LA CORTE D'APPELLO 
    Nella causa d'appello iscritta al n. 1003 del  registro  generale
lavoro dell'anno 2008, promossa dall'Istituto nazionale di previdenza
per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche (INPDAP) in  persona
del legale rappresentante pro tempore rappresentato  e  difeso  dagli
avv. Roberto Annovazzi e Salvatore Carolla  giusta  procura  generale
alle liti a rogito del  notaio  Colistra  di  Roma  ed  elettivamente
domiciliato presso la sede Inpdap di Ancona, Via Ruggeri,  civico  n.
5/c, appellante; 
    Nei confronti di Lombardelli Marco Aurelio rappresentato e difeso
dagli avv. Loretta Lombardelli e Simone Longhi del foro  di  Macerata
ed elettivamente domiciliato in Ancona, corso  Garibaldi,  civico  n.
124, presso lo studio dell'avv. Roberto Tiberi, appellato; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    1. - Con tempestivo ricorso in  appello  ritualmente  proposto  a
norma dell'art. 434  cod.  proc.  civ.  l'I.N.P.D.A.P.  impugnava  la
sentenza del tribunale  di  Macerata,  in  funzione  di  giudice  del
lavoro, resa all'udienza del 2 dicembre  2008,  che  in  accoglimento
della  domanda  di  Lombardelli  Marco   Aurelio   aveva   condannato
l'istituto a pagare la somma  di  €  136.374,73  oltre  interessi,  a
titolo di differenza tra la minor somma corrisposta e quella dovuta a
titolo di liquidazione del trattamento di fine servizio. 
    Tra i vari  motivi  articolati  a  sostegno  della  impugnazione,
l'istituto appellante, oltre a richiedere  l'integrazione  necessaria
del  contraddittorio  nei  confronti  della  azienda   sanitaria   di
Macerata, datrice di lavoro (con conseguente  istanza  di  rimessione
della causa al tribunale di Macerata a norma dell'art. 354 cod. proc.
civ.)  sollevava  eccezioni  di  legittimita'  costituzionale   delle
disposizioni  di  cui  ai  commi  2  e  3  dell'art.  3  del  decreto
legislativo 19 giugno 1999, n. 229 per disparita' di  trattamento  ed
eccesso di  delega,  per  contrasto  con  gli  artt.  3  e  76  della
Costituzione. 
    Evidenziava,  in  particolare,  l'appellante  che  la  legge   30
novembre 1998, n. 419 all'art. 2, nella indicazione  al  Governo  dei
principi e criteri direttivi di delega,  alla  lettera  t)  stabiliva
espressamente che il legislatore delegato, nel rendere omogenea anche
per i dipendenti privati la disciplina del trattamento  assistenziale
e previdenziale dei soggetti nominati direttore  generale,  direttore
amministrativo e direttore sanitario  di  azienda,  avrebbe  previsto
(nell'ambito dei trattamenti assistenziali e  previdenziali  previsti
dalla legislazione  vigente)  «  ...l'applicazione  dell'articolo  3,
comma 8, secondo periodo, del decreto legislativo 30  dicembre  1992,
n. 502, e successive modificazioni...». 
    Secondo l'appellante tale preciso vincolo dettato al  legislatore
delegato comportava  il  mantenimento  della  disciplina  sostanziale
(cristallizzata nella disposizione di cui all'articolo  3,  comma  8,
secondo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502,  e
successive modificazioni)  della  previsione  della  base  imponibile
contributiva  con   riferimento   alla   retribuzione   cosi'   detta
«virtuale»; in altri termini  restava  confermato  che  i  contributi
previdenziali  ed  assistenziali  dovessero  essere   calcolati   sul
trattamento  stipendiale  spettante  al  dipendente  in  aspettativa,
secondo il regime del rapporto di lavoro dipendente e  non  gia'  sui
diversi (e maggiori) compensi previsti per il  periodo  di  nomina  a
direttore,  riconducibili,  viceversa,  ad  un  contratto  di  lavoro
privato. 
    L'istituto, a sostegno delle proprie  argomentazioni,  richiamava
anche il parere n. 1103 del 12 febbraio 1997 espresso  dal  Consiglio
di Stato, sezione prima, secondo cui, per valorizzare il  periodo  di
aspettativa senza assegni  «...la  base  contributiva  utile  per  il
trattamento  di  fine  servizio  non  possa   che   essere   riferita
all'identico trattamento economico attribuito al personale nel  ruolo
di provenienza...». Inoltre il principio espresso in tale parere  era
stato fatto proprio dall'I.N.P.D.A.P. che, con la circolare n. 11 del
12 marzo 2001, forniva agli enti  datori  di  lavoro  le  indicazioni
sulle  trattenute  contributive  da  effettuare  sulla   retribuzione
«virtuale», tanto vero  che  anche  la  azienda  sanitaria  n.  9  di
Macerata aveva operato le trattenute contributive  sul  corrispettivo
spettante al  Lombardelli  per  il  rapporto  di  lavoro  subordinato
prestato come dipendente pubblico, tenuto conto che l'unico  rapporto
previdenziale in essere era quello relativo  al  rapporto  di  lavoro
subordinato con l'amministrazione di provenienza (nella qualifica  di
dirigente amministrativo) non assimilabile  al  compenso  corrisposto
per l'incarico di direttore generale, che, viceversa, si  era  svolto
secondo le forme e la disciplina del lavoro autonomo. 
    2. - Sul  punto  l'appellato  nella  memoria  di  costituzione  e
risposta, resistendo  al  gravame,  sosteneva  che  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale,   sollevate   da   controparte,   erano
manifestamente infondate atteso che il criterio  di  omogeneizzazione
ai fini previdenziali indicato alla  lettera  t)  dell'art.  2  della
legge  30  novembre  1998,  n.  419  andava  -  nell'ambito  di   una
interpretazione complessiva  della  legge  delega  -  necessariamente
integrato con  il  connesso  criterio  di  omogeneizzazione  ai  fini
retributivi di cui alla lettera u) e, di  conseguenza,  la  direttiva
della definizione del trattamento economico del direttore sanitario e
del  direttore  amministrativo  in  misura  non  inferiore  a  quello
previsto dalla contrattazione collettiva  nazionale  (rispettivamente
per le posizioni apicali della dirigenza  medica  ed  amministrativa)
era coerente  con  il  riconoscimento  della  utilita'  del  compenso
ricevuto per l'incarico di direzione anche ai fini della liquidazione
del trattamento di fine servizio. 
    All'udienza di discussione, sentiti i difensori ed esaminati  gli
atti ed i documenti prodotti, la Corte ha dato  lettura  della  parte
dispositiva di questa ordinanza di rimessione, riservando la  stesura
della motivazione. 
    3. - A giudizio di questa Corte, premesso che - contrariamente  a
quanto dedotto nel ricorso in appello - non ricorre la necessita'  di
integrazione  del  contraddittorio  con  l'azienda  unita'  sanitaria
locale n.  9  di  Macerata  (datrice  di  lavoro)  stante  la  natura
previdenziale dell'indennita'  premio  di  fine  servizio,  affermata
dalla giurisprudenza di legittimita' (si veda Cass.,  sez.  unite  n.
11329 del 2005), la controversia tra  le  parti  in  causa  non  puo'
essere definita indipendentemente dalla risoluzione  delle  sollevate
questioni di legittimita' costituzionale. 
    E'  pacifico  tra  le  parti  che  Lombardelli   Marco   Aurelio,
dipendente della azienda unita' sanitaria locale n. 9 di Macerata, al
tempo del  collocamento  in  quiescenza  (con  decorrenza  dal  primo
ottobre 2002) si trovasse in  aspettativa  senza  assegni  in  quanto
nominato direttore generale della azienda unita' sanitaria locale  n.
4 di Terni, a  norma  dell'art.  3-bis  del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 502 (per tale  incarico  il  trattamento  economico
omnicomprensivo annuo, inizialmente stabilito in 200milioni di  lire,
come da contratto di lavoro autonomo, sottoscritto il 10 luglio 1988,
era elevato, a partire dal primo gennaio 2002 nella misura annua di €
132.212,97). 
    Costituisce,  poi,  fatto   documentale   la   liquidazione   del
trattamento di fine servizio senza tener conto dei compensi effettivi
percepiti   dal   dipendente    in    aspettativa    nell'adempimento
dell'incarico di direttore generale; in specie con determinazione  29
aprile 2003, l'I.N.P.D.A.P. della sede provinciale di  Macerata,  nel
liquidare al Lombardelli il trattamento di fine servizio  secondo  il
criterio fissato dall'art. 4 della legge n. 152 del 1968  (indennita'
premio di fine servizio  da  determinare  in  un  quindicesimo  della
retribuzione contributiva degli ultimi 12 mesi  in  ragione  dell'80%
per  ogni  anno  di  iscrizione  all'istituto)   muoveva   non   gia'
dall'importo dei  compensi  percepiti  per  l'incarico  di  direttore
generale, ma dalla base imponibile stipendiale pari alla retribuzione
cosi' detta «virtuale» annua determinata in complessivi  €  50.509,47
(corrispondente a quella  che  il  Lombardelli  avrebbe  seguitato  a
percepire nella ipotesi di prosecuzione della prestazione  di  lavoro
dipendente come dirigente amministrativo nella azienda  sanitaria  di
appartenenza di Macerata). 
    Se si considera che nel caso di  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale delle disposizioni  denunciate  ed  il  consequenziale
ripristino della disciplina previgente  di  cui  al  comma  8,  parte
seconda, dell'art. 3 del decreto legislativo  30  dicembre  1992,  n.
502,    risulterebbe    conforme    a     legge     l'interpretazione
dell'I.N.P.D.A.P. e cioe' del calcolo  dei  contributi  previdenziali
sul trattamento stipendiale spettante al dipendente in aspettativa in
ragione del rapporto di lavoro subordinato con la amministrazione  di
appartenenza,  risulta  evidente  la  rilevanza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    Peraltro, va evidenziato sul  punto,  come  l'orientamento  della
giurisprudenza di legittimita' (si veda Cass., sez. lav. del 2008  n.
11925 e n. 12325) sia  fermo  nel  ritenere  che  il  versamento  dei
contributi previdenziali - ad opera dell'amministrazione ovvero  ente
privato di appartenenza - debba  essere  commisurato  al  trattamento
economico effettivamente corrisposto per l'incarico conferito (e  non
al trattamento  stipendiale  del  rapporto  di  lavoro  in  stato  di
temporanea quiescenza) ancorche' nel  limite  del  massimale  di  cui
all'art. 3, comma 7, del decreto legislativo n. 181 del 1997. 
    4. - La Corte ritiene che le sollevate questioni di  legittimita'
costituzionale non appaiono  manifestamente  infondate  sia  pure  in
correlazione al solo parametro della violazione della conformita'  di
tale disciplina ai principi ed ai criteri  indicati  nella  legge  di
delega. 
    Infatti la legge n. 419 del 1998 di  delega  al  Governo  per  la
razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e  per  l'adozione
di un testo unico in materia, all'articolo 2 (rubricato  «Principi  e
criteri  direttivi  della  delega»),  comma  uno,   cosi'   dispone:"
Nell'emanazione dei decreti legislativi di  cui  all'articolo  1,  il
Governo si atterra' ai seguenti principi e criteri direttivi: 
        a)...omissis... 
        t)   rendere   omogenea   la   disciplina   del   trattamento
assistenziale  e  previdenziale  dei  soggetti   nominati   direttore
generale, direttore amministrativo e direttore sanitario di  azienda,
nell'ambito dei trattamenti assistenziali  e  previdenziali  previsti
dalla legislazione vigente,  prevedendo  altresi'  per  i  dipendenti
privati l'applicazione dell'articolo 3, comma 8, secondo periodo, del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.   502,   e   successive
modificazioni;...». 
    Se  si  considera  che  la   richiamata   disposizione   di   cui
all'articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
502 dopo aver  premesso,  nel  primo  periodo,  che  per  i  pubblici
dipendenti la nomina a direttore generale, direttore amministrativo e
direttore sanitario determina il collocamento  in  aspettativa  senza
assegni e che tale periodo  di  aspettativa  e'  utile  ai  fini  sia
dell'anzianita' di servizio  sia  del  trattamento  di  quiescenza  e
previdenza, al  secondo  periodo  stabiliva  che  il  versamento  dei
contributi  (previdenziali  ed  assistenziali)  -  ad   opera   delle
amministrazioni di appartenenza - era calcolato «... sul  trattamento
stipendiale spettante...» al dipendente  in  aspettativa  e  non  sui
compensi percepiti nel nuovo incarico, si deve riconoscere come  tale
statuizione  rappresentasse  un  ineludibile  limite  al  legislatore
delegato. 
    In altri termini, la legge di delega,  attraverso  la  previsione
della  estensione  anche  ai  dipendenti  privati  della   disciplina
omogenea del trattamento assistenziale e previdenziale (all'epoca per
l'incarico di direzione affidato ai dipendenti privati era  prevista,
dallo stesso  comma  8,  terzo  periodo,  soltanto  il  diritto  alla
conservazione del posto durante il periodo  di  aspettativa)  muoveva
dal comune presupposto del calcolo dell'imponibile contributivo sulla
base del livello stipendiale del rapporto di  lavoro  quiescente  con
conseguente esclusione del criterio  alternativo  del  calcolo  sulla
base dei compensi (da lavoro autonomo) spettanti  per  l'incarico  di
direzione. 
    Sulla  base  di  tale  premessa  appare   indubitabile   che   il
legislatore delegato  nel  rendere  omogenea  la  disciplina  avrebbe
dovuto, comunque, rispettare il  criterio  inderogabile  del  calcolo
contributivo sulla base della retribuzione cosi' detta «virtuale». 
    In sede di attuazione della delega con la disposizione del  comma
2 dell'articolo 3 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, era
(tra l'altro), per quanto qui interessa,  abrogato  il  comma  8  del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502; con la disposizione del
comma 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo 19  giugno  1999,  n.
229, era (tra l'altro), per quanto  qui  interessa,  aggiunto  l'art.
3-bis, che al comma 11cosi' dispone: «La nomina a direttore generale,
amministrativo e sanitario determina per i lavoratori  dipendenti  il
collocamento  in  aspettativa  senza  assegni   e   il   diritto   al
mantenimento del posto.  L'aspettativa  e'  concessa  entro  sessanta
giorni dalla richiesta. Il periodo di aspettativa e'  utile  ai  fini
del trattamento di quiescenza e di previdenza. Le amministrazioni  di
appartenenza provvedono ad effettuare il  versamento  dei  contributi
previdenziali ed assistenziali comprensivi delle quote a  carico  del
dipendente,  calcolati  sul  trattamento  economico  corrisposto  per
l'incarico conferito nei limiti dei massimali di cui all'articolo  3,
comma 7, del  decreto  legislativo  24  aprile  1997,  n.  181,  e  a
richiedere il rimborso di  tutto  l'onere  da  esse  complessivamente
sostenuto  all'unita'  sanitaria  locale  o  all'azienda  ospedaliera
interessata, la quale  procede  al  recupero  della  quota  a  carico
dell'interessato». 
    In definitiva il legislatore  delegato  non  ha  mantenuto  fermo
l'unico criterio indicato nella  legge  di  delega  del  calcolo  dei
contributi   previdenziali   «...   sul    trattamento    stipendiale
spettante...» al dipendente in aspettativa ma,  con  disposizione  di
natura innovativa, ha previsto che il calcolo  dei  contributi  fosse
effettuato «... sul trattamento economico corrisposto per  l'incarico
conferito...» ancorche' «nei limiti dei massimali di cui all'articolo
3, comma 7, del decreto legislativo 24  aprile  1997,  n.  181...  »,
rendendo in tal modo sensibile  la  commisurazione  contributiva  dei
compensi percepiti per l'incarico  di  direzione  con  consequenziale
incidenza sull'ammontare del trattamento di fine servizio. 
    Trattandosi di un criterio obiettivamente diverso e, per di piu',
piu' oneroso per la amministrazione di appartenenza, si deve dubitare
della legittimita' costituzionale  delle  predette  disposizioni  del
decreto delegato n. 229 del 1999 ovvero,  in  via  gradata,  si  deve
dubitare della legittimita' costituzionale della disposizione di  cui
al comma 11 dell'articolo 3-bis del decreto legislativo  30  dicembre
1992, n. 502, nella parte  in  cui  dispone  che  il  versamento  dei
contributi  debba  essere  calcolato  «...sul  trattamento  economico
corrisposto per l'incarico conferito...». 
    In proposito non sembra che il diverso ed innovativo criterio  di
calcolo  dell'imponibile  contributivo   adottato   dal   legislatore
delegato possa  trovare  legittimazione  nella  disposizione  di  cui
all'articolo 10, comma 2, periodo  secondo,  della  legge  13  maggio
1999, n.  133  (recante  disposizioni  in  materia  di  perequazione,
razionalizzazione e federalismo fiscale), atteso che, in primo luogo,
la delega al Governo contenuta nella disposizione al comma 1 (secondo
cui: «Il Governo e' delegato ad emanare, entro nove mesi  dalla  data
di entrata in  vigore  della  presente  legge,  uno  o  piu'  decreti
legislativi aventi per  oggetto  il  finanziamento  delle  regioni  a
statuto   ordinario   e   l'adozione   di   meccanismi    perequativi
interregionali, in base ai seguenti principi e criteri direttivi:  a)
... omissis ...») non ha diretta attinenza con  la  razionalizzazione
del Servizio sanitario nazionale. 
    Inoltre la disposizione del comma due, periodo secondo (collocata
subito dopo l'affermazione del divieto di  oneri  aggiuntivi  per  il
bilancio dello Stato) secondo cui: «Anche al fine  del  coordinamento
con i predetti obiettivi, principi e criteri,  entro  un  anno  dalla
data di entrata in vigore dei  decreti  legislativi  attuativi  della
citata legge n. 419 del 1998, e nel  rispetto  delle  procedure,  dei
principi e criteri direttivi stabiliti dalla medesima  legge  n.  419
del 1998, con uno o piu' decreti legislativi possono  essere  emanate
disposizioni correttive e integrative» non  fa  altro  che  ribadire,
senza emendare, i principi ed i  criteri  direttivi  della  legge  di
delega n. 419 del 1998. 
    Tali  principi  e  criteri  direttivi  devono,  pertanto,  essere
considerati ancora fermi essendo evidente che il riconoscimento della
possibilita' di emanazione di disposizioni «correttive e integrative»
non  comporta  il  potere  di  emanare  disposizioni  innovative   in
contrasto con la legge di delega; cio' vale, a maggior  ragione,  ove
si consideri che nello stesso articolo 10, comma 2, periodo  secondo,
della legge 13 maggio 1999,  n.  133  e'  espressamente  ribadito  il
«rispetto ...  dei  principi  e  criteri  direttivi  stabiliti  dalla
medesima legge n. 419 del 1998». 
    Le obiezioni sollevate dall'appellato a sostegno della  manifesta
infondatezza  delle   questioni   di   legittimita'   costituzionale,
sollevate dall'I.N.P.D.A.P., non valgono a  dissipare  il  dubbio  di
difformita'  della  legislazione  delegata  rispetto  ai  principi  e
criteri enunciati nella legge di delega e, di conseguenza, ad elidere
il   dubbio   di   legittimita'   costituzionale   delle   menzionate
disposizioni per violazione dell'articolo 76 della Costituzione. 
    Infatti  il  connesso  criterio  di  omogeneizzazione   ai   fini
retributivi di cui alla lettera U) della legge  di  delega  non  puo'
avere  influenza  sul  trattamento  di  fine  servizio  che,  secondo
l'orientamento   della   giurisprudenza   di   legittimita'   innanzi
richiamato, ha natura giuridica previdenziale e non gia'  retributiva
non essendo riconducibile ad un ulteriore emolumento derivante  dalla
cessazione del rapporto di lavoro. 
    Infatti  la  natura  previdenziale   e   non   gia'   retributiva
dell'indennita'   premio   di   fine   servizio,   affermata    dalla
giurisprudenza di legittimita' (si veda Cass., sez.  unite  n.  11329
del 2005) trova titolo in un rapporto assicurativo autonomo  rispetto
al rapporto di pubblico impiego (Cass., sez. unite, 27 ottobre  2000,
n. 1143 e giurisprudenza ivi richiamata nonche' Cass., sez. lav.,  n.
12532  del  2004)  attesa  l'autonomia  del  rapporto   previdenziale
rispetto al rapporto di lavoro pubblico che funge da mero presupposto
esterno  del  rapporto  previdenziale  -  secondo  il   condivisibile
orientamento della  giurisprudenza  di  legittimita'  (cfr.,  in  tal
senso, Cass., sez. unite n. 11329 del 2005) - tenuto conto  che  ogni
accertamento sul rapporto di lavoro pubblico deve  essere  svolto  in
via esclusivamente incidentale dal giudice della causa previdenziale. 
    Per le svolte considerazioni va disposta la sospensione di questo
processo nonche' la immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale con gli ulteriori adempimenti indicati in dispositivo,
a norma dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953.