Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 336 del  codice
civile  promosso  dal  Tribunale  per  i  minorenni  di  Ancona   nel
procedimento relativo a  R.M.  con  ordinanza  del  12  maggio  2008,
iscritta al n. 410 del registro ordinanze  2008  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  55, 1ª  serie   speciale,
dell'anno 2008; 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 22  aprile  2009  il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Il Tribunale  per  i  minorenni  di  Ancona,  con  ordinanza
depositata il 12 maggio 2008, ha sollevato questione di  legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  articoli  3,  30,  31   della
Costituzione, dell'articolo 336 del codice civile,  nella  «parte  in
cui non prevede che il tribunale, in caso di  urgente  necessita'  di
tutela del minore e di mancato esercizio di  azione  di  potesta'  da
parte dei genitori, dei parenti entro il IV grado  o  del  PM,  possa
d'ufficio nominare curatore al minore affinche' tale organo valuti la
proposizione di azione a tutela di quest'ultimo». 
    2. - Il rimettente premette che, in data 25  settembre  2007,  il
pubblico  ministero  aveva  chiesto  che  si   aprisse   procedimento
amministrativo nei confronti della minore R.  M.,  per  sue  condotte
gravemente irregolari. In data 7 novembre 2007  il  tribunale  per  i
minorenni aveva disposto d'ufficio, ai sensi dell'art. 336 cod. civ.,
il suo collocamento in idonea comunita',  alla  luce  delle  condotte
gravemente devianti tenute  dalla  medesima  e  dell'incapacita'  dei
genitori di farvi fronte. 
    In particolare,  dalla  relazione  dei  servizi  sociali  del  19
settembre 2007, era emerso che la  minore  si  sottraeva  all'obbligo
scolastico, rientrava a casa in ore notturne, aveva  amicizie  legate
al mondo della droga e della devianza e, verosimilmente,  faceva  uso
di droghe. La madre aveva abbandonato il nucleo familiare  nel  1998,
senza piu' dare notizie di  se',  mentre  il  padre,  per  motivi  di
lavoro, aveva delegato la cura della figlia ai nonni paterni. Costoro
mai avevano accettato il legame tra i  genitori  della  minore  e  la
nascita di quest'ultima  la  quale,  in  data  9  novembre  2007,  su
richiesta dello stesso padre, era stata inserita dai servizi  sociali
in idonea comunita' educativa. 
    Il  pubblico  ministero  ha  chiesto,   il   2   febbraio   2008,
l'archiviazione degli atti in relazione al  procedimento  in  cui  il
tribunale si era pronunciato di ufficio, «ritenendo ingiustificata  e
fondata su presupposti di merito errati la emanazione  da  parte  del
tribunale di provvedimento ex  art.  336  c.  c.  nei  confronti  dei
genitori della minore». 
    Con nota dell'11 febbraio 2008, il giudice delegato ha chiesto al
pubblico ministero di rivalutare le proprie istanze, alla luce  delle
circostanze sopra indicate, nonche' di quelle emergenti da un verbale
di audizione  della  minore,  nel  corso  della  quale  costei  aveva
dichiarato quanto segue: «fin da subito mio padre mi faceva  crescere
con i suoi genitori forse per attirare l'attenzione di quest'uomo che
non riusciva ad abbracciarmi  ed  a  dirmi  che  mi  voleva  bene  ho
cominciato a comportarmi all'opposto di come mi veniva chiesto». 
    Il pubblico ministero, con nota del 15 febbraio 2008,  dopo  aver
ritenuto che le condotte dei genitori «non fossero obbiettivabili  in
gravi carenze o violenze o prevaricazioni ma fossero  assimilabili  a
mere  "inadeguatezze  genitoriali  o  contrasti  generazionali"»,  ha
ribadito la propria richiesta di archiviazione del procedimento. 
    3.   -   Tanto   premesso,   il   giudice   a    quo    prospetta
l'incostituzionalita' dell'art. 336 cod.  civ.  (nell'interpretazione
della giurisprudenza, che  costituisce  diritto  vivente),  la'  dove
prevede che legittimati a proporre azione nell'interesse  del  minore
siano soltanto le parti private o il pubblico  ministero,  riservando
al tribunale soltanto la possibilita' d'intervento in via di  urgenza
e provvisoria, con iniziativa destinata ad essere  caducata,  qualora
nessuna delle dette parti ritenga di proporre azione ai  sensi  degli
artt. 330 e ss. cod. civ. 
    Infatti, ad avviso del rimettente, la Costituzione  (artt.  30  e
31) prevede la piu' ampia tutela per i soggetti in eta'  minore,  con
norme che trovano  poi  riscontro  nella  normativa  penale  minorile
(d.P.R. n. 488 [recte: n. 448] del 22  settembre  1988  «Approvazione
delle  disposizioni  sul  processo  penale  a  carico   di   imputati
minorenni»), improntata alla  rieducazione  dei  minori  che  abbiano
commesso illeciti ed al favore nei  confronti  dell'indagato/imputato
minorenne, nonche' nelle numerose convenzioni internazionali recepite
nel sistema giuridico italiano ed intese a  tutelare  i  diritti  dei
minori stessi (tra le altre: Convenzione di New York del 20  novembre
1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991,
n. 176; Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996,  ratificata  e
resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77). 
    Il giudice a quo prosegue osservando che  la  tutela  del  minore
puo' rivelarsi inadeguata se nessuna delle  parti  eserciti  l'azione
davanti  al  tribunale  oppure,  qualora  tale  organo  abbia   agito
d'ufficio in via d'urgenza, se nessuna delle parti  ritenga  di  dare
seguito alla relativa attivita'. 
    Invero,  le  parti  private  potrebbero  essere  responsabili  di
situazioni pregiudizievoli per  il  minore,  e  non  offrire,  cosi',
garanzie  circa  l'efficace  esercizio  di  un'azione  a  tutela  del
medesimo; il pubblico ministero e' organo cui  fanno  capo  poteri  e
doveri d'intervento a tutela del minore, ma il sistema  non  appresta
rimedio nel caso di suo mancato tempestivo  intervento,  non  essendo
contemplata, nella prospettiva della suddetta tutela,  la  previsione
di un'eventuale responsabilita' disciplinare (peraltro estranea  alla
questione in esame). 
    Neppure sarebbe determinante il richiamo all'art. 403 cod.  civ.,
nella parte in cui prevede l'intervento dell'autorita' amministrativa
a tutela del minore «moralmente o  materialmente  abbandonato».  Tale
intervento, per un verso,  e'  strettamente  provvisorio;  per  altro
verso, prevede un  solo  tipo  d'iniziativa  («lo  colloca  in  luogo
sicuro»), e cioe' un'attivita' che puo'  non  essere  necessaria,  in
presenza di  complesse  situazioni  richiedenti  ben  piu'  ampie  ed
articolate determinazioni. 
    Per evitare un incostituzionale "vuoto  di  tutela",  dunque,  e'
necessario che il tribunale abbia il potere di nominare  un  curatore
che,  valutato  l'interesse  del  minore,  possa   proporre   ricorso
all'autorita' giudiziaria nell'interesse di quest'ultimo. 
    Alla luce delle considerazioni esposte, il rimettente dubita  che
la disciplina di cui all'art. 336 cod. civ. si ponga in contrasto con
gli artt. 30 e 31 Cost. (intesi come norme di protezione e tutela del
minore),  nonche'  con  l'art.  3  della  stessa  (sotto  i   profili
dell'uguaglianza e della ragionevolezza). 
    Ad avviso del rimettente, la questione e' rilevante nel  giudizio
a quo, perche': a) le asserzioni del pubblico ministero - secondo cui
l'allontanamento della madre da oltre dieci  anni,  durante  i  quali
ella non ha piu' dato notizie di se' causando alla figlia  gravissimi
traumi psicologici, ovvero l'affidamento da parte del  padre  ad  avi
che non hanno mai accettato  la  bimba  come  parte  della  famiglia,
sarebbero circostanze inidonee ad integrare gravi carenze genitoriali
- non potrebbero essere condivise; b) e' necessario garantire  idonea
tutela alla minore nei confronti  di  genitori  (in  particolare,  la
madre) che  hanno  mostrato  gravi  limiti  educativi  ed  affettivi,
assicurandole  idonea  collocazione  in  ambito  eterofamiliare;   c)
l'apertura di un  procedimento  amministrativo  nei  confronti  della
minore non fa venir meno il fondamento delle considerazioni  esposte.
Infatti, tale iniziativa non  e'  in  grado  di  porre  rimedio  alle
riscontrate carenze  genitoriali,  essendo  rivolta  unicamente  alla
minore, con conseguente "stigmatizzazione" della stessa  a  causa  di
condotte aventi matrice in un contesto familiare carente e inadeguato
sotto vari profili. 
    4. - Nel  giudizio  ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, con atto depositato il 13 gennaio 2009. 
    L'Avvocatura osserva che nell'ordinanza di rimessione non sarebbe
stata valutata  e  motivata  in  modo  adeguato  la  rilevanza  della
questione, perche' il giudice a quo si sarebbe limitato ad  affermare
che gli argomenti, addotti dal pubblico ministero  a  sostegno  della
richiesta di archiviazione, sarebbero "non condivisibili". 
    Altro profilo d'inammissibilita' andrebbe ravvisato  nel  rilievo
che, in sostanza, il Tribunale, attraverso la nomina di un  curatore,
si sarebbe sovrapposto al pubblico ministero,  assumendo,  cosi',  un
ruolo vicario delle  parti  legittimate  ad  intraprendere  eventuali
iniziative a tutela della minore. 
    La  questione  sarebbe   altresi'   inammissibile,   o   comunque
infondata, perche' questa Corte, richiamando anche i  principi  della
Convenzione di New York del 20  novembre  1989,  resa  esecutiva  con
legge n. 176 del 1991, ha gia' affermato (sentenza n. 1 del 2002) che
«il  fanciullo  capace  di  discernimento  ha  diritto  di  esprimere
liberamente la sua opinione su  ogni  questione  che  lo  interessa»,
sicche' la sua posizione si configura  come  quella  di  "parte"  del
procedimento,  con  la  necessita'  del  contraddittorio   nei   suoi
confronti, previa nomina, se del caso, di  un  curatore  speciale  ai
sensi dell'art. 78 del codice di procedura civile. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Tribunale per i  minorenni  di  Ancona,  con  l'ordinanza
richiamata in epigrafe, dubita della legittimita' costituzionale - in
riferimento agli articoli 3, 30 e 31 della Costituzione  -  dell'art.
336 del codice  civile,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il
tribunale, «in caso di urgente necessita' di tutela del minore  e  di
mancato esercizio di azione di potesta' da parte  dei  genitori,  dei
parenti entro il IV grado o del PM, possa d'ufficio nominare curatore
al minore affinche' tale organo valuti la proposizione  di  azione  a
tutela di quest'ultimo». 
    Il  rimettente  -  nell'ambito  del  procedimento  promosso   dal
pubblico ministero, nei confronti della minore  R.  M.  per  condotte
gravemente irregolari, procedimento  del  quale  lo  stesso  pubblico
ministero aveva poi chiesto l'archiviazione - osserva che  la  tutela
del minore  «puo'  restare  priva  di  concreto  riscontro»,  qualora
nessuna delle parti eserciti l'azione davanti al tribunale oppure  se
detto organo, che abbia agito d'ufficio in via di urgenza e  cautela,
ritenga di non dare seguito a tale iniziativa. 
    Del  resto,  da  un  lato  le  parti  private  potrebbero  essere
responsabili di condotte pregiudizievoli per il minore e non  offrire
cosi' garanzie  per  l'esercizio  efficace  di  azioni  a  tutela  di
quest'ultimo, dall'altro e' pur vero  che  il  sistema  non  appresta
rimedio alcuno  per  il  caso  di  mancato  intervento  del  pubblico
ministero, non essendo al riguardo previste,  nella  prospettiva  qui
considerata,   eventuali   responsabilita'   disciplinari,   peraltro
estranee al caso concreto. 
    In questo quadro, ad avviso del giudice a  quo,  per  evitare  un
incostituzionale vuoto di tutela sarebbe necessario che il  tribunale
per i minorenni  avesse  il  potere  di  nominare  un  curatore  che,
valutato   l'interesse   del   minore,   potesse   proporre   ricorso
all'autorita' giudiziaria a tutela di questo. 
    2. - La questione e' inammissibile. 
    2.1. - In primo luogo, il giudice a  quo  non  descrive  in  modo
sufficiente la fattispecie oggetto del procedimento principale. 
    In particolare, non  indica  la  data  di  nascita  della  minore
(circostanza non irrilevante, avuto riguardo agli effetti collegabili
al raggiungimento di soglie minime di eta' da parte di coloro che non
hanno compiuto i 18 anni), nulla dice in ordine alle sue capacita' di
discernimento, lascia indeterminata la posizione del  padre,  cui  si
addebita soltanto di avere delegato, «per motivi di lavoro», la  cura
della minore ai nonni paterni, i quali  non  avrebbero  accettato  il
legame  dell'uomo  con  la  madre  di  R.  M.,  ne'  la  nascita   di
quest'ultima, senza pero' individuare specifiche  carenze  educative,
affettive o assistenziali, non chiarisce in modo adeguato le  ragioni
che   avrebbero   indotto   il   pubblico   ministero   a    chiedere
l'archiviazione   degli   atti,   limitandosi   a   definirle    «non
condivisibili». Inoltre nulla riferisce  in  ordine  alle  azioni  di
tutela  che  dovrebbero  essere  adottate,  a   parte   un   generico
riferimento ad una «idonea collocazione in ambito eterofamiliare». 
    Per costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  l'insufficiente
descrizione della fattispecie si risolve in  difetto  di  motivazione
sulla   rilevanza   della   questione    sollevata,    determinandone
l'inammissibilita' (ex plurimis, ordinanze n. 93 e n. 35 del 2009, n.
441 e n. 433 del 2008). 
    2. 2. - Sotto altro profilo, il  giudice  a  quo  non  ignora  la
Convenzione di New York sui diritti del  fanciullo  del  20  novembre
1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991,
n. 176, e la  Convenzione  europea  sull'esercizio  dei  diritti  dei
minori adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996,  ratificata  e  resa
esecutiva in Italia con legge 20 marzo 2003, n.  77.  Trascura  pero'
qualsiasi analisi della normativa introdotta  con  tali  convenzioni,
dotate di efficacia  imperativa  nell'ordinamento  interno  e  quindi
recanti una disciplina integrativa rispetto alla previsione dell'art.
336 cod. civ., col quale vanno coordinate. 
    In particolare, l'art. 9, comma 2, della Convenzione di New  York
stabilisce che, «in tutti  i  casi  previsti  nel  paragrafo  1»  del
medesimo articolo, dedicato ai rapporti del minore  con  i  genitori,
«tutte  le  parti  interessate  devono  avere  la   possibilita'   di
partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro  opinioni».
Inoltre l'art. 12 della stessa, dopo aver disposto, nel comma 1,  che
gli Stati parti garantiscono al fanciullo «capace  di  discernimento»
il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione
che lo interessa, aggiunge, nel comma 2, che: «A tal fine si dara' in
particolare al fanciullo la possibilita' di essere ascoltato in  ogni
procedura  giudiziaria  o  amministrativa  che   lo   concerne,   sia
direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo  appropriato,
in maniera compatibile con le regole di procedura della  legislazione
nazionale». 
    In coerente sviluppo con tali disposizioni normative, l'art. 336,
quarto comma, cod. civ., aggiunto dall'art. 37, comma 3, della  legge
28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio  1983,  n.  184,
recante «Disciplina dell'adozione  e  dell'affidamento  dei  minori»,
nonche' al titolo VIII del libro primo del  codice  civile),  dispone
che: «Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il
minore sono assistiti da un  difensore».  Dal  coordinamento  tra  le
norme ora citate e' desumibile che, nei procedimenti di cui  all'art.
336 cod. civ., sono parti non soltanto entrambi i genitori, ma  anche
il minore, con la necessita' del contraddittorio nei suoi  confronti,
previa nomina,  se  del  caso,  di  un  curatore  speciale  ai  sensi
dell'art. 78 del codice di procedura civile (sentenza n. 1 del 2002). 
    Va poi considerata la Convenzione di Strasburgo che, nell'art. 1,
comma  2,  cosi'   definisce   il   proprio   oggetto:   «promuovere,
nell'interesse superiore dei minori, i loro diritti,  concedere  loro
diritti azionabili e facilitarne  l'esercizio  facendo  in  modo  che
possano, essi stessi  o  tramite  altre  persone  od  organi,  essere
informati  e  autorizzati  a  partecipare  ai  procedimenti  che   li
riguardano dinanzi ad un'autorita' giudiziaria». L'art. 4,  comma  1,
attribuisce al minore, quando il diritto interno  priva  i  detentori
delle   responsabilita'    genitoriali    della    possibilita'    di
rappresentarlo a causa di un conflitto  d'interessi,  il  diritto  di
richiedere, personalmente o  tramite  altre  persone  od  organi,  la
designazione di un rappresentante speciale nei  procedimenti  che  lo
riguardano dinanzi ad un'autorita' giudiziaria. L'art.  9,  comma  1,
dispone poi che, nei procedimenti che riguardano un minore, quando in
virtu'  del  diritto  interno  i  detentori   delle   responsabilita'
genitoriali si vedono privati  della  facolta'  di  rappresentare  il
minore a causa di un conflitto d'interessi,  l'autorita'  giudiziaria
ha  il  potere  di  designare  un  rappresentante  speciale  che   lo
rappresenti in tali procedimenti. 
    Il  rimettente  non  ha  verificato  l'incidenza  della  suddetta
normativa sulla fattispecie concreta al suo esame e, quindi,  non  ha
spiegato le ragioni che, ad onta di essa, determinerebbero l'asserito
vuoto  di  tutela,  pur  spettando  al  giudice  della   controversia
l'interpretazione  della  disciplina   giuridica   applicabile   alla
fattispecie medesima. 
    Tali  omissioni  si  risolvono  in  un   ulteriore   difetto   di
motivazione sulla rilevanza  della  questione,  da  cui  discende  un
autonomo profilo d'inammissibilita' della stessa.