Sentenza 
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto  a  seguito
del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del  16  aprile
2008, recante «Aggiornamento delle disposizioni generali  in  materia
di cerimoniale e di precedenze tra le  cariche  pubbliche»,  promosso
dalla Regione  Marche  con  ricorso  notificato  il  7  luglio  2008,
depositato in cancelleria l'11 luglio 2008 ed iscritto al n.  12  del
registro conflitti tra enti 2008; 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  10  febbraio  2009  il  giudice
relatore Maria Rita Saulle; 
    Uditi  l'avvocato  Stefano  Grassi  per  la  Regione   Marche   e
l'avvocato dello Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ricorso notificato il 7  luglio  2008  e  depositato  il
successivo 11 luglio, la Regione Marche  ha  sollevato  conflitto  di
attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri,
in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  16
aprile 2008 recante «Aggiornamento  delle  disposizioni  generali  in
materia di cerimoniale e di precedenze tra le cariche pubbliche», per
contrasto con gli artt. 117,  quarto  e  sesto  comma,  e  118  della
Costituzione, nonche' con il principio di leale collaborazione. 
    In punto di  ammissibilita',  la  ricorrente  rileva  che  l'atto
impugnato non si limita a  ripetere  le  disposizioni  contenute  nel
d.P.C.m. 14 aprile 2006 recante «Disposizioni generali in materia  di
cerimoniale e di precedenza tra le cariche pubbliche», ma ne modifica
ed integra il contenuto, ampliando la nozione di cerimonia nazionale,
ricomprendendovi anche quelle che  si  svolgono  in  occasione  delle
«esequie di Stato» e inserendo nuove posizioni protocollari. 
    In particolare, l'atto impugnato, nella parte in  cui  disciplina
la posizione protocollare degli organi della Regione o degli enti  da
essa dipendenti e la disciplina della  posizione  protocollare  degli
organi degli altri enti autonomi territoriali, incide  -  secondo  la
ricorrente - in ambiti di competenza legislativa residuale regionale,
violando in tal modo l'art. 117, quarto  comma,  della  Costituzione,
essendo riservata alla  competenza  esclusiva  dello  Stato  la  sola
disciplina delle cerimonie «nazionali» ed «internazionali»,  ex  art.
117, secondo comma, lettera g), della Costituzione. 
    A parere della Regione  Marche,  il  d.P.C.m  del  2008  sarebbe,
altresi', illegittimo in quanto  introdurrebbe  «una  disciplina  non
contenuta  in  una  legge  e   neppure   in   un   atto   formalmente
regolamentare» ma in un «atto amministrativo [...]  che  puo'  essere
qualificato come espressivo - almeno nella parte in  cui  si  rivolge
alla regolamentazione delle cerimonie  organizzate  dalle  Regioni  e
dagli enti dipendenti - della funzione di indirizzo  e  coordinamento
delle  funzioni  amministrative  regionali»;  funzione   ammissibile,
sottolinea la difesa regionale, «solo se non incidente in alcun  modo
su competenze regionali di cui alle materie del terzo e quarto  comma
dell'art. 117 Cost.», sulla base di  quanto  stabilito  dall'art.  8,
comma 6,  della  legge  5  giugno  2003,  n.  131  (Disposizioni  per
l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge  cost.  18
ottobre 2001, n. 3). 
    La ricorrente, nel rilevare  che  gli  atti  di  indirizzo  e  di
coordinamento,  alla  luce   della   giurisprudenza   costituzionale,
«necessitano di un fondamento legislativo esplicito», che nel caso di
specie mancherebbe, precisa che il d.P.C.m. impugnato  sarebbe  stato
adottato senza il rispetto del  principio  di  leale  collaborazione,
poiche' non sarebbe stata raggiunta una preventiva intesa in sede  di
Conferenza Stato-Regioni, ne' conseguito il parere della  Commissione
parlamentare per le questioni regionali, previsto dai  commi  1  e  2
dell'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al  Governo  per
il conferimento di funzioni e  compiti  alle  Regioni  ed  agli  enti
locali, per la  riforma  della  Pubblica  amministrazione  e  per  la
semplificazione amministrativa). 
    Ove si volesse negare all'atto impugnato la  natura  di  atto  di
indirizzo e coordinamento, il d.P.C.m. del  2008,  sempre  ad  avviso
della Regione Marche, si porrebbe comunque in contrasto con gli artt.
117, sesto comma, e 118 della Costituzione. 
    Quanto  all'art.  117,  sesto  comma,  della   Costituzione,   la
ricorrente rileva che, rientrando la materia  disciplinata  dall'atto
impugnato  nell'art.  117,  quarto  comma,  della   Costituzione   e,
comunque, non in una di quelle attribuite alla  competenza  esclusiva
dello Stato, quest'ultimo non avrebbe alcun potere di dettare norme a
contenuto regolamentare come quelle in esame. 
    L'atto impugnato si porrebbe, poi, in contrasto  con  l'art.  118
della Costituzione, in quanto  questo  richiede  che  il  legislatore
accompagni qualunque scelta di allocazione di funzioni amministrative
ad  un  livello  diverso   da   quello   comunale,   con   un'analisi
dell'effettiva rispondenza della scelta ai parametri  indicati  dalla
norma costituzionale. 
    Infine, ad avviso della ricorrente, anche se si volesse  ritenere
che  lo  Stato  possa  esercitare  in  via  esclusiva   la   potesta'
regolamentare, data l'incidenza della disciplina contenuta  nell'atto
impugnato su ambiti di  competenza  regionale,  esso  avrebbe  dovuto
avviare la procedura per il raggiungimento di un'intesa. Nel caso  di
specie, invece, non vi sarebbe stato alcun «tentativo  di  conseguire
l'intesa  con  la  Conferenza  Stato-Regioni»,  ne'  sarebbero  state
previste altre forme di coinvolgimento regionale. 
    2. - Con atto depositato in data 25 luglio 2008 si e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,   chiedendo   la
declaratoria di  inammissibilita'  del  ricorso  o,  nel  merito,  di
infondatezza. 
    In via preliminare, l'Avvocatura eccepisce l'inammissibilita' del
ricorso perche' l'atto impugnato sarebbe privo 
    «di  sostanziale  contenuto  innovativo»  rispetto   al   cennato
d.P.C.m.  del  2006  e  non  vi  sarebbe  alcuna  «menomazione  della
competenza costituzionalmente determinata,  presupposto»,  sottolinea
la difesa erariale, «indefettibile per l'ammissibilita'  del  rimedio
invocato»; inoltre, il ricorso sarebbe  inammissibile  anche  per  la
genericita' delle censure. 
    Nel merito, l'Avvocatura ritiene che la disciplina della  materia
protocollare  e  delle  precedenze  tra  le  cariche   pubbliche   e'
attribuita  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato  al   fine   di
garantirne l'unitarieta'. In particolare, l'art. 117, secondo  comma,
lettera a), Cost.,  riconosce  allo  Stato  la  competenza  esclusiva
riguardo   alla   disciplina   delle   relazioni   internazionali   e
diplomatiche e del trattamento dei rappresentanti  di  Stati  esteri,
degli organismi comunitari  e  delle  organizzazioni  internazionali.
Pertanto, ove si desse la possibilita' alle Regioni  di  regolare  la
posizione delle cariche straniere e delle rappresentanze diplomatiche
si inciderebbe «gravemente sugli indirizzi di politica estera e nelle
relazioni internazionali  e  diplomatiche»,  perche'  lo  Stato  «non
sarebbe in grado  di  assicurare  uniformita'  di  trattamento»  alle
autorita' in visita nel territorio. 
    Nella medesima finalita' di unitarieta' si  colloca  l'art.  117,
secondo comma, lettera c), Cost. che affida allo Stato la  competenza
esclusiva riguardo ai rapporti tra la  Repubblica  e  le  confessioni
religiose.  Ne  consegue   che   la   definizione   della   posizione
protocollare  delle  cariche  ecclesiastiche  e  delle  altre  figure
religiose e di culto non potrebbe essere lasciata  «alla  disomogenea
determinazione regionale» in quanto non consentirebbe un  trattamento
uniforme di tali soggetti nella Repubblica. 
    La difesa erariale richiama, inoltre, l'art. 117, secondo  comma,
lettera f), Cost. che attribuisce allo Stato la competenza  esclusiva
nella disciplina degli organi dello Stato, lettera g), in materia  di
ordinamento e  organizzazione  dello  Stato  e  degli  enti  pubblici
nazionali, e lettera p), in materia di organi di governo  e  funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane. 
    «La necessaria inscindibilita' della disciplina» delle  posizioni
protocollari   e   delle   precedenze   discenderebbe,    a    parere
dell'Avvocatura, anche dall'art. 3 Cost., sotto il profilo  sia  «del
pari trattamento sia [...] della pari dignita' sociale», e  dall'art.
5 Cost., con il quale si afferma «l'unita' e l'indivisibilita'  della
Repubblica». Secondo l'interveniente, «se si dovesse riconoscere alle
Regioni il potere  di  intervenire  nella  disciplina  della  materia
protocollare  e  delle  precedenze  tra  le  cariche   pubbliche   si
giungerebbe  al  risultato  di  avere  tante   distinte   definizioni
dell'ordine  delle  precedenze  tra  le   cariche   pubbliche   della
Repubblica quante sono le stesse autonomie territoriali». 
    Ad ulteriore sostegno della competenza esclusiva dello  Stato  in
materia, la difesa erariale richiama l'art. 118, primo  comma,  Cost.
poiche', proprio in applicazione del principio di sussidiarieta',  lo
Stato  sarebbe  «l'unico  soggetto  in  grado  di  adeguatamente   ed
opportunamente dosare e apprezzare il  confronto  e  l'intreccio  dei
poteri statali istituzionali e  persino  costituzionali,  con  quelli
regionali e locali, nonche' con autorita' estere e rappresentanti  di
organismi comunitari e delle organizzazioni internazionali». 
    3. - In prossimita' dell'udienza la Regione Marche ha  depositato
memoria con la quale insiste per l'accoglimento del ricorso. 
    La ricorrente premette che il conflitto odierno si  configura  in
termini diversi rispetto a quello risolto con la sentenza n. 311  del
2008 con la quale e' stata affermata la  competenza  esclusiva  dello
Stato in materia di disciplina dell'ordine delle  precedenze  tra  le
diverse cariche dello Stato nelle cerimonie pubbliche. 
    In particolare, la  difesa  regionale  precisa  che  il  presente
giudizio non ha ad oggetto solo  la  «mera  rivendicazione  da  parte
della  Regione  ricorrente  di  una  competenza  a  se'  spettante  e
illegittimamente  invasa»  dal  d.P.C.m.  impugnato,  ma   anche   la
«illegittima compressione o limitazione dei propri  poteri  da  parte
dell'ente  costituzionalmente  competente»  all'adozione  del  citato
atto, in quanto non sarebbero state rispettate le garanzie, le  forme
e le procedure collaborative previste dall'ordinamento «allorche'  un
atto amministrativo statale sia  destinato  ad  incidere  sui  poteri
costituzionalmente spettanti alle Regioni». 
    Ad avviso della Regione Marche le eccezioni  di  inammissibilita'
sollevate dal resistente sarebbero infondate. L'atto impugnato non si
limiterebbe infatti  a  correggere  errori  materiali  contenuti  nel
d.P.C.m. del 14 aprile 2006, ma introdurrebbe nuove disposizioni. Del
pari infondata sarebbe l'eccezione di inammissibilita' riguardante la
mancanza di menomazione della competenza regionale costituzionalmente
determinata  quale  presupposto  «per  l'ammissibilita'  del  rimedio
invocato». L'eccezione in parola, ad avviso della  difesa  regionale,
sarebbe inconferente in quanto relativa al merito del  conflitto.  Da
ultimo,  anche  l'eccezione   di   inammissibilita'   riferita   alla
genericita'  delle  censure  sarebbe  infondata  poiche'  «una  volta
dimostrata l'indubbia incidenza della disciplina statale  sui  poteri
spettanti alla Regione», sarebbe «risultata impropria ed inutile» una
indicazione puntuale delle singole disposizioni, essendo evidente che
le   doglianze   riguardano   «l'intero   decreto    complessivamente
considerato». 
    Nel merito, la Regione  ribadisce  le  argomentazioni  sviluppate
nell'atto introduttivo del conflitto riguardo alla  violazione  delle
procedure  stabilite  dall'ordinamento  a  tutela  delle  prerogative
costituzionali delle Regioni. 
    In particolare, la ricorrente precisa che il  d.P.C.m.  impugnato
non puo' «essere qualificato ne' come atto  con  forza  e  valore  di
legge, ne' come atto di esercizio del potere regolamentare», e rileva
inoltre, con riferimento all'esercizio della  potesta'  regolamentare
dello  Stato,  che,   secondo   la   giurisprudenza   costituzionale,
l'esclusione degli  obblighi  di  coinvolgimento  delle  Regioni  non
avrebbe carattere assoluto, potendosi imporre ogni qual  volta,  come
nel caso di  specie,  sussista  un  forte  intreccio  tra  competenze
statali e competenze regionali. 
    L'atto impugnato, ad avviso della ricorrente,  si  configurerebbe
come un «atto amministrativo non regolamentare» sia per  il  richiamo
nelle premesse  della  legge  23  agosto  1998,  n.  400  (Disciplina
dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento  della   Presidenza   del
Consiglio dei ministri),  e  della  legge  12  gennaio  1991,  n.  13
(Determinazione degli atti amministrativi da  adottarsi  nella  forma
del decreto del Presidente della Repubblica), sia  per  «la  mancanza
della formale  denominazione  "Regolamento"»;  inoltre,  il  d.P.C.m.
sarebbe stato adottato senza il parere del Consiglio di Stato e senza
il visto e la registrazione della Corte dei conti. 
    Cio' premesso, secondo la difesa regionale, pur  ammettendo  che,
dopo la  riforma  costituzionale  del  2001,  lo  Stato  mantiene  la
funzione amministrativa di indirizzo e coordinamento nelle materie di
competenza esclusiva, il d.P.C.m.  del  2008  e'  stato  emanato  «in
dispregio  sia  dello  "statuto  costituzionale"  della  potesta'  di
indirizzo e coordinamento» elaborato dalla Corte costituzionale,  sia
del procedimento collaborativo stabilito  dal  citato  art.  8  della
legge n. 59 del 1997 e richiamato dall'art. 8, comma 6,  della  legge
n. 131 del 2003. 
    4. - Con memoria depositata in data 29  gennaio  2009  la  difesa
erariale insiste affinche' il conflitto sia dichiarato  inammissibile
o, nel merito, infondato. 
    L'Avvocatura premette che, alla luce della sentenza  n.  311  del
2008, «alle Regioni e' precluso ogni tipo di intervento normativo» in
merito alla determinazione dell'ordine delle precedenze tra le  varie
cariche  pubbliche  nelle  cerimonie   pubbliche   e   ribadisce   le
argomentazioni sviluppate nell'atto di costituzione. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione  Marche
nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri  concerne  il
decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  16  aprile  2008
recante «Aggiornamento delle  disposizioni  generali  in  materia  di
cerimoniale e di precedenze tra  le  cariche  pubbliche»,  del  quale
viene chiesto l'annullamento. 
    Ad avviso della ricorrente, l'atto impugnato, nel disciplinare la
posizione protocollare degli organi della Regione, degli enti da essa
dipendenti, nonche' degli organi di altri enti autonomi territoriali,
violerebbe l'art. 117, quarto comma, della  Costituzione,  in  quanto
sarebbe riservata alla  competenza  esclusiva  dello  Stato  la  sola
disciplina delle cerimonie «nazionali» ed «internazionali». 
    Sempre secondo la difesa regionale, il d.P.C.m del  2008  sarebbe
un mero atto  amministrativo  di  indirizzo  e  di  coordinamento  di
funzioni amministrative regionali e, pertanto, sarebbe illegittimo in
quanto la suddetta funzione non puo' essere esercitata nelle  materie
di  competenza  concorrente  e  residuale  delle   Regioni,   avendo,
peraltro, la giurisprudenza costituzionale affermato che gli atti  in
questione necessitano di un fondamento legislativo esplicito nel caso
di specie mancante. 
    Ad avviso della Regione  ricorrente,  inoltre,  l'atto  impugnato
sarebbe stato adottato senza  il  rispetto  del  principio  di  leale
collaborazione, poiche' non sarebbe stata  raggiunta  una  preventiva
intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, ne' acquisito  il  parere
della Commissione parlamentare per le questioni  regionali,  previsto
dai commi 1 e 2 dell'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59. Infine,
anche  a  voler  negare  la  natura  di  atto  di  indirizzo   e   di
coordinamento al d.P.C.m. impugnato, esso violerebbe gli  artt.  117,
sesto comma, e 118 della Costituzione poiche' lo Stato  non  potrebbe
adottare norme a contenuto regolamentare in materie  attribuite  alla
competenza legislativa residuale delle Regioni; inoltre, la scelta di
allocazione di funzioni  amministrative  ad  un  livello  diverso  da
quello  comunale   dovrebbe   essere   accompagnata   da   un'analisi
dell'effettiva rispondenza della scelta ai parametri  indicati  dalla
norma costituzionale. 
    2. - Anzitutto occorre affrontare  alcune  questioni  preliminari
sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    2.1 - Secondo la difesa erariale il ricorso sarebbe inammissibile
perche' l'atto impugnato  sarebbe  privo  «di  sostanziale  contenuto
innovativo» rispetto  al  d.P.C.m.  del  2006;  inoltre,  le  censure
sarebbero formulate in modo generico. 
    L'eccezione dell'Avvocatura generale dello Stato non puo'  essere
accolta, dal momento che  l'atto  impugnato  non  si  e'  limitato  a
correggere errori materiali contenuti  nel  precedente  d.P.C.m.  del
2006. Con tale atto sono state,  infatti,  modificate  la  disciplina
dell'ordine delle precedenze tra le  varie  autorita'  e  quella  del
cerimoniale: in particolare,  sono  state  inserite  nuove  posizioni
protocollari ed e' stata ampliata la nozione di cerimonia nazionale. 
    La seconda eccezione di inammissibilita'  deve  essere  del  pari
disattesa in quanto, come rilevato  dalla  stessa  difesa  regionale,
riguarda in realta' il merito del conflitto. E', infine, infondato il
rilievo di genericita' delle censure per  mancata  individuazione  da
parte della ricorrente delle disposizioni asseritamente lesive  delle
prerogative regionali, poiche' esse sono  facilmente  identificabili,
per i termini in cui sono state  prospettate,  e  risultano  riferite
all'intero d.P.C.m. 
    3. - Nel merito, il conflitto non e' fondato. 
    4. - Questa Corte, con la recente sentenza n. 311  del  2008,  ha
gia' chiarito che  la  determinazione  dell'ordine  delle  precedenze
nelle cerimonie pubbliche, ivi comprese quelle  a  carattere  locale,
rientra nella competenza esclusiva dello  Stato  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera g), della Costituzione. 
    Orbene, l'atto impugnato,  con  il  quale  sono  state  apportate
modifiche alla disciplina dell'ordine delle precedenze stabilita  dal
d.P.C.m. del  2006,  si  configura  come  diretta  espressione  della
cennata competenza esclusiva dello Stato.