Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 240, commi 3, 4,
5 e 6, del codice di procedura penale, come  modificato  dall'art.  1
del decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259 (Disposizioni urgenti per
il riordino della normativa in tema di intercettazioni  telefoniche),
convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2006, n.  281,
promossi dal Giudice per le indagini  preliminari  del  Tribunale  di
Milano con ordinanza del 30 marzo 2007, dal Giudice per  le  indagini
preliminari del Tribunale di  Vibo  Valentia  con  ordinanza  del  21
maggio 2007 e dal Giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale
di  Milano  con  ordinanza  del  13  dicembre  2007,  rispettivamente
iscritte al n. 508 del registro ordinanze 2007 ed ai nn. 50 e 84  del
registro ordinanze 2008, pubblicate nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 27, 1ª serie speciale, dell'anno 2007 e nn. 11 e 15, 1ª
serie speciale, dell'anno 2008; 
    Udito nella Camera di consiglio del 22  aprile  2009  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Il Giudice per le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di
Milano, con ordinanza del 30 marzo 2007 (r.o. n. 508  del  2007),  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111,
primo, secondo e quarto comma, e 112 della Costituzione  -  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 240, commi 3, 4, 5 e 6,  del
codice  di  procedura  penale,  come  modificato  dall'art.   1   del
decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259 (Disposizioni urgenti per  il
riordino della normativa in  tema  di  intercettazioni  telefoniche),
convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2006, n. 281. 
    Il rimettente e' investito del procedimento incidentale  promosso
dal pubblico ministero, in applicazione delle norme censurate, per la
distruzione  di  supporti  digitali  recanti  informazioni  acquisite
illegalmente,  sequestrati  e  trattenuti   dallo   stesso   pubblico
ministero, con produzione per l'udienza  di  documenti  cartacei  che
descrivono quanto in sequestro. 
    Il  giudizio  principale   concerne   il   rapporto   associativo
asseritamente  instaurato  tra   soggetti   in   diverse   condizioni
professionali: dirigenti e dipendenti di societa'  riferibili  ad  un
gruppo operante nel settore della telefonia, dirigenti  e  dipendenti
di  agenzie  di   investigazione   privata,   appartenenti   o   gia'
appartenenti all'Arma dei Carabinieri, alla Guardia di Finanza,  alla
Polizia di Stato, al Sismi. Scopo dell'associazione criminosa sarebbe
stata la raccolta illegale di informazioni riguardanti  i  piu'  vari
soggetti, con accesso a banche  dati  riservate  per  il  tramite  di
pubblici funzionari  corrotti  o  di  dipendenti  delle  societa'  di
telefonia sopra citate. I dati sarebbero stati raccolti per conto dei
responsabili  delle  agenzie  di  investigazione,  in   vista   della
remunerazione  loro   versata   dai   committenti   delle   attivita'
investigative. 
    Le contestazioni elevate dal pubblico ministero - secondo  quanto
riferisce il rimettente - attengono al delitto previsto dall'art. 416
del codice penale, ed inoltre prospettano  fatti  di  corruzione  per
atto contrario ai doveri dell'ufficio  (art.  319  cod.  pen.)  e  di
rivelazione ed utilizzazione del segreto  d'ufficio  (art.  326  cod.
pen.). 
    L'udienza camerale e' stata promossa dal pubblico  ministero  con
esclusivo riguardo ai documenti concernenti  quattro  delle  numerose
persone assoggettate ad illecite attivita' di indagine. Il giudice  a
quo riferisce che, in apertura dell'udienza  medesima,  questioni  di
legittimita' costituzionale della disciplina concernente  l'immediata
distruzione  dei  supporti  contenenti  le   informazioni   acquisite
illegalmente sono state prospettate dal rappresentante della pubblica
accusa, dai difensori di tre delle quattro persone offese,  ed  anche
dalla difesa di una delle persone soggette alle indagini. 
    1.1. - Allo scopo di motivare il proprio giudizio di rilevanza  e
non manifesta infondatezza delle questioni sollevate,  il  rimettente
ricostruisce i tratti essenziali del procedimento regolato dal  nuovo
testo dell'art. 240 cod. proc. pen. In particolare,  viene  posto  in
luce  come  il  pubblico  ministero  debba  formulare  richiesta   di
distruzione  del  materiale   informativo   entro   quarantotto   ore
dall'acquisizione (comma 3), come il giudice debba fissare  l'udienza
camerale entro le successive quarantotto ore e non  oltre  il  decimo
giorno dalla richiesta (comma 4), come l'eventuale  provvedimento  di
accoglimento  debba  essere  deliberato  e  pronunciato  nell'udienza
medesima, con contestuale ed immediata esecuzione (comma 5). 
    Sebbene  sia  chiaro  che  la  sequenza  deve   muovere   da   un
accertamento ragionevolmente  sicuro  della  peculiare  qualita'  del
materiale  da  distruggere,  l'intera  struttura   del   procedimento
esprime, a parere del rimettente, il carattere precoce e  preliminare
dell'adempimento, in armonia del resto con la ratio della previsione,
che mira ad elidere in  radice  il  rischio  della  pubblicazione  di
notizie riservate ed acquisite in modo illecito. 
    Sarebbe evidente inoltre, sempre secondo il giudice a  quo,  come
la procedura di distruzione debba  essere  avviata  anche  quando  le
informazioni  riservate  coincidano  con   l'oggetto   dell'attivita'
delittuosa cui si riferisce il procedimento principale (nel  caso  di
specie, la rivelazione  del  segreto  di  ufficio  concernente  dette
informazioni). 
    1.2. - Il Tribunale ritiene che le norme  censurate  contrastino,
anzitutto,  con  il  secondo   comma   dell'art.   24   Cost.,   data
l'illegittima compressione che ne deriva circa il diritto  di  difesa
del  soggetto  indagato  o  imputato  nell'ambito  del   procedimento
principale. 
    In particolare, il rito camerale disciplinato dall'art. 240  cod.
proc. pen.  -  anche  attraverso  il  richiamo  al  modello  generale
dell'art. 127 - non varrebbe ad assicurare garanzie adeguate rispetto
alla funzione cui la procedura e' deputata, cioe'  la  produzione  di
una prova, con valenza  dibattimentale,  della  provenienza  illecita
delle informazioni recate dal documento destinato  alla  distruzione.
La sola possibilita' per  il  giudice  di  approfondire  aspetti  del
fatto,  data   anche   la   forzata   celerita'   del   procedimento,
consisterebbe nell'audizione delle parti presenti, e detta  presenza,
d'altro canto,  sarebbe  del  tutto  facoltativa  (anche  per  quanto
concerne i difensori tecnici e  lo  stesso  pubblico  ministero).  In
altre parole, la precostituzione della prova d'accusa sarebbe rimessa
ad un contraddittorio solo eventuale  e  comunque  sommario,  il  che
varrebbe ad integrare l'ulteriore violazione  dell'art.  111,  primo,
secondo e quarto comma, Cost. 
    Il rimettente precisa che non intende mettere in  discussione  la
scelta legislativa per una formazione anticipata della prova rispetto
alla  sede  dibattimentale.  Tuttavia  tale  anticipazione   dovrebbe
riguardare anche  le  forme  dell'accertamento  dibattimentale,  come
avviene per l'incidente probatorio, in guisa da garantire l'effettivo
contraddittorio tra le parti e la  pienezza  del  loro  diritto  alla
prova. 
    Peraltro,  secondo  il  Tribunale,  il  disposto   costituzionale
sarebbe comunque violato per effetto della disciplina che concerne il
verbale cui resta rimessa - a norma del  comma  1-bis  dell'art.  512
cod. proc. pen. - la prova delle  attivita'  illecite  connesse  alla
formazione od acquisizione del materiale da distruggere.  E'  infatti
prescritto (comma 6 dell'art. 240 cod. proc.  pen.)  che  il  giudice
«dia atto» della  condotta  illecita  riscontrata  e  delle  relative
modalita', ed elenchi le persone interessate,  ma  e'  precluso  ogni
riferimento «al contenuto» dei «documenti, supporti e atti», e dunque
alle informazioni la cui acquisizione sarebbe stata illegittima. 
    Cio' comporta, secondo il rimettente, che il giudice  del  merito
non possa prendere  diretta  cognizione  della  prova,  e  limita  la
possibilita' per l'accusato di  difendersi,  ad  esempio  negando  il
carattere segreto della notizia raccolta o la  sua  acquisizione  con
modalita' illecite. Il riscontro delle tesi in  questione  resterebbe
precluso,  infatti,  dopo  la  distruzione  del  supporto.   Inoltre,
quand'anche fosse raggiunta la  prova  di  colpevolezza,  il  giudice
sarebbe  privo  di   informazioni   essenziali   per   una   adeguata
quantificazione della pena, che non potrebbe prescindere dalla natura
delle informazioni acquisite. 
    In sostanza, a  parere  del  giudice  a  quo,  «la  procedura  di
distruzione  non  e'  solo  una  modalita'  di  anticipazione   nella
formazione della prova  -  pure  realizzata  con  modalita'  che  non
garantiscono  il  diritto  di  difesa  -  ma  anche   di   anticipata
eliminazione definitiva della  prova,  con  diretto  pregiudizio  del
diritto di difesa». 
    1.3.  -  La  disciplina   censurata   implicherebbe   conseguenze
negative, con specifica  violazione  del  primo  comma  dell'art.  24
Cost., anche nei confronti della persona offesa dal  reato  integrato
con  l'illecita  acquisizione  delle  informazioni.  Il  diritto   al
risarcimento  del  danno   sarebbe   pregiudicato,   infatti,   dalla
dispersione della prova necessaria per documentarne la sussistenza  e
la rilevanza in termini quantitativi, che dipende anche dalla  natura
dell'informazione carpita. In breve -  e  considerato  che  la  prova
circa il fondamento della pretesa risarcitoria deve essere fornita da
colui che l'avanza - sarebbe pregiudicato proprio quel  diritto  alla
riservatezza che la legge censurata vorrebbe garantire con la massima
efficacia. 
    1.4. -  Il  giudice  a  quo  prospetta,  ancora,  una  violazione
dell'art.   112   Cost.,   perche'   la   distruzione   della   prova
pregiudicherebbe l'esercizio  del  potere-dovere  di  perseguire,  da
parte del pubblico ministero, i  reati  finalizzati  all'acquisizione
illegittima delle relative  informazioni.  Il  verbale  «sostitutivo»
prescritto dal legislatore, per le ragioni  gia'  indicate,  potrebbe
infatti risultare insufficiente.  La  precocita'  della  distruzione,
rispetto  allo  stesso  sviluppo  delle  investigazioni  preliminari,
varrebbe  d'altra  parte  a  pregiudicare  l'identificazione   e   la
punizione di tutti i responsabili del fatto accertato. 
    1.5. - L'ordinanza di rimessione prospetta, in  conclusione,  una
«irragionevolezza  di  fondo   della   normativa   in   oggetto,   in
comparazione con i valori che essa vuole proteggere». In sostanza, il
legislatore non avrebbe compiuto un  corretto  bilanciamento  tra  le
esigenze contrapposte,  sacrificando  completamente,  in  favore  del
diritto alla riservatezza, i  valori  connessi  all'accertamento  del
fatto, tra i quali primeggia, per altro, proprio la tutela (in chiave
sanzionatoria) del diritto di riservatezza della persona offesa. 
    2. - Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo
Valentia, con ordinanza del 21 maggio 2007 (r.o. n. 50 del 2008),  ha
sollevato - in riferimento agli  artt.  24,  111,  primo,  secondo  e
quarto comma, e 112 Cost. - questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc.  pen.,  come  modificato
dall'art. 1 del  decreto-legge  n.  259  del  2006,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 281 del 2006. 
    Il rimettente e' investito del procedimento incidentale  promosso
dal pubblico ministero, in applicazione delle norme censurate, per la
distruzione  di  materiali  pertinenti  ad   informazioni   acquisite
illegalmente.  Si  tratta,  nella  specie,  del   supporto   digitale
contenente documenti sonori, asseritamente relativi  a  conversazioni
intrattenute da una persona di sesso femminile  nell'abitacolo  della
propria vettura. I colloqui, stando alle  contestazioni  elevate  dal
pubblico ministero, sarebbero stati captati  mediante  l'uso  di  una
microspia  collocata  nel  veicolo   dal   marito   dell'interessata.
Quest'ultimo  avrebbe  minacciato  di  diffondere  pubblicamente   il
contenuto delle conversazioni  registrate  se  la  donna  non  avesse
rinunciato  al  giudizio  di  separazione  da  lei  promosso  ed   al
versamento della somma  mensile  gia'  assegnatale  dalla  competente
autorita' giudiziaria. 
    Nel giudizio principale si procede, quindi, per i delitti di  cui
all'art. 615-bis (Interferenze illecite nella vita privata)  ed  agli
artt. 56 e 629 (Estorsione tentata) del codice  penale.  Il  supporto
digitale  indicato  e'  stato   prodotto   nel   corso   dell'udienza
preliminare  dalla  persona  offesa,  cui  l'imputato  l'aveva  fatto
pervenire per mezzo di  un  intermediario.  Dopo  l'acquisizione,  la
polizia giudiziaria ne ha verificato il contenuto, comunicando che si
tratta di conversazioni scarsamente  intellegibili,  anche  tra  piu'
persone, con forti rumori  di  traffico  sullo  sfondo.  Il  pubblico
ministero, di conseguenza, ha promosso  il  procedimento  incidentale
regolato dalle norme censurate. 
    Nel corso dell'udienza camerale,  peraltro,  lo  stesso  pubblico
ministero  ha  chiesto  sollevarsi  una  questione  di   legittimita'
costituzionale con riguardo alla procedura avviata, ed alla richiesta
si sono sostanzialmente associati i difensori della persona offesa  e
dell'imputato. 
    2.1. - In punto di rilevanza il  rimettente  osserva,  anzitutto,
come il materiale del quale e' richiesta la  distruzione  costituisca
il corpo del reato di cui all'art. 615-bis cod. pen.,  oltre  che  il
mezzo per l'esecuzione del tentato delitto di estorsione.  Lo  stesso
rimettente, tuttavia, pone  un  diverso  problema  circa  l'effettiva
applicabilita' dell'art. 240 cod. proc. pen. alla fattispecie oggetto
del giudizio. 
    La  questione  nasce  dal  tenore  della  norma  censurata,   che
prescrive la distruzione «dei documenti, dei supporti  e  degli  atti
concernenti  dati  e  contenuti  di  conversazioni  o  comunicazioni,
relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente  formati  o
acquisiti».  La  lettera  della  legge,  secondo  il  Tribunale,  non
comprende le  comunicazioni  tra  presenti,  e  non  potrebbe  essere
forzata fino al punto di ritenere che la specificazione  circa  l'uso
di strumenti telefonici o telematici riguardi  unicamente  i  «dati»,
con  la  conseguenza  che  il  riferimento  alle   «conversazioni   o
comunicazioni» si estenderebbe anche ai casi di  scambi  comunicativi
captati nell'ambiente in cui si svolgono. 
    Tuttavia, sempre a parere del  Tribunale,  la  normativa  sarebbe
applicabile al caso di specie per il mezzo dell'analogia, che  l'art.
14 delle disposizioni preliminari al codice civile  preclude  per  le
sole  leggi  penali  od  eccezionali.  Le  previsioni  censurate  non
sarebbero  riconducibili  ad  alcuno  dei  due  concetti.  Per  legge
eccezionale, in particolare,  dovrebbe  intendersi  una  disposizione
che, stante una disciplina generale per un dato  fenomeno,  introduce
per alcune fattispecie una «interruzione della conseguenza logica» di
tale disciplina. Nel  caso  in  esame,  secondo  il  rimettente,  non
esisterebbe una regola di portata generale  rispetto  alla  quale  le
disposizioni censurate possano porsi in rapporto di deroga. 
    2.2. - Un  primo  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  e'
individuato dal giudice a quo nella violazione del diritto di  difesa
dell'indagato. Pur dovendo  culminare  la  procedura  camerale  nella
formazione di una prova circa l'illecita acquisizione  dei  dati,  e'
adottato un modello procedimentale di  forma  semplificata,  che  non
contempla accertamenti su iniziativa delle parti o del giudice e  non
prescrive la partecipazione necessaria del  difensore  dell'accusato.
In sostanza, la  procedura  vorrebbe  emulare  quella  dell'incidente
probatorio, senza pero' riprodurne il carattere  anticipatorio  delle
forme e delle garanzie dibattimentali, e dunque violando  il  secondo
comma dell'art. 24 e l'art. 111, primo, secondo e quarto comma, Cost. 
    D'altra parte, il verbale  la  cui  redazione  e'  prescritta  al
giudice  deve   necessariamente   omettere   la   descrizione   delle
informazioni acquisite illegalmente, ed e' dunque inidoneo alla piena
verifica dei fatti, che  resta  preclusa  irrimediabilmente  dopo  la
distruzione del supporto cui si riferisce il procedimento. 
    Proprio  tale  circostanza,  secondo  il   rimettente,   vale   a
documentare la violazione concomitante dell'art.  112  Cost.,  atteso
che la precoce ed irrimediabile eliminazione della  prova  del  reato
contraddirebbe il principio del perseguimento obbligatorio del  reato
medesimo. In effetti la procedura regolata dalle norme censurate  non
e' finalizzata  ad  accertare  la  responsabilita'  dell'indagato  e,
d'altra parte, nella sede deputata  a  tale  accertamento,  la  prova
necessaria non sarebbe piu'  disponibile.  La  disciplina  censurata,
dunque, non varrebbe ad assicurare un ragionevole  bilanciamento  tra
l'esigenza di protezione della riservatezza e l'interesse,  di  rango
costituzionale, al perseguimento dei reati. 
    Infine, a parere del  rimettente,  sussiste  una  violazione  del
primo comma dell'art. 24 Cost. in relazione al diritto della  persona
offesa di ottenere un risarcimento per il torto subito, dato  che  la
distruzione della prova pregiudica la possibilita' di documentare  in
giudizio il fondamento della relativa pretesa.  Giudizio  che,  nella
specie, e' lo stesso finalizzato alla verifica della  responsabilita'
penale dell'imputato, posto che la vittima  dell'illecita  captazione
si e' costituita parte civile  e  si  e'  opposta,  non  casualmente,
all'applicazione di  regole  che  pure  dovrebbero  tutelare  il  suo
diritto alla riservatezza. 
    3. - Il Giudice per le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di
Milano, con ordinanza del 13 dicembre 2007 (r.o. n. 84 del 2008),  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111,
primo,  secondo  e  quarto  comma,  e  112  Cost.  -   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 240, commi 3, 4, 5  e  6,  cod.
proc. pen., come modificato dall'art. 1 del decreto-legge n. 259  del
2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 281 del 2006. 
    Il rimettente  e'  investito  della  richiesta  di  archiviazione
formulata  dal  pubblico  ministero  in  un  procedimento  per  falsa
testimonianza (art. 372 cod. pen.), relativamente alle  dichiarazioni
rese,  dal  dirigente  di  una  grande  azienda  multinazionale,  nel
giudizio civile che un dipendente della stessa azienda aveva promosso
impugnando il proprio licenziamento. Tale dipendente, nell'opporsi ex
art.  410  cod.  proc.  pen.  all'accoglimento  della  richiesta   di
archiviazione, ha riferito tra  l'altro  di  comportamenti  vessatori
dell'azienda, che  si  sarebbero  spinti  fino  allo  svolgimento  di
illecite attivita' di indagine sulla sua vita privata. 
    Secondo quanto  riferito  dal  giudice  a  quo,  le  indagini  in
questione  sarebbero  state  commissionate  ad  una   delle   agenzie
investigative coinvolte nel  procedimento  ove  e'  stata  deliberata
l'ordinanza r.o. n. 508 del 2007 (supra, § 1). Nel contesto  di  tale
procedimento, sempre secondo il rimettente, sarebbe stato rinvenuto e
sequestrato, tra gli altri, un incartamento  relativo  al  dipendente
poi licenziato. 
    Il Tribunale  riferisce  d'avere  respinto  una  prima  volta  la
richiesta di archiviazione,  ordinando  il  compimento  di  ulteriori
indagini, una delle quali consistente nell'acquisizione  del  dossier
commissionato dalla societa' convenuta nella causa di lavoro cui gia'
si e' fatto cenno. Il pubblico  ministero  avrebbe  dato  corso  alle
altre richieste, facendo pero' constatare la giuridica impossibilita'
di procedere all'acquisizione dei documenti recanti  le  informazioni
illegalmente raccolte con riguardo all'odierno opponente. 
    Tali informazioni infatti - sempre stando  alle  indicazioni  poi
riprese dal  rimettente  -  sarebbero  state  acquisite  mediante  la
corruzione di pubblici ufficiali. Il relativo materiale  di  supporto
sarebbe dunque oggetto, a norma del comma 2 dell'art. 240 cod.  proc.
pen., di un divieto assoluto di utilizzazione e di riproduzione,  ivi
comprese le attivita' necessarie per «travasare»  ed  apprezzare  gli
elementi di  prova  nel  procedimento  in  corso  avanti  al  giudice
rimettente. 
    Il Tribunale prosegue riferendo d'aver celebrato, a questo punto,
una  nuova  udienza  camerale,   «per   prendere   cognizione   della
situazione», e che nel corso di tale udienza  pubblico  ministero  ed
indagato avrebbero insistito per l'accoglimento  della  richiesta  di
archiviazione,  mentre  la  persona  offesa  avrebbe  sollecitato  un
provvedimento di «imputazione  coatta»  con  riguardo  all'ipotizzato
delitto di falsa testimonianza. Nessuna  di  tali  soluzioni,  pero',
risulterebbe «soddisfacente». Per un verso,  infatti,  la  prova  del
dolo di falsa testimonianza non sarebbe  allo  stato  adeguata.  Essa
potrebbe  essere  integrata,  pero',  alla  luce  delle  informazioni
desumibili dal dossier (lo stesso rimettente  riferisce,  per  altro,
che il dirigente chiamato a testimoniare nella causa  di  lavoro,  su
circostanze pertinenti al rendimento del dipendente  licenziato,  era
stato assunto dall'azienda in epoca successiva all'esaurimento  delle
«attivita' di spionaggio»). 
    A questo punto il giudice a quo, dato atto che  nel  procedimento
concernente l'acquisizione  illegale  di  informazioni  (condotto  da
altro magistrato del suo stesso Ufficio) e' stata sollevata questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 240 cod. proc. pen.  (supra,
§ 1), assume che, nell'ambito del procedimento di  archiviazione  che
lo riguarda, sarebbe «necessario muoversi nella medesima direzione». 
    3.1.  -  Le  questioni  di  legittimita'  sono  prospettate,   in
sostanza, attraverso una sintesi del petitum e  degli  argomenti  che
caratterizzano l'ordinanza r.o. n. 508 del 2007. 
    Venendo al caso  per  cui  procede,  il  Tribunale  evidenzia  in
particolare la compressione «dei diritti del denunziante e  opponente
alla richiesta di archiviazione». Infatti, il procedimento per  falsa
testimonianza sarebbe «collegato» a quello  che  concerne  l'illecita
raccolta delle informazioni, e la  «testimonianza  e  l'atteggiamento
soggettivo» dell'indagato  potrebbero  essere  «illuminati  e  meglio
compresi proprio disponendo di una conoscenza completa degli  episodi
assai inquietanti che l'avrebbero preceduta e cioe'  lo  "spionaggio"
illegale in danno del dipendente poi licenziato».  La  vittima  delle
illecite attivita' investigative potrebbe poi subire un  pregiudizio,
in vista della tutela della  propria  onorabilita',  per  la  mancata
conoscenza di dettaglio delle informazioni acquisite  in  suo  danno,
poiche' il relativo  supporto  potrebbe  essere  stato  riprodotto  e
distribuito a terzi prima dell'intervenuto sequestro. 
    Per tali ragioni la questione di legittimita' dell'art. 240  cod.
proc.  pen.  sarebbe  rilevante  anche  nel  giudizio   a   quo.   In
particolare,  «pur  apparendo  di  piu'  diretta  rilevanza,  per  le
caratteristiche del caso in esame, con riferimento alla prospettabile
violazione dell'art. 24 comma primo della Costituzione e  quindi  dei
diritti delle persone offese», la questione dovrebbe essere sollevata
per tutti i profili gia' evocati con  l'ordinanza  r.o.  n.  508  del
2007, in forza di una loro asserita «inscindibilita». 
                       Considerato in diritto 
    1. - Con le tre ordinanze indicate in epigrafe, i Giudici per  le
indagini  preliminari  dei  Tribunali  di  Milano  e  Vibo   Valentia
sollevano questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  240,
commi 3, 4, 5 e 6, del codice di procedura  penale,  come  modificato
dall'art. 1 del decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259 (Disposizioni
urgenti per il riordino della normativa in  tema  di  intercettazioni
telefoniche), convertito, con modificazioni, dalla legge 20  novembre
2006, n. 281. 
    Le disposizioni vengono censurate in quanto  stabiliscono  che  i
supporti  recanti  dati  illegalmente  acquisiti   a   proposito   di
comunicazioni telefoniche o telematiche, o informazioni  illegalmente
raccolte, debbano essere distrutti in esito ad una  udienza  camerale
celebrata dal giudice per le indagini preliminari, e che in proposito
debba essere redatto un verbale, nel quale si dia «atto dell'avvenuta
intercettazione o detenzione o acquisizione illecita», nonche' «delle
modalita' e dei mezzi usati oltre che dei  soggetti  interessati»,  e
tuttavia  venga  omesso  qualsiasi  «riferimento  al  contenuto»  dei
documenti, supporti ed atti concernenti le informazioni raccolte. 
    Anzitutto la  disciplina  contrasterebbe  con  gli  articoli  24,
secondo  comma,  e  111,  primo,  secondo  e  quarto   comma,   della
Costituzione. Infatti la procedura prescritta dalle norme  censurate,
pur  essendo  finalizzata  alla  distruzione  del  corpo  del   reato
concernente l'illecita acquisizione dei dati, e pur dovendo culminare
nella formazione  di  un  verbale  destinato  alla  lettura  in  sede
dibattimentale, si svolge  in  forma  camerale,  alla  presenza  solo
eventuale  delle  parti  e  dei  difensori,  senza  possibilita'   di
approfondimenti istruttori, e dunque con esercizio solo eventuale del
diritto di difesa e del contraddittorio. 
    Gli stessi parametri costituzionali risulterebbero violati  anche
in una diversa prospettiva: la distruzione dei  supporti  recanti  le
informazioni acquisite illegalmente, e  la  concomitante  assenza  di
riferimenti all'oggetto ed  alla  natura  di  tali  informazioni  nel
verbale   destinato   alla    lettura    dibattimentale,    sarebbero
pregiudizievoli per il diritto di difesa ed il diritto alla prova del
soggetto accusato dell'illecita raccolta, impedendo la  verifica  del
carattere  riservato  delle  informazioni  e,  comunque,  della  loro
acquisizione mediante modalita' illecite. 
    Viene  prospettata,  ancora,  una  violazione  del  primo   comma
dell'art. 24 Cost., poiche' la distruzione dei  supporti  di  cui  si
tratta, e la concomitante assenza di riferimenti all'oggetto ed  alla
natura  delle  informazioni  illegalmente   acquisite   nel   verbale
destinato alla lettura dibattimentale, pregiudicherebbero il  diritto
della  persona  offesa  di  agire  in  giudizio   per   ottenere   il
risarcimento del danno subito. 
    Sarebbe infine  vulnerato  il  principio  sancito  nell'art.  112
Cost., in quanto la  soppressione  della  prova  del  reato  connesso
all'illecita  acquisizione  dei  dati   comprometterebbe   l'efficace
esercizio dell'azione penale in relazione a  tale  reato,  anche  con
riferimento ai fattori che rilevano per la quantificazione della pena
in caso di condanna. 
    2. - In via preliminare,  data  la  sostanziale  identita'  delle
questioni proposte dai Giudici rimettenti, e' opportuno  disporre  la
riunione dei relativi giudizi. 
    3.  -  La  questione  sollevata  dal  Giudice  per  le   indagini
preliminari del Tribunale di Vibo Valentia (r.o. n. 50 del  2008)  e'
inammissibile. 
    Il rimettente ha posto in adeguato rilievo  la  circostanza  che,
nel  caso  sottoposto  alla   sua   valutazione,   non   si   discute
dell'intercettazione di comunicazioni telefoniche o  telematiche,  ma
dell'illecita   captazione   di   colloqui   tra   persone   presenti
(trascurando, per altro, il problema della qualificazione penalistica
di intercettazioni effettuate da soggetti privati  nell'abitacolo  di
veicoli, la cui considerazione come luoghi di privata  dimora  e'  da
lungo tempo controversa). Lo stesso giudice a quo, in particolare, ha
osservato come il secondo comma dell'art. 240 cod. proc. pen. - cioe'
la norma  che  delimita  l'oggetto  della  procedura  regolata  dalle
disposizioni immediatamente successive  -  si  riferisca  a  «dati  e
contenuti» concernenti comunicazioni relative a «traffico  telefonico
e telematico», e ne ha dedotto che la  previsione  non  comprende  la
captazione di conversazioni attuate senza l'ausilio di mezzi  tecnici
di teletrasmissione. Tale opinione, che trova riscontro nella lettera
della norma censurata, e'  stata  significativamente  anticipata  nel
corso della discussione  parlamentare  culminata  con  l'approvazione
della legge n. 281 del 2006 ed e' condivisa, inoltre, da molti  degli
studiosi che hanno commentato la disciplina in esame. 
    Sennonche', proprio in aderenza alla conclusione cui perviene  il
rimettente, deve constatarsi l'irrilevanza della questione sollevata,
posto che il materiale preso in esame  nel  giudizio  a  quo  non  e'
compreso nell'ambito dei documenti assoggettabili alla  procedura  di
distruzione. Non puo' condividersi, in particolare, l'assunto secondo
cui l'elencazione contenuta nel comma 2 dell'art. 240 cod. proc. pen.
sarebbe suscettibile di  estensione  in  via  analogica,  secondo  il
disposto  dell'art.  12  delle  disposizioni  preliminari  al  codice
civile. L'interpretazione analogica e' preclusa tra l'altro, a  norma
dell'art. 14 delle disposizioni  appena  citate,  per  le  cosiddette
leggi eccezionali. Si comprende facilmente, pur senza accedere ad una
ricostruzione di dettaglio delle norme sull'utilizzazione processuale
e sulla destinazione delle cose in sequestro,  che  la  procedura  di
distruzione immediata dei materiali in discussione  costituisce,  per
una molteplicita' di profili, una deroga a disposizioni di  carattere
generale. 
    La  durata  del  sequestro  cosiddetto  probatorio,  quando   non
ricorrono i presupposti per la restituzione  della  cosa  sequestrata
all'avente diritto, coincide con la durata del relativo  procedimento
penale (art. 262 cod. proc. pen.), fatta eccezione per alcune ipotesi
che, a loro volta, sono derogatorie d'una regola generale. Gli stessi
documenti anonimi, alla cui disciplina il  legislatore  del  2006  ha
voluto  accostare  la  normativa  censurata  in  questa  sede,   sono
distrutti solo dopo cinque anni, sempre che non si  tratti  di  corpo
del reato e che non provengano comunque dall'imputato, nel qual  caso
sono acquisiti agli atti del procedimento (art. 240,  comma  1,  cod.
proc. pen., e art. 5 del regolamento per l'esecuzione del  codice  di
procedura penale, approvato con  decreto  ministeriale  30  settembre
1989, n. 334). 
    Si deve ribadire, dunque, che la  disciplina  censurata  presenta
carattere eccezionale e come tale  va  applicata  secondo  regole  di
stretta interpretazione. Da cio' deriva  che  il  rimettente  non  e'
chiamato a fare applicazione delle norme da lui stesso sospettate  di
illegittimita'   costituzionale.   La   questione    sollevata,    di
conseguenza, e' inammissibile per difetto di rilevanza. 
    4. - Ad una conclusione analoga si deve  pervenire  con  riguardo
alla la questione sollevata dal Giudice per le  indagini  preliminari
del Tribunale di Milano con l'ordinanza r.o. n. 84 del 2008. 
    Risulta infatti, con chiarezza, che il rimettente non  deve  fare
alcuna applicazione delle  norme  oggetto  di  censura,  non  essendo
giudice di una procedura incidentale regolata dai commi 3 e  seguenti
dell'art. 240 cod. proc. pen. 
    Le doglianze del rimettente si concentrano,  in  sostanza,  sulla
preclusione  dell'accesso  ad  una  prova  raccolta  in  un   diverso
procedimento. Sennonche' tale preclusione scaturisce, per il  divieto
di utilizzazione e comunque per l'impossibilita' di formare copie del
materiale sequestrato, dal secondo comma  dell'art.  240  cod.  proc.
pen., norma che lo stesso rimettente non ha censurato. Egli ha inteso
riprendere, piuttosto, rilievi concernenti la  procedura  finalizzata
alla distruzione  dei  supporti  recanti  le  indagini  asseritamente
compiute a carico dell'opponente, cioe' disposizioni procedurali che,
nella sua prospettiva, sono del tutto irrilevanti. La  questione  dei
diritti e  delle  garanzie  spettanti  alla  vittima  della  presunta
acquisizione illegale di informazioni ha motivo di porsi  solo  nella
procedura  incidentale  finalizzata  alla  distruzione  dei  relativi
supporti, e questo vale per qualunque conseguenza possa derivare,  in
via di fatto, dall'accoglimento della relativa richiesta. 
    5. - La questione di  legittimita'  costituzionale  proposta  dal
Giudice per le indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Milano  con
l'ordinanza r.o. n. 508 del 2007 e' fondata, nei  limiti  di  seguito
precisati. 
    5.1. - Le ragioni delle  censure  del  rimettente  nei  confronti
delle disposizioni  oggetto  del  presente  giudizio  poggiano  sulla
ritenuta irragionevole sproporzione tra la tutela apprestata  per  il
diritto alla riservatezza e quella assicurata al diritto  di  difesa,
al diritto di  azione  ed  ai  principi  del  giusto  processo  e  di
obbligatorieta' dell'azione penale. Nel bilanciamento tra i  suddetti
diritti e principi fondamentali, il legislatore  avrebbe  sacrificato
pressoche' interamente i secondi  in  favore  del  primo.  Da  questa
considerazione il giudice a quo fa discendere  il  petitum  dell'atto
introduttivo,  consistente  nella  richiesta   di   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale delle disposizioni censurate. 
    5.2. - L'assunto del rimettente puo'  essere  condiviso  solo  in
parte,  proprio  per  l'esigenza,  dallo  stesso   sottolineata,   di
mantenere nella disciplina in  materia  un  corretto  equilibrio  tra
diritti e principi fondamentali. 
    Deve preliminarmente porsi in rilievo che  la  normativa  oggetto
della presente questione e' stata approvata per porre rimedio  ad  un
dilagante e preoccupante fenomeno di violazione  della  riservatezza,
che  deriva  dalla  incontrollata  diffusione  mediatica  di  dati  e
informazioni personali, sia provenienti da attivita'  di  raccolta  e
intercettazione legalmente autorizzate, sia - fatto piu'  grave,  che
riguarda direttamente il presente giudizio - effettuate al  di  fuori
dell'esercizio di ogni legittimo potere da pubblici  ufficiali  o  da
privati mossi da finalita' diverse,  che  comunque  non  giustificano
l'intrusione nella vita privata delle persone. 
    La preoccupazione del legislatore e' stata quella di evitare  che
la doverosa osservanza delle norme che impongono la pubblicita' degli
atti del processo possa risolversi  in  un  ulteriore  danno  per  le
vittime delle illecite interferenze, le quali, oltre ad  aver  subito
indebite  intrusioni  nella  propria  sfera  personale,  rimarrebbero
esposte,  per  un  lungo  periodo,   al   rischio   che   il   frutto
dell'attivita'  illegale  di  informazione  e  intercettazione  possa
diventare strumento di campagne  diffamatorie  e  delegittimanti  nei
loro riguardi. Il pericolo e' apparso aumentato per la constatazione,
di  comune  esperienza,  che  non  e'  garantita,  nelle   condizioni
normative  ed  organizzative  attuali,  una  adeguata  tenuta   della
segretezza  degli  atti  custoditi  negli  uffici  giudiziari,   come
purtroppo dimostrano le frequenti «fughe» di notizie e documenti. 
    L'intento di prevenire tali possibili abusi ha indotto lo  stesso
legislatore ad introdurre una disciplina  derogatoria  rispetto  alla
normativa  ordinaria  sulla  conservazione  del  corpo  di  reato:  i
documenti, i supporti e gli atti  concernenti  dati  e  contenuti  di
conversazioni e  comunicazioni,  relativi  a  traffico  telefonico  e
telematico,  illegalmente  formati   e   acquisiti,   devono   essere
distrutti, per disposizione del giudice per le indagini  preliminari,
al piu' presto possibile, nell'ambito di un procedimento  incidentale
molto  rapido,  che  deve  precedere  la  chiusura   delle   indagini
preliminari. 
    6. - Ritiene questa Corte  che  la  finalita'  di  assicurare  il
diritto inviolabile alla riservatezza della corrispondenza e di  ogni
altro mezzo di comunicazione, tutelato dagli artt. 2 e 15  Cost.  (ex
plurimis, sentenze n. 366 del 1991, n. 81 del 1993, n. 463 del  1994,
n. 372 del 2006), cui deve aggiungersi  uguale  diritto  fondamentale
riguardante  la  vita  privata  dei  cittadini  nei  suoi  molteplici
aspetti, non giustifichi una eccessiva compressione  dei  diritti  di
difesa  e  di  azione  e  del  principio  del  giusto  processo.   La
limitazione in eccesso deriva  dall'aver  delineato  il  procedimento
incidentale, volto alla distruzione del materiale sequestrato di  cui
sopra, secondo il modello processuale di cui all'art. 127 cod.  proc.
pen., nella parte in cui configura un contraddittorio solo eventuale. 
    Peraltro lo stesso comma 5  dell'art.  240  cod.  proc.  pen.  fa
riferimento all'obbligo per il  giudice  di  sentire  solo  le  parti
«comparse»  e  rende  in  tal  modo  incontrovertibile  il  carattere
tendenzialmente sommario della procedura. 
    A cio' si deve aggiungere che il provvedimento con cui il giudice
ordina la distruzione del corpo di reato  (a  prescindere  dalla  sua
discussa   impugnabilita')   determina,   in   forza   dell'immediata
esecuzione materiale, la conseguenza  che  qualunque  violazione  dei
diritti delle parti, derivante dall'imperfezione del contraddittorio,
diviene irreparabile. 
    6.1. - L'irreparabilita' delle eventuali violazioni  dei  diritti
delle parti non e' compensata dalla sostituzione dei documenti,  atti
e supporti fisicamente eliminati con il verbale di  cui  al  comma  6
dell'art. 240 cod. proc. pen., giacche' il divieto  di  inserire  nel
verbale  alcun  riferimento  al  contenuto  dei  predetti  documenti,
supporti e atti  e  l'espressa  limitazione  della  descrizione  alle
«modalita' e ai mezzi» con  cui  il  materiale  e'  stato  acquisito,
determinano, nel seguito del procedimento, una condizione di  estrema
difficolta' nell'esercizio del diritto di difesa degli imputati,  del
diritto al risarcimento dei danni delle parti offese e nell'effettivo
esercizio dell'azione penale, da parte del pubblico ministero. 
    Inoltre, una restrizione del contraddittorio  nell'ambito  di  un
procedimento che, per il fatto  di  culminare  nella  distruzione  di
corpi di reato, incide fortemente sullo  svolgimento  successivo  del
processo, costituisce, di per se', una violazione  dei  principi  del
giusto processo, dettati dall'art. 111 Cost. La medesima  restrizione
produce   pure,   come   conseguenza    inevitabile    della    prima
illegittimita', una eccessiva limitazione dei diritti di difesa e  di
azione e dell'efficiente esercizio dell'azione penale. Sulla base  di
questa considerazione, lo  scrutinio  di  costituzionalita'  si  deve
appuntare  sull'effetto  combinato  della   norma   che   limita   il
contraddittorio nel procedimento incidentale de quo e di  quella  che
prescrive la formazione  di  un  verbale  -  come  si  vedra'  meglio
appresso - troppo povero di contenuti. 
    Nel  corso  dei  lavori   parlamentari,   che   hanno   preceduto
l'approvazione delle norme censurate, e' stato  sottolineato  che,  a
causa del contenuto  troppo  limitato  del  verbale  sostitutivo,  si
introduceva una «prova diabolica», che le parti non  sarebbero  state
in grado di sostenere. A tal proposito, si deve ricordare che  questa
Corte ha affermato e ribadito nella propria giurisprudenza che non e'
sufficiente l'astratta previsione del diritto di difesa (e,  piu'  in
generale, dei diritti delle parti nel processo), ma e' necessario che
sia garantito il suo effettivo esercizio (ex  plurimis,  sentenze  n.
212 del 1997, n. 62 del 2008, n. 20 del 2009). La determinazione, per
effetto di previsioni normative, di situazioni di  grave  difficolta'
nel normale esercizio del diritto delle parti alla prova incide sulla
sua effettivita' ed  e',  alla  luce  dei  principi  affermati  dalla
giurisprudenza citata, costituzionalmente inaccettabile. 
    6.2. - D'altra parte, la pressante esigenza di  dare  al  diritto
fondamentale alla riservatezza una tutela piu'  intensa,  rispetto  a
quella, rivelatasi  insufficiente,  del  recente  passato,  induce  a
ritenere non irragionevoli particolari modalita' di  trattamento  del
materiale probatorio, che riescano a contemperare tutti i  diritti  e
principi  fondamentali  coinvolti  in  questa  delicata  materia.  Le
modalita' di bilanciamento tra i suddetti  diritti  e  principi  sono
molteplici  e  non  spetta  a  questa  Corte,  ma   al   legislatore,
individuare possibili  soluzioni  nell'ambito  della  disciplina  del
processo penale. Nel presente giudizio le valutazioni che il  giudice
delle leggi e' chiamato ad esprimere  sono  necessariamente  limitate
dall'oggetto  della  questione  ed  in  questa  cornice  deve  essere
ricercato il punto di equilibrio  tra  le  diverse  e  potenzialmente
opposte esigenze, tutte costituzionalmente protette, che  vengono  in
rilievo. Diversi e migliori equilibri possono essere individuati  dal
legislatore -  dotato  di  poteri  innovativi  non  istituzionalmente
attribuiti a questa Corte - nel rispetto dei diritti e  dei  principi
evocati nel presente giudizio. 
    Se si parte da questo  presupposto,  si  deve  escludere  che  la
caducazione totale delle norme censurate dal rimettente possa  essere
idonea a  restaurare  l'equilibrio  alterato  dalle  stesse.  Ad  uno
squilibrio infatti se ne sostituirebbe un altro, giacche', come sopra
detto, le regole  del  processo  e  l'insicurezza  della  tenuta  del
segreto degli atti custoditi negli uffici giudiziari esporrebbero  le
vittime ad un pericolo di divulgazione contrario alla  misura  minima
di tutela della riservatezza delle persone in un ordinamento liberale
e democratico, dove le ragioni di giustizia devono  trovare  adeguati
strumenti  processuali  di  realizzazione,  senza  pero'  sacrificare
eccessivamente ed inutilmente i diritti delle vittime incolpevoli  di
gravi interferenze nella loro  vita  privata,  per  di  piu'  con  la
motivazione che si vogliono tutelare proprio i loro interessi. 
    Ove fossero introdotte nell'ordinamento  processuale  precauzioni
sufficienti ad impedire che la pubblicita' del dibattimento determini
inevitabilmente la pubblicazione di tutto  il  materiale  probatorio,
come, ad esempio, attualmente si verifica nei casi in cui  il  codice
di rito prescrive l'udienza a porte chiuse; ove si  avesse,  inoltre,
la ragionevole certezza che la custodia  dei  materiali  relativi  ad
illecite interferenze nelle comunicazioni e nella vita privata  fosse
circondata da misure organizzative efficaci  e  presidiata  da  norme
rigorose sulla tracciabilita' dei percorsi  dei  materiali  stessi  e
sull'individuazione  dei  soggetti  istituzionalmente   responsabili,
anche a titolo di culpa in  vigilando,  allora  drastiche  misure  di
salvaguardia,  come  quelle   introdotte   dalle   norme   censurate,
potrebbero  non  essere  considerate   indispensabili.   Nell'attuale
situazione di incertezza sull'effettivita' della tutela  del  diritto
alla  riservatezza,  non  e'  possibile   cancellare,   puramente   e
semplicemente, le norme che impongono la distruzione  dei  documenti,
supporti e atti illecitamente acquisiti. Si devono invece  ricondurre
tali norme, nei limiti del possibile, al rispetto sia dell'equilibrio
costituzionalmente  necessario,  sia  della  ratio  emergente   dalle
medesime. 
    7. - Il risultato prima delineato si puo' conseguire recidendo il
legame, istituito dal comma 4 dell'art. 240 cod. proc. pen.,  tra  la
procedura speciale di cui ai commi 3 e seguenti dello stesso articolo
e l'art. 127 cod. proc. pen., nella misura in cui il richiamo a  tale
norma  fa  ricadere  sulla  procedura  medesima  le  limitazioni  del
contraddittorio che connotano il modello generale del rito  camerale.
D'altronde, lo stesso  legislatore  ha  manifestato  in  modo  chiaro
l'intenzione di dettare una normativa mirata alla formazione  di  una
fonte di prova anticipata rispetto alle successive fasi del processo.
Ne consegue che tale scopo deve essere perseguito  nel  rispetto  dei
principi del giusto processo, del diritto di difesa  e  di  azione  e
dell'effettivo esercizio dell'azione penale, che si concretizzano  in
una rigorosa prescrizione del  contraddittorio  tra  le  parti,  come
quella contenuta nell'art. 401, commi 1 e 2,  cod.  proc.  pen.,  che
disciplina l'udienza relativa all'incidente probatorio.  Tale  ultima
normativa   deve   naturalmente   estendersi   ad   una   fattispecie
processuale, come quella oggetto del presente giudizio,  per  effetto
dei principi costituzionali di cui agli artt.  24,  primo  e  secondo
comma, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112 Cost. 
    Il contraddittorio e'  garanzia  insostituibile  nell'ordinamento
processuale di uno Stato di diritto e i potenziali aggravi di  lavoro
-  in  presenza  di  procedimenti  con  molte  parti  -   si   devono
fronteggiare con  idonee  misure  organizzative  e  di  gestione  dei
processi, non certo con la  irragionevole  compressione  dei  diritti
garantiti dalla Costituzione. 
    8. - Il secondo fattore che contribuisce all'effetto combinato di
illegittimita' costituzionale - di cui s'e' detto al paragrafo 6 - si
deve  individuare  nella   insufficiente   attitudine   del   verbale
sostitutivo, quale prefigurato dal censurato comma  6  dell'art.  240
cod. proc. pen., a rappresentare i fatti, dai quali  il  giudice  del
merito dovra' trarre le sue valutazioni. Il rimettente pone a base di
uno dei motivi addotti per sostenere l'illegittimita'  costituzionale
di tale norma la considerazione che la stessa introdurrebbe una sorta
di giudizio anticipato, destinato  a  condizionare  indebitamente  la
pronuncia del giudice del merito. Si deve  osservare,  in  proposito,
che la  lettura  della  suddetta  disposizione  porta  a  conclusioni
diverse. 
    La legge prescrive che nel verbale  in  questione  si  dia  «atto
dell'avvenuta intercettazione o detenzione  o  acquisizione  illecita
dei  documenti,  dei   supporti   e   degli   atti»,   anzitutto   in
considerazione del fatto che l'atto deve documentare  le  conclusioni
delle  parti.  Il  verbale  non  puo'  esplicare   alcuna   efficacia
valutativa che non sia strettamente circoscritta  alla  decisione  di
distruggere il materiale, e, nella propria funzione  concomitante  (e
primaria) di  prova  «sostitutiva»  del  corpo  di  reato,  non  puo'
esercitare  alcun  condizionamento  sulla   decisione   da   assumere
nell'ambito del procedimento principale. 
    Proprio la necessaria natura descrittiva del verbale  sostitutivo
impone che lo stesso non si limiti a contenere i dati  relativi  alle
«modalita' e ai mezzi» usati ed ai  soggetti  interessati,  ma  debba
altresi' contenere tutte le indicazioni utili ad informare il giudice
e le parti del successivo giudizio in merito alle circostanze da  cui
si possano trarre elementi di valutazione circa l'asserita illiceita'
dell'attivita' contestata  agli  imputati.  La  semplice  descrizione
delle modalita' e dei mezzi utilizzati per  raccogliere  informazioni
puo' non essere  sufficiente  a  consentire  un  adeguato  successivo
controllo giudiziale, nel contraddittorio delle parti, sulla liceita'
o non della condotta degli imputati. Ne' questi ultimi, ne' le  parti
offese, ne' il pubblico  ministero  disporrebbero,  nel  giudizio  di
merito, di dati obiettivi  sufficienti  a  suffragare  le  rispettive
posizioni,    difensive    o    accusatorie.    Ecco    perche'    e'
costituzionalmente    necessario    allargare    le     potenzialita'
rappresentative del verbale in questione, includendovi anche tutte le
circostanze   che   hanno    caratterizzato    l'attivita'    diretta
all'intercettazione,  alla   detenzione   ed   all'acquisizione   del
materiale per il quale il pubblico ministero ha chiesto  l'avvio  del
procedimento incidentale de quo. Il giudice  del  merito  deve  poter
disporre di tutti gli elementi necessari per  valutare,  senza  alcun
condizionamento derivante  dalla  decisione  presa  nel  procedimento
incidentale,  e  nel  contraddittorio  tra  le  parti,  se  l'assunto
accusatorio del pubblico ministero abbia o non fondamento. 
    L'inserimento nel verbale  della  descrizione  delle  circostanze
relative all'attivita' asseritamente illecita di cui sopra comprende,
ove sia necessario, soltanto i dati conoscitivi sulla natura e  sulle
caratteristiche  formali  dei  documenti,  supporti  ed   atti   (con
esclusione,  ai  sensi  del  comma  6,  di  ogni   riferimento   alle
informazioni  in  essi  contenute),  da  cui,  in  correlazione  alle
circostanze di luogo, di tempo e di contesto della loro acquisizione,
si  possono  trarre  elementi  di   giudizio   sulla   liceita'   dei
comportamenti degli imputati. 
    La correttezza e  l'obiettivita'  del  verbale  sostitutivo  sono
garantite dalla formazione dello stesso nel  contraddittorio  tra  le
parti. Il rischio che nel corso di tale procedura  possa  verificarsi
una  illecita  divulgazione  delle  notizie  riservate,  in   ipotesi
illegalmente acquisite, e' attenuato dal divieto di effettuare  copia
in qualunque forma degli stessi, contenuto nel comma 2 dell'art.  240
cod.  proc.  pen.;  sara'  cura  degli  uffici   giudiziari   e   dei
responsabili degli stessi prevenire ogni violazione di tale divieto. 
    Per le ragioni sopra  esposte,  questa  Corte  ritiene  di  dover
accogliere   solo   parzialmente   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata dal giudice rimettente, per ripristinare  un
corretto equilibrio tra i parametri costituzionali evocati. E' appena
il caso di ripetere che l'equilibrio cosi' raggiunto non  e'  l'unico
in assoluto possibile, ma e' l'unico realizzabile tenendo conto della
legislazione data e  dei  limiti  costituzionali  di  intervento  del
giudice delle leggi.