Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 47-ter, commi 1
e 8, della legge 26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), promosso dalla Corte di cassazione con ordinanza del
17 luglio 2008, iscritta al n. 329  del  registro  ordinanze  2008  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2008; 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 20  maggio  2009  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ordinanza depositata il 17  luglio  2008,  la  Corte  di
cassazione  ha  sollevato,  in  riferimento  all'articolo   3   della
Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
47-ter, commi 1 e 8, della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della  liberta'),  nella  parte  in  cui  «non
limita  la  punibilita'  ai  sensi  dell'art.  385   c.p.   al   solo
allontanamento dal domicilio che si  protragga  per  piu'  di  dodici
ore». 
    La rimettente e' investita del ricorso avverso  una  sentenza  di
condanna per evasione, deliberata nei confronti  di  una  donna  gia'
ammessa al regime di restrizione domiciliare in quanto madre di prole
di eta' inferiore a dieci anni, per aver violato l'orario di  rientro
nell'abitazione di «soli 40 minuti». 
    La Corte di cassazione riferisce che la difesa  della  ricorrente
ha   eccepito   l'irrilevanza   penale   del    fatto,    in    forza
dell'applicazione  analogica  dell'art.  47-sexies,  comma  1,  della
citata legge n. 354 del 1975, il quale, con  riguardo  alla  detenuta
ammessa  alla  misura  alternativa   della   detenzione   domiciliare
speciale, esclude che l'allontanamento non autorizzato dal  domicilio
per un tempo inferiore alle dodici ore integri la fattispecie  punita
dall'art. 385 del codice penale. 
    In subordine, la  stessa  ricorrente  ha  proposto  questione  di
legittimita' costituzionale della previsione contenuta nei commi 1  e
8 dell'art. 47-ter della  legge  n.  354  del  1975,  in  riferimento
all'art.  3  Cost.,  per   l'ingiustificato   deteriore   trattamento
riservato alla condotta di allontanamento della madre che si trovi in
regime di detenzione domiciliare «ordinaria» rispetto a quella che si
trovi  nella  situazione,  in   tutto   analoga,   della   detenzione
domiciliare speciale. 
    La   rimettente   esclude   di   poter   procedere   all'invocata
applicazione analogica  della  piu'  favorevole  disciplina  prevista
dall'art. 47-sexies della legge n. 354 del 1975, in quanto il comma 8
del precedente art. 47-ter inequivocabilmente qualifica come  delitto
di evasione la condotta di allontanamento dal domicilio nel quale  il
condannato  si  trovi  in  stato  di  detenzione  (e'  richiamata  in
proposito la sentenza n. 173 del 1997  della  Corte  costituzionale),
mentre condivide il dubbio di legittimita' costituzionale prospettato
dalla difesa  e  solleva  la  relativa  questione,  evidenziando  che
dall'accoglimento della stessa discenderebbe l'irrilevanza penale del
fatto ascritto alla ricorrente. 
    La  Corte  di  cassazione  precisa   anzitutto   che   non   v'e'
contraddizione tra l'odierno atto di  promovimento  e  la  precedente
pronuncia (Cass. penale,  sentenza  n.  31995  del  2003),  di  segno
contrario, con la quale e' stata ritenuta  manifestamente  infondata,
in  relazione  all'art.  3  Cost.,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 47-ter della legge n. 354  del  1975  «nella
parte in cui [...] determinerebbe una  ingiustificata  disparita'  di
trattamento sia nei confronti del condannato  ammesso  al  regime  di
semiliberta', sia nei confronti della  madre  di  figli  infradecenni
ammessa alla detenzione domiciliare, per  i  quali  opera  un  regime
differenziato di  sanzioni».  Nella  richiamata  decisione,  infatti,
erano poste a raffronto  le  norme  contenute  rispettivamente  negli
artt. 47-ter e 51 della legge n. 354 del 1975, e  la  fattispecie  in
concreto esaminata non riguardava un caso di  detenzione  domiciliare
di madre di prole infradecenne. 
    Nella vicenda odierna, invece, la ricorrente e' una detenuta gia'
ammessa alla misura della  detenzione  domiciliare  di  cui  all'art.
47-ter, comma 1, lettera a), seconda parte, della legge  n.  354  del
1975, e il  termine  di  raffronto  e'  costituito  dalla  disciplina
dettata per la detenzione domiciliare  speciale,  misura  alternativa
riservata  alle  madri  con  prole  infradecenne  le  quali,   avendo
riportato condanne  superiori  a  quattro  anni  di  reclusione,  non
possono  beneficiare  della  misura  della   detenzione   domiciliare
ordinaria. 
    La Corte di cassazione evidenzia come, a  fronte  della  identica
finalita' delle due misure alternative, volte a «favorire un proficuo
rapporto  tra  madre  e  figlio,  al  di  fuori   della   restrizione
carceraria», risulti privo di  giustificazione  il  differente,  piu'
severo trattamento previsto dal comma 8 dell'art. 47-ter della  legge
n. 354 del 1975 per la condotta  di  allontanamento  non  autorizzato
della madre ammessa  alla  detenzione  domiciliare  "ordinaria",  che
integra immediatamente il delitto di evasione, senza  il  margine  di
tolleranza previsto nella  disciplina  della  detenzione  domiciliare
speciale. 
    La disparita' di trattamento appare alla  rimettente  ancor  piu'
ingiustificata in  quanto  la  misura  della  detenzione  domiciliare
speciale si caratterizza per  una  situazione  «soggettivamente  piu'
"critica" rispetto a quella di cui all'art.  47-ter  e,  quindi,  non
appare meritevole di un piu' benevolo  trattamento  sanzionatorio  in
relazione alle condotte "trasgressive"». 
    Il  differente  trattamento,   infine,   non   potrebbe   trovare
giustificazione neppure  nella  previsione,  contenuta  nel  comma  3
dell'art. 47-quinquies della legge n. 354 del 1975,  secondo  cui  il
tribunale di sorveglianza e' chiamato non solo a fissare le modalita'
di esecuzione della misura, in base ai criteri indicati nell'art. 284
del codice di procedura penale, ma anche a precisare  il  periodo  di
tempo che la detenuta ammessa alla  detenzione  domiciliare  speciale
puo' trascorrere all'esterno. La richiamata disposizione, secondo  la
Corte rimettente,  avrebbe  il  solo  scopo  di  fissare  «un  limite
generale invalicabile per le eventuali autorizzazioni di cui al comma
3 dell'art. 284 c.p.p.», e in ogni caso non risulterebbe  collegabile
in alcun modo al disposto del comma 1 dell'art. 47-sexies della legge
n. 354 del 1975, che prevede conseguenze  soltanto  disciplinari  per
l'allontanamento non autorizzato inferiore alle dodici ore. 
    2. - Con atto depositato in data 11 novembre 2008 e'  intervenuto
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto  che
la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
    La  difesa  erariale  eccepisce  in  primo  luogo   la   «mancata
descrizione, da parte del giudice remittente, della  fattispecie  del
giudizio  a  quo»,  con  conseguente  carenza  di  motivazione  sulla
rilevanza (sono richiamate le ordinanze numeri 447,  408  e  243  del
2007 e n. 376 del 2006 della Corte costituzionale).  In  particolare,
l'Avvocatura segnala come l'ordinanza di rimessione riporti, in  modo
sintetico, «la sola prospettazione della ricorrente, impedendo  cosi'
qualsiasi verifica in ordine alla  effettiva  riconducibilita'  della
posizione processuale della parte  interessata  all'uno  o  all'altro
degli istituti processuali [...]evocati». 
    Un ulteriore profilo  di  inammissibilita'  si  connetterebbe  al
fatto che l'eventuale accoglimento della questione «sfocerebbe in una
pronuncia additiva  a  contenuto  non  costituzionalmente  obbligato»
(sono richiamate le ordinanze n. 233 del 2007 e n. 210 del 2006). 
    Nel merito, l'Avvocatura  generale  evidenzia  come  l'ammissione
della  detenuta  madre  di  prole  infradecenne  alla  misura   della
detenzione domiciliare speciale sia subordinata alla formulazione  da
parte del tribunale di sorveglianza di una  prognosi  favorevole  sul
futuro comportamento dell'interessata (art. 47-quinquies,  comma  1),
prognosi che invece non sarebbe  richiesta  ai  fini  dell'ammissione
alla detenzione domiciliare "ordinaria", cui  si  accederebbe  «senza
alcun previo apprezzamento in punto  di  esigenze  preventive».  Tale
diversita', riguardante i presupposti di ammissione alle due  misure,
sarebbe sufficiente a giustificare  la  differente  rilevanza,  anche
agli effetti penali, che il  legislatore  attribuisce  ad  «eventuali
allontanamenti  dal  domicilio  che  si  protraggano  oltre  l'orario
consentito». 
                       Considerato in diritto 
    1.  -  La  Corte  di  cassazione  ha  sollevato,  in  riferimento
all'articolo  3  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 47-ter, commi 1 e 8, della legge  26  luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sull'esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta'), nella  parte  in
cui «non limita la punibilita' ai sensi dell'art. 385  c.p.  al  solo
allontanamento dal domicilio che si  protragga  per  piu'  di  dodici
ore». 
    2. - La questione e' fondata nei termini di seguito specificati. 
    2.1. - Secondo il giudice rimettente,  vi  sarebbe  identita'  di
ratio tra le due discipline poste a confronto, e cioe'  il  censurato
art. 47-ter, nella unitaria considerazione dei commi 1 e  8,  da  una
parte, e gli artt. 47-quinquies e 47-sexies della stessa legge n. 354
del 1975, dall'altra. In  entrambi  i  casi  il  legislatore  avrebbe
inteso «favorire un proficuo rapporto tra madre e figlio, al di fuori
della restrizione carceraria». Il punto di equilibrio tra  l'esigenza
di tutela sociale sottesa alla  necessaria  esecuzione  di  una  pena
inflitta in seguito alla commissione di un reato  e  l'interesse  dei
bambini a  giovarsi  dell'affetto  e  delle  cure  materne  e'  stato
individuato nella possibilita' di concedere alla madre  di  prole  di
eta' inferiore ad anni dieci, con lei convivente, la possibilita'  di
espiare la pena nella propria abitazione. Tale finalita' generale  e'
stata perseguita nella  legislazione  con  due  distinte  discipline,
succedutesi nel tempo. 
    La prima disciplina,  introdotta  nell'ordinamento  penitenziario
dalla  legge  10  ottobre  1986,  n.  663   (Modifiche   alla   legge
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), e successivamente  modificata
dalla legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all'art. 656 del codice
di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive
modificazioni), prende in  considerazione  -  nel  testo  attualmente
vigente - il caso della madre di prole di eta' non superiore ad  anni
dieci, con lei convivente, sul presupposto che la  pena  da  scontare
abbia durata pari od inferiore a quattro anni, anche  se  costituente
parte residua di maggior pena. 
    La  seconda  misura   (definita   dal   legislatore   «detenzione
domiciliare speciale») e' stata introdotta dalla legge 8 marzo  2001,
n. 40 (Misure alternative alla detenzione a tutela del  rapporto  tra
detenute e figli minori) e - nel  testo  vigente  -  e'  disciplinata
dall'ordinamento  penitenziario  con   gli   artt.   47-quinquies   e
47-sexies. Tale normativa prende in considerazione i casi in cui  non
ricorra il presupposto di cui all'art. 47-ter, vale  a  dire  che  la
pena da espiare non sia superiore a quattro  anni,  ed  estende  agli
stessi   la   possibilita'   della   concessione   della   detenzione
domiciliare, allo scopo di «ripristinare la convivenza con i  figli»,
purche' la detenuta abbia espiato almeno un terzo della pena,  ovvero
dopo l'espiazione di almeno  quindici  anni,  nel  caso  di  condanna
all'ergastolo. 
    2.2. - Come si puo' notare agevolmente, la  finalita'  perseguita
dal legislatore, con le due discipline, e' identica, anche se diverse
sono  le  fattispecie  regolate.  Nell'intento  di  perfezionare   ed
estendere la tutela  dei  minori  in  tenera  eta',  visti  nel  loro
essenziale rapporto con la madre, il legislatore ha  ritenuto  -  con
l'intervento attuato nel 2001 - di includere nel beneficio  anche  le
condannate per delitti gravi, cui manchino piu' di quattro  anni  per
la completa  espiazione  della  pena.  Il  senso  dell'estensione  si
rinviene nel rilievo preminente dell'interesse dei bambini,  che  non
devono  essere  eccessivamente  penalizzati   dalla   differenza   di
situazione delle rispettive madri in riferimento  alla  gravita'  dei
reati commessi ed alla quantita' di pena gia' espiata.  Una  completa
parificazione di tutti i casi  e'  stata  tuttavia  esclusa;  infatti
restano  fuori  dalla  possibilita'   di   ottenere   la   detenzione
domiciliare le madri detenute che abbiano da scontare piu' di quattro
anni e non abbiano espiato almeno un terzo  della  pena  (o  quindici
anni, nel caso di ergastolo). 
    Mediante le due forme indicate di detenzione domiciliare, di  cui
la seconda integra e completa la prima, il legislatore ha  perseguito
un ragionevole bilanciamento tra le  diverse  esigenze  ricordate  al
paragrafo 2.1, in una visione piu' attenta alla finalita'  di  tutela
delle persone deboli come i minori. 
    2.3. - Nell'introdurre la  disciplina  piu'  recente,  lo  stesso
legislatore ha subordinato la concessione del  beneficio  alle  madri
condannate per  delitti  anche  molto  gravi,  che  comunque  abbiano
davanti a se' un periodo di pena da espiare superiore a quattro anni,
alla condizione che non sussista «un concreto pericolo di commissione
di ulteriori delitti» (art. 47-quinquies, comma 1).  Tale  condizione
non e'  prevista  esplicitamente  nell'art.  47-ter,  che  regola  la
detenzione domiciliare «ordinaria», sia per l'ipotesi della madre  di
prole in tenera eta' - che viene in rilievo nel presente  giudizio  -
sia per altre fattispecie elencate nella medesima disposizione. 
    Un  ulteriore  profilo  di  differenziazione  e'  dato  dall'art.
47-sexies, comma 2, che introduce una disciplina parzialmente diversa
da quella valevole per  la  detenzione  domiciliare  "ordinaria",  in
quanto l'applicabilita' dell'art. 385, primo comma, del codice penale
(che prevede il reato  di  evasione)  e'  limitata  al  caso  in  cui
l'assenza della condannata dal proprio domicilio si protragga,  senza
giustificato motivo, per un tempo superiore a dodici ore. Per assenze
di durata inferiore  il  comma  1  dello  stesso  articolo  47-sexies
dispone che la contravveniente possa essere proposta  per  la  revoca
della misura. 
    Il comma 8 dell'art. 47-ter prevede invece semplicemente  che  il
reato di evasione debba essere contestato per  qualsiasi  ipotesi  di
allontanamento dall'abitazione. Di conseguenza, quando la  condannata
sia stata autorizzata ad allontanarsi temporaneamente, qualsiasi  pur
minimo ritardo integra gli estremi del reato  di  evasione  (come  e'
avvenuto nel caso che ha dato luogo al giudizio  a  quo,  in  cui  il
ritardo e' stato di circa quaranta minuti). In  questo  senso  si  e'
orientata l'interpretazione giurisprudenziale  dominante  e  da  tale
presupposto ermeneutico muove il giudice rimettente. 
    3. - Occorre anzitutto considerare la stretta compenetrazione tra
la  previsione  meno  rigorosa,  quanto  all'ingiustificato  ritardo,
contenuta nella normativa,  successiva  nel  tempo,  dettata  per  la
detenzione domiciliare speciale e l'ipotesi specifica della madre  di
prole di eta' non superiore a dieci anni. La legge n. 40 del 2001  ha
come unico oggetto le misure alternative alla detenzione a tutela del
rapporto tra detenute e  minori  e  recepisce,  nel  contesto  di  un
intervento   legislativo   mirato   su   tale   specifica   finalita'
etico-sociale, un'esigenza naturalmente connessa alle attivita'  rese
indispensabili  dalla  cura  dei   bambini,   che   possono   imporre
l'allontanamento dal domicilio e che risentono inevitabilmente  delle
contingenze e degli  imprevisti  derivanti  dal  soddisfacimento  dei
bisogni  di  questi  ultimi  (frequenza  scolastica,  cure   mediche,
attivita' ludiche e socializzanti, etc.).  Se  non  fosse  consentito
alla madre di sostenere i figli minori nelle loro  primarie  esigenze
anche fuori dell'abitazione, verrebbe meno gran parte del  fondamento
della stessa previsione della misura alternativa alla detenzione. 
    Di cio' si  e'  reso  conto  il  legislatore  del  2001,  che  ha
introdotto un regime piu' flessibile per  i  ritardi,  per  i  quali,
specie  se  brevi,  non  sempre  e'  possibile  fornire  adeguata   e
documentata giustificazione. La maggiore indulgenza e' quindi  legata
alla situazione specifica della madre e del bambino e prescinde dallo
status penitenziario della prima,  che  e'  stato  gia'  valutato  al
momento della concessione della misura alternativa.  Da  cio'  deriva
che la prognosi che non vi sia pericolo concreto  che  la  condannata
commetta altri delitti attiene alla predetta concessione,  e  non  ha
alcun collegamento con eventuali inosservanze degli orari di rientro,
che invece sono da valutare in rapporto alla specifiche  esigenze  di
cura della prole. 
    D'altra  parte,  come  sopra  ricordato,  la   disciplina   della
detenzione domiciliare speciale  prevede  che  la  condannata,  anche
nell'ipotesi di ritardi  inferiori  alle  dodici  ore,  «puo'  essere
proposta per la revoca della misura». Escluso ogni automatismo, viene
lasciato  al  giudice  il  compito  di  esaminare  caso  per  caso  -
attribuendo il giusto peso all'interesse del minore -  l'opportunita'
di sanzionare  con  la  revoca  comportamenti  della  condannata  non
giustificabili dal punto di vista  della  doverosa  osservanza  delle
prescrizioni che accompagnano il regime di detenzione domiciliare. 
    4. - Chiarito il legame tra gli artt. 47-quinquies  e  47-sexies,
che si integrano a vicenda, risulta manifestamente irragionevole  che
la madre di prole di eta' non superiore ad anni dieci, che  abbia  da
scontare una pena  pari  o  inferiore  a  quattro  anni,  subisca  un
trattamento sanzionatorio, per l'ipotesi di ritardo nel  rientro  nel
domicilio, piu' severo di quella che,  in  uguali  condizioni,  abbia
ancora da espiare una pena di durata maggiore. Se - come  s'e'  visto
sopra - la ragione della disciplina piu'  indulgente  introdotta  nel
2001 e' dovuta ad una valutazione specifica delle  esigenze  nascenti
dalla cura  dei  bambini,  la  sua  mancata  estensione  a  chi  deve
affrontare gli stessi problemi e' priva di giustificazione. Il  comma
8 dell'art. 47-ter, infatti, e' dettato in via generale per  tutti  i
condannati che si trovino nelle situazioni di cui alle lettere da  a)
ad  e)  del  comma  1,  che  contemplano  figure  eterogenee  e   non
assimilabili a quella della madre di prole in tenera eta'. 
    Quando il legislatore ha deciso di introdurre un certo margine di
elasticita'  nella  valutazione  dell'inadempienza   all'obbligo   di
rientro, ha indebitamente  escluso  da  tale  nuova  e  piu'  duttile
previsione -  meglio  adeguata  alle  particolari  ragioni  morali  e
sociali dell'istituto - madri che, in ipotesi, abbiano commesso reati
di gravita' minore, e comunque debbano scontare una  pena  di  durata
inferiore. Per questo motivo, il tertium  comparationis  evocato  dal
giudice rimettente puo' essere ritenuto omogeneo e pertinente,  cosi'
come  richiesto  dalla  costante  giurisprudenza  di  questa   Corte.
Omogeneo, perche' si tratta di  situazioni  identiche  rispetto  alle
finalita' perseguite dalla legge; pertinente  perche'  la  disciplina
evocata in via comparativa ha il medesimo contenuto, anche se variano
i presupposti  per  la  sua  applicazione.  L'irragionevolezza  prima
illustrata investe pertanto solo uno dei presupposti, che preclude ad
una parte delle madri detenute con figli minori  in  tenera  eta'  il
godimento di un beneficio predisposto  dal  legislatore  a  vantaggio
precipuo dei minori stessi. 
    Le  disposizioni  censurate  devono  essere  pertanto  dichiarate
illegittime - come richiesto dal giudice rimettente - nella parte  in
cui non limitano la punibilita' ai sensi dell'art. 385 cod.  pen.  al
solo allontanamento che si protragga per piu'  di  dodici  ore,  come
stabilito dall'art. 47-sexies, comma 2, della legge n. 354 del 1975. 
    5. - L'irragionevole mancata estensione  della  nuova  normativa,
sul margine di tolleranza del ritardo,  alla  precedente  previsione,
riguardante la detenzione domiciliare  "ordinaria",  deve  intendersi
riferita al sistema costituito dagli artt. 47-quinquies e  47-sexies,
che contengono norme simultaneamente introdotte dal  legislatore,  in
obbedienza ad una logica unitaria e indivisibile, che, accanto ad una
maggiore comprensione per le esigenze che nascono  dai  rapporti  tra
madre  e  figli  in  tenera  eta',  pone  una  maggiore  cautela  nel
richiedere, prima della concessione del beneficio, la formulazione di
una prognosi di inesistenza del concreto pericolo che  la  condannata
commetta  altri  delitti.  Il  bilanciamento   tra   le   diverse   e
contrastanti esigenze si ricompone pertanto ad un altro  livello,  in
cui si pongono in equilibrio da una parte una maggiore  tutela  della
sicurezza sociale e dall'altra una piu' adeguata  considerazione  dei
bisogni  dei  minori  e  delle  attivita'  delle  madri  destinate  a
soddisfarli. Per questo  motivo,  l'ampliamento  di  efficacia  della
norma evocata in comparazione deve intendersi riferito al  necessario
complemento della previa  valutazione  dell'inesistenza  del  rischio
concreto che il soggetto ammesso alla misura possa  commettere  altri
delitti. 
    Del resto, la giurisprudenza, pur in mancanza  di  una  letterale
previsione in questo senso, ha ritenuto debba ricorrere, anche  nelle
ipotesi di cui  all'art.  47-ter,  il  presupposto  dell'assenza  del
pericolo  di  recidiva   escludendo   qualsiasi   automatismo   nella
concessione della predetta misura, sul rilievo che la ratio comune  a
tutte le misure alternative  alla  detenzione  -  anche  quando  sono
ammissibili perche' rientranti negli specifici  limiti  previsti  per
ciascuna di esse - e' quella di favorire il recupero del condannato e
di prevenire la commissione di nuovi  reati  (da  ultimo,  Cassazione
penale, sentenza  n.  28555  del  2008).  L'implicazione  logica  del
presupposto di cui sopra e' quindi insita  nell'ordinamento,  da  cui
questa Corte desume la necessita' di  abbinare  all'estensione  della
disciplina piu'  favorevole,  connessa  alla  detenzione  domiciliare
speciale, anche l'esplicita previsione della ragionevole prognosi  di
non recidiva.