Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 18  della
legge  della  Regione  Umbria  26  maggio  2004,  n.   8   (Ulteriori
modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994,
n. 6 -  Disciplina  della  raccolta,  coltivazione,  conservazione  e
commercio  dei  tartufi),  promosso  dal   Tribunale   amministrativo
regionale  dell'Umbria  nei  procedimenti  riuniti  vertenti  tra  il
Consorzio del tartufo di Roscetti ed altri  e  la  Comunita'  Montana
dell'Alto Tevere Umbro ed altri con  ordinanza  del  5  giugno  2008,
iscritta al n. 311 del registro ordinanze  2008  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  42, 1ª  serie   speciale,
dell'anno 2008. 
    Visti gli atti di  costituzione  del  Consorzio  del  tartufo  di
Roscetti ed altra, di Brofferio Diego ed  altro  e  dell'Associazione
Tartufai del Comprensorio Eugubino-Gualdese; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  21  aprile  2009  il  giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    Uditi gli avvocati Mario Rampini per il Consorzio del tartufo  di
Roscetti ed altra, Marco Massoli per Brofferio Diego ed altro. 
                          Ritenuto in fatto 
    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  dell'Umbria  con
ordinanza del 5 giugno 2008 ha sollevato, in riferimento  agli  artt.
3, 41,  42  e  117  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 4 della legge della Regione Umbria 26 maggio
2004, n. 8  (Ulteriori  modificazioni  ed  integrazioni  della  legge
regionale 28  febbraio  1994,  n.  6  -  Disciplina  della  raccolta,
coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), nella parte  in
cui, aggiungendo i commi 2-quater  e  2-quinquies  all'art.  4  della
legge della Regione Umbria 28 febbraio 1994, n. 6  (Disciplina  della
raccolta,  coltivazione,  conservazione  e  commercio  dei  tartufi),
prevede   limiti   all'estensione   territoriale   delle    tartufaie
controllate  o  coltivate,  nonche',  in  riferimento   ai   medesimi
parametri, dell'art. 18 della medesima legge regionale n. 8 del  2004
nella parte in cui estende l'applicazione  delle  nuove  norme  anche
alle tartufaie gia' riconosciute. 
    Il rimettente premette che la disciplina statale  in  materia  di
raccolta,  coltivazione,  conservazione  e  commercio   dei   tartufi
prevede, ai sensi dell'art. 3 della legge quadro statale, 16 dicembre
1985, n. 752 (Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e
commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo), che
«la raccolta dei tartufi e' libera  nei  boschi  e  nei  terreni  non
coltivati» e che «hanno diritto di proprieta'  sui  tartufi  prodotti
nelle tartufaie coltivate o controllate tutti coloro che le conducano
[...]  purche'  vengano  apposte  apposite  tabelle  delimitanti   le
tartufaie  stesse».  La  Regione  Umbria  ha  dato  attuazione   alla
disciplina statale con la legge regionale n. 6 del 1994 che, nel  suo
testo originario, non  poneva  alcun  limite  alle  dimensioni  delle
tartufaie coltivate o  controllate,  limiti  che  invece  sono  stati
introdotti, per le tartufaie controllate, dall'art. 4 della legge  n.
8 del 2004 oggetto del presente  giudizio  di  costituzionalita'.  In
particolare  la  norma  censurata  ha  previsto,  al  comma  2-quater
aggiunto all'art. 4 della legge regionale n.  6  del  1994,  che  «la
superficie massima delle tartufaie controllate non  puo'  superare  i
tre ettari», e al comma 2-quinquies che «nei confronti  di  eventuali
consorzi od altre forme associative tra aventi titolo alle  tartufaie
controllate, comunque tra loro confinanti, il limite di cui al  comma
2-quater e' elevato a 15 ettari». Inoltre, all'art. 18,  e'  previsto
che «entro un anno dall'entrata in vigore della  presente  legge,  le
tartufaie  controllate  costituite  precedentemente  dovranno  essere
riperimetrate». 
    Cosi' delineato  il  quadro  normativo  di  riferimento,  il  TAR
dell'Umbria riferisce che i ricorrenti nel giudizio principale  hanno
impugnato i provvedimenti delle locali comunita' montane con i  quali
e' stata rigettata la domanda di  rinnovo  del  riconoscimento  della
qualifica di tartufaie controllate per la parte di terreno  eccedente
il limite previsto dalle norme ora indicate, vale a dire di  quindici
ettari per i consorzi e di tre ettari negli altri casi e aggiunge, in
punto di rilevanza, che gli atti amministrativi  impugnati  risultano
aderenti alle disposizioni della  legge  regionale  e  che  per  tale
motivo «appare rilevante e non eludibile la questione di legittimita'
costituzionale». 
    Secondo il rimettente, le norme in  oggetto  violerebbero  l'art.
117, terzo comma,  Cost.  in  quanto,  rientrando  nell'ambito  della
competenza  concorrente  relativa  alla   valorizzazione   dei   beni
ambientali, si porrebbero in contrasto con il principio  fondamentale
recato dall'art. 3  della  legge  quadro  n.  752  del  1985  per  la
disciplina della raccolta libera dei tartufi, che non prevede  limiti
per l'individuazione delle tartufaie controllate. 
    Inoltre,  l'introduzione  dei  suddetti  limiti   di   estensione
territoriale violerebbe gli artt. 3, 41 e 42 Cost.  determinando  una
irragionevole disparita' di  trattamento  fra  il  ricercatore  e  il
proprietario  del  fondo,  il  primo  dei  quali   si   arricchirebbe
ingiustamente a detrimento del secondo,  potendo  lucrare,  oltre  al
giusto compenso per la propria opera di  ricerca,  anche  il  maggior
valore inerente ad un bene economico alla cui  produzione  in  nessun
modo ha concorso, sottraendolo interamente al proprietario. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il  Tribunale  rimettente
evidenzia  che  i  prodotti  vegetali  sono   frutti   naturali   che
appartengono di diritto al proprietario del fondo,  quand'anche  alla
loro  produzione  non  concorra  l'opera  dell'uomo.  Il  diritto  di
proprieta' sui frutti della cosa sarebbe  un  principio  fondamentale
dello statuto della  proprieta'  fondiaria:  anzi,  ne  costituirebbe
l'essenza, in quanto, a ben  vedere,  la  proprieta'  di  un  terreno
agricolo o boschivo consisterebbe proprio  nel  dritto  esclusivo  di
appropriarsi dei frutti,  anche  spontanei.  Pertanto,  le  eventuali
eccezioni al principio indicato dovrebbero avere una  giustificazione
razionale, etica e sociale e  dovrebbero  comunque  essere  limitate.
L'eccezione che ammette la liberta' di raccolta  di  taluni  prodotti
spontanei quali i fiori di campo, le  bacche  ed  erbe  selvatiche  e
simili si baserebbe, dunque, su due presupposti: che i prodotti siano
privi di un valore economico intrinseco, raccolti solo per diletto  e
destinati all'autoconsumo o, al piu', alla cessione ad un prezzo  che
non eccede la modesta remunerazione dell'opera  del  raccoglitore,  e
che si possa presumere il disinteresse del proprietario. 
    A questa logica sarebbe ispirata la sentenza n. 328 del 1990  con
la quale la Corte ha ritenuto costituzionalmente legittima  la  norma
che riconosce la liberta' di raccolta dei tartufi, in quanto protegge
le esigenze «di quella parte della popolazione che  nella  ricerca  e
raccolta dei tartufi trova un  motivo  di  distensione  ed  anche  di
integrazione del proprio reddito». 
    Tuttavia, a parere del rimettente, oggi la situazione sarebbe del
tutto diversa, dal momento che il tartufo e'  diventato  un  bene  di
elevatissimo valore commerciale e, dunque, il diritto del ricercatore
non dovrebbe piu' prevalere su quello del proprietario del fondo. 
    In altre  parole,  la  normativa  in  esame  sarebbe  censurabile
«perche' consente al ricercatore  non  solo  di  ritrarre  un  giusto
compenso per la propria  opera,  ma  di  lucrare  il  maggior  valore
inerente ad un bene economico alla cui produzione in nessun  modo  ha
concorso, sottraendolo interamente al proprietario di quello  che  e'
il suo maggiore, o unico, fattore di produzione». 
    Da queste considerazioni, secondo il rimettente,  si  ricaverebbe
innanzitutto una violazione, da parte delle  disposizioni  censurate,
oltre che dell'art. 42 della  Costituzione,  anche  dell'art.  3,  in
quanto  vi  sarebbe  irragionevole  disparita'  di  trattamento   fra
raccoglitore e proprietario, il  primo  dei  quali  si  arricchirebbe
ingiustamente a detrimento del secondo. 
    Inoltre risulterebbe violato  il  principio  fondamentale  recato
dall'art. 3 della legge quadro n. 752  del  1985  per  la  disciplina
della raccolta  libera  dei  rifiuti,  che  non  prevede  limiti  per
l'individuazione delle tartufaie controllate  o  coltivate.  Infatti,
secondo  il  TAR  umbro,  il  legislatore  nazionale  ha   bilanciato
equamente i contrapposti  interessi  contemperando  la  liberta'  del
ricercatore con la facolta',  data  al  proprietario  del  fondo,  di
qualificare come tartufaia controllata (con i conseguenti obblighi  e
diritti) tutte le superfici che ne siano tecnicamente  idonee,  senza
limiti di estensione. 
    Secondo il rimettente il  legislatore  regionale,  con  la  norma
censurata, in violazione della legislazione  statale,  avrebbe  rotto
l'equilibrio tra liberta' di raccolta e tutela  degli  interessi  del
proprietario  del  fondo,   esorbitando   dal   proprio   potere   di
integrazione e specificazione dei contenuti della legge quadro. 
    Il TAR della Regione Umbria evidenzia, inoltre, che la scelta del
proprietario del fondo, di istituire una «tartufaia controllata» e di
chiederne  il  riconoscimento,  non  costituisce  solo  un  atto   di
esercizio del diritto di proprieta' (inteso a provocare l'effetto  di
precludere ai terzi la raccolta dei tartufi) ma rappresenta anche  un
atto di iniziativa economica, come risulta dalla  disciplina  dettata
dalla legge regionale n. 6 del 1994 che subordina  il  riconoscimento
all'accertamento  di   una   serie   di   condizioni   oggettive,   e
all'assunzione, da parte del proprietario, dell'impegno di effettuare
una  serie  di  interventi  (ovviamente  onerosi)  di  miglioramento,
manutenzione ed incremento il cui  mancato  adempimento  comporta  la
revoca del riconoscimento (art. 9, comma 6)  oltre  ad  una  sanzione
pecuniaria (art. 20). 
    In questa luce,  l'esclusivita'  del  diritto  di  raccogliere  i
tartufi  accordata   al   titolare   della   tartufaia   controllata,
sembrerebbe  correlata,  non  solo  e  non  tanto,  al   diritto   di
proprieta', quanto  al  fatto  che  i  tartufi  sono  considerati  il
risultato  di  un'attivita'  produttiva  programmata,  organizzata  e
dispendiosa. Di conseguenza, la disposizione introdotta  dalla  legge
regionale n.  8  del  2004,  inciderebbe  non  solo  sul  diritto  di
proprieta' (art. 42  della  Costituzione)  ma  anche  sulla  liberta'
d'impresa  (art.  41)   impedendo   al   proprietario   di   assumere
un'iniziativa economica con investimenti e  lavoro,  a  fronte  della
prospettiva di un utile. 
    Il rimettente, in subordine, solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 18 della legge regionale n. 8 del 2004  che,
anziche'   far   salve   le   tartufaie   controllate    riconosciute
anteriormente alla sua  entrata  in  vigore,  ha  assoggettato  anche
queste ultime alla nuova disciplina, ordinandone la riperimetrazione. 
    In tal modo risulterebbero compromesse le  legittime  aspettative
maturate dai titolari per effetto non solo e  non  tanto  degli  atti
amministrativi  di  riconoscimento,  ma  anche  e  soprattutto  degli
investimenti gia' effettuati e dei lavori compiuti,  circostanze  che
renderebbero ancor piu' evidenti le violazioni degli artt. 3, 41 e 42
della Costituzione. 
    2.1. - Con atti depositati il 27 ottobre 2008 si sono  costituiti
in giudizio, rispettivamente, il Consorzio del tartufo  di  Roscetti,
Brofferio Diego e  Brofferio  Alfredo,  in  proprio  e  quali  legali
rappresentanti dell'Azienda  Agraria  "Il  palazzetto",  e  l'Azienda
Agraria Ganovelli  Franco  e  Giorgio,  parti  del  giudizio  a  quo,
chiedendo  la  declaratoria  di   incostituzionalita'   delle   norme
censurate dal TAR dell'Umbria. 
    In fatto tutte le parti sopraindicate, ricorrenti nel giudizio  a
quo,  dichiarano  che  la  Comunita'  Montana  con  i   provvedimenti
impugnati, in applicazione della nuova  normativa,  ha  rigettato  la
loro richiesta di  rinnovo  del  riconoscimento  della  qualifica  di
tartufaia controllata per la parte di  terreno  eccedente  il  limite
previsto dalle norme censurate, vale a dire di quindici ettari per  i
consorzi e di tre ettari negli altri casi. 
    Le parti private evidenziano che, in passato, al fine di ottenere
il suddetto riconoscimento per i loro terreni, hanno posto in  essere
ingenti investimenti volti a soddisfare le richieste  della  Regione,
cui era subordinato appunto il rilascio dell'attestato  di  tartufaia
controllata,  tanto  da  poter  affermare  che  si  e'  trattato   di
investimenti per una vera  e  propria  attivita'  imprenditoriale  ed
anche  di  ragguardevoli   dimensioni.   Pertanto   la   disposizione
introdotta  dall'art.  4  della  legge  regionale  n.  8  del   2004,
sull'estensione massima  delle  tartufaie  controllate,  verrebbe  ad
applicarsi  anche  nei  confronti  di  soggetti  che  rivestono   una
particolare posizione, qualificata e consolidata in  ragione  di  una
struttura imprenditoriale di rilevanti dimensioni, venutasi a  creare
esclusivamente sul presupposto del particolare  regime  di  privativa
sulla produzione dei tartufi che la legge statale n. 752 del  1985  e
la precedente  legge  regionale  conferivano  in  via  generale  alle
tartufaie controllate ed  in  particolare  alle  imprese  agricole  e
forestali. 
    In tal modo, verrebbe attuata,  di  fatto,  una  vera  e  propria
espropriazione  di  una  parte  significativa,  se  non   addirittura
essenziale,  dell'intera  struttura  aziendale  coincidente  con   la
predisposizione di tutte le migliori condizioni per la produzione dei
tartufi, incidendo in modo determinante sull'esercizio del diritto di
impresa per effetto della  eliminazione  in  via  autoritativa  della
disponibilita' esclusiva dei fattori della produzione. 
    Tale forma di espropriazione, tuttavia,  oltre  a  non  prevedere
alcun indennizzo con  violazione  dell'art.  42  Cost.,  non  sarebbe
nemmeno contemplata da una legge statale, cosi'  come  richiesto  dal
riparto di competenze legislative sancito dalla Costituzione. 
    Il legislatore regionale avrebbe  anche  violato  il  riparto  di
competenze di cui all'art. 117 Cost., secondo comma, lettera l),  che
riserva in via  esclusiva  allo  Stato  la  materia  dell'ordinamento
civile, in quanto, per effetto della disciplina regionale, il diritto
di proprieta' sui  tartufi,  riconosciuto  dalla  normativa  statale,
verrebbe  a  decadere  per  la  semplice   decorrenza   del   termine
quinquennale. 
    Sotto   un   ulteriore   profilo,    inoltre,    l'illegittimita'
costituzionale della normativa regionale di riferimento discenderebbe
anche dalla mancata previsione di  una  esplicita  norma  diretta  ad
imporre   un'applicazione   non   retroattiva   dei   limiti    posti
all'attivita'    imprenditoriale    (nella     specie,     attraverso
l'indiscriminata riduzione del comprensorio territoriale  interessato
dalla tartufaia controllata), limiti che  altrimenti  costituirebbero
una  palese  violazione  del  principio  di  liberta'  di  iniziativa
economica privata (art. 41 Cost.). 
    L'effettivo e sostanziale riconoscimento, invece, del diritto  di
liberta' di iniziativa economica da parte  del  privato  non  avrebbe
potuto che discendere dal doveroso  mantenimento  di  una  situazione
produttiva ed imprenditoriale venutasi  a  creare  facendo  legittimo
affidamento su un determinato status quo sia di fatto che di diritto. 
    2.2. - Con atto depositato il 27 ottobre 2008 si e' costituita in
giudizio l'Associazione Tartufai del Comprensorio  Eugubino-Gualdese,
a mezzo del suo Presidente e legale rappresentante, chiedendo che  le
questioni   sollevate   dal   TAR   dell'Umbria   siano    dichiarate
inammissibili o infondate. 
    Secondo quest'altra parte privata,  interveniente  ad  opponendum
nel giudizio a  quo,  le  questioni  oggetto  del  presente  giudizio
sarebbero  state  gia'  state  valutate  dalla  Corte  costituzionale
quando, con la sentenza n. 212 del 2006, ha dichiarato non fondata la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  4  della  legge
regionale n. 8 del 2004 in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,
lettere l) e s), e terzo comma, della Costituzione. 
    In tale occasione la Corte,  muovendo  dall'evidente  genericita'
della definizione di tartufaia controllata fornita dall'art. 3  della
legge quadro n. 752 del 1985, ha affermato come «non possa  ritenersi
precluso  alle  Regioni,  in  base  alle  regole  di  riparto   della
competenza  nelle  materie  di  legislazione   concorrente,   fissare
requisiti e limiti delle  tartufaie  controllate  in  relazione  alla
specificita' del territorio regionale,  onde  evitare  una  eccessiva
compressione del principio fondamentale  della  libera  raccolta  nei
boschi e nei terreni non coltivati,  precisando  altresi'  che  detta
regolamentazione non incide di per se' sul regime di  proprieta'  dei
tartufi,  che,  al  contrario,  resta  disciplinato  dalle  norme  di
principio  dettate  dalla  legislazione  statale  ed  in  particolare
dall'art. 3 della legge n. 752 del 1985». 
    Pertanto sarebbe del tutto errato il  presupposto  interpretativo
del  remittente  secondo   il   quale   il   legislatore   regionale,
introducendo limiti dimensionali alle tartufaie controllate,  non  si
sarebbe limitato ad integrare e specificare i contenuti  della  legge
quadro, bensi' avrebbe posto una limitazione non compatibile  con  la
filosofia della legge statale. 
    In realta' il principio fondamentale desumibile dall'art. 3 della
legge  n.  752  del  1985,  contrariamente   a   quanto   prospettato
dall'ordinanza di rimessione, sarebbe, infatti, quello  della  libera
raccolta  dei  tartufi  nei  boschi  e  nei  terreni  non  coltivati,
principio che dovrebbe prevalere nel  bilanciamento  tra  l'interesse
dei conduttori e dei proprietari delle tartufaie  e  l'interesse  dei
raccoglitori. 
    L'art. 4 della legge regionale n. 8 del  2004  sarebbe  una  mera
norma  di   dettaglio   che,   lungi   dall'imporre   arbitrariamente
limitazioni al diritto di proprieta'  sui  tartufi,  si  limiterebbe,
conformemente alla delega contenuta all'art. 1  della  legge  quadro,
all'individuazione di un limite  perimetrale  massimo  all'estensione
delle tartufaie controllate. 
    Infine, con riferimento alla  sospetta  violazione  dell'art.  41
della Costituzione, risulterebbe evidente come l'attivita'  posta  in
essere dai proprietari delle tartufaie controllate sia,  in  realta',
un'attivita' di esigue proporzioni, che, in quanto tale, non  rientra
nella liberta' di iniziativa  economica  di  cui  all'art.  41  della
Costituzione. 
    Parimenti priva di qualsivoglia fondamento sarebbe l'eccezione di
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  18  della   stessa   legge
regionale, che applica i limiti dimensionali introdotti  dall'art.  4
alle tartufaie gia'  riconosciute,  ordinandone  la  riperimetrazione
entro un anno dall'entrata in vigore della legge. 
    Quelle dei proprietari sarebbero situazioni giuridiche soggettive
che non assumono la  consistenza  di  diritti  quesiti,  non  essendo
espressione di  interessi  giuridici  consolidati,  ma  in  divenire,
ovvero situazioni la cui asserita lesione da  parte  del  legislatore
regionale si rivela  palesemente  inidonea  a  fondare  la  sollevata
eccezione di incostituzionalita'. 
    In ogni caso, il termine fissato dall'art.  18,  comma  2,  della
legge  regionale  predisporrebbe  una  tutela   sufficiente   per   i
proprietari dei terreni adibiti a tartufaie controllate,  consentendo
un graduale e progressivo ridimensionamento di quest'ultime. 
    In prossimita' dell'udienza, il Consorzio del tartufo di Roscetti
ha presentato una  memoria  con  la  quale  ha  ribadito  le  proprie
argomentazioni  a  favore  dell'accoglimento   della   questione   di
costituzionalita' sollevata dal  Tribunale  amministrativo  regionale
dell'Umbria. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Tribunale  amministrativo  regionale  dell'Umbria  dubita
della legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.  3,  41,
42 e 117 della Costituzione, dell'art. 4 della  legge  della  Regione
Umbria 26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori modificazioni ed  integrazioni
della legge regionale 28 febbraio  1994,  n.  6  -  Disciplina  della
raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), nella
parte in cui, aggiungendo i commi 2-quater e 2-quinquies  all'art.  4
della legge della Regione Umbria 28 febbraio 1994, n.  6  (Disciplina
della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi),
prevede   limiti   all'estensione   territoriale   delle    tartufaie
controllate  o  coltivate,  nonche',  in  riferimento   ai   medesimi
parametri, dell'art. 18 della medesima legge regionale,  nella  parte
in cui estende l'applicazione delle nuove norme anche alle  tartufaie
gia' riconosciute. 
    Secondo il rimettente, le norme in  oggetto  violerebbero  l'art.
117, terzo comma,  Cost.  in  quanto,  rientrando  nell'ambito  della
competenza  concorrente  relativa  alla   valorizzazione   dei   beni
ambientali, si porrebbero in contrasto con il principio  fondamentale
recato dall'art. 3 della legge quadro statale, 16 dicembre  1985,  n.
752  (Normativa  quadro  in  materia  di  raccolta,  coltivazione   e
commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo), per
la disciplina della raccolta libera  dei  tartufi,  che  non  prevede
limiti per l'individuazione delle tartufaie controllate o coltivate. 
    Inoltre,  l'introduzione  dei  suddetti  limiti   di   estensione
territoriale violerebbe gli artt. 3, 41 e 42 Cost., determinando  una
irragionevole disparita' di  trattamento  fra  il  ricercatore  e  il
proprietario  del  fondo,  il  primo  dei  quali   si   arricchirebbe
ingiustamente a detrimento del secondo,  potendo  lucrare,  oltre  al
giusto compenso per la propria opera di  ricerca,  anche  il  maggior
valore inerente ad un bene economico alla cui  produzione  in  nessun
modo ha concorso, sottraendolo interamente al proprietario. 
    Il TAR dell'Umbria, sul presupposto che la raccolta  dei  tartufi
sia un'attivita' produttiva, ritiene violato anche l'art.  41  Cost.,
in quanto le disposizioni introdotte dalla legge regionale, nel porre
limiti  estremamente  restrittivi  all'estensione   delle   tartufaie
controllate, inciderebbero sulla  liberta'  d'impresa,  impedendo  al
proprietario di assumere iniziative  economiche  con  investimenti  e
lavoro, a fronte della prospettiva di un utile. 
    In subordine, il  rimettente  ripropone  le  stesse  censure  nei
confronti dell'art. 18 della legge  regionale  n.  8  del  2004  che,
anziche'   far   salve   le   tartufaie   controllate    riconosciute
anteriormente alla  sua  entrata  in  vigore,  ha  ordinato  la  loro
riperimetrazione entro un anno dall'entrata in  vigore  della  legge,
assoggettandole cosi' alla nuova disciplina in violazione degli artt.
3, 41 e 42 Cost. La norma comprometterebbe le  legittime  aspettative
dei titolari dei fondi, maturate per effetto non  solo  e  non  tanto
degli atti amministrativi di riconoscimento, ma anche  e  soprattutto
degli investimenti gia' effettuati e dei lavori compiuti. 
    2. - Le questioni non sono fondate. 
    Questa Corte ha gia' affermato che l'ambito materiale al quale si
deve ascrivere la disciplina  della  raccolta  dei  tartufi,  che  e'
oggetto della  legge  regionale  n.  8  del  2004,  e'  quello  della
valorizzazione dei beni ambientali, di competenza  concorrente,  cio'
in  quanto  «il  patrimonio  tartuficolo  costituisce   una   risorsa
ambientale della Regione, suscettibile di razionale sfruttamento,  la
cui valorizzazione compete percio' alla Regione  medesima,  ai  sensi
dell'art. 117, terzo comma,  della  Costituzione,  nel  rispetto  dei
principi fondamentali dettati dal legislatore statale»  (sentenza  n.
212 del 2006). 
    In tale occasione la Corte ha anche  delimitato  la  portata  del
principio fondamentale della materia, secondo il quale  «la  raccolta
dei tartufi e' libera nei boschi e nei terreni non coltivati» (art. 3
della legge n. 752 del 1985), precisando che, secondo il  legislatore
statale, coessenziale all'affermazione di tale  liberta'  e'  la  sua
limitazione al solo ambito dei boschi e dei  terreni  non  coltivati,
nell'ottica di un  ragionevole  bilanciamento  tra  le  esigenze  «di
quella parte della popolazione  che  nella  ricerca  e  raccolta  dei
tartufi trova un motivo di distensione ed anche di  integrazione  del
proprio reddito (sentenza  n.  328  del  1990)  e  la  necessita'  di
difendere il patrimonio ambientale dal rischio di danni  irreparabili
e di tutelare altresi' i diritti dei proprietari dei fondi» (sentenza
n. 212 del 2006). 
    La Corte ha, poi, precisato che la legge quadro n. 752 del  1985,
all'art.  3,  quinto  comma,  si  limita  a  definire  le   tartufaie
controllate come «tartufaie naturali migliorate e incrementate con la
messa a dimora di un congruo numero di piante  tartufigene»  e,  che,
stante  l'evidente  genericita'  di  tale  definizione,  di  per  se'
insuscettibile di pratica applicazione, non puo'  che  spettare  alle
Regioni, in base  alle  regole  di  riparto  della  competenza  nelle
materie  di  legislazione  concorrente,  la  normativa  di  dettaglio
diretta  alla  concreta   individuazione   dei   requisiti   per   il
riconoscimento di tartufaia controllata. In particolare, «in mancanza
di qualsiasi enunciazione di principio, nella legge statale, riguardo
alla  estensione  delle  suddette  tartufaie  controllate,  non  puo'
certamente ritenersi precluso alle medesime Regioni di fissare limiti
massimi, in relazione alle specifiche caratteristiche del  territorio
regionale, onde evitare  una  eccessiva  compressione  del  principio
fondamentale della libera raccolta  nei  boschi  e  nei  terreni  non
coltivati» (sentenza n. 212 del 2006). 
    In conclusione, con riferimento alla prima censura relativa  alla
violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  deve   escludersi
l'esistenza,   nella   legislazione   statale,   di   un    principio
fondamentale, quale quello elaborato dal rimettente, secondo il quale
sarebbe   vietato   al   legislatore   regionale   prevedere   limiti
territoriali per l'estensione delle tartufaie controllate. 
    Quanto alle altre censure relative agli artt. 3, 41 e  42  Cost.,
con le quali si lamenta l'irragionevole  e  illegittima  compressione
del  diritto  di  proprieta'  e  del  diritto  di  libera  iniziativa
economica dei titolari delle tartufaie controllate, va in primo luogo
richiamata la sentenza di questa Corte n. 328 del 1990, con la  quale
si e' negata la violazione dell'art. 42, secondo e terzo comma, della
Costituzione, per la mancata  previsione  da  parte  del  legislatore
statale di un indennizzo o di un compenso a favore dei proprietari di
terreni non coltivati o di boschi a fronte del mancato riconoscimento
del loro diritto esclusivo di proprieta' sui tartufi. 
    Con tale sentenza la Corte ha ribadito che «detta violazione  non
si verifica allorquando, come nella fattispecie, i limiti posti  alla
proprieta' privata si riferiscano ai  modi  di  godimento  di  intere
categorie di beni, specie nell'ambito della attuazione della funzione
sociale che deve svolgere il diritto  di  proprieta'  per  la  tutela
accordata ad interessi sociali e quindi pubblici che fanno capo  alla
generalita' dei cittadini».  La  funzione  sociale  che  persegue  il
principio della libera raccolta dei  tartufi  e',  come  gia'  dianzi
accennato, quella  «di  salvaguardare  un  patrimonio  ambientale  di
grande valore, specie a favore di quella parte della popolazione  che
nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo  di  distensione
ed anche di integrazione del proprio reddito» (sentenza  n.  328  del
1990). 
    Le motivazioni ora riferite, che sono  state  poste  a  base  del
rigetto della questione relativa alla mancanza di  indennizzo  per  i
proprietari dei boschi e dei  terreni  non  coltivati  in  violazione
dell'art. 42, terzo comma, Cost., ben possono estendersi  anche  alla
presunta  violazione  dell'art.  41  Cost.,  dovendosi  ritenere  non
configurabile  una  lesione  della  liberta'  d'iniziativa  economica
allorche' l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio
corrisponda all'utilita' sociale. Cio'  che  conta  e'  che,  per  un
verso, l'individuazione dell'utilita' sociale, come ora motivata, non
appaia  arbitraria  e  che,  per  altro  verso,  gli  interventi  del
legislatore non la perseguano mediante misure  palesemente  incongrue
(sentenza n. 548 del 1990). 
    Va, altresi', considerato che l'espressione «boschi e terreni non
coltivati», di cui all'art. 3 della legge  quadro,  richiamata  anche
dalle leggi regionali di attuazione, deve essere letta  insieme  alle
norme del codice civile (artt. 841 e 842  cod.  civ.)  e  alle  leggi
sulla caccia e che, pertanto, e' vietato  raccogliere  liberamente  i
tartufi oltre che nei terreni coltivati (per i  quali,  peraltro,  la
censurata legge regionale non prevede limiti dimensionali) anche  nei
fondi chiusi e recintati, secondo le previsioni del codice civile  e,
comunque, nelle aziende  faunistico-venatorie  che  sono  chiuse  con
recinzioni, barriere o palizzate secondo le  previsioni  delle  leggi
regionali sulla caccia (sentenza n. 328 del  1990).  In  tali  ultimi
casi, dunque, il diritto di proprieta' sui tartufi e'  riservato  dal
legislatore a tutti coloro  che  hanno  diritti  di  godimento  o  di
proprieta' sul fondo, anche se non vi sia stata alcuna apposizione di
tabelle recanti il  divieto  di  raccolta  di  tartufi,  non  essendo
consentita, secondo l'interpretazione che questa Corte ha dato  delle
norme applicabili, la libera raccolta. 
    La   limitazione    introdotta    dal    legislatore    regionale
all'estensione territoriale delle tartufaie controllate non  risulta,
quindi, ne' irragionevole ne' contrastante con  gli  artt.  41  e  42
Cost. in quanto, come si e' detto, la stessa risponde all'esigenza di
evitare una eccessiva compressione del principio  fondamentale  della
libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati  e  compie  un
non  censurabile  bilanciamento  tra  i  diritti  dei  proprietari  o
conduttori dei fondi (che potranno escludere l'accesso agli  estranei
chiudendo il fondo) e l'utilita' sociale correlata alla  possibilita'
di libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati cosi'  come
sopra restrittivamente individuati. 
    Infine, anche l'ultima questione sollevata dal TAR  in  relazione
all'art. 18 della legge della  Regione  Umbria  n.  8  del  2004  che
impone, entro  un  anno  dall'entrata  in  vigore  della  legge,  una
riperimetrazione    delle    tartufaie     controllate     costituite
precedentemente, non e' fondata. 
    Il regime transitorio ora indicato non e' irragionevole posto che
«se  da  una  parte  il  legislatore,  per  salvaguardare   posizioni
acquisite e  temperare  le  conseguenze  dell'impatto  di  una  nuova
normativa, puo' dettare norme transitorie intese  a  mantenere  ferme
disposizioni abrogate per situazioni precedenti l'entrata  in  vigore
della nuova legge, dall'altra, per non cadere  nell'irrazionalita'  e
non ledere norme  costituzionali,  deve  evitare  che  la  disciplina
differenziata si estenda a categorie cosi' vaste e  senza  limiti  di
tempo con  l'effetto  di  realizzare  non  il  graduale  e  sollecito
subentro della  nuova  normativa,  ma  un  notevole  svuotamento  del
contenuto di quest'ultima, lasciando nell'ordinamento  sine  die  una
duplicita'  di  discipline  diverse  e  parallele   per   le   stesse
disposizioni» (sentenza n. 378 del 1994). 
    D'altra  parte,  laddove  fosse   prevista   per   le   tartufaie
controllate gia' riconosciute la  non  applicabilita'  sine  die  dei
nuovi limiti territoriali, si determinerebbe una evidente  disparita'
di trattamento tra  coloro  che  si  sono  avvalsi  del  regime  piu'
favorevole e coloro che, invece, devono subire il  limite  introdotto
dalle norme censurate, con  l'ulteriore  effetto  che  il  differente
trattamento potrebbe determinare effetti distorsivi sul mercato,  con
lesione del principio della concorrenza. 
    Ne' puo' essere lamentata una sproporzione talmente  marcata  tra
la normativa a regime e la disposizione transitoria da trasmodare  in
irragionevolezza, posto che il comma 5  dell'art.  9  della  medesima
legge  regionale  prevede  che  «il  riconoscimento  delle  tartufaie
controllate ha  validita'  quinquennale»  ed  il  censurato  comma  2
dell'art. 18 della legge regionale n.  8  del  2004  prevede  che  la
riperimetrazione debba avvenire entro il termine di un anno.