Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6,  comma  2,
8, commi 1 e 3, 9, comma 3, 11, comma 5, 12, comma 3, 14, commi  2  e
3, e 18, comma 4, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia  18
dicembre  2007,  n.  29  (Norme  per  la  tutela,  valorizzazione   e
promozione  della  lingua  friulana),  promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il  25  febbraio  2008,
depositato in cancelleria il 28 febbraio 2008 ed iscritto  al  n.  18
del registro ricorsi 2008. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  10  febbraio  2009  il  giudice
relatore Ugo De Siervo, sostituito per la  redazione  della  sentenza
dal Giudice Paolo Maria Napolitano; 
    Uditi l'avvocato dello  Stato  Filippo  Capece  Minutolo  per  il
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e  l'avvocato  Giandomenico
Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ricorso notificato il 25 febbraio 2008 e  depositato  il
successivo 28 febbraio, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
sollevato questione di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  6,
comma 2, 8, commi 1 e 3, 9, comma 3, 11, comma 5, 12,  comma  3,  14,
commi 2 e 3, e 18, comma 4, della legge della Regione  Friuli-Venezia
Giulia 18 dicembre 2007, n. 29 (Norme per la tutela, valorizzazione e
promozione  della  lingua  friulana),   pubblicata   nel   Bollettino
ufficiale della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 52 del  27  dicembre
2007, in riferimento agli articoli 3,  6,  117,  terzo  comma,  della
Costituzione, dell'art. 10  della  legge  costituzionale  18  ottobre
2001,  n.  3  (Modifiche  al  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione),  e  degli  articoli  3  e  6,  n.  1),   della   legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
Friuli-Venezia Giulia). 
    Per il ricorrente la legge regionale n. 29 del 2007 eccede, sotto
diversi profili, la competenza legislativa  attribuita  alla  Regione
Friuli-Venezia  Giulia  dall'art.  3  dello  statuto  speciale,   che
contempla la  tutela  delle  minoranze  linguistiche  presenti  nella
Regione, e dal decreto legislativo 12 settembre 2002, n.  223  (Norme
di attuazione dello statuto  speciale  della  regione  Friuli-Venezia
Giulia per il trasferimento di funzioni in materia  di  tutela  della
lingua e della cultura delle minoranze  linguistiche  storiche  nella
Regione), il quale demanda alla legislazione  regionale  l'attuazione
delle disposizioni della legge 15 dicembre 1999,  n.  482  (Norme  in
materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche): una  «legge
quadro», quest'ultima, dettata, come ripetutamente  sottolineato  nel
ricorso, «in attuazione dell'art. 6 della Costituzione». 
    1.1. - Il ricorrente ritiene, in particolare, che  gli  artt.  6,
comma 2, e 8, commi 1 e 3, della legge regionale n. 29 del 2007,  nel
prevedere un obbligo generale per gli uffici  dell'intera  Regione  -
operante anche nelle aree escluse dal territorio di insediamento  del
gruppo linguistico friulano (delimitato ai sensi  dell'art.  3  della
stessa legge) - di  rispondere  in  friulano  «alla  generalita'  dei
cittadini» che si avvalgano del diritto di usare  tale  lingua  e  di
redigere anche in friulano gli atti comunicati «alla generalita'  dei
cittadini», nonche' di effettuare in  tale  lingua  la  comunicazione
istituzionale e la pubblicita', contrasterebbero con l'art. 9,  comma
1, della legge n. 482 del 1999, che circoscrive  l'uso  della  lingua
minoritaria nei soli  Comuni  di  insediamento  del  relativo  gruppo
linguistico. 
    1.2. - La seconda censura proposta riguarda l'art.  9,  comma  3,
della legge regionale n. 29 del 2007 che, testualmente, dispone:  «le
modalita' per garantire la traduzione a coloro che non comprendono la
lingua friulana sono disciplinate dagli enti di cui ai commi  1  e  2
con disposizioni dei piani di politica linguistica  di  cui  all'art.
27,  nel  cui  ambito  puo'  essere  prevista  la  ripetizione  degli
interventi in lingua italiana  ovvero  il  deposito  contestuale  dei
testi  tradotti  in  forma  scritta».  Per   la   parte   ricorrente,
l'impugnata disposizione, nel prevedere una mera facolta' quanto alla
«ripetizione degli interventi in lingua italiana», violerebbe  l'art.
6 Cost. e l'art. 7 della legge n. 482 del 1999, il quale, ai commi  3
e 4, statuisce che  «qualora  uno  o  piu'  componenti  degli  organi
collegiali di cui ai commi 1 e  2  dichiarino  di  non  conoscere  la
lingua  ammessa  a  tutela,  deve  essere  garantita  una   immediata
traduzione in lingua italiana» e «qualora gli atti destinati  ad  uso
pubblico siano redatti nelle due lingue, producono effetti  giuridici
solo gli  atti  e  le  deliberazioni  redatti  in  lingua  italiana».
Risulterebbe violato anche l'art. 8 della legge n. 482 del  1999,  il
quale, con riferimento alla possibilita' per il Consiglio comunale di
pubblicare atti nella lingua ammessa a tutela, fa tuttavia salvo  «il
valore esclusivo degli atti nel testo redatto in lingua italiana». 
    1.3. - Il ricorrente impugna anche  l'art.  11,  comma  5,  della
legge regionale n. 29 del 2007,  che  prevede  che  gli  enti  locali
possono stabilire di  adottare  l'uso  dei  toponimi  bilingui  o  di
toponimi nella sola lingua friulana e che la denominazione  prescelta
diviene  la  denominazione  ufficiale  a  tutti   gli   effetti.   La
disposizione citata violerebbe gli artt. 1, comma 1, e 10 della legge
n. 482 del 1999, che rispettivamente dispongono, il  primo,  che  «la
lingua ufficiale della Repubblica e' l'italiano», e, il secondo,  che
nei Comuni di insediamento della minoranza  linguistica  «i  consigli
comunali possono deliberare  l'adozione  di  toponimi  conformi  alle
tradizioni e agli usi» solo «in aggiunta ai toponimi  ufficiali».  La
contestata  disposizione  risulterebbe  altresi'  incompatibile   con
l'art. 3, secondo comma, Cost. «per evidente violazione del principio
del rispetto della eguaglianza dei cittadini del nostro Paese». 
    1.4. - Tra le norme oggetto di impugnazione figura  anche  l'art.
12, comma 3,  riguardante  l'apprendimento  scolastico  della  lingua
minoritaria, che, a parere del Presidente del Consiglio,  prevede  un
meccanismo simile al cosiddetto silenzio-assenso laddove dispone  che
«al momento dell'iscrizione i genitori o chi ne fa  le  veci,  previa
adeguata  informazione,   su   richiesta   scritta   dell'istituzione
scolastica,  comunicano  alla  stessa  la  propria  volonta'  di  non
avvalersi dell'insegnamento della lingua friulana». In  tal  modo  si
determinerebbe  un'imposizione  alle   istituzioni   scolastiche   di
impartire  tale  insegnamento,  violando  i  principi  dell'autonomia
organizzativa  e  didattica  delle  istituzioni  scolastiche  di  cui
all'art. 21, commi 8 e 9, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al
Governo per il conferimento di funzioni e  compiti  alle  regioni  ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e  per  la
semplificazione  amministrativa);  in  secondo  luogo,  la  censurata
disposizione violerebbe l'art. 4 della legge n. 482  del  1999,  che,
nel prevedere l'insegnamento della lingua minoritaria nei  Comuni  di
insediamento della minoranza, ne demanda all'autonomia  scolastica  i
tempi e le metodologie di svolgimento e che, al comma 5, prevede  che
la  manifestazione  di  volonta'  da  parte  dei  genitori   consista
nell'assenso  alla  frequenza  dell'insegnamento.   La   disposizione
impugnata, nel porre a carico dei genitori l'onere di  comunicare  la
volonta' di non avvalersi dell'insegnamento della lingua  minoritaria
violerebbe  altresi'  l'art.  3  Cost.,  configurando  un  regime  di
obbligatorieta' che puo'  interrompersi  solo  con  la  richiesta  di
esonero. 
    1.5. - La parte ricorrente impugna anche l'art. 14, commi 2 e  3,
della legge regionale n. 29 del 2007, nelle parti in cui dispone  che
l'insegnamento della lingua friulana sia garantito per almeno  un'ora
alla settimana per la durata dell'anno scolastico  (comma  2)  e  che
nella programmazione dell'insegnamento della  lingua  friulana  siano
comprese  le  modalita'  didattiche  che  assumono  come  modello  di
riferimento il metodo basato sull'apprendimento  veicolare  integrato
delle lingue (comma  3),  in  quanto,  contrastando  con  i  principi
dell'autonomia scolastica, violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost.,
che esclude dalla competenza concorrente regionale «l'autonomia delle
istituzioni scolastiche». Violazione che, a giudizio  del  Presidente
del Consiglio, si verifica anche se, rispetto a quanto prevede l'art.
6, n. 1, dello  statuto  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  che
attribuisce solo una competenza integrativa in materia di istruzione,
si applica il disposto dell'art. 10 della legge costituzionale  n.  3
del 2001, a favore delle Regioni a statuto speciale e delle  Province
autonome, per le parti in cui la revisione del titolo V  della  parte
seconda della Costituzione prevede forme piu' ampie di autonomia. 
    La norma citata, infatti, imporrebbe alle istituzioni scolastiche
tempi e modi di insegnamento, ponendosi in tal modo in contrasto  con
i principi dell'autonomia organizzativa e didattica delle istituzioni
scolastiche di cui all'art. 21, commi 8 e 9, della legge  n.  59  del
1997 e con quanto disposto dall'art. 4 della legge n. 482  del  1999,
che, nel prevedere l'insegnamento della lingua minoritaria nei Comuni
di insediamento della minoranza, rinvia a tali principi circa i tempi
e le metodologie di svolgimento dell'insegnamento. In  particolare  -
aggiunge la difesa erariale - il comma 3 dell'art.  14  presenterebbe
«evidenti criticita', posto che la sua finalita' consiste  nel  voler
imprimere alla lingua friulana il carattere di "lingua veicolare"». 
    1.6. - Infine, il Presidente del Consiglio dei  ministri  ritiene
che l'art. 18, comma 4, della legge regionale n. 29 del  2007,  nella
parte in cui dispone che «la Regione  puo'  sostenere  l'insegnamento
della lingua friulana anche nelle  istituzioni  scolastiche  presenti
nei territori esclusi dalla delimitazione di cui  all'art.  3,  comma
1», legittimando la Regione a «sostenere» l'insegnamento della lingua
friulana anche  nelle  istituzioni  scolastiche  situate  nelle  aree
escluse dal territorio  di  insediamento  della  minoranza  friulana,
contrasterebbe con l'art. 4, commi 1 e 2,  della  legge  n.  482  del
1999, che circoscrive l'insegnamento della  lingua  minoritaria  alle
scuole  situate  nell'ambito  territoriale  di   insediamento   della
minoranza. A parere del ricorrente, in tal modo si realizzerebbe  una
violazione  del  principio  della  tutela   linguistica   nell'ambito
territoriale di insediamento, tanto che  si  porrebbe  «una  esigenza
pressante di declaratoria di illegittimita' costituzionale al fine di
evitare che una  sua  anche  parziale  attuazione  possa  determinare
pesanti rischi di  discriminazione  a  carico  dei  docenti  e  degli
studenti  della  scuola  pubblica,  nonche'  analoghi  rischi  per  i
cittadini nel loro rapporto con le pubbliche amministrazioni locali». 
    2. - Con atto depositato il 21 marzo 2008 si  e'  costituita  nel
presente giudizio la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  chiedendo  il
rigetto delle questioni sollevate dal Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    La  difesa  regionale  ritiene  necessario  delineare  il  quadro
normativo entro il quale si colloca la  legge  regionale  n.  29  del
2007. 
    Premette la resistente che l'art. 6  Cost.,  quanto  alla  tutela
delle minoranze linguistiche, non configura una vera  materia  bensi'
un compito  che  spetta  a  tutte  le  componenti  della  Repubblica,
nell'esercizio delle competenze loro spettanti. Questo compito spetta
a maggior ragione alla Regione Friuli-Venezia Giulia, il cui  statuto
speciale, invero,  stabilisce  che  «nella  Regione  e'  riconosciuta
parita' di diritti e di trattamento a tutti  i  cittadini,  qualunque
sia il gruppo linguistico al quale appartengono, con la  salvaguardia
delle rispettive caratteristiche etniche e culturali» (art. 3). 
    La Regione Friuli-Venezia Giulia, nell'ambito delle competenze ad
essa spettanti in questa materia, ha adottato una propria  disciplina
sin dalla legge regionale 22 marzo 1996, n. 15 (Norme per la tutela e
la promozione della lingua e della cultura friulane e istituzione del
servizio per le lingue regionali e minoritarie). 
    Lo stesso legislatore statale ha inserito la lingua friulana  tra
quelle protette; in particolare la legge statale  n.  482  del  1999,
emanata in attuazione dell'art. 6 Cost., ha demandato alla Repubblica
il compito di tutelare «la lingua e  la  cultura  delle  popolazioni»
parlanti (tra le altre lingue) «il friulano» (art. 2). 
    Di recente, prosegue la  difesa  regionale,  in  relazione  anche
all'attribuzione alle  Regioni  speciali  di  competenza  legislativa
concorrente in materia di istruzione (art. 117, terzo  comma,  Cost.,
in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale  n.  3
del 2001), e' stato emanato il d.lgs. n. 223 del 2002, il cui art. 1,
comma 2, dispone che la Regione detti norme legislative  al  fine  di
coordinare i compiti attribuiti alle istituzioni scolastiche autonome
in attuazione della disciplina prevista dall'art. 4  della  legge  n.
482 del 1999. 
    Al riguardo, la Regione resistente sostiene che il d.lgs. n.  223
del 2002 non demanda alla legislazione regionale  l'attuazione  delle
disposizioni della legge n. 482 del 1999, come affermato nel ricorso,
ma provvede essa stessa a  dettare  le  regole  per  l'attuazione  di
questa legge in Friuli-Venezia Giulia, riconoscendo alla  Regione  il
potere legislativo, al fine di coordinare i compiti  attribuiti  alle
scuole. Sicche' la legge n. 482 del 1999 non puo' essere considerata,
in questo ambito territoriale, alla stregua di  una  legge-quadro  in
una materia di competenza concorrente. 
    Piu' in generale, la difesa della Regione, pur ammettendo che nel
suo complesso la legge n. 482 del 1999 possa  considerarsi  attuativa
dell'art. 6 Cost., nondimeno esclude che essa ne rappresenti «la sola
legittima attuazione», tanto che la stessa legge regionale n. 29  del
2007 si dichiara attuativa del succitato art. 6 Cost. 
    Tutto cio' premesso, la resistente sviluppa le proprie difese  in
relazione  ai  singoli  vizi  d'incostituzionalita'  contestati   dal
ricorrente. 
    2.1. - Per quanto attiene alle censure mosse nei confronti  degli
artt. 6, comma 2, e 8, commi 1 e 3, della legge regionale n.  29  del
2007, la difesa regionale ritiene che tali  disposizioni,  stabilendo
che «e' consentito, negli  uffici  delle  amministrazioni  pubbliche,
l'uso orale e scritto della lingua ammessa a tutela», si  limitano  a
prevedere un diritto delle persone interessate all'uso della  lingua,
definendone l'ambito di applicazione, in  una  materia  quale  quella
dell'organizzazione amministrativa  regionale  e  dell'organizzazione
degli enti locali di sua competenza legislativa esclusiva (art. 4, n.
1 e n. 1-bis dello statuto). 
    La  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  prosegue  la  difesa  della
resistente, si sarebbe ispirata al criterio  della  personalita'  del
diritto all'uso della  lingua  minoritaria,  e  non  a  quello  della
territorialita', la cui inderogabilita' non si potrebbe comunque  far
discendere dall'art. 6 Cost. 
    In tal senso la difesa  regionale  richiama  le  affermazioni  di
questa Corte secondo le quali nel dare attuazione  all'art.  6  Cost.
«il legislatore dispone [...] di un ambito di  apprezzamento  che  la
Costituzione non  pregiudica»  (sentenza  n.  406  del  1999)  e  «il
criterio di personalita' nella  protezione  dei  diritti  linguistici
delle minoranze  rientra  in  tale  ambito,  cosicche'  e'  possibile
ch'esso  sia  talora  utilizzato,   sulla   base   di   apprezzamenti
legislativi». Nel compiere le proprie scelte, il  legislatore  dovra'
«necessariamente tener conto delle conseguenze  che,  per  i  diritti
degli altri soggetti  non  appartenenti  alla  minoranza  linguistica
protetta e sul piano organizzativo dei pubblici poteri  -  sul  piano
quindi della stessa operativita' concreta della protezione - derivano
dalla disciplina speciale dettata in  attuazione  dell'art.  6  della
Costituzione» (cosi' sempre la sentenza n. 406 del 1999). 
    Pertanto,  a  parere  della  difesa   regionale,   le   impugnate
disposizioni  non  avrebbero  leso  i  diritti   dei   soggetti   non
appartenenti alla minoranza linguistica (dato che restano fermi l'uso
ed il valore della lingua italiana) e  non  avrebbero  imposto  oneri
organizzativi   irragionevoli.   Infatti,   l'art.   6,   comma    2,
riguarderebbe solo la Regione (e gli  enti  pararegionali),  che  «e'
perfettamente libera di organizzarsi  in  modo  da  poter  assicurare
l'uso del friulano a coloro che lo richiedano», cosi' come l'art.  8,
nei commi 1 e 3, riguarderebbe solo la Regione e gli enti  locali,  e
non  tutti  gli   uffici   pubblici,   e   non   potrebbe   ritenersi
«irragionevole, ne' lesivo dei diritti di chicchessia, che  gli  atti
generali - che necessariamente interessano anche le zone friulanofone
- abbiano una versione in lingua friulana». 
    2.2. - In merito all'art. 9, comma 3, della legge regionale n. 29
del 2007, la parte resistente sostiene che  la  norma  si  limita  ad
indicare due possibili modalita' per garantire la traduzione a coloro
che non comprendono la lingua friulana, dettando  regole  applicative
per raggiungere l'obiettivo fissato dallo stesso  art.  7,  comma  3,
della legge n. 482 del 1999, in base al quale «deve essere  garantita
una immediata traduzione in lingua italiana». 
    La disposizione sottoposta a scrutinio, poi,  non  interferirebbe
in alcun modo con la disciplina degli effetti giuridici e del  valore
legale degli atti, oggetti in relazione ai quali essa non  stabilisce
alcunche'. 
    2.3. - La Regione - a sostegno  dell'infondatezza  della  censura
concernente l'art. 11, comma 5, della legge regionale n. 29 del  2007
che prevede la possibilita' di adottare l'uso dei toponimi bilingui o
di  toponimi  nella  sola  lingua  friulana  -   osserva   che,   per
definizione, la legge regionale non  puo'  violare  il  principio  di
uguaglianza fra cittadini di  diverse  Regioni,  in  quanto,  potendo
disporre solo  per  il  proprio  ambito  territoriale,  essa  finisce
necessariamente col differenziare le  proprie  discipline  da  quelle
operanti negli altri contesti territoriali. 
    Inoltre,  al  fine  di  confutare  l'affermazione   della   parte
ricorrente secondo la quale per i Comuni interessati l'uso della sola
denominazione friulana costituirebbe una eccezione priva di riscontro
nell'ordinamento di altre Regioni, la resistente obietta che, sin dal
1976, la Regione Valle  d'Aosta  ha  definito  la  toponomastica  dei
propri Comuni con denominazioni ufficiali monolingui  francofoni  (si
veda la legge regionale n. 61 del 1976, da ultimo modificata  con  la
legge  regionale  n.  18  del  2006).  Analogamente,   cio'   sarebbe
riscontrabile in altre Regioni, quali il Piemonte, la Sardegna  o  la
Calabria. 
    Ad avviso della resistente, dunque, la censurata disposizione non
contrasterebbe con l'art. 1, comma 1, della legge n. 482 del 1999  in
quanto la  statuizione  dell'italiano  come  lingua  ufficiale  della
Repubblica «non si riferisce affatto alla struttura  linguistica  dei
nomi  propri,  ma  alla  lingua  intesa  come   insieme   di   parole
significanti e di regole  sintattiche  e  grammaticali.  L'uso  della
lingua italiana, nel senso indicato, come  lingua  ufficiale  non  e'
affatto posto in dubbio  dall'uso  di  nomi  propri  di  paese  nella
versione corrispondente all'uso locale». 
    Del resto lo stesso art. 10 della legge  n.  482  del  1999,  che
consente ai Comuni di insediamento delle minoranze di deliberare  «in
aggiunta ai toponimi ufficiali»,  l'adozione  «di  toponimi  conformi
alle tradizioni e agli usi locali» non proibirebbe  affatto  all'ente
competente («e la Regione  Friuli-Venezia  Giulia  e'  competente  in
materia di toponomastica ai sensi dell'art. 5, n. 19, dello statuto»)
di provvedere a disciplinare la definizione del  toponimo  ufficiale,
consentendone la modifica al Consiglio comunale. 
    2.4. - Con riferimento all'impugnazione dell'art.  12,  comma  3,
della legge regionale n. 29 del  2007,  a  parere  della  resistente,
l'obbligo di fornire l'insegnamento in  lingua  friulana  deriverebbe
dall'art. 4, comma 5, della legge n. 482 del 1999, «senza  che  nulla
vi aggiunga la disposizione qui in discussione». 
    Quanto,  poi,  alla  posizione  dei  genitori,  la   disposizione
impugnata non prevederebbe affatto un regime di  obbligatorieta',  ma
si limiterebbe ad introdurre una «modesta variante»  alla  disciplina
di cui al succitato art. 4, comma  5,  in  relazione  alla  modalita'
procedurale di scelta  dell'insegnamento  del  friulano.  La  ragione
della modifica sarebbe da individuare nell'esigenza di «esonerare» da
ogni adempimento la maggioranza dei genitori partendo dalla  premessa
che,  verosimilmente,  nelle  zone  di  insediamento  linguistico  la
maggior parte di  essi  vorra'  scegliere  l'insegnamento  opzionale,
lasciando a coloro che non lo  desiderino  l'onere  di  segnalare  la
circostanza. 
    La  nuova  disposizione  sarebbe  pienamente  legittimata   dalla
potesta' concorrente  regionale  in  materia  di  istruzione  e  piu'
specificamente anche dall'art. 1, comma 2,  del  d.lgs.  n.  223  del
2002, a mente del quale «la Regione provvede con proprie disposizioni
legislative all'esercizio di funzioni di  coordinamento  dei  compiti
attribuiti alle istituzioni scolastiche autonome in attuazione  della
disciplina prevista dall'art. 4 della legge, in materia di uso  della
lingua  della  minoranza  nella  scuola  materna  e  in  materia   di
insegnamento della lingua della minoranza nelle scuole  elementari  e
secondarie di primo grado». 
    Pertanto il richiamo ai principi dell'autonomia scolastica  e  di
eguaglianza  non  sarebbe  pertinente,  cosi'  come  non  lo  sarebbe
l'invocato art. 4, comma 2, della legge  n.  482  del  1999,  che  si
occupa delle modalita' di insegnamento e non di quelle afferenti alla
scelta rimessa ai genitori. 
    2.5. - In ordine alla doglianza relativa all'art. 14, commi  2  e
3, della legge regionale n. 29 del 2007,  la  Regione  Friuli-Venezia
Giulia reputa opportuno  chiarire  che  l'espressione  «apprendimento
veicolare integrato delle lingue» riflette l'obiettivo  di  insegnare
la lingua non «in astratto» e come vuota struttura linguistica, ma in
concreto, «veicolando» con  essa  determinati  contenuti.  In  questo
senso,  dunque,  la  lingua  friulana   dovrebbe   essere   insegnata
«veicolando» al tempo stesso altri contenuti didattici, in modo  tale
che lo studente apprenda contemporaneamente la lingua  e  la  materia
insegnata con la lingua stessa. 
    Questa opzione, per la difesa regionale, «non rappresenta ne' una
stravaganza del legislatore regionale ne' una sua  scelta  autonoma»,
trovando il suo fondamento gia' nella legge statale. L'art. 4,  comma
1, della legge n. 482 del 1999 stabilisce, infatti, che «nelle scuole
materne dei  Comuni  di  cui  all'art.  3,  l'educazione  linguistica
prevede, accanto all'uso della lingua  italiana,  anche  l'uso  della
lingua della minoranza per lo svolgimento delle attivita' educative»,
e che «nelle scuole elementari e nelle  scuole  secondarie  di  primo
grado e' previsto l'uso  anche  della  lingua  della  minoranza  come
strumento  di  insegnamento».   Dunque,   non   vi   sarebbe   alcuna
compressione dell'autonomia scolastica limitandosi,  la  disposizione
in esame, ad indicare un «modello di riferimento» identico  a  quello
della  legge  statale.  Peraltro,  l'indicazione  di  un  modello  di
riferimento  sarebbe  legittimata  sia  dalla  potesta'   legislativa
concorrente in materia di istruzione che  dal  gia'  citato  art.  1,
comma 2,  del  d.lgs.  n.  223  del  2002,  restando,  invece,  ferma
l'autonomia delle scuole per la scelta del metodo didattico. 
    Quanto al comma 2 dell'art. 14, esso si limiterebbe a fissare una
durata minima per l'insegnamento del friulano, restando  alle  scuole
la possibilita' di definire in dettaglio «i tempi e  le  metodologie»
dell'insegnamento, come risulta dall'art. 4 della legge  n.  482  del
1999. 
    2.6. - La censura avente per oggetto l'art. 18, comma 4, sarebbe,
ad avviso della resistente, infondata per le ragioni gia' esposte  in
relazione agli articoli 6, comma 2, e 8, commi 1 e 3. In primo luogo,
l'art. 4 della legge n. 482  del  1999  tutelerebbe  un  diritto  con
riferimento ad un certo ambito, senza tuttavia esprimere una  portata
limitativa della possibilita' che la legge regionale possa assicurare
una maggiore tutela, oltre quell'ambito territoriale,  sin  dove  non
comprima gli altrui diritti. Inoltre,  lo  stesso  art.  4  non  puo'
considerarsi specificazione dell'art. 6 Cost., «dal quale non risulta
affatto un principio inderogabile  di  territorialita'  nella  tutela
delle  minoranze  linguistiche  (nel   senso   di   obbligatoriamente
limitarla alla zona di insediamento)».  Cio'  a  maggiore  ragione  -
conclude la difesa regionale - in quanto la  contestata  disposizione
prevede «un mero supporto regionale» (verosimilmente, finanziario) ad
un'attivita' di insegnamento  opzionale  decisa  autonomamente  dalle
scuole,  in  relazione  alle  richieste  dei  genitori,  in  perfetta
coerenza con l'autonomia scolastica. 
    3.  -  In   prossimita'   dell'udienza   pubblica,   la   Regione
Friuli-Venezia  Giulia  ha  depositato  una  memoria  integrando   le
considerazioni gia' svolte nell'atto di  costituzione  con  esclusivo
riferimento alla censura relativa all'art. 11, comma 5,  in  tema  di
toponomastica. 
    Al fine di dimostrare l'infondatezza della doglianza,  la  difesa
regionale richiama l'art. 19 della legge della Provincia autonoma  di
Trento 19 giugno 2008, n. 6  (Norme  di  tutela  e  promozione  delle
minoranze linguistiche locali), il quale, al comma 3, prevede che «il
repertorio dei toponimi [...] comprende per le singole  localita'  la
denominazione in lingua minoritaria e la corrispondente denominazione
in lingua diversa  da  quella  di  minoranza  della  quale  si  renda
opportuno il mantenimento in quanto diffusamente conosciuta a livello
nazionale o internazionale». Il successivo  comma  5  -  prosegue  la
resistente - dispone che gli enti di cui al  comma  1,  «adeguano  la
toponomastica  di  loro  competenza   ai   contenuti   del   relativo
repertorio». Il comma 6, dal canto suo, stabilisce che  «fatte  salve
le  denominazioni  dei  Comuni,  le  indicazioni  e  le  segnalazioni
relative a localita' e toponimi di minoranza sono di regola  espresse
nella sola denominazione ladina, mochena  o  cimbra.  Possono  essere
redatte  anche  nel  corrispondente  nome  italiano,  se  questo   e'
registrato nel rispettivo repertorio dei toponimi, con pari  dignita'
grafica». 
    Le discipline adottate nella Provincia autonoma di Bolzano, nella
Regione Valle d'Aosta e nel comprensorio ladino della  Val  di  Fassa
nella Provincia autonoma di  Trento  dimostrerebbero  -  conclude  la
resistente - che, in materia di toponomastica, sia possibile  seguire
indifferentemente   il   criterio   del   bilinguismo   ovvero    del
monolinguismo. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  sollevato  questione
di legittimita' costituzionale degli articoli 6, comma 2, 8, commi  1
e 3, 9, comma 3, 11, comma 5, 12, comma 3, 14, commi 2  e  3,  e  18,
comma 4, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18  dicembre
2007 n. 29 (Norme per la tutela, valorizzazione  e  promozione  della
lingua friulana), in riferimento  agli  articoli  3,  6,  117,  terzo
comma, della Costituzione, all'art. 10 della legge costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione),  ed  agli  articoli  3  e  6,  n.  1),   della   legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
Friuli-Venezia Giulia). 
    Per il ricorrente la legge regionale n. 29 del 2007 eccede, sotto
diversi profili, la competenza legislativa  attribuita  alla  Regione
Friuli-Venezia  Giulia  dall'art.  3  dello  statuto  speciale,   che
contempla la  tutela  delle  minoranze  linguistiche  presenti  nella
Regione, e dal decreto legislativo 12 settembre 2002, n.  223  (Norme
di attuazione dello statuto  speciale  della  regione  Friuli-Venezia
Giulia per il trasferimento di funzioni in materia  di  tutela  della
lingua e della cultura delle minoranze  linguistiche  storiche  nella
regione), il quale demanda alla legislazione  regionale  l'attuazione
delle disposizioni della legge 15 dicembre 1999,  n.  482  (Norme  in
materia  di  tutela  delle  minoranze  linguistiche  storiche).   Per
molteplici  motivi  le  disposizioni  censurate  si   porrebbero   in
contrasto con quelle contenute in tale  ultima  legge,  assunte  come
parametri interposti. 
    In particolare, l'art. 6, comma 2, e l'art. 8, commi 1 e  3,  nel
prevedere un obbligo generale  per  gli  uffici  dell'intero  sistema
regionale,  esteso  anche  alle  aree  escluse  dal   territorio   di
insediamento  del  gruppo  linguistico  friulano,  di  rispondere  in
friulano «alla  generalita'  dei  cittadini»  che  si  avvalgono  del
diritto di usare tale lingua e di redigere anche in friulano gli atti
comunicati «alla generalita' dei cittadini», nonche' di effettuare in
tale  lingua  la  comunicazione  istituzionale  e   la   pubblicita',
contrasterebbero con l'art. 9, comma 1, della legge n. 482 del  1999,
che circoscrive l'uso della lingua minoritaria  nei  soli  Comuni  di
insediamento del relativo gruppo linguistico. 
    L'art. 9, comma 3, nel prevedere, in ordine all'attivita'  svolta
in seno agli organi collegiali, di cui ai precedenti commi 1 e 2, una
mera facolta' della «ripetizione degli interventi in lingua italiana»
ovvero  del  «deposito  contestuale  dei  testi  tradotti  in   forma
scritta», violerebbe l'art. 7 della legge n. 482 del 1999, il  quale,
ai commi 3 e 4, statuisce che «qualora uno o  piu'  componenti  degli
organi collegiali di cui ai commi 1 e 2 dichiarino di  non  conoscere
la lingua ammessa a  tutela,  deve  essere  garantita  una  immediata
traduzione in lingua italiana» e «qualora gli atti destinati  ad  uso
pubblico siano redatti nelle due lingue, producono effetti  giuridici
solo gli atti e le deliberazioni  redatti  in  lingua  italiana».  La
censurata previsione contrasterebbe,  inoltre,  con  l'art.  8  della
legge n. 482 del 1999, il quale, prevedendo la  possibilita'  per  il
Consiglio comunale di pubblicare atti nella lingua ammessa a  tutela,
fa tuttavia salvo «il valore esclusivo degli atti nel  testo  redatto
in lingua italiana». 
    L'art.  11,  comma  5,  contemplando  anche  l'utilizzazione   di
toponimi «nella sola lingua friulana», violerebbe l'art. 1, comma  1,
della legge n. 482 del 1999, per il quale «la lingua ufficiale  della
Repubblica e' l'italiano», nonche' l'art. 10 della stessa  legge,  il
quale  dispone  che  nei  Comuni  di  insediamento  della   minoranza
linguistica «i consigli comunali  possono  deliberare  l'adozione  di
toponimi conformi alle tradizioni e agli usi», ma solo  «in  aggiunta
ai  toponimi  ufficiali».  La  contestata  disposizione  risulterebbe
altresi'  incompatibile  con   l'art.   3,   secondo   comma,   della
Costituzione. 
    L'art. 12, comma 3, stabilendo  che  al  momento  dell'iscrizione
scolastica  «i  genitori  o  chi  ne  fa  le  veci,  previa  adeguata
informazione,  su  richiesta  scritta  dell'istituzione   scolastica,
comunicano  alla  stessa  la  propria  volonta'  di   non   avvalersi
dell'insegnamento della lingua friulana», determinerebbe innanzitutto
un'imposizione  alle  istituzioni  scolastiche  di   impartire   tale
insegnamento,  violando  in  tal  modo  i   principi   dell'autonomia
organizzativa e  didattica  delle  istituzioni  scolastiche  e  cosi'
ponendosi in contrasto con l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.  e  con
l'art. 21, commi 8 e 9, della legge 15 marzo 1997, n. 59  (Delega  al
Governo per il conferimento di funzioni e  compiti  alle  regioni  ed
enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e  per  la
semplificazione  amministrativa).  In  secondo  luogo,  la  censurata
disposizione violerebbe l'art. 4 della legge n.  482  del  1999,  che
demanda  all'autonomia  scolastica  i  tempi  e  le  metodologie   di
svolgimento delle attivita' didattiche e che, al comma 5, prevede che
la  manifestazione  di  volonta'  da  parte  dei  genitori   consista
nell'assenso   alla   frequenza   dell'insegnamento.   La    medesima
disposizione  legislativa  regionale,  configurando  un   regime   di
obbligatorieta' che puo'  interrompersi  solo  con  la  richiesta  di
esonero, contrasterebbe altresi' con l'art. 3 Cost. 
    L'art. 14, ai commi 2 e 3, stabilendo  che  l'insegnamento  della
lingua friulana sia garantito per almeno un'ora alla settimana per la
durata   dell'anno   scolastico   e    che    nella    programmazione
dell'insegnamento della  lingua  friulana  siano  comprese  modalita'
didattiche che assumano come modello di riferimento il metodo  basato
sull'apprendimento veicolare integrato delle lingue, pretenderebbe di
imporre alle istituzioni scolastiche tempi e  modi  di  insegnamento,
ponendosi in tal modo in  contrasto  con  i  principi  dell'autonomia
organizzativa e didattica delle istituzioni scolastiche e con  quanto
disposto dall'art. 4 della legge n. 482 del 1999, che, nel  prevedere
l'insegnamento della lingua minoritaria nei  Comuni  di  insediamento
della  minoranza,  rinvia  a  tali  principi  circa  i  tempi  e   le
metodologie  di  svolgimento  dell'insegnamento.  In  particolare  la
disposizione regionale contrasterebbe con l'art.  117,  terzo  comma,
Cost.,   che   esclude   dalla   competenza   concorrente   regionale
«l'autonomia delle istituzioni scolastiche»:  cio'  in  virtu'  della
clausola  di  equiparazione  di   cui   all'art.   10   della   legge
costituzionale  n.  3  del   2001   (da   applicarsi   alla   Regione
Friuli-Venezia Giulia che, ai sensi  dell'art.  6,  numero  1,  dello
statuto  speciale  ha,   in   materia   di   istruzione,   competenza
integrativa). 
    L'art. 18, comma  4,  che  legittima  la  Regione  a  «sostenere»
l'insegnamento  della  lingua  friulana   anche   nelle   istituzioni
scolastiche situate nelle aree escluse dal territorio di insediamento
della minoranza friulana, contrasterebbe con l'art. 4, commi 1  e  2,
della legge n. 482 del 1999,  che  circoscrive  l'insegnamento  della
lingua minoritaria alle scuole situate  nell'ambito  territoriale  di
insediamento della minoranza. 
    2. - Lo scrutinio delle diverse censure prospettate  nel  ricorso
presuppone una ricostruzione del quadro costituzionale e  legislativo
entro cui si colloca la legge regionale n. 29 del 2007. 
    2.1. - Questa Corte ha piu' volte affermato che la  tutela  delle
minoranze    linguistiche    costituisce    principio    fondamentale
dell'ordinamento costituzionale (sentenze n. 15 del 1996, n. 261  del
1995 e n. 768 del 1988).  Piu'  precisamente,  «tale  principio,  che
rappresenta un superamento delle  concezioni  dello  Stato  nazionale
chiuso dell'ottocento e un rovesciamento di grande portata politica e
culturale, rispetto all'atteggiamento nazionalistico manifestato  dal
fascismo, e' stato numerose volte valorizzato dalla giurisprudenza di
questa Corte, anche perche' esso si situa al punto  di  incontro  con
altri  principi,   talora   definiti   «supremi»,   che   qualificano
indefettibilmente e necessariamente l'ordinamento  vigente  (sentenze
n. 62 del 1992, n. 768 del 1988, n. 289 del 1987 e n. 312 del  1983):
il principio pluralistico  riconosciuto  dall'art.  2  -  essendo  la
lingua  un  elemento  di  identita'  individuale  e   collettiva   di
importanza basilare - e  il  principio  di  eguaglianza  riconosciuto
dall'art. 3 della Costituzione, il quale, nel primo comma, stabilisce
la pari dignita' sociale e l'eguaglianza  di  fronte  alla  legge  di
tutti i cittadini, senza distinzione di lingua e, nel secondo  comma,
prescrive l'adozione di norme che  valgano  anche  positivamente  per
rimuovere le situazioni di fatto da cui possano derivare  conseguenze
discriminatorie» (sentenza n. 15 del 1996). 
    Oltre  a  questo,  alcuni  statuti  speciali  dettano   esplicite
disposizioni di tutela delle minoranze  linguistiche.  Le  discipline
contenute negli statuti della Regione  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste
(legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.  4)  e  del  Trentino-Alto
Adige/Südtirol (decreto del Presidente  della  Repubblica  31  agosto
1972,  n.  670)  recano   numerose   previsioni,   configurando   due
differenziati  modelli  di  tutela   delle   minoranze   linguistiche
principali  (bilinguismo  assoluto  o  totale  nella  Regione   Valle
d'Aosta; separatismo linguistico nella Regione Trentino-Alto  Adige),
in aggiunta ad alcune speciali disposizioni poste a presidio di altri
gruppi linguistici  minoritari  ivi  presenti.  In  quest'ambito,  in
entrambi i suddetti statuti vi e' anche l'affermazione che la  lingua
italiana e' la lingua  ufficiale  della  Repubblica  (rispettivamente
art. 38 e art. 99). 
    Dal  canto  suo,   l'art.   3   dello   statuto   della   Regione
Friuli-Venezia Giulia dispone che «e' riconosciuta parita' di diritti
e di trattamento  a  tutti  i  cittadini,  qualunque  sia  il  gruppo
linguistico  al  quale  appartengono,  con  la   salvaguardia   delle
rispettive caratteristiche etniche e culturali». 
    2.2.  -  A  questo  significativo  quadro  di   principi   e   di
disposizioni  di  rango  costituzionale  corrisponde  una   normativa
internazionale che si e' sviluppata ed articolata nel tempo. 
    Se nei testi piu' risalenti, come la Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo  adottata  dall'Assemblea  generale  delle  Nazioni
unite il 10 dicembre 1948 (artt. 2, 7, 26) e la  Convenzione  per  la
salvaguardia per i diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
ratificata con legge 4 agosto  1955,  n.  848  (artt.  6  e  14),  si
affermavano principi di eguaglianza e non discriminazione per  motivi
attinenti alla lingua utilizzata  dalle  persone,  soprattutto  negli
atti internazionali adottati  dagli  anni  novanta  emerge  anche  il
problema del trattamento delle cosiddette «minoranze  nazionali»:  un
problema,   questo,   affrontato   andando   oltre   la   mera    non
discriminazione, per cercare di garantire la effettiva partecipazione
degli appartenenti a tali minoranze alla  vita  collettiva  del  loro
paese attraverso il diritto  all'uso  della  lingua  nelle  relazioni
istituzionali,  il  diritto   all'istruzione   anche   nella   lingua
minoritaria, il sostegno alla cultura della minoranza. 
    Di  questa  fase  innovativa   sono   significativi   esempi   la
risoluzione  dell'Assemblea  generale  delle  Nazioni  Unite  del  18
dicembre 1992 (Dichiarazione sui diritti delle  persone  appartenenti
alle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche)  ed  in
particolare la Carta europea delle  lingue  regionali  o  minoritarie
adottata dal Consiglio d'Europa  il  5  novembre  1992.  Quest'ultimo
testo, in particolare, prevede una tutela particolarmente  accentuata
delle  lingue  «regionali  o  minoritarie»,  tra  l'altro  attraverso
prescrizioni molto analitiche  sull'insegnamento  delle  medesime  ad
ogni livello scolastico, sulla possibilita' di usare queste lingue in
sede giudiziaria e legale, nonche'  nei  rapporti  con  le  pubbliche
amministrazioni, sulla previsione di forme di bilinguismo nelle  aree
in cui sono presenti le  lingue  minoritarie,  sulla  garanzia  della
presenza di queste lingue nel settore dei mezzi  di  comunicazione  e
nell'ambito culturale. 
    Lo Stato italiano non ha, ad oggi,  provveduto  a  ratificare  la
Carta  europea  delle  lingue  regionali  o  minoritarie  del   1992,
diversamente da quanto avvenuto  con  la  Convenzione-quadro  per  la
protezione delle minoranze nazionali - alla quale fa  riferimento  la
legge  28  agosto  1997,  n.  302  (Ratifica  ed   esecuzione   della
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta
a Strasburgo il 1° febbraio  1995)  -  e  con  la  Convenzione  sulla
protezione  e  la  promozione  delle  diversita'  delle   espressioni
culturali - alla quale fa riferimento la legge 19 febbraio  2007,  n.
19 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla  protezione  e  la
promozione delle diversita'  delle  espressioni  culturali,  fatta  a
Parigi il 20 ottobre 2005). 
    Particolarmente significativa si rivela l'affermazione  contenuta
nell'art. 1 della Sezione  I  della  suddetta  Convenzione-quadro,  a
mente della quale «la protezione  delle  minoranze  nazionali  e  dei
diritti  e  delle  liberta'  delle  persone  appartenenti  a   queste
minoranze e' parte integrante  della  protezione  internazionale  dei
diritti dell'uomo e  in  quanto  tale  rientra  nella  portata  della
cooperazione internazionale». La stessa non  solo  impegna  le  Parti
contraenti a garantire pienamente l'esercizio delle  liberta'  civili
agli appartenenti alle minoranze nazionali, ma contiene - tra l'altro
- disposizioni sulla libera utilizzazione della lingua minoritaria in
privato ed in pubblico, sul suo uso  in  caso  di  procedure  penali,
sulla sua utilizzazione per i nomi personali e  le  insegne  private,
sul suo insegnamento nel sistema della pubblica istruzione. 
    Essa  prevede,  altresi',  nella  Sezione  II,  che  «nelle  zone
geografiche dove persone  appartenenti  a  minoranze  nazionali  sono
insediate per  tradizione  o  in  numero  sostanziale,  qualora  tali
persone ne facciano richiesta e sempre [che] la richiesta corrisponda
ad una effettiva esigenza, le Parti faranno in modo di realizzare per
quanto possibile le condizioni che consentano di utilizzare la lingua
minoritaria  nelle  relazioni  tra  queste  persone  e  le  autorita'
amministrative» (art. 10, comma 2) e che, sempre  in  tali  zone,  le
Parti contraenti «nell'ambito del loro sistema legislativo  [...]  in
considerazione delle loro specifiche condizioni, faranno ogni  sforzo
per  affiggere  anche  nella  lingua  minoritaria  le   denominazioni
tradizionali locali, i nomi  delle  strade  e  le  altre  indicazioni
topografiche  destinate  al  pubblico  qualora  vi  sia  una  domanda
sufficiente per tali indicazioni» (art. 11, comma 3). 
    2.3. - Come ricordato in precedenza, la giurisprudenza di  questa
Corte, se da tempo ha affermato che  «la  Costituzione  conferma  per
implicito che il  nostro  sistema  riconosce  l'italiano  come  unica
lingua ufficiale» (sentenza n. 28 del 1982), ha piu'  volte  ritenuto
che la  tutela  delle  minoranze  linguistiche  costituisce  uno  dei
principi fondamentali della nostra Costituzione, dal momento che  non
soltanto ad essa e' dedicato l'art.  6,  ma  questa  speciale  tutela
concretizza il principio pluralistico ed il principio di eguaglianza,
«essendo la lingua un elemento di identita' individuale e  collettiva
di importanza basilare» (sentenza n. 15 del 1996; confronta  pure  le
sentenze n. 261 del 1995 e n. 768 del 1988). 
    Pur  garantendo  comunque  «una  tutela  minima,   immediatamente
operativa,   sottratta   alla   vicenda   politica   e   direttamente
determinabile   attraverso    la    interpretazione    costituzionale
dell'ordinamento», il principio consacrato nell'art. 6 Cost. richiede
«l'apprestamento sia  di  norme  ulteriori  di  svolgimento,  sia  di
strutture o istituzioni finalizzate alla loro concreta  operativita»,
in quanto «la misura concreta di effettivita'  di  tali  principi  di
tutela delle minoranze e' [...] condizionata all'esistenza di leggi e
misure amministrative» (sentenze n. 15 del 1996, n. 62 del 1992 e  n.
28 del 1982). 
    Intorno alla titolarita' di questo potere  normativo,  attribuito
testualmente dall'art. 6 Cost. alla «Repubblica»,  si  e'  sviluppato
per lungo tempo un contenzioso tra Stato  e  Regioni,  risolto  dalla
giurisprudenza di questa Corte in un  primo  momento  nel  senso  che
fosse solo il legislatore statale abilitato  a  dettare  norme  sulla
tutela delle minoranze etnico-linguistiche (sentenze n. 14 del  1965,
n. 128 del 1963, n. 46 e n. 1 del 1961, n. 38 del 1960). 
    Proprio con riferimento ad una asserita ingiustificata disparita'
di trattamento tra la minoranza di lingua slovena del  Friuli-Venezia
Giulia e gli appartenenti alla minoranza alloglotta del Trentino-Alto
Adige e della Valle d'Aosta con riguardo all'uso della  lingua  anche
nel processo penale (previsto solo per i secondi dall'allora primo  e
terzo comma dell'art. 137 cod. proc.  pen.),  questa  Corte,  con  la
sentenza n. 28  del  1982,  ha  affermato  che  restava  «rimesso  al
legislatore italiano, nella propria discrezionalita', di scegliere  i
modi e le forme della tutela da garantire alla minoranza  linguistica
slovena». 
    Successivamente, questa Corte ha altresi' ritenuto che  anche  le
legislazioni  regionali  e  provinciali  potessero  disciplinare   il
fenomeno delle lingue minoritarie «anche al di  la'  degli  specifici
casi espressamente indicati dallo statuto regionale», ma  sempre  nel
pieno rispetto di  quanto  determinato  in  materia  dal  legislatore
statale (sentenze n. 261 del 1995, n. 289  del  1987  e  n.  312  del
1983). 
    In effetti, a seguito di questi mutamenti giurisprudenziali,  non
poche Regioni speciali ed ordinarie  hanno  approvato  discipline  in
tema di tutela delle minoranze linguistiche. 
    Dalla richiamata  giurisprudenza  costituzionale  si  ricava  che
l'attuazione in via di legislazione ordinaria dell'art.  6  Cost.  in
tema di tutela delle minoranze  linguistiche  genera  un  modello  di
riparto delle competenze fra Stato e Regioni che non corrisponde alle
ben note categorie previste per tutte le altre materie nel  Titolo  V
della seconda parte della Costituzione, sia prima che dopo la riforma
costituzionale del  2001.  Infatti,  il  legislatore  statale  appare
titolare  di  un  proprio  potere  di  individuazione  delle   lingue
minoritarie  protette,  delle  modalita'  di   determinazione   degli
elementi identificativi di una  minoranza  linguistica  da  tutelare,
nonche' degli istituti che caratterizzano questa tutela, frutto di un
indefettibile  bilanciamento  con  gli  altri   legittimi   interessi
coinvolti ed almeno potenzialmente confliggenti (si  pensi  a  coloro
che non parlano o non comprendono la lingua protetta o a  coloro  che
devono subire  gli  oneri  organizzativi  conseguenti  alle  speciali
tutele). E cio' al di  la'  della  ineludibile  tutela  della  lingua
italiana. 
    A tale proposito, questa Corte ha avuto  occasione  di  affermare
che il legislatore statale «dispone in realta' di un  proprio  potere
di doveroso apprezzamento in materia, dovendosi necessariamente tener
conto delle conseguenze che, per i diritti degli altri  soggetti  non
appartenenti  alla  minoranza  linguistica  protetta  e   sul   piano
organizzativo dei pubblici poteri - sul  piano  quindi  della  stessa
operativita' concreta della protezione -  derivano  dalla  disciplina
speciale  dettata  in  attuazione  dell'art.  6  della  Costituzione»
(sentenza n.  406  del  1999).  Si  tratta,  inoltre,  di  un  potere
legislativo  che  puo'   applicarsi   alle   piu'   diverse   materie
legislative, in tutto od in parte spettanti alle  Regioni.  Peraltro,
malgrado tutte queste caratteristiche, ci si  trova  dinanzi  ad  una
potesta' legislativa non solo limitata dal suo specifico oggetto,  ma
non esclusiva (nel senso  di  cui  al  secondo  comma  dell'art.  117
Cost.), dal momento  che  alle  leggi  regionali  spetta  l'ulteriore
attuazione della legge statale che si renda necessaria. 
    Di particolare rilievo e', poi, a questo riguardo, per le Regioni
a statuto speciale e per le  Province  autonome,  la  funzione  della
normativa d'attuazione, vale a dire di quel particolare  procedimento
che e' previsto  dai  suddetti  statuti  speciali  e  che  rinvia  la
specificazione  delle  implicazioni   legislative   derivanti   dalle
disposizioni statutarie alla decretazione legislativa successiva alla
deliberazione   di   commissioni    pariteticamente    composte    da
rappresentanti dello Stato e della Regione  interessata.  E'  infatti
evidente che questo tipo di produzione normativa, che  deve  comunque
necessariamente  -  dato  che  fuoriesce   dagli   abituali   modelli
procedurali previsti per il percorso legislativo  -  trovare  il  suo
fondamento in disposizioni statutarie, si pone come norma  interposta
(e, quindi, sovraordinata) per cio' che riguarda sia la legge statale
che quella regionale che vengono a disciplinare corrispondenti ambiti
legislativi. 
    2.4.  -  La  legge  n.  482  del  1999  si   autoqualifica   come
legislazione «di attuazione  dell'art.  6  della  Costituzione  e  in
armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi  europei  e
internazionali». 
    Fra i suoi molteplici contenuti,  di  particolare  rilevanza  e',
innanzitutto, la individuazione dei soggetti che possono attivare  la
procedura mediante la quale si procede alla delimitazione dell'ambito
territoriale in cui «si applicano le  disposizioni  di  tutela  delle
minoranze linguistiche  storiche».  La  procedura  puo'  iniziare  su
istanza di appena il quindici per cento dei cittadini  di  un  Comune
oppure di un  terzo  dei  consiglieri  comunali,  e  il  Comune  puo'
esprimere solo un parere alla Provincia, cui e' attribuito il  potere
di delimitare il  territorio  di  insediamento  della  minoranza.  In
sostanza, questa legge, pur prevedendo misure di tutela per minoranze
di limitata  consistenza  numerica,  tiene  in  ogni  caso  fermo  il
criterio della tutela  esclusivamente  territoriale  delle  comunita'
interessate. Il fatto che le speciali tutele delle lingue minoritarie
siano applicabili in aree territoriali  nelle  quali  esistono  anche
piccole minoranze linguistiche e' poi confermato dall'art.  7,  comma
2, della legge n. 482 del 1999, che prevede l'estensione del  diritto
di esprimersi nella lingua minoritaria dei  componenti  degli  organi
collegiali di Comunita' montane, Province e Regioni  alla  condizione
che queste «ricomprendano Comuni nei quali e' riconosciuta la  lingua
ammessa a tutela, che complessivamente costituiscano almeno il 15 per
cento della popolazione interessata». 
    La consacrazione, nell'art. 1, comma 1, della legge  n.  482  del
1999, della lingua italiana quale «lingua ufficiale della Repubblica»
non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da  criterio
interpretativo generale  delle  diverse  disposizioni  che  prevedono
l'uso delle lingue minoritarie,  evitando  che  esse  possano  essere
intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre
in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica;  e  cio'
anche al di  la'  delle  pur  numerose  disposizioni  specifiche  che
affermano espressamente nei singoli settori il primato  della  lingua
italiana (art. 4, comma 1; art. 7, commi 3 e 4;  art.  8.  confronta,
inoltre, l'art. 6, comma 4, del regolamento di attuazione della legge
n. 482  del  1999,  emanato  con  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 2 maggio 2001, n. 345). 
    Nel dettaglio, specifiche garanzie sono dettate  dalla  legge  n.
482 del 1999 per le scuole  materne,  elementari  e  medie  inferiori
(artt. 4 e 5), per le universita' operanti nelle Regioni  interessate
(art. 6), per gli organi a struttura collegiale di Comuni,  Comunita'
montane, Province e Regioni (art. 7), per le pubblicazioni dei Comuni
(art. 8), per le pubbliche amministrazioni operanti localmente e  per
i giudici di pace (art. 9), per i Comuni che esercitano competenze in
tema di toponomastica (art. 10), per gli organi competenti in materia
di ripristino del nome originario (art. 11), per il servizio pubblico
radiotelevisivo (art. 12). 
    Questa legge si autoqualifica  come  non  modificabile  da  parte
delle Regioni ad autonomia  ordinaria,  dal  momento  che  lascia  ai
rispettivi  legislatori  il  solo  potere  di  adeguare  la   propria
normativa, nelle materie ad essi devolute, ai  principi  della  legge
statale (art. 13). 
    Per le Regioni a statuto speciale, escluso  che  la  legge  possa
innovare le speciali norme statutarie  esistenti,  si  prescrive  che
«l'applicazione delle disposizioni  piu'  favorevoli  previste  dalla
presente legge e' disciplinata con norme di attuazione dei rispettivi
statuti» (art. 18). 
    2.5.  -  Per  cio'  che  riguarda  lo   statuto   della   Regione
Friuli-Venezia Giulia, oltre alla  ricordata  affermazione  contenuta
nell'art. 3, non e' prevista una specifica  disposizione  attributiva
di competenze in questa materia. E' pero' previsto (art. 65) che «con
decreti  legislativi,  sentita  una  Commissione  paritetica  di  sei
membri, nominati tre dal Governo della Repubblica e tre dal Consiglio
regionale, saranno stabilite le  norme  di  attuazione  del  presente
statuto  e  quelle  relative  al  trasferimento   all'Amministrazione
regionale  degli  uffici  statali  che  nel   Friuli-Venezia   Giulia
adempiono a funzioni attribuite alla Regione». 
    E' quindi questo lo strumento cui la Regione poteva ricorrere per
introdurre eventuali normative volte alla  «salvaguarda  delle  [...]
caratteristiche etniche e culturali» dei  suoi  cittadini  «qualunque
[fosse]  il  gruppo  linguistico»  di   appartenenza,   che   fossero
derogatorie rispetto al contenuto della legge n. 482 del 1999. 
    A tale procedura - conformemente, del resto,  a  quanto  previsto
dal gia' citato art. 18 della legge n. 482 del 1999  -  si  e'  fatto
ricorso per procedere alla approvazione del d.lgs. 12 settembre 2002,
n. 223, recante «Norme di attuazione  dello  statuto  speciale  della
Regione Friuli-Venezia Giulia per il  trasferimento  di  funzioni  in
materia di tutela  della  lingua  e  della  cultura  delle  minoranze
linguistiche storiche nella regione». 
    Non si rinvengono, invece, in alcuna parte del  suddetto  decreto
legislativo di attuazione disposizioni che introducano  direttamente,
o che autorizzino il legislatore regionale  ad  introdurre  normative
derogatorie al contenuto  della  legge  n.  482  del  1999.  E',  tra
l'altro, significativo che lo stesso decreto definisca  la  legge  n.
482 del 1999 (che reca il titolo di «Norme in materia di tutela delle
minoranze linguistiche storiche») come «"legge" per la  tutela  della
lingua e della cultura delle popolazioni che parlano il friulano e di
quelle appartenenti alla minoranza slovena  e  germanofona»,  usando,
quindi, una formulazione  che  direttamente  riferisce  il  contenuto
della legge alle minoranze linguistiche della Regione. 
    In ogni caso, sia che da cio'  si  desuma  che  la  normativa  di
attuazione abbia recepito, al di la' degli adattamenti  previsti  nei
commi  dell'art.  1  successivi  al   primo,   il   contenuto   della
legislazione  statale  (con  la  conseguente   maggiore   forza   che
l'ordinamento attribuisce alle  norme  di  attuazione  degli  statuti
speciali rispetto alla legislazione ordinaria  sia  dello  Stato  che
delle Regioni, vedere sentenze n. 132 del 2009, n. 341 del  2001,  n.
212 del 1994 e n. 20 del 1956), sia che si evinca che la normativa di
attuazione si sia limitata a non introdurre  norme  derogatorie  alla
suddetta legislazione statale, il risultato e' che la legge regionale
non puo' divergere da quest'ultima. 
    Le considerazioni innanzi  formulate  costituiscono,  quindi,  il
quadro di riferimento  utile  per  l'analisi  delle  censure  che  il
Presidente del Consiglio muove alla legge regionale. 
    2.6.  -  La  legge  regionale  n.  29  del  2007,  dopo   essersi
qualificata  come  attuativa  «dell'art.  6  della   Costituzione   e
dell'art. 3»  dello  statuto  regionale,  indica,  all'art.  2,  come
proprie  fonti  legittimanti   sia   l'esercizio   delle   competenze
legislative della Regione di concorrere all'attuazione  dei  principi
espressi  a  livello  internazionale  da  tutta  una  serie  di  atti
internazionali  (di  diversa  natura  ed  efficacia)  a  tutela   del
pluralismo  linguistico,  sia  quelle  relative  all'attuazione   dei
«principi della legislazione statale in  materia,  e  in  particolare
della legge 15 dicembre 1999, n. 482 [...], e del decreto legislativo
12 settembre 2002, n. 223 [...], tenuto conto dei  principi  e  delle
disposizioni della legge regionale 22 marzo 1996, n. 15 (Norme per la
tutela e la promozione  della  lingua  e  della  cultura  friulane  e
istituzione del servizio per le lingue regionali e minoritarie)». 
    Al di la' del fine generale di tutelare, valorizzare e promuovere
l'uso  della  lingua  friulana,  considerata  «parte  del  patrimonio
storico, culturale e umano della Comunita' regionale»,  questa  legge
afferma esplicitamente di essere «finalizzata ad ampliare l'uso della
lingua friulana nel territorio di riferimento», seppure «nel rispetto
della libera scelta di ciascun cittadino». 
    In realta' questa legge,  che  raccoglie  e  ridisciplina  quanto
contenuto in altre precedenti leggi regionali (che, infatti,  vengono
in parte abrogate), contiene una ricca varieta' di disposizioni  solo
in parte direttamente od indirettamente attuative della legge n.  482
del 1999. 
    3. -  Sulla  base  di  quanto  in  precedenza  evidenziato  vanno
scrutinate nel  merito  le  suesposte  censure  e  le  argomentazioni
utilizzate dal ricorrente per  motivare  la  violazione  dell'art.  6
Cost. tramite l'asserito  contrasto  con  differenziate  disposizioni
della legge n. 482 del 1999. 
    3.1. - Le questioni relative all'art. 6, comma 2, e  all'art.  8,
commi 1 e 3, della legge regionale in oggetto sono fondate. 
    Dette disposizioni sono  censurate  in  quanto  «contrastano  con
l'art. 9, comma 1, della legge n. 482 del 1999 (attuativa dell'art. 6
Cost.), che circoscrive  l'uso  della  lingua  minoritaria  nei  soli
Comuni di insediamento del relativo gruppo linguistico». 
    3.1.1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  censura  le   suddette
disposizioni ritenendo che esse, prevedendo «un obbligo generale  per
gli uffici dell'intera regione, operante anche nelle aree escluse dal
territorio  di   insediamento   del   gruppo   linguistico   friulano
(delimitato ai sensi dell'art. 3 della stessa legge),  di  rispondere
in friulano «alla generalita' dei cittadini»  che  si  avvalgono  del
diritto di usare tale lingua e di redigere anche in friulano gli atti
comunicati «alla generalita' dei cittadini», nonche' di effettuare in
tale  lingua  la  comunicazione  istituzionale  e   la   pubblicita',
contrast[i]no con l'art. 9, comma 1, della legge n. 482/99 (attuativa
dell'art. 6 Cost.), che circoscrive l'uso  della  lingua  minoritaria
nei soli Comuni di insediamento del relativo gruppo linguistico». 
    Si e' gia' accennato, nel descrivere in via generale il contenuto
della legge n. 482 del 1999, che essa prevede un ben preciso  sistema
di tutela delle minoranze linguistiche presenti in Italia, incentrato
sul principio della delimitazione del territorio in cui si  applicano
le specifiche disposizioni di salvaguardia. Il primo comma  dell'art.
3 della legge prevede, infatti,  che  «la  delimitazione  dell'ambito
territoriale e sub-comunale in cui si applicano  le  disposizioni  di
tutela delle minoranze linguistiche storiche previste dalla  presente
legge  e'  adottata  dal  consiglio  provinciale,  sentiti  i  Comuni
interessati, su  richiesta  di  almeno  il  quindici  per  cento  dei
cittadini iscritti nelle liste  elettorali  e  residenti  nei  Comuni
stessi, ovvero di un terzo  dei  consiglieri  comunali  dei  medesimi
Comuni».  Nei  due  successivi  commi  del   suddetto   articolo   si
individuano altre forme  di  attivazione  del  procedimento  volto  a
definire gli ambiti territoriali di tutela e a  costituire  organismi
di coordinamento e nei successivi articoli si definisce il  contenuto
delle misure di tutela, sempre  pero'  con  riferimento  ai  suddetti
ambiti. 
    Si puo', quindi, affermare che il  principio  cui  si  ispira  la
legge n. 482  del  1999  e'  quello  territoriale:  la  normativa  di
salvaguardia delle lingue minoritarie riconosciute si  applica  cioe'
nei territori in cui vi e'  una  sufficiente  presenza  di  cittadini
appartenenti alla minoranza stessa. 
    Questa  Corte  ha  gia'  avuto   modo   di   pronunciarsi   sulla
legittimita' costituzionale di disposizioni che prevedano  la  tutela
su  base  territoriale  della  lingua  minoritaria,   sospettate   di
illegittimita' costituzionale per  contrasto  col  diverso  principio
della  tutela  personale  delle  suddette  lingue   alla   luce,   in
particolare, dell'art. 6 Cost. o delle specifiche normative poste, in
alcuni statuti speciali, a tutela dell'uso della lingua minoritaria. 
    Nella sentenza n. 213 del 1998 si e' precisato che  «quanto  alla
pretesa violazione delle norme costituzionali e statutarie in tema di
protezione della minoranza italiana di lingua tedesca (artt. 6 e  116
della  Costituzione  e  100  dello   statuto   speciale),   si   deve
innanzitutto rilevare che tale protezione e' basata non sul principio
di personalita' ma su quello di territorialita». 
    Parimenti, nella sentenza n. 406  del  1999,  questa  Corte,  nel
giudicare circa la compatibilita' costituzionale  di  una  norma  del
codice di procedura penale (l'art. 109, comma 2) che, a giudizio  del
rimettente,  non  avrebbe  tutelato  l'appartenente  alla   minoranza
quando, in caso di  spostamento  della  competenza  territoriale,  si
fosse trovato ad essere processato fuori del luogo di  residenza,  ha
affermato «che i  diritti  di  uso  della  lingua  riconosciuti  agli
appartenenti a Comunita' linguistiche di minoranza valgono  si'  come
diritti personali ma soltanto nei rapporti con le istituzioni  aventi
competenza sul territorio di insediamento delle  Comunita'  medesime.
La questione di costituzionalita' sollevata mira  invece  a  ottenere
una pronuncia di questa Corte attraverso la  quale  si  affermi,  sia
pure soltanto in relazione al caso dei giudizi  che  formano  oggetto
della disciplina dell'art. 11 cod. proc.  pen.,  una  protezione  dei
diritti linguistici delle minoranze riconosciute che si  proietti  al
di la' dei limiti territoriali di insediamento,  una  proiezione  che
tenderebbe a connotare costituzionalmente la disciplina  dei  diritti
linguistici in termini non piu' territoriali ma personali. [...]  Ma,
per quanto i principi costituzionali richiedano di essere valorizzati
nella loro funzione conformatrice della legislazione  ordinaria,  non
e' possibile, da una proclamazione come quella contenuta nell'art.  6
della Costituzione («La  Repubblica  tutela  con  apposite  norme  le
minoranze linguistiche»), inferire  l'esistenza  di  un  vincolo  del
legislatore all'adozione del criterio personale, in luogo  di  quello
territoriale,  nella  disciplina  dei   diritti   linguistici   delle
minoranze; tanto piu', si puo' aggiungere, che tale criterio  non  e'
nemmeno  adottato  dagli   statuti   delle   regioni   ad   autonomia
differenziata, la cui speciale ragion d'essere deriva  per  l'appunto
anche dall'esistenza di minoranze linguistiche e dall'esigenza di una
loro particolarmente forte protezione». 
    Vi e', altresi', da considerare che la giurisprudenza  di  questa
Corte ha, fin dalle sue piu' risalenti sentenze,  messo  in  luce  il
delicato rapporto tra la specifica tutela prevista dall'art. 6  Cost.
e il generale  principio  di  uguaglianza  posto  dall'art.  3  della
medesima. 
    Gia' nella sentenza n. 46 del 1961 si afferma che «le  competenze
normative attribuite  alle  Regioni  o  Provincie  autonome  sono  da
contenere  entro  i  limiti  risultanti  dalla  specificazione  delle
singole materie elencate negli Statuti, secondo  il  contenuto  delle
medesime da determinare in base a criteri obiettivi, e non se ne puo'
consentire l'estensione a rapporti non rientranti nelle medesime,  in
base alla mera considerazione dei fini  che  ne  hanno  inspirato  il
conferimento [... dato che deve essere effettuato  il]  coordinamento
fra l'esigenza della protezione delle caratteristiche etniche e dello
sviluppo culturale di quel gruppo alloglotto e l'altra della  parita'
del trattamento con gli altri gruppi». 
    Tale concetto e' ribadito nella sentenza n. 128 del  1963  ed  in
quella n. 14 del 1965  nella  quale  questa  Corte,  con  riferimento
specifico alla statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, ribadisce
che lo statuto «afferma (art. 3) il principio generale della  parita'
di diritti e di trattamento di tutti i cittadini,  qualunque  sia  il
gruppo linguistico al quale essi appartengono». 
    Si tratta di un percorso argomentativo che e' stato seguito anche
negli ultimi  anni.  Nella  sentenza  n.  213  del  1998  si  afferma
nuovamente, infatti, che l'art. 6 Cost.  «non  contiene  in  se'  una
forza espansiva, al di la' di quanto  espressamente  stabilito  nelle
norme degli statuti regionali speciali» e che  «le  norme  di  tutela
delle  minoranze  rappresentano  sempre   punti   di   equilibrio   e
contemperamenti tra le garanzie particolari e l'ordinamento generale.
L'estensione delle prime non puo' non  comportare  ripercussioni  sul
secondo». 
    Non contrastando ne' con l'art. 6 Cost., ne' con specifiche norme
statutarie, la disposizione che fissa nella legge n. 482 del 1999  il
principio della tutela  territoriale  della  lingua  minoritaria  non
puo', per i motivi evidenziati al punto 2.5., essere contraddetta dal
legislatore regionale. 
    Passando all'esame delle singole censure, questa Corte sottolinea
che il comma 2 dell'art. 6 della  legge  impugnata,  riconoscendo  in
modo espresso «il  diritto  di  usare  la  lingua  friulana  [...]  a
prescindere dal territorio in cui i relativi uffici sono  insediati»,
viene a violare in modo palese quanto previsto dalla  legge  n.  482,
dato che attribuisce il diverso e non riconosciuto diritto ad un  uso
personale della lingua minoritaria. 
    Ad analoga conclusione si deve pervenire  anche  con  riferimento
alle censure mosse ai commi 1 e 3 dell'art. 8 della legge regionale. 
    Infatti, la piu' volte citata legge statale limita,  al  comma  1
dell'art. 9,  l'uso  della  lingua  minoritaria  ai  «Comuni  di  cui
all'art. 3» (cioe' a quelli  nei  quali  si  applicano  le  norme  di
tutela), mentre il comma 1 dell'art. 8 della legge regionale  prevede
la redazione «in friulano» degli atti  «comunicati  alla  generalita'
dei cittadini» anche al di fuori dell'ambito dei suddetti Comuni e il
comma 3 garantisce la «presenza della  lingua  friulana  [...]  anche
nella comunicazione istituzionale  e  nella  pubblicita'  degli  atti
destinati all'intera Regione». E' evidente il contrasto, dato che  le
censurate disposizioni sanciscono il dovere, da parte della Regione e
degli enti locali in cui si applicano le norme di tutela (nonche' dei
relativi «enti strumentali»), di usare la lingua friulana  anche  per
le comunicazioni che fuoriescano dai suddetti ambiti territoriali. 
    L'art. 6, comma 2, e l'art. 8, commi 1 e 3, della legge regionale
n. 29 del 2007 sono, pertanto, illegittimi per  violazione  dell'art.
9, comma 1, della legge n. 482 del 1999. 
    3.2. - La questione relativa all'art. 9,  comma  3,  della  legge
regionale e' fondata. 
    La censurata  disposizione  contempla  una  mera  facolta'  della
«ripetizione  degli  interventi  in  lingua  italiana»,  ovvero   del
«deposito contestuale  dei  testi  tradotti  in  forma  scritta»  nei
dibattiti dei Consigli comunali in cui si puo' utilizzare  la  lingua
friulana. Dal canto suo, la norma invocata  a  parametro  interposto,
vale a dire l'art. 7 della  legge  n.  482  del  1999,  prescrive  la
«immediata traduzione» di tali interventi. 
    Il terzo comma dell'art. 7 della  legge  n.  482  del  1999,  nel
riconoscere agli appartenenti  alla  minoranza  linguistica  protetta
facenti parte degli organi collegiali degli enti locali  e  regionali
il diritto di utilizzare  la  diversa  lingua,  lo  bilancia  con  la
previsione  di  «una  immediata  traduzione  in  lingua  italiana»  a
garanzia sia degli altri componenti che «dichiarino di non  conoscere
la  lingua  ammessa  a   tutela»   sia   della   stessa   complessiva
funzionalita' degli organi pubblici interessati. Rinviare tutto  cio'
ai piani di politica linguistica  e,  soprattutto,  ipotizzare  forme
diverse  dalla  «immediata  traduzione»  pone  evidenti  dubbi  sulla
pienezza  ed  immediatezza  del  confronto  dialettico  negli  organi
collegiali. 
    La puntuale e sollecita comprensione degli interventi  svolti  in
seno ad un organo collegiale e' fondamentale ai fini del suo corretto
funzionamento. Ove si tratti, in particolare, di un  organo  elettivo
di un ente pubblico, la comunicazione secondo modalita'  linguistiche
immediatamente accessibili  e'  il  presupposto  per  un  appropriato
confronto dialettico. A sua  volta,  detto  confronto  e'  una  delle
modalita' di estrinsecazione del principio democratico.  Sicche',  la
garanzia della contestuale conoscenza, nella «lingua ufficiale  della
Repubblica», da parte di tutti i componenti l'organo  collegiale  del
contenuto degli atti e degli interventi posti  in  essere  in  quella
sede e' condizione essenziale perche' il confronto democratico  possa
aver luogo. 
    Non e' esatto pertanto obiettare, come fa  la  difesa  regionale,
che si tratterebbe solo dell'individuazione di due diverse  modalita'
«per garantire la traduzione», dato che le modalita' della traduzione
vengono addirittura rinviate  ad  una  futura  procedura,  mentre  la
traduzione (che, tra l'altro, sarebbe verso  la  «lingua  ufficiale»)
deve essere necessariamente contestuale, cosi'  come  anche  ribadito
nell'art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 345 del 2001. 
    L'art. 9, comma 3, della legge  regionale  n.  29  del  2007  e',
pertanto, illegittimo per violazione  dell'art.  7,  comma  3,  della
legge n. 482 del 1999. 
    Restano assorbite le residue censure. 
    3.3. - La questione relativa all'art. 11, comma  5,  della  legge
regionale e' fondata. 
    La facolta' per i Comuni di adottare toponimi  anche  nella  sola
lingua friulana  e'  incompatibile  con  la  previsione  dettata  dal
legislatore statale che legittima l'uso  dei  toponimi  nella  lingua
minoritaria solo «in aggiunta ai toponimi ufficiali». 
    L'art. 10 della legge n. 482 del 1999 costruisce  un  equilibrato
procedimento per affiancare eventualmente, nelle aree con presenza di
lingue minoritarie, accanto alla denominazione ufficiale dei Comuni e
dei luoghi, altri «toponimi conformi  alle  tradizioni  ed  agli  usi
locali». 
    La previsione che gli enti locali dell'area in cui  e'  accertata
la presenza della minoranza linguistica friulana possano escludere la
denominazione ufficiale, optando per toponimi solo in  friulano,  che
divengono  le  denominazioni  ufficiali  di   Comuni   e   localita',
evidentemente altera il disegno generale della legge n. 482 del 1999,
fondato non solo sulla valorizzazione delle lingue  e  delle  culture
minoritarie, ma anche sulla preservazione del patrimonio  linguistico
e culturale della lingua italiana. 
    Al  riguardo,  si  rivela  infondata  l'obiezione  della   difesa
regionale secondo la quale, essendo la Regione Friuli-Venezia  Giulia
«competente in materia di toponomastica», essa potrebbe «disciplinare
la definizione del toponimo ufficiale, consentendone la  modifica  al
Consiglio comunale»: la potesta' legislativa di  questa  Regione  non
puo', infatti, espandersi sino al  punto  di  contraddire  la  chiara
portata normativa del principio espresso dall'art. 10 della legge  n.
482 del 1989. 
    Ne' appare conferente  l'esemplificazione  che  viene  effettuata
dalla difesa regionale quando fa riferimento ad un limitato numero di
Comuni della Valle  d'Aosta  o  della  Sardegna  che  hanno  toponimi
espressi con  lettere  o  gruppi  di  lettere  estranei  alla  lingua
italiana, dato che finalita' espressa della disposizione censurata e'
di permettere che il toponimo nella lingua friulana divenga, al posto
di quello esistente in lingua italiana, l'unico atto  a  definire  il
nominativo del Comune o quello «ufficiale a tutti gli effetti». 
    L'art. 11, comma 5, della legge regionale  n.  29  del  2007  e',
pertanto, illegittimo per violazione dell'art. 10 della legge n.  482
del 1999. 
    Restano assorbite le residue censure. 
    3.4. - La questione relativa all'art. 12, comma  3,  della  legge
regionale e' fondata. 
    Il   meccanismo   di   scelta,   configurato   dalla    censurata
disposizione, si sostanzia in una sorta di opzione negativa.  Qualora
i genitori non vogliano che ai  figli  sia  impartito  l'insegnamento
della  lingua  friulana,  sono  tenuti  a  comunicarlo   al   momento
dell'iscrizione, previa adeguata informazione, su  richiesta  scritta
dell'istituzione  scolastica.  Il  silenzio  serbato  sul  punto  dai
genitori equivale ad un  vero  e  proprio  assenso,  fatta  salva  la
possibilita' di modificare tale decisione in occasione  dell'apertura
del nuovo anno scolastico. 
    La  censurata  disposizione  contrasta  palesemente  con   quanto
previsto dal legislatore statale nell'art. 4,  commi  2  e  5,  della
legge n. 482 del 1999, che stabilisce, invece, che «al momento  della
preiscrizione  i  genitori  comunicano  alla  istituzione  scolastica
interessata   se   intendono   avvalersi   per   i    propri    figli
dell'insegnamento della lingua della minoranza». 
    Le previsioni della legge n. 482 del 1999, in evidente consonanza
con la «liberta' di scelta educativa da parte delle famiglie» di  cui
all'art. 21, comma 9, della legge n. 59 del  1997  e  agli  artt.  7,
comma 2, e 10, comma 2, del decreto legislativo 19 febbraio 2004,  n.
59  (Definizione  delle   norme   generali   relative   alla   scuola
dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma  dell'art.  1
della legge 28 marzo 2003,  n.  53),  presidiano  la  piena  liberta'
educativa della famiglia, che  non  deve  (in  un  ambito  nel  quale
potrebbero, almeno in ipotesi, prodursi pressioni  di  vario  genere)
doversi distinguere in negativo per esprimere la propria mancanza  di
volonta' di  far  seguire  ai  propri  figli  le  lezioni  di  lingua
friulana. Non puo' quindi parlarsi della disposizione censurata  come
di una mera variante procedurale  per  permettere  l'espressione  del
consenso, dal momento  che  la  legge  n.  482  del  1999  ha  inteso
garantire la piena liberta' di coloro che sono  chiamati  a  compiere
una scelta di rilevante valore civile e culturale. 
    D'altra parte, la stessa legge regionale n. 29 del  2007  afferma
al comma 3 dell'art. 1 di essere «finalizzata ad ampliare l'uso della
lingua friulana nel territorio  di  riferimento  nel  rispetto  della
libera scelta di ciascun cittadino». 
    L'art. 12, comma 3, della legge regionale  n.  29  del  2007  e',
pertanto, illegittimo per violazione dell'art. 4 della legge  n.  482
del 1999. 
    Restano assorbite le residue censure. 
    3.5. - La questione relativa all'art. 14,  commi  2  e  3,  della
legge regionale e' fondata. 
    Di questa disposizione e' censurata, per un verso, la  previsione
dell'insegnamento  della  lingua  friulana  per  almeno  un'ora  alla
settimana (art. 14,  comma  2,  ultimo  periodo).  Per  altro  verso,
oggetto di doglianza e' pure  la  previsione  dell'uso  della  lingua
friulana  come  «lingua  veicolare»,  vale  a  dire  che  la   lingua
minoritaria viene indicata come modalita' sussidiaria  e  strumentale
di comunicazione per l'insegnamento di  altre  discipline  (art.  14,
comma 3). 
    L'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 14 contrasta con l'art. 4,
comma 2, della legge n. 482 del 1999, che  attribuisce  all'autonomia
didattica delle scuole la deliberazione  dei  tempi  di  insegnamento
della lingua friulana. 
    E' ben vero che,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,
l'autonomia delle istituzioni scolastiche «non puo' risolversi  nella
incondizionata liberta' di  autodeterminazione»,  ma  e'  altrettanto
innegabile «che a tali istituzioni [debbono essere] lasciati adeguati
spazi  di  autonomia  che  le  leggi  statali  e  quelle   regionali,
nell'esercizio della potesta' legislativa  concorrente,  non  possono
pregiudicare» (sentenza n. 13 del 2004). L'art.  4,  comma  2,  della
legge n. 482 del 1999 contempera le ragioni  sottese  alla  tutela  e
valorizzazione  della  lingua  friulana  in   ambito   didattico,   e
l'autonoma determinazione  dei  percorsi  formativi  tracciati  dalle
istituzioni  scolastiche.  La  previsione  di  una  fascia  temporale
minima, comunque obbligatoria, di insegnamento della lingua friulana,
altera   detto   equilibrio.   D'altra   parte,   la   programmazione
dell'offerta didattica dipende anche dal numero  delle  richieste  di
insegnamento della  lingua  friulana  che  potranno  pervenire  dalle
famiglie. 
    Per le medesime ragioni, il comma 3 dell'art.  14  confligge  con
l'art. 4, comma 2, della legge  n.  482  del  1999,  che  attribuisce
all'autonomia  delle  scuole  la  deliberazione  delle  «metodologie»
didattiche da utilizzare, mentre la previsione, da parte della  norma
censurata, che si debba adottare «il metodo basato sull'apprendimento
veicolare integrato» della lingua friulana  limita  drasticamente  le
scelte didattiche operabili dalla scuola. 
    Inoltre,  l'apprendimento  veicolare   integrato   delle   lingue
dovrebbe presupporre un consenso  generalizzato  alla  frequenza  dei
corsi di  insegnamento  della  lingua  friulana,  poiche'  altrimenti
coloro  che  non   frequentano   questi   corsi   sarebbero   privati
dell'insegnamento delle materie «veicolate»  dal  friulano  o  alcuni
insegnamenti dovrebbero essere effettuati due volte. 
    Sul punto e' da rigettare la tesi della difesa regionale  secondo
cui quanto determinato dalla norma censurata  sarebbe  gia'  previsto
nell'art. 4, comma 1,  della  legge  n.  482  del  1999,  poiche'  la
disposizione statale non fa altro che enunciare che anche  la  lingua
friulana  rientrera',  per  le  scuole  materne,  fra  le  «attivita'
educative» e, per le scuole elementari e quelle secondarie  di  primo
grado, fra le materie di insegnamento. Infatti, il successivo comma 2
del medesimo art. 4 afferma esplicitamente che  sono  le  istituzioni
scolastiche elementari e secondarie di primo grado, nell'ambito della
loro autonomia organizzativa e didattica, a deliberare «anche,  sulla
base delle richieste dei  genitori  degli  alunni,  le  modalita'  di
svolgimento delle attivita' di  insegnamento  della  lingua  e  delle
tradizioni culturali delle Comunita' locali, stabilendone i  tempi  e
le metodologie». 
    Gli articoli 14, comma 2,  limitatamente  all'ultimo  periodo,  e
comma 3, della  legge  regionale  n.  29  del  2007  sono,  pertanto,
illegittimi per violazione dell'art. 4 della legge n. 482 del 1999. 
    Restano assorbite le residue censure. 
    3.6. - La questione relativa all'art. 18, comma  4,  della  legge
regionale non e' fondata. 
    La  censurata  disposizione,  nel  legittimare   la   Regione   a
«sostenere»  l'insegnamento  della  lingua   friulana   anche   nelle
istituzioni scolastiche situate nelle aree escluse dal territorio  di
insediamento della minoranza friulana, non viola l'art. 4 della legge
n. 482 del 1999, dal momento  che  il  legislatore  regionale  si  e'
limitato a prevedere una mera possibilita' di sostegno  economico  da
parte della stessa Regione alle istituzioni scolastiche (di qualsiasi
grado) che, nella loro autonomia, ritengano utile  sviluppare,  anche
in aree esterne alla zonizzazione territoriale, l'insegnamento  della
lingua friulana. 
    Non solo disposizioni del genere erano gia' contenute nella legge
regionale n. 15 del 1996 (artt. 19 e 27), ma gli artt. 12,  comma  2,
14 e 16 della stessa legge n. 482 del 1999 prevedono la  possibilita'
per le Regioni di sostenere, mediante  le  loro  finanze,  iniziative
culturali od  informative  connesse  alle  lingue  minoritarie  senza
incontrare limiti territoriali.