LA CORTE DI CASSAZIONE 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
22226-2007 proposto da: Lubrano Enrico, elettivamente domiciliato  in
Roma, Viale Bruno Buozzi 99, presso  lo  studio  dell'avvocato  Punzi
Carmine, che  lo  rappresenta  e  difende  unitamente  agli  avvocati
Malcovati Fabio, Gabardini Alessandro, Lubrano Filippo, Poli Roberto,
giusto mandato in calce al  ricorso  per  regolamento  necessario  di
competenza, ricorrente; 
    Contro A.S. Roma S.p.A. in persona  dell'amministratore  delegato
dott.ssa  Rosella  Sensi,  elettivamente  domiciliata  in  Roma,  Via
Michele  Mercati,  51,  presso  lo  studio  dell'avvocato   Briguglio
Antonio, che la rappresenta e difende  unitamente  agli  avvocati  De
Giovanni Gianroberto e Rolla Francesca,  giusta  procura  speciale  a
margine della memoria difensiva; resistente, avverso la  sentenza  n.
8429/2007 del Tribunale di Milano del 3 luglio 2007, depositata il  5
luglio 2007. 
    Udita la relazione della causa svolta nella Camera  di  consiglio
del  24  settembre  2008  dal  consigliere  relatore   dott.   Emilio
Migliucci. 
    E' presente il p.g. in persona del dott. Costantino Fucci. 
    Rilevato  che  l'avv.  Enrico  Lubrano  ha  proposto  regolamento
necessario di competenza avverso la sentenza n. 8429 dep. il 5 luglio
2007 con cui il  Tribunale  di  Milano,  nel  decidere  l'opposizione
proposta  dalla  soc.  A.S.  Roma  S.p.A.,  dichiarava   la   propria
incompetenza per territorio e la nullita' del  decreto  con  cui  era
stato ingiunto all'opponente il pagamento in  favore  del  ricorrente
dei compensi  chiesti  per  l'attivita'  professionale  dal  medesimo
svolta. 
    Infatti,  secondo  il  giudice  di  primo  grado,  competente   a
conoscere del ricorso per decreto ingiuntivo era il Tribunale di Roma
sul rilievo che per le cause aventi ad  oggetto  il  pagamento  degli
onorari dei professionisti il codice prevede il foro del luogo ove ha
sede  il  consiglio  dell'ordine   presso   cui   sono   iscritti   i
professionisti al momento della scadenza della prestazione, avendo la
Corte costituzionale precisato  che  il  luogo  dell'iscrizione  deve
coincidere con quello di residenza o con il  domicilio  professionale
che l'avvocato ha al momento della scadenza della prestazione:  nella
specie, l'avv. Lubrano, al momento della scadenza, aveva il domicilio
professionale in Roma ed ivi  aveva  la  sede  la  Banca  presso  cui
dovevano  affluire  i  pagamenti   dei   corrispettivi   dovuti   per
l'attivita' professionale. 
    Ha resistito l'intimata depositando memoria ex art. 47 cod. proc.
civ. 
    Attivatasi procedura camerale ai sensi dell'art. 375  cod.  proc.
civ. secondo quanto previsto dall'art. 380-ter bis cod.  proc.  civ.,
il Procuratore Generale inviava richiesta scritta di accoglimento del
ricorso. 
    Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa  ex  art.
378 cod. proc. civ. 
                            O s s e r v a 
    1. - Con l'unico articolato  motivo  il  ricorrente,  denunciando
violazione ed omessa applicazione dell'art.  637,  terzo  comma  cod.
proc. civ., motivazione carente, illogica e  contraddittoria  censura
la decisione gravata che, nel dichiarare la propria incompetenza  per
territorio a favore del Tribunale di Roma, aveva posto a  base  della
decisione una lettura dell'art. 637, terzo comma cod. proc. civ.  non
corrispondente alla formulazione della norma, avendo  individuato  il
foro competente con riferimento al luogo in cui ha sede il  consiglio
dell'ordine al quale l'avvocato e' iscritto al momento della scadenza
della prestazione, che non e' assolutamente contemplata  dalla  norma
citata. 
    Al riguardo - deduce ancora  il  ricorrente  -  per  il  recupero
attraverso  il  procedimento  monitorio  dei  crediti  relativi  alle
prestazioni contro i propri  clienti,  la  norma  citata  prevede  in
favore degli avvocati un foro alternativo e concorrente con quelli di
cui agli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ.: secondo l'interpretazione
letterale, teleologica, logica e sistematica  della  disposizione  in
esame assume rilevanza esclusiva il luogo ove ha  sede  il  consiglio
dell'ordine al quale e' iscritto il  legale  al  momento  in  cui  e'
presentata la domanda di ingiunzione. 
    Rileva al riguardo il ricorrente che se, da un lato, l'art.  637,
terzo comma cod. proc. civ. non fa alcun  riferimento  alla  scadenza
della prestazione, la norma, d'altro lato, ha inteso prevedere che il
tribunale al quale ci si rivolge in  via  ingiuntiva  sia  lo  stesso
presso il quale ha sede il consiglio dell'ordine che ha  espresso  il
parere di congruita' sulla parcella professionale  in  considerazione
della presumibile conoscenza da parte di quel giudice dei criteri  di
valutazione normalmente seguiti  dal  consiglio  dell'ordine  locale,
tenuto conto che competente ad emettere  il  parere  e'  soltanto  il
consiglio al quale il professionista e'  iscritto  al  momento  della
richiesta. 
    Pertanto, giudice competente era il Tribunale di Milano,  essendo
esso ricorrente  iscritto  al  Consiglio  dell'Ordine  di  Milano  al
momento della proposizione  della  domanda  di  ingiunzione;  in  via
subordinata, si sarebbe comunque radicata la competenza del Tribunale
di Milano, anche facendo riferimento alla previsione  dell'art.  1182
cod.  civ.,  tenuto  conto  che  la  scadenza  dell'obbligazione   di
pagamento del compenso del legale si determina  nel  momento  in  cui
essa si concretizza con la liquidazione compiuta  con  il  parere  di
congruita': il ricorrente era iscritto al  Consiglio  dell'Ordine  di
Milano  al  momento  della  scadenza  dell'obbligazione,  atteso  che
l'obbligazione posta a base della domanda era  quella  liquidata  dal
Consiglio dell'Ordine di Milano nel 2005. 
    2.   -   La   resistente   ha   eccepito   in   via   preliminare
l'inammissibilita' del regolamento di cui all'art. 42 cod. proc. civ.
sul rilievo che il provvedimento impugnato non puo' qualificarsi come
sentenza sulla competenza; ha, quindi, sostenuto la correttezza della
decisione impugnata, osservando che  l'art.  637,  terzo  comma  cod.
proc. civ. debba essere interpretato alla luce  dei  criteri  di  cui
all'art. 20 cod. proc. civ.: il consiglio dell'ordine,  al  quale  fa
riferimento il citato art. 637, terzo comma,  e'  da  individuare  in
quello al quale era  iscritto  il  professionista  al  momento  della
scadenza dell'obbligazione; d'altra parte,  in  considerazione  della
modifica legislativa operata dalla legge n. 526 del 1999 - osserva la
resistente   -   si   impone   una    interpretazione    attuale    o
costituzionalmente orientata dell'art. 637, terzo comma,  atteso  che
la  sentenza  n.  137  del  1975  della  Corte  costituzionale,   nel
dichiarare infondata la questione di legittimita' della norma,  aveva
evidenziato che, secondo la normativa all'epoca vigente, gli avvocati
avevano l'obbligo di fissare la residenza  nella  circoscrizione  del
tribunale nel cui albo erano iscritti; ove non fosse  stata  ritenuta
legittima l'interpretazione da  essa  propugnata,  la  resistente  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale della citata norma
per contrasto con gli art. 3 e 25 Cost., rilevando: 1) la  disparita'
di trattamento rispetto ad  altre  categorie  di  professionisti  per
l'ingiustificato privilegio attribuito agli avvocati  che  -  per  il
recupero dei crediti  professionali  -  potrebbero  modificare  senza
particolari difficolta' il consiglio dell'ordine di  appartenenza  al
solo fine di incardinare il giudizio contro i propri  clienti  presso
un foro ritenuto piu' favorevole; 2) sarebbe rimessa al mero arbitrio
dell'attore la scelta  del  giudice  competente,  in  violazione  del
precetto costituzionale del giudice naturale,  come  appunto  si  era
verificato nella specie. 
    3.  -   Preliminarmente,   va   rilevata   l'ammissibilita'   del
regolamento necessario di competenza proposto ai sensi  dell'art.  42
cod. proc. civ. 
    La  sentenza  con  la  quale,  come  nella  specie,  il   giudice
dell'opposizione  a  decreto  ingiuntivo  dichiari  la  nullita'  del
decreto opposto esclusivamente per incompetenza del giudice che lo ha
emesso integra una statuizione sulla competenza e non  una  pronuncia
sul  merito,  essendo  la  dichiarazione   di   nullita'   non   solo
conseguente,  ma  anche  necessaria  rispetto  alla  declaratoria  di
incompetenza (Cass. 16193/2006; 8327/2002). 
    4. - Ai sensi dell'art. 637, terzo comma  cod.  proc.  civ.  «gli
avvocati o i notai possono altresi' proporre domanda  di  ingiunzione
contro i propri clienti al giudice competente per  valore  del  luogo
ove ha sede il consiglio dell'ordine al  quale  sono  iscritti  o  il
consiglio notarile dal quale dipendono». 
    La norma, in deroga ai criteri generali stabiliti in  materia  di
competenza per territorio, prevede un foro concorrente e  facoltativo
a favore della categoria degli avvocati che agiscano con  il  ricorso
monitorio per il recupero dei crediti professionali nei confronti dei
propri clienti. 
    Il Tribunale di Milano, nel dichiararsi  incompetente  in  ordino
alla domanda proposta dal ricorrente  per  il  recupero  dei  crediti
professionali, ha ritenuto che il codice di procedura civile  prevede
nelle  cause  aventi  ad  oggetto  il  pagamento  degli  onorari  dei
professionisti il foro del luogo ove ha sede il consiglio dell'ordine
presso cui sono iscritti i professionisti al momento  della  scadenza
della prestazione, rilevando che tale interpretazione era  confermata
dalla pronuncia della Corte costituzionale  che  si  era  pronunciata
sulla legittimita' dell'art. 637, terzo comma cod.  proc.  civ.  (per
mero errore materiale in sentenza indicato come art. 367). 
    Tale  assunto  e'  erroneo,  posto  che  la  norma  citata,   nel
consentire  agli  avvocati  di  formulare  la  richiesta  di  decreto
ingiuntivo anche al giudice del luogo in cui  ha  sede  il  consiglio
dell'ordine  presso  il  quale  sono  iscritti,non   contiene   alcun
riferimento alla scadenza dell'obbligazione o in generale ai  criteri
indicati dagli art. 20, cod. proc. civ. e 1182, cod. civ.: in base al
dato normativo, non solo sarebbe ingiustificato non  identificare  il
consiglio dell'ordine, in relazione al quale si determina il  giudice
competente, in quello al quale il  legale  e'  iscritto  attualmente,
cioe' con riferimento al momento della proposizione del  ricorso,  ma
del tutto arbitrario sarebbe il ricorso a criteri di collegamento non
previsti  dal  legislatore.  Ne'  l'interpretazione   formulata   dal
tribunale trova  conferma  nella  richiamata  pronuncia  della  Corte
costituzionale che, come si vedra' piu' diffusamente  infra,  non  ha
compiuto alcun riferimento alla scadenza dell'obbligazione. 
    D'altra  parte,  i  precedenti  di  legittimita'   citati   dalla
resistente sono del tutto inconferenti, atteso  che  la  sentenza  n.
1320 del 1976 fa riferimento al giudice che sarebbe competente per la
domanda proposta in via ordinaria e dunque al primo  comma  dell'art.
637 cod. proc. civ. mentre la decisione n. 571 del 1966 concerne  una
particolare fattispecie (attivita' iniziata da praticante procuratore
che, divenuto procuratore, aveva cambiato l'albo di iscrizione). 
    Del resto, l'interpretazione letterale del citato articolo  trova
conferma  nella  ratio  ispiratrice   della   disposizione   che   e'
evidentemente quella di  agevolare  il  professionista,  che  sarebbe
invece costretto a seguire le cause relative al recupero dei  crediti
professionali in luogo diverso (o addirittura in luoghi  diversi)  da
quello in cui  egli  avesse  attualmente  stabilito  l'organizzazione
della propria attivita' professionale. 
    5. - Peraltro, l'interpretazione dell'art. 637, terzo comma sopra
formulata pone dei dubbi di legittimita' costituzionale in  relazione
all'art. 3 Cost. 
A)  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  della  norma  e'
rilevante. 
    Va considerato che nella specie, al momento in cui aveva proposto
il ricorso  per  decreto  ingiuntivo  per  il  pagamento  di  crediti
professionali, l'avv. Lubrano era iscritto al  Consiglio  dell'Ordine
degli avvocati di Milano,  mentre  al  momento  in  cui  era  cessata
l'attivita' difensiva svolta in favore della resistente era  iscritto
al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma e  in  quella  citta'
aveva la residenza e il domicilio. 
    Pertanto,  ai  sensi  dell'art.   637,   terzo   comma,   secondo
l'interpretazione sopra formulata, la competenza  per  territorio  si
era radicata presso il Tribunale di  Milano,che  erroneamente  si  e'
dichiarato incompetente: sono, dunque, fondate le  censure  sollevate
con il regolamento di competenza, che e' meritevole di accoglimento. 
B) La questione di legittimita' costituzionale dell'art.  637,  terzo
comma citato non e' manifestamente infondata. 
    Deve, in proposito, premettersi che con la sentenza  n.  137  del
1975, la Corte costituzionale, nel ritenere infondata la questione di
legittimita' costituzionale della  norma  in  esame,  che  era  stata
sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., premetteva che  il
potere conferito  agli  avvocati  dall'art.  637,  terzo  comma  cit.
avrebbe potuto in astratto configurare una  discriminazione  soltanto
nei confronti di una determinata  categoria  di  cittadini,  cioe'  i
clienti degli avvocati che verrebbero a trovarsi nella  posizione  di
soggezione; sottolineava quindi la peculiarita' della posizione degli
avvocati e procuratori rispetto a tutti gli altri prestatori  d'opera
intellettuale, in considerazione  della  particolare  disciplina  che
regola  l'accesso  e  le  modalita'  di  svolgimento  dell'attivita';
rilevava quindi che: «gli  avvocati  e  procuratori,  d'altra  parte,
debbono avere la residenza nella circoscrizione del tribunale nel cui
albo degli avvocati sono iscritti, e nel  capoluogo  del  circondario
nel quale sono iscritti nell'albo dei procuratori, e onde far  fronte
ad  un'esigenza  ognora  crescente,  sono  portati   ad   organizzare
adeguatamente la loro attivita' di lavoro autonomo. E la scelta della
sede, nella unitarieta' dei suoi effetti, non puo' rilevare in favore
di chi legittimamente la compia». 
    Orbene, secondo la normativa all'epoca in vigore, l'art. 17 della
legge professionale forense di cui al regio decreto legge 27 novembre
19933, n. 1578 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22
gennaio 1934, n. 36, nel prescrivere  i  requisiti  per  l'iscrizione
all'albo, stabiliva al n. 7) che  gli  avvocati  dovevano  «avere  la
residenza  nella  circoscrizione   del   tribunale   nel   cui   albo
l'iscrizione e' domandata». Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dal
ricorrente, la Corte ritenne  giustificata  la  previsione  a  favore
degli avvocati di un  foro  speciale  per  il  recupero  dei  crediti
professionali,in deroga ai criteri generali di competenza,  anche  in
considerazione dell'obbligo di fissare la residenza  nella  sede  del
consiglio dell'ordine in cui erano iscritti: tale considerazione  non
era stata affatto incidentale o marginale nella decisione  che  aveva
portato la Corte a ritenere giustificata  la  posizione  privilegiata
attribuita agli avvocati, avendo i giudici  delle  leggi  evidenziato
che proprio nel luogo in  cui  avevano  stabilito  la  residenza  gli
avvocati  sono  portati  ad  organizzare  adeguatamente  la   propria
attivita' professionale. 
    Pertanto, la questione di costituzionalita' della norma  si  pone
ora in termini affatto diversi  rispetto  a  quelli  esaminati  dalla
Corte costituzionale, atteso l'intervento del legislatore che  ha  al
riguardo modificato la disciplina, dapprima con la norma di carattere
generale dettata dall'art. 16 della legge comunitaria del 2  dicembre
l999, n 526 («Obblighi derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  alle
Comunita' europee»), secondo cui «per i cittadini degli Stati  membri
dell'Unione europea,  ai  fini  dell'iscrizione  o  del  mantenimento
dell'iscrizione   in   albi,   elenchi    registri    il    domicilio
professionale e' equiparato alla residenza» e quindi  con  l'art.  18
della legge comunitaria 3 febbraio  2003,  n.  14  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee) che ha modificato  specificamente  l'art.  17
del  regio  decreto  n.  1578  del  1933,  aggiungendo  alla   parola
«residenza» «o il domicilio professionale». 
    Secondo la disciplina vigente, dunque, l'iscrizione  all'albo  e'
svincolata dalla residenza, nel senso che l'avvocato puo'  iscriversi
a un consiglio dell'ordine con sede in un luogo in cui abbia  fissato
il domicilio professionale, pur avendo stabilito altrove  la  propria
residenza. E,  seppure  il  domicilio  professionale  rappresenta  il
centro principale dell'attivita' - professionale (art.  43  cod.civ.;
cfr. parere del Consiglio nazionale forense del 27 ottobre 2000), non
puo' non assumere rilievo la circostanza che esso - indipendentemente
dall'obiettiva difficolta' di verificare dove  il  legale,  il  quale
puo' aprire studi professionali in piu' sedi,  svolga  in  prevalenza
l'attivita' puo' non coincidere con la residenza che  e'  data  dalla
abituale  e  volontaria  dimora  nel  luogo  in   cui   la   persona,
nell'esercizio del diritto garantito dall'art. 16 Cost.,  ha  fissato
la sede delle relazioni sociali  e  familiari  e  che  e'  oltretutto
rivelata da elementi obiettivi e facilmente accertabili in base  alle
consuetudini di vita. 
    Orbene, 1'art.  637,  terzo  comma  cod.  proc.  civ.  era  stato
formulato  sul  presupposto  che,  secondo  la  normativa   all'epoca
vigente, l'avvocato aveva l'obbligo di  stabilire  la  residenza  nel
luogo in cui aveva sede il consiglio dell'ordine al quale chiedeva di
essere  iscritto  ma  il  venir  meno  di  siffatto  obbligo   e   la
possibilita' di ottenere l'iscrizione all'albo fissando o trasferendo
il domicilio professionale in luogo  diverso  da  quello  in  cui  il
professionista abbia stabilito la residenza inducono a  ritenere  che
sia venuta meno la gia' ricordata ratio  ispiratrice  dell'art.  637,
terzo  comma  citato  che,  avendo  la  finalita'  di  agevolare   il
professionista per consentirgli di concentrare le cause nei confronti
dei clienti nel luogo in cui  aveva  l'obbligo  di  fissare  la  sede
principale dei propri interessi, aveva previsto - come si e' detto  -
un foro speciale con riferimento alla sede del consiglio al quale era
iscritto l'avvocato. 
    Ma, allora, la norma appare in  contrasto  con  il  principio  di
parita' di trattamento e ragionevolezza (art.  3  Cost.),  in  quanto
attribuisce una posizione privilegiata a  una  determinata  categoria
professionale rispetto agli altri  cittadini  e  ad  altre  categorie
professionali, non sussistendo oramai ragioni obiettive  che  possano
giustificare tale scelta. 
    Va, innanzitutto, considerato che l'ampiezza e l'incidenza  della
tutela giurisdizionale posta a  favore  degli  avvocati  avviene  con
discriminazione in danno dei loro clienti  che  si  vedono  convenuti
presso un foro diverso da  quello  previsto  in  base  agli  ordinari
criteri dettati per la generalita' dei consociati. 
    Infatti la norma, nel consentire esclusivamente agli avvocati  di
agire per il  recupero  dei  crediti  professionali  con  domanda  di
ingiunzione proposta al giudice del luogo in cui ha sede il consiglio
dell'ordine al quale sono iscritti al momento di  proposizione  della
domanda,  attribuisce  esclusivamente  agli  avvocati  il  potere  di
scegliere un foro alternativo a quelli previsti in via generale dagli
artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ. E la soggezione a  siffatto  potere
e' idonea evidentemente a danneggiare i clienti,  tanto  piu'  se  si
considera che - come si e' detto - gli avvocati hanno la possibilita'
di fissare o  trasferire  il  domicilio  professionale  in  un  luogo
diverso da  quello  in  cui  abbiano  stabilito  la  residenza  e  di
conseguire l'iscrizione a un consiglio dell'ordine diverso da  quello
al quale erano iscritti al  momento  in  cui  e'  sorta  o  e'  stata
eseguita l'attivita' professionale. 
    La  norma,  riservando  una  posizione  di   particolare   favore
esclusivamente agli avvocati, attua una disparita' di trattamento nei
confronti di altre categorie professionali,  apparendo  arbitraria  e
irragionevole la  scelta  operata  dal  legislatore,  atteso  che  la
disciplina  che  regola  l'accesso  e  le  modalita'  di  svolgimento
dell'attivita' degli avvocati non e' tale da giustificare il  diverso
trattamento riservato ad altre categorie professionali, per le  quali
non e' invece previsto il privilegio accordato dal citato  art.  637,
terzo comma. Va, in proposito, sottolineato che - non diversamente da
quanto e' previsto per gli avvocati  -  anche  gli  altri  prestatori
intellettuali  che  esercitano  professioni   protette   si   trovano
sottoposti  a  particolari  condizioni  e  modalita'  stabilite   per
l'accesso e lo svolgimento dell'attivita', in quanto  per  esercitare
la professione devono iscriversi all'albo  professionale  dopo  avere
conseguito  l'abilitazione  e  sono  sottoposti  al   controllo   del
consiglio del relativo ordine professionale. 
    Pertanto, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata,
in  relazione  all'art.  3  Cost.,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale del terzo comma dell'art. 637 cod.  proc.  civ.  nella
parte in cui, stabilendo che gli avvocati possono  altresi'  proporre
domanda di ingiunzione nei confronti dei propri  clienti  al  giudice
competente  per  valore  del  luogo  in  cui  ha  sede  il  consiglio
dell'ordine degli avvocati al cui albo sono iscritti  al  momento  di
proposizione della domanda di ingiunzione, attribuisce esclusivamente
agli avvocati la possibilita' di scegliere  un  foro  facoltativo  in
alternativa a quelli di cui agli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ. 
    Ai sensi  della  legge  11  marzo  l953,  n.  87  art.  23,  alla
dichiarazione  di  rilevanza  nel  giudizio  e   di   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, segue la
sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli  atti  alla
Corte costituzionale.