Cio' posto, il citato art. 85, primo comma, n. 2, del  d.P.R.  n.
1124 del 1965 violerebbe l'art. 31  della  Costituzione  poiche'  non
garantirebbe al minore idonea protezione economica, nonche' l'art. 10
della Costituzione in quanto non  conforme  alle  norme  del  diritto
internazionale generalmente riconosciute, dal momento che  l'art.  24
della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  cosi'
dispone: «In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi  compiuti
da  autorita'  pubbliche  o  da  istituzioni   private,   l'interesse
superiore del bambino deve essere considerato  preminente».  La  gia'
citata Convenzione sui diritti dell'infanzia,  all'art.  27,  prevede
espressamente che «gli Stati parti riconoscono  il  diritto  di  ogni
fanciullo a un livello di vita  sufficiente  per  consentire  il  suo
sviluppo fisico, mentale, spirituale,  morale  e  sociale  (...)  gli
Stati parte adottano ogni adeguato provvedimento al fine di garantire
il mantenimento del fanciullo da parte  dei  suoi  genitori  o  altre
persone aventi una responsabilita' finanziaria nei  suoi  confronti».
Invece, il minore J.Q. percepisce una rendita Inail pari al venti per
cento della retribuzione annua relativa  al  padre,  per  un  importo
mensile pari ad € 382,59, di certo non sufficiente a  garantirgli  un
livello sufficiente al suo sviluppo. 
    Peraltro, l'art. 85, primo comma, n. 2, del d.P.R.  n.  1124  del
1965 sarebbe illegittimo anche perche' in palese  contrasto  con  gli
artt. 11 e 117 della  Costituzione,  per  violazione  degli  obblighi
internazionali e di disposizioni contenute nelle  citate  convenzioni
internazionali. 
    2. - Nel giudizio innanzi alla Corte si e'  costituita  la  parte
privata del giudizio a quo, che ha concluso per  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale della norma  impugnata  sulla  base  di
argomentazioni  adesive  a  quelle  contenute  nella   ordinanza   di
rimessione. 
    3. - Nel  giudizio  ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, con il  patrocinio  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, che ha concluso  per  la  manifesta  inammissibilita'  o
infondatezza  della  questione,  rilevando  che   essa   tende   alla
equiparazione  della  famiglia  di  fatto  a   quella   fondata   sul
matrimonio, laddove la diversita' delle due situazioni costituisce un
punto fermo della giurisprudenza costituzionale, e,  in  mancanza  di
una espressa previsione legislativa, le tutele previdenziali previste
per i componenti  della  famiglia  basata  sul  matrimonio  non  sono
estensibili a persone che difettano di tale status. 
    Con riguardo, in particolare, alla seconda  questione  sollevata,
l'ordinanza presenta, secondo l'Autorita' intervenuta, un profilo  di
perplessita' o di carenza di autosufficienza, non apparendo lo status
del minore ben definito, e non essendo chiaro, in particolare, se  lo
stesso sia orfano  anche  della  madre  naturale  ne'  se  sia  stato
riconosciuto da un solo genitore. 
                       Considerato in diritto 
    1.  -  Il  Tribunale  di   Milano   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 85, primo comma, n. 1, del d.P.R. 30  giugno
1965, n. 1124 (Testo unico  delle  disposizioni  per  l'assicurazione
obbligatoria  contro  gli  infortuni  sul  lavoro   e   le   malattie
professionali), nella parte in cui prevede che, in  caso  di  decesso
del lavoratore per  infortunio,  sia  disposta  una  rendita  per  il
coniuge nella misura  del  cinquanta  per  cento  della  retribuzione
percepita  dal  lavoratore  stesso,  senza  garantire  alcunche'   al
convivente  more   uxorio,   per   violazione   dell'art.   2   della
Costituzione,  in  quanto  non  garantirebbe  adeguata  tutela   alla
famiglia di fatto; dell'art. 3 Cost., poiche' negherebbe  il  diritto
alla  rendita  al  convivente  anche  quando  la   convivenza   abbia
acquistato i caratteri di stabilita' e certezza  propri  del  vincolo
coniugale;  dell'art.  31  Cost.,  ponendosi  in  contrasto  con   il
principio del favor familiaris, che obbliga lo  Stato  ad  impegnarsi
per promuovere ed agevolare il nucleo familiare qualunque ne  sia  la
forma; dell'art. 38 Cost., non consentendo al genitore non  coniugato
di provvedere al mantenimento dei propri figli, e non prevenendo  ne'
riducendo  in  alcun  modo  le  condizioni  di  bisogno   e   disagio
individuale e familiare; degli artt. 11 e 117 Cost., per il contrasto
con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (Trattato  C.E.,
Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,  proclamata  a
Nizza  il  7  dicembre  2000)   e   dagli   obblighi   internazionali
(Convenzione sui diritti dell'infanzia, siglata a New York in data 20
novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio  1991,  n.
176). 
    Il  giudice  a   quo   dubita,   altresi',   della   legittimita'
costituzionale dello stesso art. 85, primo comma, n. 2, del d.P.R. n.
1124 del 1965, nella parte in cui prevede che, in  conseguenza  della
morte per infortunio del lavoratore, sia  disposta  una  rendita  del
venti per cento della retribuzione dallo stesso percepita per ciascun
figlio ovvero del quaranta per cento per gli  orfani  di  entrambi  i
genitori, senza prendere in considerazione la ipotesi del decesso  di
un genitore in una situazione di famiglia di fatto  consolidata,  con
la conseguenza che anche in  questo  caso  viene  erogata  al  figlio
superstite  solo  una  rendita  pari  al  venti   per   cento   della
retribuzione del lavoratore deceduto, per  violazione  del  combinato
disposto degli artt. 2 e 3 Cost., per la irragionevole disparita'  di
trattamento che determinerebbe tra i figli nati fuori dal  matrimonio
e quelli legittimi; dell'art. 30 Cost.,  sia  sotto  il  profilo  del
diritto-dovere dei genitori  di  mantenere,  istruire  ed  educare  i
figli, anche se nati fuori  dal  matrimonio,  sia  sotto  il  profilo
dell'obbligo per il legislatore di assicurare a  questi  ultimi  ogni
tutela  giuridica  e  sociale;  dell'art.  31  Cost.,  ponendosi   in
contrasto con il principio del favor sia nei confronti della famiglia
che del minore; degli artt. 11 e 117 Cost., per il  contrasto  con  i
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (Trattato C.E.,  Carta
dei diritti fondamentali dell'U.E.) e dagli  obblighi  internazionali
(Convenzione sui diritti dell'infanzia). 
    2. - La prima questione si incentra sulla  mancata  equiparazione
del  convivente  al  coniuge  del  lavoratore  agli   effetti   della
corresponsione della rendita Inail in caso di infortunio  sul  lavoro
che abbia avuto per conseguenza il decesso dello stesso lavoratore. 
    Tale questione  e'  manifestamente  infondata  sulla  base  delle
considerazioni che seguono. 
    Questa Corte ha ripetutamente posto in evidenza la diversita' tra
famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, in  ragione  dei
caratteri di stabilita', certezza,  reciprocita'  e  corrispettivita'
dei  diritti  e  doveri  che  nascono  soltanto  da   tale   vincolo,
individuando le ragioni costituzionali che giustificano un differente
trattamento normativo  tra  i  due  casi  nella  circostanza  che  il
rapporto coniugale trova tutela diretta nell'art. 29 Cost. (ordinanza
n. 121 del 2004). 
    Con riferimento, in particolare, alla materia pensionistica, deve
essere riconfermato il principio enunciato dalla sentenza n. 461  del
2000, secondo cui la mancata inclusione del  convivente  more  uxorio
tra  i  soggetti  beneficiari  del   trattamento   pensionistico   di
reversibilita' trova una sua non irragionevole giustificazione  nella
circostanza che il suddetto trattamento si collega  geneticamente  ad
un preesistente rapporto giuridico che, nel caso considerato, manca. 
    E', quindi, da  escludere  che  nella  disciplina  censurata  sia
ravvisabile un vulnus agli artt. 2, 3, 31 e 38 Cost. (cfr.  ordinanza
n. 444 del 2006). 
    Ne' si puo' prendere in considerazione la censura relativa ad  un
presunto vulnus degli artt. 11 e  117  Cost.  sotto  il  profilo  del
contrasto  con  i  vincoli  derivanti  dall'ordinamento   comunitario
(Trattato C.E., Carta dei diritti  fondamentali  dell'U.E.)  e  dagli
obblighi internazionali (Convenzione sui diritti dell'infanzia), dato
che detti vincoli ed obblighi non sono individuati in modo preciso. 
    3. - La seconda questione e' ammissibile e fondata. 
    3.1. - L'eccezione di  inammissibilita'  sollevata  dalla  difesa
erariale per non risultare dall'ordinanza ben definito lo status  del
minore, non essendo chiaro se lo stesso sia orfano anche della  madre
naturale, ne' se sia stato riconosciuto da un solo genitore,  non  e'
fondata. 
    Dall'ordinanza emerge, infatti, che la ricorrente ha proposto  la
domanda di attribuzione della  rendita  infortunistica  spettante  al
minore  nella  qualita'  di  genitore  esercente   la   potesta'   su
quest'ultimo: cio' e' sufficiente per concludere che il minore non e'
orfano della madre ed e' stato riconosciuto da entrambi i genitori. 
    3.2. - La questione risulta, pur in assenza di una specificazione
da parte del rimettente, proposta in via  subordinata  rispetto  alla
prima, dal momento che l'attrice del giudizio a quo aveva richiesto -
in mancanza del conseguimento della rendita Inail  nella  misura  del
cinquanta per cento della retribuzione percepita  dal  convivente  in
conseguenza del decesso di  quest'ultimo,  avvenuto  a  causa  di  un
infortunio sul lavoro - il riconoscimento, in qualita'  di  esercente
la potesta' sul figlio minore, di una rendita, in favore  del  minore
medesimo, pari al quaranta per cento della retribuzione percepita dal
padre. 
    Deve premettersi che, poiche' la questione attiene  all'interesse
del  minore  figlio  naturale  riconosciuto,  essa,   pur   sollevata
nell'ambito di una fattispecie concernente  il  figlio  nato  da  una
coppia convivente more uxorio, deve considerarsi riferita in generale
al figlio naturale riconosciuto. 
    Con  riferimento  a  tale  questione,  attinente   alla   mancata
previsione  che,  in  conseguenza  della  morte  per  infortunio  del
lavoratore, sia disposta una rendita del  quaranta  per  cento  della
retribuzione dallo stesso percepita in favore del figlio  nato  fuori
dal matrimonio, deve anzitutto osservarsi che il censurato  art.  85,
primo comma, n. 2, del citato D.P.R. n. 1124 del 1965,  prevede  che,
in caso di infortunio sul lavoro seguito da decesso, sia  corrisposta
una rendita pari al venti per cento della retribuzione del lavoratore
a ciascun figlio fino al  raggiungimento  del  diciottesimo  anno  di
eta', e al quaranta per cento se si tratti di orfani  di  entrambi  i
genitori. 
    Dall'esame della ordinanza si deduce che  il  rimettente  auspica
una pronuncia che applichi la disciplina prevista, nella  materia  de
qua, per l'orfano di entrambi i genitori (rendita  pari  al  quaranta
per cento della  retribuzione  del  lavoratore  deceduto)  al  figlio
minore di una coppia non coniugata,  ma  stabilmente  convivente,  in
caso di morte di uno solo dei genitori, ipotesi nella quale il minore
ha  diritto  alla  sola  rendita  pari  al  venti  per  cento   della
retribuzione  del  genitore  deceduto,  senza  potere  usufruire  del
sostegno   economico    che,    indirettamente,    gli    perverrebbe
dall'attribuzione all'altro genitore della rendita pari al  cinquanta
per cento, legittimamente negata al convivente. 
    3.3. -  La  norma  impugnata,  nello  stabilire  che  la  rendita
infortunistica spetta nella misura del  venti  per  cento  a  ciascun
figlio legittimo, naturale, riconosciuto o riconoscibile, e adottivo,
fino al raggiungimento del diciottesimo anno di eta', e del  quaranta
per cento se si tratta di orfani di entrambi  i  genitori,  introduce
una discriminazione fra figli naturali e figli legittimi che si  pone
in contrasto con gli artt. 3 e 30 Cost. 
    Infatti, mentre la morte del coniuge per infortunio comporta,  in
presenza  di  figli  legittimi,  l'attribuzione  della   rendita   al
superstite nella misura del cinquanta per cento  ed  a  ciascuno  dei
figli nella misura del venti per cento, la morte  per  infortunio  di
colui che non e' coniugato ed  ha  figli  naturali  riconosciuti  non
comporta l'attribuzione al genitore superstite di alcuna rendita  per
infortunio, mentre i figli hanno diritto solo al venti per  cento  di
detta rendita. 
    E' bensi' vero che i figli, legittimi  o  naturali  riconosciuti,
godono - in caso di infortunio mortale del loro genitore - 
    della  rendita  infortunistica  nella  stessa   misura,   ma   la
discriminazione deriva dal fatto che solo i figli  legittimi,  e  non
anche quelli naturali, possono godere di quel plus di assistenza  che
deriva dall'attribuzione al genitore  superstite  del  cinquanta  per
cento della rendita. 
    Infatti il minore, pur trovandosi, ai fini  della  determinazione
della misura della rendita infortunistica, in una condizione  analoga
a  quella  di  chi  ha  perso  entrambi  i  genitori  -  non  essendo
destinatario di alcun beneficio economico, neppure indiretto, a  tali
fini, per la sopravvivenza dell'altro genitore, cui  non  spetta,  in
quanto non coniugato, alcuna rendita - ha diritto solo al  venti  per
cento di essa, e non anche  al  quaranta  per  cento  spettante  agli
orfani di entrambi i genitori. 
    Va,   pertanto,   dichiarata   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art. 85, primo comma, numero 2), del d.P.R. n.  1124  del  1965,
nella parte in cui, nel disporre che, nel caso di infortunio  mortale
dell'assicurato,  agli  orfani  di  entrambi  i  genitori  spetta  il
quaranta per cento della  rendita,  esclude  che  essa  spetti  nella
stessa misura anche all'orfano di un solo genitore naturale. 
    3.4. - L'accoglimento della questione in riferimento agli artt. 3
e 30 Cost. comporta l'assorbimento degli altri profili di censura.