Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  656,  comma  6,
del codice di procedura penale promossi dal Tribunale di sorveglianza
di Bari con ordinanze del 4 ottobre, del 10 luglio, del 16 ottobre  e
del 22 novembre 2007, rispettivamente iscritte ai nn. 839,  850,  851
del registro ordinanze 2007 e al n. 86 del registro ordinanze 2008  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4, 5, 15, 1ª
serie speciale, dell'anno 2008; 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 1°  aprile  2009  il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Il Tribunale di sorveglianza di Bari, con quattro  ordinanze
di analogo tenore emesse il 2 ottobre 2007 (r.o. n. 839 del 2007), il
14 giugno 2007 (r.o. n. 850 del 2007), l'11 ottobre 2007 (r.o. n. 851
del 2007) e il 22 novembre 2007 (r.o. n. 86 del 2008), ha  sollevato,
in riferimento agli articoli 25, primo comma, 111, secondo  comma,  e
97,  primo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  656,  comma  6,  del  codice  di  procedura
penale, nella  parte  in  cui  non  prevede  che,  nelle  more  della
decisione sull'istanza di  concessione  di  misura  alternativa  alla
detenzione,  qualora  sopravvengano  altre  sentenze  definitive   di
condanna  pronunciate  da  giudici  di  diverso  distretto  di  corte
d'appello nei confronti della stessa persona ed il pubblico ministero
competente determini la pena ai sensi dell'art. 663 cod. proc.  pen.,
la competenza a decidere rimanga ferma in  favore  del  tribunale  di
sorveglianza  del  luogo  in  cui  ha  sede  l'ufficio  del  pubblico
ministero che - al momento della presentazione di  detta  istanza  da
parte del condannato «libero sospeso» ex  art.  656,  comma  5,  cod.
proc. pen. - era competente per l'esecuzione. 
    2. - Il giudice a quo, con la prima ordinanza, premette di essere
chiamato a decidere in un procedimento concernente  T.  R.,  nei  cui
confronti il pubblico ministero del Tribunale di Trani, in seguito  a
sentenza di condanna pronunciata dal medesimo Tribunale il 7 novembre
2002 e riformata in parte dalla Corte di appello di Bari con sentenza
del 22 settembre 2003, ha emesso ordine di esecuzione,  poi  sospeso,
ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., per l'espiazione di
una  pena  residua  inferiore  ai  tre  anni.  In  relazione  a  tale
provvedimento il condannato ha presentato istanza diretta ad ottenere
la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui
agli artt. 47, 47-ter e 50, primo comma, della legge 26 luglio  1975,
n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure  privative  e  limitative  della   liberta'),   e   successive
modificazioni. Detta istanza e' stata  trasmessa  al  rimettente  ma,
nelle more della decisione, e' avvenuto che: 
        a) la sentenza del Tribunale di  Trani  in  data  7  novembre
2002, riformata dalla Corte di appello di Bari,  e'  stata  assorbita
nel cumulo emesso il 16 settembre 2004 dalla Procura  generale  della
Repubblica della Corte d'appello di Trento; 
        b) detto cumulo e' stato, a sua volta,  assorbito  in  quello
emesso il 26 marzo 2007 dalla  Procura  della  Repubblica  presso  il
Tribunale di Terni e sospeso dallo stesso pubblico ministero ai sensi
dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen.; 
        c) la Corte di appello di  Trento,  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione del  cumulo  disposto  dal  Procuratore  generale  di
Trento, con atto dell'11 ottobre 2006 ha concesso l'indulto, ai sensi
della legge 31 luglio 2006, n. 241 (Concessione di indulto), per anni
due, mesi sette e giorni dodici di reclusione; 
        d)  il  Tribunale  di   Terni,   in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione della sentenza emessa dal medesimo  Tribunale  il  13
marzo 2006, con provvedimento del  14  novembre  2006,  ha  applicato
l'indulto, di cui alla  menzionata  legge,  per  mesi  uno  e  giorni
quindici di arresto; 
        e) infine, il Tribunale di  Terni,  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione del cumulo emesso dal pubblico ministero di Terni  in
data 26 marzo 2007, cumulo in cui era stata nel  frattempo  assorbita
la sentenza emessa dal Tribunale  di  Terni  il  13  marzo  2006,  ha
concesso l'indulto, di cui alla legge citata, per ulteriori mesi  tre
e giorni tre di reclusione. 
    Tanto premesso, il rimettente da' atto che,  ai  sensi  dell'art.
656,  comma  6,  cod.  proc.  pen.,  il  tribunale  di   sorveglianza
competente per territorio, qualora il condannato, «libero sospeso»  a
norma del comma 5 di detta disposizione, abbia presentato istanza  di
concessione di misura alternativa  alla  detenzione,  e'  quello  del
luogo in cui ha  sede  l'ufficio  del  pubblico  ministero  che  cura
l'esecuzione del titolo in relazione  al  quale  e'  stata  inoltrata
detta istanza. 
    Ritiene, tuttavia, che l'art. 656,  comma  6,  cod.  proc.  pen.,
trovi applicazione soltanto nell'ipotesi in cui la  pena  da  espiare
sia stata inflitta con una o piu' sentenze definitive, in riferimento
alle quali il pubblico ministero competente emetta  apposito  decreto
di sospensione dell'esecuzione, ex art.  656,  comma  5,  cod.  proc.
pen., e il condannato «libero sospeso» presenti, entro trenta giorni,
apposita istanza di accesso a  misura  alternativa  alla  detenzione.
Infatti, evidenzia il rimettente, il tenore della disposizione teste'
richiamata e' chiaramente nel senso di legare strettamente sul  piano
logico-temporale i seguenti atti procedurali:  emissione  dell'ordine
di esecuzione e relativo provvedimento di sospensione  da  parte  del
pubblico ministero competente;  concessione  del  termine  di  trenta
giorni  entro  il  quale  e'   possibile   presentare   istanza   per
l'applicazione di misura alternativa alla detenzione  e  deposito  di
detta istanza da parte del condannato, esclusivamente in relazione  a
quelle  sentenze  definitive  la  cui  esecuzione   e'   stata   gia'
provvisoriamente sospesa dal pubblico ministero competente. 
    Invece l'art. 656, commi 5 e 6, cod. proc.  pen.,  nulla  prevede
per l'ipotesi in cui, dopo la presentazione da parte  del  condannato
dell'istanza di accesso a  misura  alternativa  alla  detenzione,  in
riferimento alla pena inflitta con una o  piu'  sentenze  definitive,
sopraggiungano  altre  sentenze  definitive  di  condanna  emesse  da
giudici di diverso distretto di corte d'appello,  e  queste  sentenze
siano assorbite, come  nella  fattispecie  de  qua,  in  un  apposito
provvedimento   di   cumulo   adottato   dal    pubblico    ministero
territorialmente competente ai sensi dell'art. 663 cod. proc. pen. 
    In tale particolare ipotesi,  ad  avviso  del  rimettente,  trova
applicazione il principio desumibile  dal  combinato  disposto  degli
artt. 655, comma 1, e 665, comma 4, cod. proc. pen., secondo  cui  la
competenza  -  qualora  sopravvengano  altre  sentenze  di   condanna
pronunciate da giudici di diverso distretto di corte d'appello  -  e'
del tribunale di sorveglianza del luogo in cui e'  stata  pronunciata
la sentenza divenuta irrevocabile per ultima e,  cioe',  dell'ufficio
del pubblico ministero che, avendo emesso apposito  provvedimento  ex
art. 663 cod. proc. pen., ne cura l'esecuzione. 
    A questa interpretazione si perviene sulla base del rilievo  che,
se il condannato abbia beneficiato della sospensione  dell'esecuzione
della pena ai sensi dell'art. 656, comma  5,  cod.  proc.  pen.,  «la
normativa processuale penale (cfr. il tenore dell'art. 656, VI comma,
c. p. p. e dell'art. 677, II comma, ultimo  periodo,  c.  p.  p.)  e'
chiaramente nel senso di agganciare e legare strettamente, sul  piano
territoriale, la competenza del tribunale di  sorveglianza  a  quella
del  pubblico  ministero  che  cura   l'esecuzione   della   condanna
definitiva,  prevedendo  espressamente   che   l'individuazione   del
tribunale di sorveglianza territorialmente competente e'  determinata
dal luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero preposto ad
eseguire il titolo definitivo». 
    Applicando al caso di specie  il  suddetto  criterio  legale,  si
perviene alla conclusione che il tribunale di sorveglianza competente
e' quello del luogo in cui ha sede la Procura della Repubblica presso
il Tribunale di Terni e, segnatamente, il Tribunale  di  sorveglianza
di Perugia. 
    Il rimettente prosegue osservando che la questione in  esame  non
puo' essere risolta applicando in via analogica il principio  sancito
dall'art. 5 del codice di procedura civile, secondo cui la competenza
si determina con riguardo allo stato di fatto  (adde:  e  alla  legge
vigente) esistente  al  momento  della  proposizione  della  domanda,
restando  quindi  irrilevanti  i  successivi  mutamenti  dello  stato
medesimo (perpetuatio jurisdictionis). 
    Infatti, e' noto che il ricorso alla cosiddetta analogia legis e'
possibile  a  condizione  che  la   fattispecie   non   sia   affatto
disciplinata dalla legge, laddove, nel caso in  esame,  la  questione
della   competenza   territoriale,   oggetto   della   procedura   di
sorveglianza, e' disciplinata dal combinato disposto degli artt. 655,
comma 1, e 665, comma 4, cod. proc. pen.; ne' si  puo'  applicare  al
caso di specie - per analogia juris -  il  principio  generale  della
perpetuatio jurisdictionis, in quanto, al riguardo, valgono le stesse
ragioni che precludono il ricorso al criterio dell'analogia legis  e,
segnatamente, il fatto che negli artt. 655, comma 1, e 665, comma  4,
cod. proc. pen. e' contemplato il criterio legale  da  utilizzare  ai
fini    dell'individuazione    del    tribunale    di    sorveglianza
territorialmente competente; infine, non si puo' invocare il criterio
della perpetuatio jurisdictionis sancito dall'art. 677, comma 1, cod.
proc. pen.,  perche'  tale  disposizione  disciplina  la  diversa  ed
autonoma ipotesi del condannato detenuto in istituto penitenziario, e
non gia' quella del condannato "libero  sospeso"  a  mente  dell'art.
656, comma 5, cod. proc. pen. 
    In definitiva, ad avviso  del  rimettente,  «la  questione  della
competenza territoriale nella presente procedura di  sorveglianza  va
risolta secondo il principio enucleabile dal combinato disposto degli
artt. 655, comma 1, e 665, comma 4, cod. proc. pen., secondo  cui  la
competenza - nel caso di sopravvenienza di altre sentenze  definitive
di condanna pronunciate da giudici  di  diversi  distretti  di  corte
d'appello - appartiene al tribunale di sorveglianza del luogo in  cui
e' stata pronunciata la sentenza divenuta  irrevocabile  per  ultima;
cioe', nel caso di specie, al Tribunale di sorveglianza di Perugia». 
    Tuttavia  il  giudice  a  quo  ritiene  che  tale  criterio   sia
estremamente  «mobile»,  in   quanto   consente   al   Tribunale   di
sorveglianza, inizialmente competente ai sensi dell'art.  656,  comma
6, cod. proc.  pen.,  di  dichiararsi  incompetente  e,  percio',  di
trasmettere gli atti della procedura  a  quel  diverso  tribunale  di
sorveglianza che, nel frattempo, a seguito  della  sopravvenienza  di
altra  sentenza  irrevocabile  pronunciata  da  giudice  di   diverso
distretto di corte d'appello, sia diventato competente; a sua  volta,
quest'ultimo tribunale di  sorveglianza,  qualora  nelle  more  della
decisione  sopraggiungano  altre   sentenze   definitive   di   altro
distretto, sara' costretto a declinare la competenza  in  favore  del
tribunale di  sorveglianza  nel  frattempo  divenuto  competente  per
territorio. 
    Questi  continui   spostamenti   di   competenza,   destinata   a
cristallizzarsi  soltanto  allorche'  il  tribunale  di  sorveglianza
decida prima che  giungano  altre  sentenze  definitive  di  condanna
pronunciate da giudici di altri  distretti  di  corte  d'appello,  si
pongono in oggettivo contrasto con i principi stabiliti  dagli  artt.
25, primo comma, 111, secondo comma, e 97, primo comma, Cost. 
    Invero,  lo  spostamento  della  competenza  territoriale  da  un
tribunale  di  sorveglianza  all'altro  viola,  in  primo  luogo,  il
principio del giudice naturale e  precostituito  per  legge,  perche'
rende impossibile individuare a priori il tribunale  di  sorveglianza
territorialmente competente; dilata in modo irragionevole i tempi  di
definizione del procedimento; rischia di far girare «a vuoto», per un
tempo piu' o meno lungo,  la  stessa  attivita'  giurisdizionale,  in
contrasto col principio costituzionale di buon andamento che  informa
l'attivita' di ogni amministrazione pubblica. 
    La questione, ad avviso del  rimettente,  e'  non  manifestamente
infondata, alla luce delle considerazioni esposte,  ed  e'  rilevante
perche', qualora fosse ritenuta fondata, condurrebbe ad attribuire al
tribunale di sorveglianza adito la competenza a decidere sull'istanza
di concessione di misura alternativa alla detenzione, presentata  dal
condannato; mentre, ove fosse ritenuta inammissibile o respinta,  gli
atti andrebbero trasmessi al Tribunale di sorveglianza di Perugia. 
    3. - Il giudice a quo, con la seconda ordinanza (r.o. n. 850  del
2007), espone di essere chiamato a decidere nel procedimento relativo
a M. L., anche quest'ultimo «libero sospeso» ai sensi dell'art.  656,
comma 5, cod. proc. pen., nei cui  confronti  il  pubblico  ministero
presso il Tribunale di  Foggia,  dopo  avere  emesso,  a  seguito  di
provvedimento di cumulo, ordine di esecuzione e  contestuale  decreto
di sospensione, ha trasmesso al tribunale di sorveglianza  tali  atti
unitamente all'istanza del condannato,  diretta  ad  ottenere  misure
alternative alla detenzione. 
    Nelle more della decisione e' avvenuto che: 
        a) il cumulo, emesso il 18 agosto 2004  dalla  Procura  della
Repubblica presso il Tribunale  di  Foggia,  e'  stato  assorbito  in
quello emesso il 31 marzo 2005 dalla Procura generale presso la Corte
di appello di Napoli, con  provvedimento  sospeso  da  detta  procura
generale ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen.; 
        b) tale provvedimento e' stato  a  sua  volta  assorbito  nel
cumulo emesso il 25 novembre  2006  dalla  Procura  della  Repubblica
presso il  Tribunale  di  Torre  Annunziata,  con  pena  residua  non
eseguita per sospensione accordata ai  sensi  del  citato  art.  656,
comma 5, cod. proc. pen.; 
        c) quest'ultimo ufficio, con istanza del 25 novembre 2006, ha
chiesto al Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  di  Torre
Annunziata, in funzione di  giudice  dell'esecuzione,  di  concedere,
sulla suddetta pena residua, l'indulto di cui alla legge n.  241  del
2006. 
    Tanto premesso, il rimettente svolge considerazioni  identiche  a
quelle contenute nella prima ordinanza (r.o. n. 839 del 2007), con la
sola precisazione che, nel caso de quo, la competenza per  territorio
spetterebbe al tribunale del luogo in cui ha sede  la  Procura  della
Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata  e,  segnatamente,
al Tribunale di sorveglianza di Napoli. 
    4. - Il rimettente, con la  terza  ordinanza  (r.o.  n.  851  del
2007), premette di essere chiamato  a  pronunciare  nel  procedimento
relativo a  D.  B.  C.,  versante  nella  stessa  posizione  dei  due
condannati di cui alle ordinanze precedenti. Espone che  il  pubblico
ministero presso il Tribunale di Foggia, in data 31 gennaio 2006,  ha
sospeso, ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc.  pen.,  l'ordine
di esecuzione emesso in pari data nei  confronti  del  D.  B.  C.  in
riferimento alla pena inflitta dal Tribunale di Foggia  con  sentenza
dell'8 novembre 2000. Gli atti sono stati trasmessi l'11 aprile  2006
al rimettente, unitamente  all'istanza,  presentata  dal  condannato,
diretta ad ottenere misure alternative alla detenzione. 
    Nelle more della decisione e' avvenuto che: 
        a) la sentenza, emessa dal Tribunale di Foggia  l'8  novembre
2000, e' stata assorbita nel cumulo disposto il 18  aprile  2007  dal
pubblico ministero presso il Tribunale di Brindisi; 
        b) quest'ultimo, in data 18 aprile 2007, ha emesso ordine  di
sospensione dell'esecuzione della pena recata dal predetto  cumulo  e
contestualmente  ha  chiesto  al  Tribunale  di   Brindisi,   sezione
distaccata di Fasano, in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione,  di
applicare l'indulto di cui alla legge n.  241  del  2006  sulla  pena
residua; 
        c) il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Fasano, in
funzione di giudice dell'esecuzione del cumulo disposto dal  pubblico
ministero di Brindisi, con  provvedimento  del  30  aprile  2007,  ha
concesso l'indulto per anni tre, sicche' la pena residua  da  espiare
e' di mesi dieci e giorni ventiquattro di reclusione. 
    Tanto premesso, il rimettente svolge considerazioni  identiche  a
quelle contenute nella prima ordinanza (r.o. n. 839 del 2007), con la
sola precisazione che, nel caso de quo, la competenza per  territorio
spetterebbe al tribunale del luogo in cui ha sede  la  Procura  della
Repubblica presso  il  Tribunale  di  Brindisi  e,  segnatamente,  al
Tribunale di sorveglianza di Lecce. 
    5. -  Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Bari,  con  la  quarta
ordinanza (r.o. n. 86 del  2008),  espone  di  essere  investito  del
procedimento relativo a S. A., versante nella  stessa  posizione  dei
condannati di cui alle tre ordinanze  precedenti,  avendo  presentato
istanza di concessione di affidamento in prova al  servizio  sociale,
ex art.  47  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  e  successive
modificazioni. 
    Riferisce che la Procura generale presso la  Corte  d'appello  di
Napoli, in data 13 febbraio 2002, ha sospeso, ai sensi dell'art. 656,
comma 5, cod. proc. pen. l'ordine di esecuzione emesso nei  confronti
di S. A. in riferimento alla pena inflitta dalla Corte  d'appello  di
Napoli con sentenza del 7 marzo 2001, cui ha fatto seguito  l'istanza
del condannato diretta ad ottenere l'affidamento in prova al servizio
sociale. 
    Detta sentenza e' stata poi assorbita  nel  cumulo  emesso  il  9
dicembre 2003 dalla Procura della Repubblica presso il  Tribunale  di
Bari. 
    Il Tribunale di sorveglianza  di  Napoli,  con  ordinanza  emessa
all'udienza del 3 maggio 2004,  si  e'  dichiarato  incompetente  per
territorio ed ha rimesso gli atti al  Tribunale  di  sorveglianza  di
Bari, individuato come nuovo giudice territorialmente competente. 
    Nelle more della decisione di  quest'ultimo  e'  avvenuto  quanto
segue: 
        a) la Procura della Repubblica presso il Tribunale  di  Torre
Annunziata,  in  data  28  novembre  2006,   ha   emesso   un   nuovo
provvedimento di cumulo, nel quale e' stato assorbito  quello  emesso
il 9 dicembre 2003 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Bari; 
        b) il Tribunale di Torre Annunziata, in funzione  di  giudice
dell'esecuzione, con provvedimento del 13 febbraio 2007  ha  concesso
al condannato l'indulto per anni tre di reclusione,  ai  sensi  della
legge del 31 luglio 2006, n. 241, sicche' la pena residua da  espiare
e' di mesi due e giorni due di reclusione. 
    Il rimettente svolge, quindi, considerazioni identiche  a  quelle
contenute nella prima ordinanza (r.o. n. 839 del 2007), con  la  sola
precisazione che, nel caso  de  quo,  la  competenza  per  territorio
spetterebbe al tribunale di sorveglianza del luogo in cui ha sede  la
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torre  Annunziata  e,
segnatamente, al Tribunale di sorveglianza di Napoli. 
    6. - Nei giudizi di cui sopra,  con  atti  separati  ha  spiegato
intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione   di    legittimita'    costituzionale    sia    dichiarata
manifestamente infondata, perche' il rimettente ha preso le mosse  da
un presupposto interpretativo non condivisibile. 
    Il Tribunale di sorveglianza, infatti, ritiene che qualora,  dopo
la presentazione da parte del condannato dell'istanza  di  accesso  a
misura  alternativa  alla  detenzione,  sopraggiungano  una  o   piu'
sentenze  definitive  di  condanna,   in   assenza   di   un'espressa
disposizione in merito, trovi applicazione, per l'individuazione  del
tribunale  di  sorveglianza  competente  a  decidere,  il   principio
ricavabile dal combinato disposto degli artt. 655, comma  1,  e  665,
comma 4, cod. proc. pen., secondo cui  la  competenza  appartiene  al
tribunale di sorveglianza del luogo in cui e'  stata  pronunciata  la
sentenza divenuta irrevocabile per ultima e, cioe', del luogo in  cui
ha sede l'ufficio del pubblico ministero che, avendo emesso  apposito
provvedimento ai  sensi  dell'art.  663  cod.  proc.  pen.,  ne  cura
l'esecuzione. 
    Ma il combinato disposto delle norme citate  non  prevede  alcuna
regola utilizzabile per l'individuazione della competenza nel caso in
esame.   Esse    non    disciplinano    l'ipotesi    dell'intervenuta
irrevocabilita' di un'ulteriore sentenza  dopo  la  presentazione  di
un'istanza  dinanzi  al  giudice  dell'esecuzione  nonche',  in   via
d'interpretazione estensiva ed analogica,  dinanzi  al  tribunale  di
sorveglianza. 
    Come la Corte di cassazione ha chiarito,  l'art.  665,  comma  4,
cod. proc. pen. «non precisa il momento  in  cui  la  situazione  che
determina la  competenza  si  cristallizza,  e  la  questione  e'  di
primaria importanza essendo possibile e frequente il  susseguirsi  in
fase esecutiva di nuove sentenze da eseguire che si  aggiungono  alle
precedenti (in presenza o meno di provvedimenti  di  cumulo)»  (Cass.
sentenza n. 49256 del 2004).  La  stessa  Corte,  pero',  per  quanto
concerne  il  giudice  dell'esecuzione,  ha  indicato  la   soluzione
interpretativa da seguire, precisando nella medesima sentenza che «il
sistema non  sembra,  peraltro,  lasciare  dubbi:  la  competenza  si
determina nel momento della presentazione della domanda e, in omaggio
al   principio   della   perpetuatio   jurisdictionis,   si    radica
definitivamente e  non  muta  anche  in  caso  di  sopravvenienza  di
ulteriori titoli esecutivi». La Corte di cassazione si e' pronunciata
in  senso  analogo  anche  per  quanto  concerne   il   giudizio   di
sorveglianza (Cass., sentenza n. 4957 del 2004). 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Bari,  con  le  quattro
ordinanze  di  analogo  tenore  indicate  in  epigrafe,  dubita,   in
riferimento agli articoli 25, primo comma, 111, secondo comma  e  97,
primo comma, della Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 656, comma 5, del codice di procedura penale,  nella  parte
in cui non prevede che, nelle more della  decisione  sull'istanza  di
concessione  di   misura   alternativa   alla   detenzione,   qualora
sopravvengano altre sentenze definitive di  condanna  pronunciate  da
giudici di diverso distretto di corte d'appello nei  confronti  della
stessa persona e il pubblico ministero competente determini  la  pena
ai sensi dell'art. 663 cod. proc.  pen.,  la  competenza  a  decidere
rimanga ferma in favore del tribunale di sorveglianza  del  luogo  in
cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che - al  momento  della
presentazione di  detta  istanza  da  parte  del  condannato  «libero
sospeso» ai sensi dell'art. 656, comma  5,  cod.  proc.  pen.  -  era
competente per l'esecuzione. 
    Ad avviso del giudice a quo, l'art. 656, comma 6, cod. proc. pen.
si applica soltanto nell'ipotesi in cui la pena da espiare sia  stata
inflitta con una o piu'  sentenze  definitive,  in  riferimento  alle
quali il pubblico ministero competente prima emetta  apposito  ordine
di sospensione dell'esecuzione a norma dell'art. 656, comma  5,  cod.
proc. pen., e poi il  condannato  «libero  sospeso»  presenti,  entro
trenta giorni, apposita istanza di accesso a misura alternativa  alla
detenzione. 
    Invece, la norma denunziata nulla prevede per  il  caso  in  cui,
dopo la presentazione da parte del condannato dell'istanza di accesso
a misura alternativa alla detenzione, in relazione alla pena inflitta
con una o piu' sentenze  definitive,  sopraggiungano  altre  sentenze
definitive di condanna emesse da  giudici  di  diverso  distretto  di
corte d'appello, e queste siano assorbite -  come  nelle  fattispecie
sub iudice - in un apposito  provvedimento  di  cumulo  adottato  dal
pubblico ministero competente per territorio ai sensi  dell'art.  663
cod. proc. pen. 
    In questa particolare ipotesi trova  applicazione  -  secondo  il
rimettente - il principio, desumibile dal  combinato  disposto  degli
artt. 655, comma 1, e 665, comma 4, cod. proc. pen., secondo  cui  la
competenza  -  qualora  sopravvengano  altre  sentenze  di   condanna
pronunciate da giudici di diverso distretto di corte d'appello  -  e'
del tribunale di sorveglianza del luogo in cui e'  stata  pronunciata
la sentenza divenuta irrevocabile per ultima e, cioe', del  luogo  in
cui ha sede l'ufficio  del  pubblico  ministero  che,  avendo  emesso
apposito provvedimento ai sensi dell'art. 663  cod.  proc.  pen.,  ne
cura l'esecuzione. 
    Illustrate  le  ragioni  di  questo   approdo   ermeneutico,   il
rimettente afferma che le questioni in esame  non  potrebbero  essere
risolte applicando il principio della perpetuatio jurisdictionis, ne'
sotto il profilo dell'analogia legis, ne' sotto quello  dell'analogia
juris, perche' tale operazione interpretativa e' possibile qualora la
fattispecie sub iudice non sia disciplinata dalla legge,  mentre  nei
casi in esame la competenza per territorio, oggetto  delle  procedure
di sorveglianza, e' disciplinata dal combinato disposto  degli  artt.
655, comma 1, e 665, comma 4, cod. proc. pen., norme nelle  quali  e'
contemplato il criterio  legale  da  utilizzare  per  individuare  il
tribunale di sorveglianza territorialmente competente. 
    Tuttavia, secondo il giudice a quo,  il  criterio  relativo  alla
competenza territoriale, desumibile dagli artt. 655, comma 1, e  665,
comma 4, cod. proc. pen. sarebbe molto «mobile», in  quanto  consente
al tribunale di sorveglianza, inizialmente competente  ex  art.  656,
comma 6, cod. proc. pen. di dichiararsi incompetente e di trasmettere
gli atti della procedura al diverso tribunale  di  sorveglianza,  nel
frattempo divenuto competente per il sopravvenire di  altra  sentenza
irrevocabile pronunciata da giudice di  diverso  distretto  di  corte
d'appello.  Ma  tali  ripetuti  spostamenti  della   competenza   per
territorio, destinata a «cristallizzarsi» solo quando il tribunale di
sorveglianza decida prima  della  sopravvenienza  di  altre  condanne
definitive  pronunciate  da  giudici  di  altri  distretti  di  corte
d'appello,  si  pongono  in  contrasto  con  gli  invocati  parametri
costituzionali e, segnatamente: con l'art. 25,  primo  comma,  Cost.,
perche' rendono impossibile individuare  a  priori  il  tribunale  di
sorveglianza  competente  per  territorio  a  decidere   sull'istanza
diretta  ad  ottenere  l'applicazione  di  misure  alternative   alla
detenzione, presentata da chi e' stato condannato con  piu'  sentenze
emesse da giudici di diversi distretti di corte d'appello; con l'art.
111, secondo comma, Cost., perche' dilatano in modo  irragionevole  i
tempi di definizione dei procedimenti, non  assicurandone  quindi  la
ragionevole durata;  con  l'art.  97,  primo  comma,  Cost.,  perche'
rischiano di far girare «a vuoto», per un tempo piu' o meno lungo, la
stessa attivita' giurisdizionale, concretizzando cosi' la  violazione
del  principio  costituzionale  di  «buon  andamento»,  che   informa
l'attivita' di ogni amministrazione pubblica. 
    2.  -  Le  ordinanze  di  rimessione   sollevano   questioni   di
costituzionalita' inerenti alla medesima norma, svolgendo,  altresi',
censure nella sostanza  identiche,  onde  i  relativi  giudizi  vanno
riuniti per essere definiti con unica decisione. 
    3. - Le questioni sono inammissibili. 
    3.1. - Il rimettente muove dal presupposto che l'art. 656,  commi
5 e 6, cod. proc. pen., nulla prevede per il caso  in  cui,  dopo  la
presentazione, da parte del condannato,  dell'istanza  di  accesso  a
misura alternativa alla detenzione in riferimento alla pena  inflitta
con una o piu' sentenze  definitive,  sopraggiungano  altre  sentenze
definitive di condanna emesse da  giudici  di  diversi  distretti  di
corte  d'appello  e  tali  sentenze  siano  assorbite   in   apposito
provvedimento   di   cumulo   adottato   dal    pubblico    ministero
territorialmente competente ai sensi dell'art. 663 cod. proc. pen. Il
giudice a quo ritiene  che,  in  questa  particolare  ipotesi,  debba
trovare applicazione il principio desumibile dal  combinato  disposto
degli  artt.  655,  comma  1,  e  665,  comma  4,  cod.  proc.   pen.
(concernenti, peraltro, la fase dell'esecuzione e non il procedimento
di  sorveglianza),  secondo  cui   la   competenza,   nel   caso   di
sopravvenienza di altre sentenze di condanna pronunciate  da  giudici
di  diverso  distretto  di  corte  d'appello,  e'  del  tribunale  di
sorveglianza del luogo  in  cui  e'  stata  pronunciata  la  sentenza
divenuta irrevocabile per ultima, cioe' del  luogo  in  cui  ha  sede
l'ufficio  del  pubblico  ministero  che,  avendo   emesso   apposito
provvedimento ai  sensi  dell'art.  663  cod.  proc.  pen.,  ne  cura
l'esecuzione. 
    In presenza di  tale  espresso  criterio  legale  attributivo  di
competenza, il rimettente esclude che alla regola contenuta nell'art.
656, comma 6, cod. proc.  pen.,  possa  applicarsi  il  canone  della
perpetuatio jurisdictionis. 
    Se cosi' fosse, pero', i  reiterati  spostamenti  di  competenza,
ritenuti  in  contrasto  con  i  parametri  costituzionali   evocati,
sarebbero da ascrivere non alla carente formulazione  dell'art.  656,
comma 6, cod. proc. pen. (in  relazione  al  quale  si  sollecita  la
pronunzia di  sentenza  additiva),  bensi'  al  criterio  considerato
applicabile nella fattispecie, desunto dal combinato  disposto  degli
artt. 655, comma  1,  e  665,  comma  4,  cod.  proc.  pen.;  con  la
conseguenza che la questione sollevata, nei termini  sopra  indicati,
andrebbe  dichiarata  manifestamente  infondata  per  erroneita'  del
presupposto interpretativo (ex multis, ordinanze n. 54 del 2005 e  n.
100 del 2003). 
    In realta', la ricostruzione operata dal rimettente si rivela non
plausibile, perche' il Tribunale non  ha  motivato  adeguatamente  le
ragioni del convincimento espresso. 
    Invero,  la  competenza  per  territorio  della  magistratura  di
sorveglianza e' disciplinata dall'art. 677 cod. proc. pen.  (soltanto
fugacemente menzionato nelle ordinanze di rimessione),  in  relazione
alla  condizione  in  cui  si  trova  l'interessato  all'atto   della
richiesta,  della  proposta  o  dell'inizio  d'ufficio  del  relativo
procedimento. Nella specie,  avuto  riguardo  ai  casi  trattati  nei
giudizi principali, risulta rilevante il comma 2 di detta norma,  che
cosi' dispone: «Quando l'interessato non e' detenuto o internato,  la
competenza, se la  legge  non  dispone  diversamente,  appartiene  al
tribunale o al magistrato di sorveglianza che  ha  giurisdizione  sul
luogo in cui l'interessato ha la residenza  o  il  domicilio.  Se  la
competenza non puo' essere  determinata  secondo  il  criterio  sopra
indicato,  essa  appartiene  al  tribunale   o   al   magistrato   di
sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza di condanna,
di proscioglimento o di non luogo a procedere e,  nel  caso  di  piu'
sentenze  di  condanna  o  di  proscioglimento,  al  tribunale  o  al
magistrato di  sorveglianza  del  luogo  in  cui  fu  pronunciata  la
sentenza divenuta irrevocabile per ultima». 
    Come il testuale dettato  della  norma  pone  in  luce,  essa  si
applica «se  la  legge  non  dispone  diversamente»,  sicche'  quelli
previsti dalla citata  disposizione  assumono  il  rango  di  criteri
generali di competenza, ai quali, peraltro, la legge  puo'  apportare
deroghe. 
    Come affermato dalla  dottrina  e  dalla  giurisprudenza  (Cass.,
sentenze n. 38171 del 2008, n. 38047 del 2005 e n. 47881  del  2004),
una di tali deroghe e' la previsione contenuta nell'art.  656,  comma
6, cod. proc. pen.,  secondo  la  quale  l'istanza  va  trasmessa  al
tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui  ha
sede l'ufficio del pubblico ministero che ha promosso la  sospensione
dell'esecuzione, cosi' ponendo un criterio specifico che determina la
competenza del detto tribunale, in base ad un parametro  diverso  dal
luogo di residenza o di domicilio. 
    L'individuazione di questo specifico criterio  di  determinazione
della competenza del tribunale di sorveglianza rende,  altresi',  non
congruo il riferimento che il rimettente compie all'ultima parte  del
comma  2  dell'art.  677  cod.  proc.  pen.,  in  cui   vi   e'   una
identificazione della competenza per territorio della magistratura di
sorveglianza  con  quella  funzionale  del  giudice   dell'esecuzione
(nell'ipotesi di piu' sentenze di condanna o di proscioglimento). 
    La disposizione individua un  criterio  generale  residuale  che,
alla luce dell'espressa  clausola  di  salvaguardia  contenuta  nella
medesima disposizione («salvo che la legge non disponga altrimenti»),
e'  destinato  a  non  trovare  applicazione  laddove  sussista   una
specifica regola di competenza, qual e'  quella  contenuta  nell'art.
656, comma 6, cod. proc. pen. 
    Con riferimento a tale  regola  di  competenza  territoriale,  la
Corte di cassazione ha affermato che la competenza per territorio del
tribunale di  sorveglianza,  radicatasi  ai  sensi  della  norma  ora
citata,  rimane  ferma  anche  qualora  sopravvengano  altri   titoli
esecutivi sulla base di sentenze definitive di  condanna  pronunciate
da giudici di diverso distretto di corte d'appello. Infatti  essa  ha
ritenuto applicabile il principio della  perpetuatio  jurisdictionis,
«secondo il quale, una volta radicatasi la competenza per  territorio
con riferimento alla situazione esistente al momento della  richiesta
di una misura alternativa  alla  detenzione,  tale  competenza  resta
insensibile agli eventuali mutamenti che tale situazione puo'  subire
in virtu' di altri successivi provvedimenti» (Cass., sentenza n.  198
del 2005). La Corte di legittimita' ha osservato,  tra  l'altro,  che
questo e' «un criterio di orientamento certo ed  obiettivo,  che,  in
presenza  della  stessa  domanda  di  concessione   di   una   misura
alternativa alla detenzione, consente di evitare il trasferimento del
procedimento di sorveglianza davanti a  giudici  di  volta  in  volta
diversi, in  relazione  al  continuo  aggiornamento  della  posizione
esecutiva di un condannato». La ratio del  criterio,  del  resto,  e'
quella  di  realizzare  l'esigenza  che,  una  volta  intervenuta  la
sospensione  dell'esecuzione,  siano  garantite  la   celerita'   del
procedimento ed il collegamento con  il  pubblico  ministero  che  ha
disposto la sospensione. 
    Detta sentenza, pronunciata proprio con riguardo al  procedimento
di  sorveglianza,  esprime,  peraltro,  un  indirizzo   che,   quanto
all'applicabilita' del principio  della  perpetuatio  jurisdictionis,
risulta costante in tema di  esecuzione  penale  (ex  multis,  Cass.,
sentenze n. 24339, n. 24438 del 2008 e n. 49256 del 2004). 
    Il rimettente, trascurando di considerare adeguatamente i profili
ora indicati, da un lato, ha omesso di verificare  la  praticabilita'
di interpretazioni idonee a determinare il superamento dei  dubbi  di
costituzionalita' (sentenza n. 192 del 2007;  ordinanze  n.  193  del
2008 e n. 409 del 2007); dall'altro, non ha adempiuto all'obbligo  di
ricercare  una  interpretazione  costituzionalmente  orientata  della
norma impugnata (ordinanze n. 441 del 2008, n. 268 del 2008 e  n.  32
del 2007),  pur  possibile  alla  luce  delle  considerazioni  dianzi
esposte e del diritto vivente desumibile dalla citata  giurisprudenza
di legittimita'. 
    Tali carenze integrano autonome  cause  d'inammissibilita'  delle
questioni, in relazione a tutti i parametri  invocati  (con  riguardo
all'art. 97, primo comma, Cost. va, peraltro, detto che, per costante
giurisprudenza di questa Corte,  questo  parametro  non  riguarda  la
disciplina dell'attivita' giurisdizionale: ex multis, sentenze n. 272
del 2008 e n. 117 del 2007).