LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE 
    Ha emesso  la  seguente  ordinanza  sull'istanza  di  sospensione
dell'atto impugnato relativa  al  ricorso  n.  1903/08,  relativa  al
ricorso n. 1903/08, depositato il 16 ottobre 2008: 
        avverso cartella di pagamento n. 106200310048549-31 - Assente
1993 contr. prev., contro I.N.P.S.-Taranto,  difeso  da:  Assi  dott.
Michele, via Golfo di Taranto, 7/D I.N.P.S. - 74100 Taranto, proposto
dal ricorrente: Calipso S.r.l., via Basento n. 12  -  Zona  Saturo  -
74020 Leporano  (Taranto),  difesa  da  Fumarola  avv.  Stefano,  via
Abruzzo n. 1 - 74100 Taranto; 
        avverso cartella di pagamento n. 106200310048549-31 - Assente
1994 Contr. Prev., contro I.N.P.S.-Taranto, proposto dal  ricorrente:
Calipso S.r.l., via Basento n. 12 -  Zona  Saturo  -  74020  Leporano
(Taranto). 
    La Commissione tributaria provinciale  di  Taranto,  2ª  sezione,
composta  dai  signori  giudici  Massimo   Brandimarte,   presidente,
Riccardo Alessandrino,  componente,  e  Sergio  Marzano,  componente,
sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza  del  29  gennaio
2009, nel ricorso tributario r.g.r.n. 1903/08, con annessa istanza di
sospensione cautelare,  proposto  da  Calipso  S.r.l.  nei  confronti
dell'I.N.P.S.  di  Taranto,  avverso  la  cartella  di  pagamento  n.
106200310048549-31, notificata  il  2  febbraio  2004,  per  ritenuta
nullita'/illegittimita'  del  verbale  di  accertamento  presupposto,
intervenuta  prescrizione  quinquennale  del   credito   preteso   ed
inesistenza delle infrazioni contestate, osserva quanto segue. 
    Dalla documentazione allegata, emergono  i  requisiti  del  fumus
boni iuris e del periculum in mora, per cui e' accoglibile la domanda
di sospensione cautelare della esecuzione della cartella di pagamento
impugnata. 
    La societa' ricorrente, con analogo ricorso depositato il 6 marzo
2004, aveva gia' adito il giudice del lavoro  di  Taranto,  che,  con
sentenza  del  28  marzo  2008,  depositata  il  9  giugno  2008,  ha
dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, con riferimento  alla
richiesta di corresponsione di contributi per il  servizio  sanitario
nazionale, per l'esplicita riserva di attribuzione della  materia  di
che trattasi al  giudice  specializzato  contenuta  nell'art.  2  del
d.P.R. n. 546/1992. 
    L'odierno ricorso viene dunque proposto in riassunzione. 
    Nel costituirsi in giudizio, il resistente I.N.P.S. ha  eccepito,
tra l'altro, l'inammissibilita'  del  ricorso,  per  il  sopravvenuto
spirare del termine decadenziale previsto dall'art.  21  del  decreto
546, in considerazione del fatto che, in ipotesi di  declinatoria  di
giurisdizione, disciplinata dall'art.  37  c.p.c.  -  applicabile  al
processo tributario ai sensi dell'art. 1,  comma  2,  del  d.lgs.  n.
546/1992 - non opererebbero i principi  della  transiatio  iudicil  e
della conservazione degli effetti  sostanziali  e  processuali  della
domanda, perche' valevoli espressamente ed esclusivamente nell'ambito
della declaratoria di incompetenza, secondo  il  meccanismo  previsto
dagli artt. 42-50 c.p.c. 
    Si premette che la ricorrente  aveva  prioritariamente  adito  il
giudice del lavoro perche' indotta in errore  sia  dalle  indicazioni
procedurali quanto meno fuorvianti contenute nella cartella sia dalle
oscillazioni registratesi in giurisprudenza, chiusesi con decisione a
sezioni unite della cassazione n. 123 del 9 gennaio 2007,  a  riprova
dell'incertezza giuridica sul punto, in  qualche  modo  «subita»  dal
contribuente. 
    La commissione e' del parere che  la  presente  controversia  non
possa essere definita indipendentemente dalla risoluzione  dei  dubbi
incostituzionalita' emergenti citato art.  37  c.p.c.,  ritenuti  non
manifestamente infondati, sotto  il  profilo  della  menomazione  del
diritto di difesa e, quindi,  della  violazione  dell'art.  24  della
costituzione, rafforzato dall'art. 111, nella parte in cui  la  norma
non prevede che gli  effetti,  sostanziali  e  processuali,  prodotti
dalla domanda proposta dinanzi a giudice privo  di  giurisdizione  si
conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel  processo
proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione. 
    La corte costituzionale, con sentenza n. 77  del  5  marzo  2007,
depositata il 12 marzo 2007, intervenendo in un caso di  declinatoria
di giurisdizione da parte del  giudice  amministrativo  a  favore  di
quello  ordinario,  ha  dichiarato  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, per  le  identiche
ragioni sopra esposte. 
    In  quella  sede,  il  giudice  delle  leggi  ha  osservato,   in
particolare: 
        che «l'espressa previsione della translatio con esplicito  ed
esclusivo  riferimento  alla  ''competenza''  ...  non   altro   puo'
significare se non divieto di  applicare  alla  giurisdizione  quanto
previsto, esplicitamente ed esclusivamente, per la competenza»; 
        che da cio' deriva «l'impossibilita'  che,  a  seguito  della
declinatoria  della  giurisdizione,  siano  conservati  gli   effetti
prodotti dalla domanda  proposta  davanti  ad  un  giudice  privo  di
giurisdizione»; 
        che «l'esistenza nel codice di procedura civile di una  norma
che disciplina in generale l'istituto della riassunzione della  causa
(art. 125 disp. att.) non risolve affatto il problema», in quanto «la
possibilita' - esplicitamente prevista dalla legge ovvero  desumibile
attraverso una sistematica ricucitura delle norme - di riassumere  il
processo  non  implica  di  per  se'  che  la  domanda  proposta   in
riassunzione conservi gli effetti prodotti da quella originaria». 
        che  «la   trasmigrabilita'   del   processo   e'   strumento
necessario, ma non sufficiente  perche'  il  giudice  ad  quem  possa
giudicare della domanda dinanzi a lui riassunta come  se  essa  fosse
stata proposta davanti a lui nel momento in  cui  lo  fu  al  giudice
privo di giurisdizione»,  e  cio'  perche'  «la  conservazione  degli
effetti prodotti dalla domanda originaria discende non  gia'  da  una
dichiarazione del giudice che declina la  propria  giurisdizione,  ma
direttamente   dall'ordinamento,   interpretato   alla   luce   della
costituzione;  ed  anzi  deve  escludersi  che  la  decisione   sulla
giurisdizione, da qualsiasi giudice emessa, possa interferire con  il
merito (al  quale  appartengono  anche  gli  effetti  della  domanda)
demandato al giudice munito di giurisdizione». 
    La  corte  ha  ricordato   che   la   funzione   assegnata   alla
giurisdizione con l'art. 24 della costituzione, rafforzata  dall'art.
111,  e'  quella  di  assicurare  la  tutela  effettiva  dei  diritti
soggettivi e degli interessi legittimi, al riparo  da  limitazioni  o
pregiudizi occasionati da una sempre possibile erronea individuazione
del giudice munito di giurisdizione, dipendente dal sistema. 
    L'art. 30 della legge 6  dicembre  1971,  n.  1034,  prima  della
modifica operata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 77 del
2007,  ricalcava  l'art.  37  c.p.c.,  cosicche'  nei  confronti   di
quest'ultimo   si   pongono   gli    stessi    fondati    dubbi    di
costituzionalita', per la sua attuale inidoneita' a salvaguardare  le
esigenze difensive sopra illustrate, con l'aggiunta della  disparita'
di trattamento difensivo, sotto il profilo  degli  artt.  3-24  della
Costituzione,  venutasi  a  creare  nei   rapporti   tra   le   varie
giurisdizioni, dopo l'anzidetto  intervento  correttivo  del  giudice
delle leggi, limitatamente all'ambito T.a.r.- giudice ordinario.