IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile n. 27122/08 R.G. promosso da Canale Rosanna, residente in Lagnasco, via Propano n. 1, ricorrente, contro sindaco di Torino, in persona del funzionario delegato, resistente. Premesso che in data 19 marzo 2008 veniva notificato alla ricorrente il verbale n. 08/80068167, con il quale le si contestava, in qualita' di proprietaria del veicolo targato DF 191 GL, la violazione dell'art. 142 C.d.s., in particolare il superamento della velocita' massima consentita; tale accertamento non veniva contestato immediatamente al conducente, effettivo trasgressore, ma veniva comunicato all'odierna ricorrente con notifica a mezzo posta del relativo verbale; in data l6 maggio 2008 la ricorrente con raccomandata a.r. forniva dichiarazione di impossibilita' di risalire all'effettivo trasgressore; in seguito, ed entro i termini consentiti, la ricorrente presentava ricorso avverso il suddetto verbale di contestazione (RG. 19993/08 giudice di pace di Torino); nonostante la tempestiva proposizione del ricorso contro il verbale relativo all'accertamento della velocita', in data 2 luglio 2008 veniva notificato alla ricorrente il verbale di cui in epigrafe, nel quale le si contestava la mancata comunicazione dei dati personali e della patente del conducente relativamente al primo verbale; anche quest'ultimo verbale veniva impugnato e la ricorrente nel presente giudizio ne chiede l'annullamento per aver presentato la richiesta dichiarazione, anche se negativa, e per essere stato emesso il verbale nonostante fosse stato presentato ricorso contro l'accertamento per l'eccesso di velocita' e il relativo giudizio fosse ancora pendente; costituendosi parte resistente afferma la legittimita' dell'accertamento stesso in quanto la ricorrente non aveva comunicato le generalita' di chi guidava semplicemente assumendo che l'autovettura. era usata da piu' persone, mentre la norma esclude la sanzionabilita' di tale comportamento omissivo solo quando lo stesso sia stato tenuto in presenza di «giustificato e documentato motivo», inoltre, prosegue parte resistente, la Corte di cassazione con la sentenza n. 10786/08 ha imposto criteri minimi di organizzazione che mettano in grado colui che concede in uso ad altri la propria autovettura di ottemperare all'obbligo di segnalazione del conducente in caso di violazione delle norme del c.d.s. e con la sentenza n. 17348/07 ha affermato che l'obbligo di comunicare i dati sussiste anche se il verbale della violazione originale viene archiviato e ancora che il ricorso non interrompe i termini per tale comunicazione. Considerato che l'art. 126-bsi, comma 2, c.d.s., nella sua attuale formulazione letterale - e per come viene interpretato dalla Corte di cassazione non consente a questo giudice di aderire alla richiesta di annullamento fondata sul fatto che la ricorrente da un lato ha dichiarato di non essere in grado di risalire al guidatore dell'auto al momento della violazione, dall'altro ha presentato ricorso contro l'accertamento per l'eccesso di velocita' e il verbale per la mancata comunicazione dei dati del guidatore le e' stato notificato quando il primo accertamento non era ancora divenuto definitivo; questo giudice ritiene che tale disposizione contrasti con i principi costituzionali di ragionevolezza, diritto di difesa, buon andamento e imparzialita' dell'amministrazione fissati dagli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione e pertanto solleva d'ufficio eccezione di legittimita' costituzionale per i seguenti M o t i v i Occorre premettere un breve esame delle statuzioni del Giudice delle leggi e del diritto vivente formatosi sulla stratificazione degli interventi legislativi in materia. L'originario comma 2 dell'art. l26-bis del codice della strada, introdotto dall'art. 7 del d.lgs. 15 gennaio 2002, n. 9, disponeva che l'organo accertatore della violazione comportante la perdita di punteggio dovesse dare notizia, entro trenta giorni dalla definizione della contestazione, all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. In particolare, il comma in questione prevedeva che la comunicazione dovesse essere, effettuata «solo se la persona del conducente, quale responsabile della violazione» fosse stata «identificata inequivocabilmente». In base a tale disposizione, quindi, nelle ipotesi in cui non fosse stata possibile la identificazione del conducente, il proprietario rispondeva soltanto per il pagamento della sanzione pecuniaria prevista per l'infrazione, stante il vincolo di solidarieta' passiva con il conducente, ma non subiva alcuna conseguenza relativamente alla decurtazione del punteggio della sua patente. La decurtazione presupponeva, pertanto, l'avvenuta identificazione, in ogni caso, del conducente del veicolo. Soltanto in virtu' di quanto stabilito dall'art. 7, comma 3, lettera b), del d.l. 27 giugno 2003, n. 151, nel testo a sua volta modificato dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, l'ultima parte del comma 2 dell'art. 126-bis e' stata sostituita, prevedendosi che, nel caso di mancata identificazione del conducente, la segnalazione all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida dovesse «essere effettuata a carico del proprietario del veicolo», aggiungendosi che il suddetto proprietario, per evitare tale effetto pregiudizievole, era tenuto a comunicare, entro trenta giorni dalla richiesta ricevutane, all'organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della violazione commessa. La norma. in esame, infine, aggiungeva che «se il proprietario del veicolo omette di fornirli, si applica a suo carico la sanzione prevista dall'art. 180, comma 8», cioe' quella secondo la quale chiunque senza giustificato motivo non ottempera all'invito dell'autorita' di presentarsi, entro il termine stabilito nell'invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire documenti ai fini dell'accertamento delle violazioni amministrative previste dal presente codice, e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 343,35 a € 1.376,55». Su tale disciplina numerose sono state le eccezioni di legittimita' costituzionale proposte anche sotto il profilo della lesione del diritto di difesa, pregiudicato dal fatto che la norma prevedeva un termine di appena trenta giorni entro il quale il proprietario del veicolo era tenuto a comunicare i dati personali e della patente del conducente responsabile dell'infrazione; un termine, pertanto, «nettamente inferiore» a quello di sessanta giorni per proporre ricorso al giudice di pace o al Prefetto, al fine di conseguire l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione stradale. L'irrogazione della sanzione della decurtazione del punteggio dalla patente di guida sebbene risulti ancora pendente il termine per adire le vie giudiziali o amministrative per ottenere la caducazione del verbale di contestazione dell'infrazione, rappresenterebbe una menomazione del diritto di difesa. La Corte costituzionale, intervenuta su tale disciplina, ha significativamente affermato: «Quanto alla paventata necessita' per il proprietario dei veicolo di autodenunciarsi il dubbio di costituzionalita' sollevato dai rimetienti pare fondarsi su di una inesatta esegesi del dato normativo. Si consideri, difatti, che la disposizione impugnata espressamente stabilisce che la comunicazione all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida dell'avvenuta perdita del punteggio dalla patente (e cioe' l'adempimento che ha come presupposto, nel caso di mancata identificazione del conducente responsabile della violazione, proprio l'avvenuta inutile richiesta al proprietario del veicolo di fornire i dati personali e della patente del predetto conducente) deve avvenire dentro trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata», definizione che presuppone, a sua volta, che «siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi o giurisdizionali ammessi», ovvero - ed e' proprio siffatta previsione ad essere dirimente rispetto alla censura in esame - che «siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi. In nessun caso, quindi, il proprietario e' tenuto a rivelare i dati personali e della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione.» (C. cost. 24 gennaio 2005, n. 27). Il successivo intervento del legislatore, invece, non ha tenuto in alcun conto tale principio. Infatti ha modificato l'art. 126-bis, c.d.s., con il comma 164 dell'art. 2 del decreto-legge n. 262/2006, stabilendo che «La comunicazione deve essere effettuata a carico del conducente quale responsabile della violazione; nel caso di mancata identificazione di questi, il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell'art. 196, deve fornire all'organo di polizia che procede, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione. ... Il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell'art. 196, sia esso persona fisica o giuridica, che omette, senza giustificato e documentato motivo, di fornirli e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 250 a € 1.000». La Corte costituzionale, nuovamente intervenuta, ha espressamente affermato che .un'opzione ermeteutica, che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione presenterebbe una dubbia compatibilita' con l'art. 24 Cost.; che una simile interpretazione, difatti, non consentendo in alcun modo all'interessato di sottrarsi all'applicazione della sanzione pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris et de iure di responsabilita', contravvenendo a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui tale presunzione assoluta determina la lesione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione, dal momento che preclude all'interessato ogni possibilita' di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta (ex multis, sentenza n. 144 del 2005)» (C. cost. 14 dicembre 2007, n. 434). Con le dette pronunce il Giudice delle leggi ha posto chiari e inequivocabili punti fermi; la Corte di cassazione ha invece affermato che «argomentazione di avere comunque ottemperato all'obbligo di comunicazione mediante la dichiarazione di non essere in grado di indicare i dati del conducente e' parimenti del tutto priva di pregio, basandosi su una lettura della norma incompatibile tanto con il suo tenore letterale, quanto con la sua chiara ratio giustificatrice, rappresentata dall'obiettivo di individuare e quindi sanzionare il trasgressore della violazione, da cui emerge chiaramente che l'obbligo in parola puo' considerarsi assolto soltanto con una comunicazione completa delle informazioni richieste» (Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2008, n. 10786); e, in modo ancora piu' contrastante con i principi delineati dalla Corte costituzionale, la suprema Corte cosi' argomenta: «La ricorrente - denunziando la violazione dell'art 126-bis C.d.S., - ripropone in questa sede la tesi della connessione tra illecito per violazione alle norme sulla circolazione ed illecito per mancata comunicazione dei dati del conducente responsabile della violazione stessa, sostenendo che la sussistenza del secondo e' condizionata alla permanenza del primo e che, pertanto, questo divenuto non punibile a seguito di sentenza d'annullamento del relativo verbale (nella specie, per sua tardiva notificazione), verrebbe meno l'obbligo di comunicazione e, quindi, la legittimita' della sanzione per l'inadempimento; che, inoltre, dovendo la comunicazione dei dati del conducente dall'ufficio accertatore al Dipartimento trasporti aver luogo solo dopo l'intervenuta definitivita' dell'accertamento della violazione alle norme sulla circolazione, il proprietario del veicolo sarebbe tenuto alla comunicazione dei dati del conducente solo ove tale definitivita' si verifichi, mentre il sopravvenuto annullamento del detto accertamento impedirebbe l'insorgere dell'obbligo e, quindi, il determinarsi dell'illecito pur in caso d'omissione... Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente evidenziato che, in tema di violazioni al codice della strada, l'ipotesi di illecito amministrativo previsto dal disposto dell'art. 126-bis C.d.s. comma 2 - ed il concetto vale anche per il sopravvenuto legge n. 286 del 2006, art. 164 - va intesa nel senso che il legislatore ha ritenuto di sanzionare l'omissione della collaborazione che il cittadino - ed in particolare, il proprietario del veicolo in quanto titolare della disponibilita' di esso e quindi responsabile dell'immissione dello stesso nella circolazione - deve prestare all'autorita' preposta alla vigilanza sulla circolazione stradale al fine di consentirle di procedere agli accertamenti necessari per l'espletamento dei servizi di polizia amministrativa e giudiziaria, dovendosi tener conto che la violazione delle norme del C.d.S. puo' assumere rilevanza non solo amministrativa ma anche penale. Per tali caratteristiche dell'illecito in discussione, al proprietario del veicolo tenuto a fare la comunicazione dei dati del conducente, come non e' riconoscibile alcun potere dispositivo delle informazioni in suo possesso, cosi' neppure gli si puo' riconoscere alcuna facolta' d'indagare sulla vicenda nella quale sia stato ravvisato dagli agenti accertatori l'illecito presupposto e di tenere comportamenti consequenziali assuntivamente giustificati dal raggiunto convincimento in ordine all'assunta illegittimita' della contestazione del detto illecito presupposto e/o del procedimento sanzionatorio in ordine allo stesso. Ond'e' che sulla configurabilita' dell'illecito da omessa comunicazione obbligatoria dei dati identificativi del conducente non possono influire non solo le cause d'estinzione o di non punibilita' dell'illecito presupposto successivamente riconosciute dalla competente autorita' giudiziaria, ma neppure eventuali modifiche legislative incidenti sulla definizione stessa di quest'ultimo, compresa la stessa abolitio criminis, rimanendo estraneo alla fattispecie in esame, per la netta distinzione tra illecito ex secondo comma dell'art. 126-bis c.d.s., o legge n. 286 del 2006, ex art. 164 ed illecito presupposto, il principio stabilito dall'art. 2 c.p.: l'illecito in discussione si e', infatti, autonomamente gia' consumato e tra questo e quello presupposto non v'e' alcuna connessione che possa comportare l'estensione all'uno delle cause d'estinzione o di non punibilita' dell'altro. Ne consegue, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, che, ai fini dell'accertamento e della punibilita' dell'illecito da omessa comunicazione dei dati del conducente, e' del lutto ininfluente la pendenza del giudizio in ordine alla legittimita' dell'accertamento e della contestazione dell'illecito presupposto e/o del procedimento d'irrogazione delle relative sanzioni, amministrative e, se del caso, anche penali» Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2007, n. 17348). Con quest'ultima decisione la cassazione in pratica impone al cittadino la «confessione» (che ritiene efficace anche ai fini penali!), la cui mancanza sara' sanzionabile anche quando risulti accertata dal giudice l'assenza di ogni violazione del codice della strada o di ogni violazione penalmente sanzionata. La cassazione impone al cittadino - sotto la comminazione di una sanzione amministrativa - in dovere di collaborazione che il codice di procedura penale invece esclude; non solo ma tale tassativo obbligo contrasta logicamente, in un'ottica di interpretazione sistematica, con la disposizione contenuta nella prima parte del secondo comma dello stesso articolo 126-bis C.d.S. secondo la quale «l'organo da cui dipende l'agente che ha accertato la violazione che comporta la perdita di punteggio ne da' notizia, entro 30 giorni dalla definizione della contestazione effettuata, all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. La contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi». Dalla lettura di tale disposizione si ricava un elemento di ulteriore irragionevolezza, rilevante ex artt. 3 e 97 Cost., rispetto all'interpretazione fornita dalla Corte di cassazione circa l'obbligo sanzionabile di comunicare il nominativo del conducente al momento della violazione: la completa inutilita', per l'amministrazione, di tale anticipata comunicazione qualora la sanzione accessoria della decurtazione dei punti sulla patente divenga inapplicabile in conseguenza dell'annullamento del verbale di accertamento da parte del Prefetto o del giudice di pace. Peraltro confliggente con i principi di buona amministrazione si rivela anche l'ulteriore attivita' di accertamento svolta in capo all'effettivo trasgressore, secondo la cassazione ipotizzabile in virtu' della «delazione» imposta al proprietario del veicolo, con eventuale duplicazione di ricorsi destinati a concludersi - in caso di accertata illegittimita' della originaria contestazionc con duplicazione di spese legali per l'amministrazione stessa. Per non parlare della violazione dei principi in materia di giusto processo con riferimento ai tempi ragionevoli dello stesso, destinati a dilatarsi a causa dell'aumentato numero di ricorsi inutili. La soluzione ragionevole sarebbe quella di imporre all'organo accertatore di richiedere al proprietario il nominativo del guidatore - sanzionandone l'eventuale omissione solo quando per l'organo stesso sorge l'obbligo di dare notizia della decurtazione dei punti all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida: ma cio' non e' possibile alla luce del tenore letterale della norma in esame. In conclusione i disposti contenuti nell'art. l26-bis, comma 2, c.d.s., secondo la lettera della norma e l'interpretazione fornita dalla Cassazione, appaiono confliggenti con i principi costituzionali di ragionevolezza, diritto di difesa e buona amministrazione (artt. 3, 24, 97 Cost.) sia con riferimento all'obbligo di comunicazione del nominativo del conducente prima (e a prescindere della intervenuta definitivita' dell'accertamento della violazione, sia per quanto riguarda la rigida interpretazione della scriminante del «giustificato e documentato motivo», secondo la cassazione mai sussistente: interpretazioni vincolanti per questo Giudice - anche a causa dello stesso tenore letterale della norma stessa, che sono gia' state sconfessate, prima delle modifiche alla norma - dalla Corte costituzionale, come sopra evidenziato.