IL TRIBUNALE Letti gli atti e i documenti di causa, sciogliendo la riserva che precede, ha pronunciato la seguente ordinanza. I n f a t t o Con atto di citazione notificato in data 24 giugno 2005 la Dimet s.a.s. di De Giovanni & C. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 412/05 emesso da questo tribunale su istanza della Ge.Ber. s.n.c. di Aguiari Renata & C. per il pagamento della somma di euro 16.768,08 oltre interessi e spese a titolo di prezzo di merce fornita, che parte attrice opponente contestava di avere mai acquistato. Con comparsa depositata alla udienza di prima comparizione, si costituiva in giudizio parte convenuta opposta, contestando in toto le allegazioni attoree. Concessi all'udienza di prima trattazione i richiesti termini per il deposito di memorie ex artt. 183 e 184 c.p.c. (disciplina previgente), all'udienza del 17 maggio 2007, fissata per l'ammissione delle prove, il difensore di parte convenuta opposta dichiarava l'intervenuta pronuncia di fallimento della Ge.Ber. s.n.c. (e dei soci illimitatamente resposabili) con sentenza di questo tribunale depositata il 17 gennaio 2007. Alla stessa udienza veniva dichiarata l'interruzione del processo. Con ricorso depositato in data 14 settembre 2007 la Dimet s.a.s. di De Giovanni & C., dichiarandosi interessata alla prosecuzione del giudizio, chiedeva la fissazione di nuova udienza. Notificato il ricorso e il pedissequo decreto in data 29 ottobre 2007, all'udienza 12 febbraio 2008 il fallimento della Ge.Ber. s.n.c. di Aguiari Renata & C. si costituiva in giudizio, eccependo pregiudizialmente l'estinzione del giudizio, per non avere parte attrice opponente riassunto tempestivamente la causa. Allegava in particolare che ai sensi dell'art. 305 c.p.c. il processo doveva essere riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dall'interruzione e, tenuto conto che ai sensi dell'art. 43 comma 3 l.f. (comma introdotto dall'art. 41 del d.lgs. n. 5/2006) l'interruzione doveva ritenersi automatica a seguito dell'apertura del fallimento, la riassunzione dove ritenersi tardiva, essendo stato il fallimento dichiarato in data 17 gennaio 2007 e la riassunzione operata con ricorso depositato il 14 settembre 2007. Gradatamente chiedeva il rigetto nel merito dell'opposizione. Parte attrice opponente insisteva per l'accoglimento delle istanze istruttorie gia' formulate, chiedendo il rigetto dell'eccezione di estinzione e chiedendo comunque termine per il deposito di memorie ex art. 170 c.p.c. Il giudice istruttore, con ordinanza datata 22 ottobre 2008, invitava le parti alla trattazione della questione di diritto ivi evidenziata (possibile contrarieta' dell'art. 305 c.p.c. con riferimento alle ipotesi disciplinate dall'art. 43 comma 3 l.f. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui, anche per la parte in lite che non e' quella fallita, fa decorrere il termine stabilito per la riassunzione dalla data dell'apertura del fallimento, anziche' dalla data della effettiva conoscenza dell'evento interruttivo). I procuratori delle parti depositavano quindi memorie autorizzate e venivano sentiti alla successiva udienza, ove il giudice si riservava di provvedere. I n d i r i t t o Questo ufficio intende sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 305 c.p.c. con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., per la parte in cui fa decorrere dalla data dell'interruzione del processo per intervenuta dichiarazione di fallimento ex art. 43, comma 3 l.f. (comma introdotto dall'art. 41, d.lgs. n. 5/2006), e non dalla data dell'effettiva conoscenza dell'evento interruttivo, il termine per la riassunzione del processo ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita (ovvero diversa dai soggetti che comunque hanno partecipato al procedimento per la dichiarazione di fallimento). La rilevanza della questione. La questione e' rilevante nel presente giudizio, tenuto conto che il disposto dell'art. 43, comma 3 l.f. supra cit. (il quale stabilisce che «l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo») si applica alla presente fattispecie, ove la materia del contendere ha ad oggetto rapporti di diritto patrimoniale dell'impresa dichiarata fallita in corso di causa. La questione e' inoltre rilevante nel presente giudizio, perche' il disposto dell'art. 43, comma 3 l.f. supra cit. e' nella specie applicabile ratione temporis. Ai sensi dell'art. 153, d.lgs. n. 5/2006 la norma appena citata si applica infatti a partire dal 16 luglio 2006 (decorsi sei mesi dalla pubblicazione del d.lgs.) e quindi era gia' vigente alla data del 17 gennaio 2007, data in cui e' stato aperto il fallimento di parte convenuta opposta (doc. 1, fasc. fallimento). A nulla rileva il richiamo contenuto alla disciplina transitoria regolata dall'art. 150, d.lgs. n. 5/2006 (ove e' stabilito che i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell'entrata in vigore del medesimo decreto, nonche' le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore), perche' nella specie non si tratta di applicare le norme che regolano la procedura concorsuale - nella specie comunque avviata successivamente al 16 luglio 2006 e quindi regolata dalle nuove disposizioni (v. doc. 1, fasc. fallimento), - ma di applicare ai processi pendenti la nuova disciplina processuale gia' in vigore all'epoca della dichiarazione di fallimento. La questione e' altresi' rilevante nel giudizio in corso, perche' ai sensi del novellato art. 43, comma 3 c.f. l'interruzione del processo a seguito di fallimento di una delle parti opera automaticamente dalla dichiarazione di fallimento, a prescindere dalla dichiarazione in udienza o dalla notifica che ne faccia il procuratore della parte fallita, e deve pertanto essere anche rilevata d'ufficio, sicche', tenendo come dies a quo per il computo del termine di riassunzione la data della apertura di fallimento (17 gennaio 2007), senza dubbio la riassunzione nella specie operata da parte attrice opponente risulta tardiva, avendo quest'ultima depositato il relativo ricorso in data 14 settembre 2007 mentre avrebbe dovuto depositarlo entro il 17 luglio 2007. L'automaticita' dell'effetto interruttivo dell'apertura del fallimento e' senza dubbio espressione della volonta' del legislatore, interessato ad imprimere una certa accelerazione ai processi in cui sono coinvolti soggetti dichiarati falliti, mediante la previsione di un meccanismo che impone agli organi della procedura di decidere subito che cosa fare del giudizio in corso. Nella relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. n. 5/2006 si legge infatti che «in sintonia al criterio di delega secondo cui occorre accelerare le procedure applicabili alle controversie in materia fallimentare, si dispone che l'apertura del fallimento determina l'interruzione di diritto del processo evitando cosi' che lo stesso possa essere interrotto a distanza di tempo qualora le parti informino formalmente il giudice ex art. 300 c.p.c.». Si consideri infatti che la giurisprudenza maturata prima che venisse novellato l'art. 43 l.f. assimilava la dichiarazione di fallimento ai casi di morte o di perdita della capacita' della parte, con la conseguenza che l'interruzione del processo si verificava, per la parte costituita, soltanto se e quando tali eventi venivano dichiarati in udienza o notificati alle altre parti dal procuratore della parte stessa (v. da ultimo Cass., sez. un., 20 marzo 2008, n. 7443, ove si e' anche specificato che in questi casi l'interruzione opera dal momento della dichiarazione o della notificazione del procuratore e non dal momento della eventualmente successiva dichiarazione effettuata dal giudice che ha valore meramente ricognitivo). Costituiva dunque un'eventualita' che il processo venisse interrotto e comunque poteva decorrere moltissimo tempo prima che il difensore della parte fallita effettuasse la dichiarazione o la notificazione dell'evento interruttivo cosi' provocando un inutile dispendio di tempi e risorse processuali. Concorde nel ritenere l'automatica interruzione del processo e' l'interpretazione fornita dalla dottrina dominante e dalla giurisprudenza di legittimita' che si e' pronunciata sia pure incidentalmente sul punto (v. Cass., s.u., 20 marzo 2008 n. 7443, ove, relativamente ad un giudizio instaurato in primo grado nel 1989, la suprema Corte di cassazione ha ribadito che il termine semestrale per la riassunzione del processo interrotto per intervenuto fallimento decorre dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione dell'evento interruttivo, e non dal momento in cui l'interruzione e' dichiarata dal giudice, precisando tuttavia in un passaggio della motivazione - tra parentesi - che il sopra riportato principio di diritto vale «fino alla modifica dell'art. 43 l.fall. ad opera dell'art. 41 del d.lgs. n. 5/2006 che prevede invece l'interruzione automatica del processo a seguito dell'apertura del fallimento»). La questione e' rilevante nel giudizio in corso, perche' nella specie non risulta in alcun modo che parte attrice abbia avuto conoscenza della intervenuta dichiarazione di fallimento di parte convenuta prima della dichiarazione effettuata all'udienza del 17 maggio 2007, non risultando neppure che abbia partecipato al procedimento per la dichiarazione di fallimento (v. doc. 1, fasc. conv. depositato all'udienza del 12 febbraio 2008). Non ha infatti alcun valore la circostanza che parte attrice avrebbe comunque potuto depositare tempestivamente il ricorso per riassunzione nel periodo compreso tra il 17 maggio 2007, data in cui il difensore di parte convenuta opposta ha dichiarato in udienza l'intervenuta dichiarazione di fallimento, e il 17 luglio 2007, data in cui scadeva il termine perentorio per la riassunzione, dovendosi infatti ritenere che il problema dell'adeguatezza di un termine legale di deliberazione sorge quando la norma non pone ogni soggetto cui essa si riferisce in grado di utilizzare nella sua interezza il tempo da essa assegnato (cosi' Corte cost. 6 luglio 1971 n. 159; 15 dicembre 1967 n. 139). Neppure assume rilievo la circostanza che ai sensi dell'art. 16 l.f. (sul punto identico al testo previgente), gli effetti della sentenza di fallimento «nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese», cosi' richiamando implicitamente l'operativita' dell'art. 2193 c.c. In primo luogo si deve infatti considerare che nella specie parte convenuta non ha allegato se e quando e' stata effettuata tale iscrizione, sicche' nella specie, tenuto conto delle preclusioni maturate (v. supra lo svolgimento del processo), deve escludersi la possibilita' di valutare ai fini della decisione se e quando detta iscrizione sia avvenuta. In secondo luogo, e gradatamente, si deve tenere presente che la giurisprudenza di legittimita' e' consolidata nel ritenere che la presunzione di conoscenza da parte dei terzi dei fatti di cui la legge prescrive l'iscrizione nel registro delle imprese a norma dell'art. 2193 c.c. non opera in campo processuale, che e' regolato da norme speciali (Cass. 5 luglio 2007 n. 15234; 5 luglio 2007 n. 15234; 22 marzo 2007 n. 6948; 6 luglio 2004 n. 12387; 11 maggio 2004 n. 8908). Ovviamente tale giurisprudenza e' maturata prima della modifica dell'art. 43 l.f., quando la dichiarazione di fallimento veniva ricondotta alla disciplina fornita dall'art. 300 c.p.c., ma deve escludersi che essa debba essere ora rivista, tenuto conto che la novellazione dell'art. 43 l.f. conferma la specialita' della disciplina prevista per la sopravvenuta dichiarazione di fallimento nei rapporti processuali pendenti. La questione e' infine rilevante nel giudizio in corso, perche', trattandosi di processo di opposizione a decreto ingiuntivo, l'eventuale accoglimento dell'eccezione di estinzione del giudizio, in forza dell'applicazione del combinato disposto degli artt. 43 l.f. e 305 c.p.c. comporterebbe l'acquisto da parte del decreto ingiuntivo opposto dell'efficacia esecutiva prevista all'art. 653 c.p.c. La non manifesta infondatezza. La questione non e' manifestamente infondata con riferimento all'art. 24 Cost. , nella parte in cui e' stabilito che «la difesa e' in diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» tenuto conto che, applicando sic et simpliciter l'art. 305 c.p.c. all'ipotesi disciplinata dall'art. 43, comma 3 l.f., la parte in lite che non ha avuto notizia dell'intervenuta dichiarazione di fallimento rischia, come nella specie e' in concreto avvenuto, di subire gli effetti del decorso del termine semestrale per la riassunzione del processo, e quindi la sanzione dell'estinzione dello stesso (nella specie con l'acquisto dell'efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo opposto), senza che sia ad essa imputabile alcuna inerzia colpevole, non avendo avuto notizia dell'evento interruttivo. Occorre rilevare che l'art. 43 l.f. nuovo testo introduce un meccanismo identico a quello che si verificava nei casi di morte (o perdita della capacita') della parte prima della costituzione, di morte (o perdita di capacita') della parte costituita personalmente ed anche nei casi di morte, radiazione e sospensione del procuratore, tutti costituenti causa di interruzione automatica del processo, in relazione ai quali e' dovuta intervenire espressamente per due volte la Corte costituzionale (pronunce n. 159/71 e n. 139/67) che ha appunto dichiarato incostituzionale per violazione dell'art. 24 Cost. l'art. 305 c.p.c. nella parte in cui faceva decorrere il termine semestrale per la riassunzione o prosecuzione del processo interrotto dalla verificazione degli eventi contemplati negli articoli 299, 300, comma 3 e 301 c.p.c. anziche' dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza. La questione non e' manifestamente infondata neppure con riferimento all'art. 3 Cost., perche' vi e' un'evidente disparita' di trattamento tra l'impresa fallita (ed anche gli eventuali creditori che abbiano partecipato alla fase prefallimentare) e la parte in lite nel processo poi interrotto che invece a tale procedura prefallimentare non ha partecipato. La questione infine non e' manifestamente infondata neppure con riferimento all'art. 111, secondo comma Cost., laddove stabilisce che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parita', perche' non vi e' parita' tra la parte dichiarata fallita (e le altre parti che hanno partecipato alla fase prefallimentare) e l'altra parte in lite che non ha partecipato alla procedura prefallimentare, tenuto conto che la prima non puo' non essere a conoscenza della intervenuta dichiarazione di fallimento, che determina l'automatica interruzione del processo, e quindi puo' attivarsi nel termine di sei mesi per riassumere il procedimento, mentre la seconda vede decorrere questo termine senza che sia a conoscenza della verificazione del fatto interruttivo. Si deve infatti tenere presente che l'esigenza di accelerazione del processo; espressione del principio fondamentale ad una ragionevole durata dello stesso (derivante sempre dall'art. 111, secondo comma Cost.) va di pari passo con il rispetto delle fondamentali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e del diritto dei soggetti, nella cui sfera giuridica l'atto finale e' destinato ad esplicare i suoi effetti, alla partecipazione al processo in condizioni di parita' (art. 111, secondo comma Cost.). La questione di legittimita' costituzionale sollevata non incide peraltro sul decorso del termine semestrale per la prosecuzione o la riassunzione del processo ex art. 305 c.p.c. per il fallimento, che decorre dalla pubblicazione della sentenza che ne dichiara la apertura, sicche' la funzione di accelerazione cui il novellato art. 43 l.f. mira (v. supra) deve comunque ritenersi soddisfatta. Statuizioni conseguenti. Tanto premesso in fatto e in diritto, va disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione sulla questione pregiudiziale di legittimita' costituzionale come sopra rilevata in quanto rilevante e non manifestamente infondata. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. (1) Si consideri infatti che la giurisprudenza maturata prima che venisse novellato l'art. 43 l.f. assimilava la dichiarazione di fallimento ai casi di morte o di perdita della capacita' della parte, con la conseguenza che l'interruzione del processo si verificava, per la parte costituita, soltanto se e quando tali eventi venivano dichiarati in udienza o notificati alle altre parti dal procuratore della parte stessa (v. da ultimo Cass., sez. un., 20 marzo 2008, n. 7443, ove si e' anche specificato che in questi casi l'interruzione opera dal momento della dichiarazione o della notificazione del procuratore e non dal momento della eventualmente successiva dichiarazione effettuata dal giudice che ha valore meramente ricognitivo). Costituiva dunque un'eventualita' che il processo venisse interrotto e comunque poteva decorrere moltissimo tempo prima che il difensore della parte fallita effettuasse la dichiarazione o la notificazione dell'evento interruttivo cosi' provocando un inutile dispendio di tempi e risorse processuali. (2) Occorre rilevare che l'art. 43 l.f. nuovo testo introduce un meccanismo identico a quello che si verificava nei casi di morte (o perdita della capacita') della parte prima della costituzione, di morte (o perdita di capacita') della parte costituita personalmente ed anche nei casi di morte, radiazione e sospensione del procuratore, tutti costituenti causa di interruzione automatica del processo, in relazione ai quali e' dovuta intervenire espressamente per due volte la Corte costituzionale (pronunce n. 159/71 e n. 139/67) che ha appunto dichiarato incostituzionale per violazione dell'art. 24 Cost. l'art. 305 c.p.c. nella parte in cui faceva decorrere il termine semestrale per la riassunzione o prosecuzione del processo interrotto dalla verificazione degli eventi contemplati negli articoli 299, 300, comma 3 e 301 c.p.c. anziche' dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza.