IL TRIBUNALE Esaminata la richiesta del pubblico ministero/sezione D.D.A. sede di inoltro alla Camera dei deputati della richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni telefoniche nei confronti dei Parlamentari: on. Bocchino Italo, nato a Napoli il 6 luglio 1967 ( difeso di fiducia dagli avvocati Ettore Stravino e Leone Zeppieri), imputato in relazione ai reati di cui agli artt. 416 - 353 - 326 c.p. e; on. Lusetti Renzo, nato a Castelnovo di Sotto (Reggio Emilia) il 4 settembre 1958 (difeso di fiducia dagli avvocati Massimo Krogh e Alessandra Cacchiarelli ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Cocchiarelli) imputato in relazione all'art 416 c.p. Premesso che in data 16 settembre 2008 veniva avanzata richiesta di emissione di misura coercitiva nei confronti dei predetti parlamentari e di altri 18 indagati; che, contestualmente i pp.mm. chiedevano di inoltrare alla Camera di appartenenza la richiesta di autorizzazione all'utilizzazione delle intercettazioni (ex art. 6, comma 2, legge n. 104/2003) nonche' richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dei suddetti parlamentari; che codesto g.i.p., nel contesto dell'ordinanza cautelare, depositata in data 16 dicembre 2008, dato atto che il compendio indiziario a carico dei parlamentari indagati era costituito, prevalentemente, da intercettazioni telefoniche «indirette» (ovvero casuali o fortuite in quanto, captate su utenze in uso agli altri coindagati), per l'utilizzazione delle quali permaneva (anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale 23 novembre 2007, n. 390) la necessita' di inoltrare la richiesta di autorizzazione (successiva) alla Camera competente, disponeva lo stralcio delle posizioni dei parlamentari Bocchino Italo e Lusetti Renzo riservando la decisione, all'esito della procedura prescritta dall'art. 6, comma 2, legge n. 140/2003; che con separata ordinanza, depositata in pari data - ritenuta l'utilizzazione delle conversazioni intercettate necessaria ai fini della valutazione del compendio indiziario posto a fondamento della richiesta coercitiva avanzata anche nei confronti degli onorevoli Bocchino Italo e Lusetti Renzo - nel rispetto del canone di cui all'art. 6, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140 e nelle forme di cui all'art. 127 c.p.p., veniva fissata I' udienza in camera di consiglio; che all'udienza del 12 gennaio 2009 ed alla successiva del 14 gennaio 2009, i pp.mm, riportandosi alla memoria contestualmente depositata in atti, chiedevano che, previa sospensione del procedimento a carico degli indagati on. Bocchino Italo e on. Lusetti Renzo, codesto g.i.p. sollevasse questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2 e segg., legge n. 140/2003 per contrasto con gli artt 3, comma 1, 68 comma 3, 102 e 104 comma 1, 112, 24, secondo comma della Costituzione; che i difensori degli imputati, sul punto eccepivano il difetto di legittimazione del g.i.p., nonche' l'irrilevanza della questione di legittimita' costituzionale - attesa l'irrilevanza, di immediata percezione, delle intercettazioni poste a fondamento delle contestazioni sollevate a carico degli onorevoli indagati - e la manifesta infondatezza della questione medesima, versandosi in ipotesi di intercettazioni telefoniche «dirette» e non «casuali o fortuite», rispetto alle quali, deve ritenersi applicabile il regime prescritto dall'art. 4 della legge n. 140/2003, con conseguente inutilizzabilita' delle stesse in quanto acquisite contra-legem, chiedendo, pertanto, una declaratoria in tal senso o - in subordine la declaratoria in termini di «irrilevanza» delle intercettazioni ai sensi dell'art. 6, comma 1, legge n. 140/2003; che il g.i.p. - rinviando l'udienza camerale al 26 gennaio 2009 - si riservava qualsivoglia decisione. Cio' posto la riserva viene sciolta nei sensi qui di seguito indicati rilevando, innanzitutto, quanto alla legittimazione che, in ordine a tale requisito, e' noto che il giudice puo' sollevare la questione di legittimita' costituzionale, in qualunque procedimento giurisdizionale, purche' denunci quelle norme in relazione alle quali esercita una effettiva potestas decidendi. E' evidente, che, nel caso in esame, versandosi nell'ambito del sub-procedimento camerale, prescritto dall'art. 6, comma 2, legge n. 140/2003, che individua il «giudice delle indagini preliminari» come soggetto giurisdizionale, dotato, in questo caso, di potere decisorio sia in ordine alla richiesta cautelare del p.m., che alla utilizzazione (all'esito di un contraddittorio tra le parti) a fini cautelati delle disposte intercettazioni e, quindi, legittimato alla richiesta di autorizzazione al Parlamento, sussiste una effettiva potestas decidendi, nonche' l'attualita' del potere decisorio e, conseguentemente, la legittimazione del g.i.p. a sollevare (d'ufficio o su istanza di parte) la questione di legittimita' costituzionale. Al riguardo, appare opportuno evidenziare, altresi', che, non essendo stata emessa alcuna pronuncia sulla richiesta cautelare, avanzata anche nei confronti dei parlamentari, ne', tantomeno, all'esito del procedimento camerale previsto dall'art. 6, comma 2, legge n. 140/2003, non v'e' materia per ritenere esaurita la potestas iudicandi, atteso, peraltro, che la questione di legittimita' costituzionale che si intende sollevare involge una norma che priva il g.i.p. della potestas iudicandi (o, quantomeno limita l'esercizio di tale potestas), subordinandola alla autorizzazione di altro organo istituzionale. Rilevanza della questione. Sul punto potrebbe rilevarsi, unicamente, che sussiste il prescritto collegamento giuridico fra norma della cui costituzionalita' si dubita e la re-giudicanda in esame, trattandosi di norma della cui applicazione codesto g.i.p. non puo' prescindere, essendogli imposto - ai fini della valutazione della istanza cautelare - l'inoltro della richiesta di autorizzazione alle Camere delle intercettazioni indirette su cui la richiesta medesima si fonda, allorche' «ritenga necessario utilizzarle». Conseguentemente, e' lo stesso requisito della «necessarieta» previsto dall'art. 6, comma 2, della legge n. 140/2003 («Qualora ... il giudice ... ritenga necessario utilizzare le intercettazioni ...») che implica e fonda la valutazione in termini di «rilevanza» della questione rispetto alla propria decisione. D'altra parte, in sede di procedimento cautelare, se, come nel caso di specie, l'utilizzabilita' del compendio indiziario e' subordinato ad una sorta di condizione di procedibilita' (rectius «utilizzabilita»), prescritta da una norma della cui conformita' ai parametri costituzionali si dubita, non puo' che conseguire la preclusione di qualsivoglia valutazione sulla consistenza del compendio indiziario e, quindi, di qualsivoglia decisione anche in termini di rigetto della richiesta. Si aggiunga che, nella fattispecie in esame, non ci si trova al cospetto di conversazioni ictu oculi «irrilevanti», ovvero rientranti nell'orbita normativa del comma 1 dell'art. 6, legge n. 104/2003 (che prevede, che il giudice, anche d'ufficio, possa soprassedere ad ogni richiesta di inoltro alla Camera di appartenenza delle conversazioni indirette del parlamentare laddove le ritenga «irrilevanti ... ai fini del procedimento»), in considerazione della pertinenza delle stesse rispetto ai fatti in contestazione, del tenore della conversazioni intercettate che - pur prescindendo da qualsiasi valutazione di merito dei contenuti rispetto ai parlamentari indagati - rappresentano un concreto elemento sintomatico ( quantomeno) del collegamento esistente tra i coindagati, nei cui confronti sono state legittimamente utilizzate per accogliere o rigettare la richiesta cautelare. Indubbia, dunque, l'utilita' indiziaria delle intercettazioni de qua al fine delle adozioni delle alternative pronunce. Da quanto sin qui evidenziato, consegue che le disposizioni legislative della cui conformita' a Costituzione si dubita, sono applicabili al giudizio cautelare in corso ed assolutamente influenti ai fini della decisione, in quanto solo seguendo il percorso procedimentale da esse definito, partendo dall'udienza camerale innanzi al g.i.p., sara' possibile, per l'organo giudicante, ottenere dalla Camera di appartenenza del parlamentare quella pronunzia sulla richiesta di utilizzazione delle intercettazioni, che, a prescindere dal contenuto, condizionera' comunque l'esercizio del suo potere decisorio sulla richiesta cautelare del pubblico ministero. Infine, deve rilevarsi, che anche quanto rilevato dalle difese rispetto alla configurabilita' della contestazione associativa e/o di turbativa d'asta sollevata (anche) nei confronti dei parlamentari indagati, presuppone la «utilizzabilita» delle conversazioni, onde consentirne un vaglio attento e completo sulla valenza concludente o meno rispetto alle contestazioni medesime. Non manifesta infondatezza In ordine a tale prodromica valutazione occorre rilevare che, atteso il dettato normativo della disposizione in parola - per la parte che ne residua all'esito della pronuncia della Corte costituzionale n. 390/2007 che ha dichiarato illegittimi i commi 2, 5 e 6 «nella parte in cui stabiliscono che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni sono state intercettate» - certamente non si e' al cospetto di un problema ermeneutico direttamente risolubile dal giudice a quo. Cio' si ritiene sebbene noto che, come evidenziato dalla stessa Corte costituzionale nella citata sentenza e dalla dottrina, sia sostanzialmente priva di disciplina l'ipotesi in cui le intercettazioni indirette siano state acquisite in procedimenti nei quali risultino indagati parlamentari letteralmente, l'art. 6, legge n. 140/2003 dovrebbe applicarsi unicamente alle intercettazioni del parlamentare fortuitamente captate nell'ambito di procedimenti riguardanti terzi. Al riguardo si osserva che, esclusa una legittimazione del giudice ad utilizzare liberamente il materiale intercettizio - essendo siffatta lettura palesemente in contrasto con l'art 3 della Cost. per le irragionevoli disparita' di trattamento che ne deriverebbero, tra i parlamentari non indagati ( per i quali e' espressamente previsto il ricorso al sub-procedimento ex art. 6) e quelli indagati - una lettura costituzionalmente orientata non puo' che indurre a ritenere che, anche in simile evenienza, debba farsi riferimento all'art. 6, legge n. 140/2003. Sotto altro profilo, si rileva che la disciplina da applicare, nel caso di specie, sia proprio quella in odore di incostituzionalita', essendo le intercettazioni da utilizzare certamente qualificabili come «indirette» o «casuali», e non certo come «dirette» e, in quanto tali, rientranti nell'orbita normativa dell'art 4, legge n. 104/2003, ovvero oggetto di un'autorizzazione preventiva, in assenza della quale sarebbero acquisite contra legem, ed inutilizzabili tout court. Le intercettazioni di cui si chiede l'utilizzazione, invero, attengono al contenuto di conversazioni occasionalmente captate sulle utenze - legittimamente sottoposte controllo ex artt. 266 e ss. cpp. - del principale indagato del presente procedimento ( Alfredo Romeo), e non su utenze in uso al parlamentare o ad interlocutori abituali di quest'ultimo, per cui non puo' affermarsi che le attivita' di captazione fossero direttamente finalizzate ad invadere la sfera di riservatezza del parlamentare. D'altra parte, e' la stessa mole di conversazioni intercettate che - rispetto all'esiguo numero ( in proporzione) di conversazioni che vedono come interlocutori i parlamentari Bocchino e Lusetti - induce il concetto di «occasionalita» della captazione che, evidentemente, non era - ne' puo' ritenersi ex post - funzionale ad accedere nella sfera delle comunicazioni dei parlamentari. Ne' a diversa conclusione puo' addivenirsi sul presupposto che l'art. 4, comma 1, legge n. 140/2003 faccia esplicito riferimento a « ... intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni...», atteso che, con tale locuzione, si e' inteso far riferimento unicamente alle modalita' tecniche di captazione ed ai tipi di comunicazione intercettate, non gia' al carattere diretto a casuale della captazione. Si aggiunga, infine, che dallo stesso argomentare della Corte cost., nella pronuncia n. 390/2007, e' agevole inferire la non manifesta infondatezza della sollevando questione ed i presupposti per una declaratoria di incostituzionalita' dell'intero art. 6, legge n. 140/2003 cui, in quella sede, non si e' pervenuti per i limiti imposti dal petitum di cui all'ordinanza di rimessione ( relativo non alla necessita' della autorizzazione successiva ma solo alla regolamentazione degli effetti di un suo diniego rispetto agli indagati non parlamentari). Laddove, invero, nei punti 5.2 e 5.3 del Cons. in dir., si afferma testualmente che: «5.2. - giova premettere come, nell'ambito del sistema costituzionale, le disposizioni che sanciscono immunita' e prerogative a tutela della funzione parlamentare, in deroga al principio di parita' di trattamento davanti alla giurisdizione, - principio che si pone «alle origini della formazione dello Stato di diritto» (sentenza n. 24 del 2004) -, debbano essere interpretate nel senso piu' aderente al testo normativo. Tale esigenza risulta accentuata dal passaggio - avutosi con la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, di riforma dell'art. 68 Cost. - ad un sistema basato esclusivamente su specifiche autorizzazioni ad acta: un sistema nel quale ogni singola previsione costituzionale attribuisce rilievo ad uno specifico interesse legato alla funzione parlamentare e fissa, in pari tempo, i limiti entro i quali esso merito protezione, stabilendo quali connotazioni debba presentare un determinato atto processuale, affinche' si giustifichi il suo assoggettamento al nulla osta dell'organo politico. Nella specie, dal testo dell'art. 68, terzo comma, Cost. («analoga autorizzazione e' richiesto per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza») non puo' ricavarsi ad un riferimento ad un controllo parlamentare a posteriori sulle intercettazioni occasionali. La norma costituzionale ha riguardo, infatti, alla «sottoposizione» di un parlamentare ad intercettazione e ad una autorizzazione di tipo preventivo: il nulla osta e' richiesto per eseguire l'atto investigativo, e non per utilizzare nel processo i risultati di un atto precedentemente espletato. Il che e' confermato, ove ve ne fosse bisogno, dal fatto che la norma richiama un'autorizzazione «analoga» a quella - indubitabilmente preventiva - prevista dal secondo comma dello stesso art. 68 Cost., in rapporto alle perquisizioni personali o domiciliari, all'arresto e alle misure privative della liberta' personale[...] La ratio della garanzia prevista dall'art. 68, terzo comma, Cost., converge, d'altro canto, con la lettera della norma. L'art. 68 Cost. mira a porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo; a proteggerlo, cioe', dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasivita' o atti coercitivi delle sue liberta' fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione. La necessita' dell'autorizzazione viene meno, infatti, allorche' la limitazione della liberta' del parlamentare si connetta a titoli o situazioni - come l'esecuzione di una sentenza di condanna irrevocabile o la flagranza di un delitto per cui sia previsto l'arresto obbligatorio - che escludono, di per se', la configurabilita' delle accennate evenienze. Destinatari della tutela, in ogni caso, non sono i parlamentari uti singuli, ma le Assemblee nel loro complesso. Di esse si intende preservare la funzionalita', l'integrita' di composizione (nel caso delle misure de libertate) e la piena autonomia decisionale, rispetto ad indebite invadenze del potere giudiziario (si veda, al riguardo, con riferimento alla perquisizione domiciliare, la sentenza n. 58 del 2004): il che spiega l'irrinunciabilita' della garanzia (sentenza n. 9 del 1970). In tale prospettiva, l'autorizzazione preventiva - contemplata dalla norma costituzionale - postula un controllo sulla legittimita' dell'atto da autorizzare, a prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la sua esecuzione puo' comportare al singolo parlamentare. Il bene protetto si identifica, infatti, con l'esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento, e non con gli interessi sostanziali di questi ultimi (riservatezza, onore, liberta' personale), in ipotesi pregiudicati dal compimento dell'atto; tali interessi trovano salvaguardia nei presidi, anche costituzionali, stabiliti per la generalita' dei consociati. Questo rilievo vale anche in rapporto alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. Richiedendo il preventivo assenso della Camera di appartenenza ai fini dell'esecuzione di tale mezzo investigativo, l'art. 68, terzo comma, Cost. non mira a salvaguardare la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare in quanto tale. Quest'ultimo diritto trova riconoscimento e tutela, a livello costituzionale, nell' art. 15 Cost., secondo il quale la limitazione della liberta' e segretezza delle comunicazioni puo' avvenire solo per atto motivato dell'autorita' giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge. L'ulteriore garanzia accordata dall'art. 68, terzo comma, Cost., e' strumentale, per contro, anche in questo caso, alla salvaguardia delle funzioni parlamentari: volendosi impedire che l'ascolto di colloqui riservati da parte dell'autorita' giudiziario possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell'attivita'. E cio' analogamente a quanto avviene per l'autorizzazione preventiva alle perquisizioni ed ai sequestri di corrispondenza, il cui oggetto ben puo' consistere anche in documenti a carattere comunicativo. 5.3. - Nel caso delle intercettazioni fortuite, peraltro, l'eventualita' che l'esecuzione dell'atto sia espressione di un atteggiamento persecutorio - o, comunque, di un uso distorto del potere giurisdizionale nei confronti del membro del Parlamento, volto ad interferire indebitamente sul libero esercizio delle sue funzioni - resta esclusa, di regola, proprio dalla accidentalita' dell'ingresso del parlamentare nell'area di ascolto». E' del tutto chiaro il solco tracciato dal Giudice delle leggi in tema di «immunita» parlamentari, che non potra' che ricondursi e parametrarsi alla fondamentale norma dell'art. 68, Cost. ed alla sua ratio. Non v'e' chi non colga, infatti, come sia la stessa Corte cost. - laddove evidenzia la discrasia esistente tra il controllo «postumo» sulle intercettazioni occasionali, disciplinate dall'art. 6, comma 2, legge n. 140/2003, e quello (solo) preventivo cui fa riferimento l'art. 68, Cost., nonche' laddove rimarca la differente ratio della norma costituzionale in parola (posta a tutela del parlamentare non uti singuli ma in quanto componente l'Assemblea) rispetto a quella sottesa all'art. 6, legge n. 140/2003 ( posta a tutela di interessi sostanziali del parlamentare che trovano, e devono, trovare la loro salvaguardia nei presidi stabiliti per la generalita' dei cittadini) - a fornire spunti valutativi idonei a ritenere ingiustificato (e costituzionalmente incongruo) il trattamento differenziato riservato dalla norma in parola al Parlamentare ed a segnarne il destino. Appare, dunque, evidente, anche alla luce delle riportate argomentazioni, che possa ritenersi incerta la legittimita' costituzionale della norma che dovrebbe applicarsi nel procedimento in esame e, conseguentemente, la «non manifesta infondatezza» della relativa questione. Determinazione del thema decidendum Ai fini del primo rilievo di incostituzionalita' da illustrare, si rileva che la disciplina dell'art. 6, legge n. 140/2003 esonda dall'alveo costituzionale ed, in particolare, esorbita dai limiti della garanzia prevista dall'art. 68, terzo comma Cost. non potendo, peraltro, come gia' rilevato dal Giudice delle leggi «le disposizioni che sanciscono immunita' e prerogative della funzione parlamentare, in deroga al principio di trattamento davanti alla giurisdizione..» essere interpretate in modo estensivo. Sul punto la Consulta, nella sentenza piu' volte citata, si e' pronunciata rimarcando, tra l'altro, il differente «codice genetico» dell'art. 6 rispetto all'art. 68, terzo comma Cost. e - partendo dalla premessa ( sopra riportata) della in suscettibilita' di interpretazione estensiva delle norme che disciplinano «le immunita' e prerogative della funzione parlamentare, in deroga al principio di parita' di trattamento davanti giurisdizione» - ha indicato, a chiare lettere, che la disciplina delle intercettazioni indirette, non puo' ricondursi alla previsione dell'art. 68, terzo comma Cost., ivi mancando qualsivoglia riferimento al controllo politico « postumo» sulle intercettazioni casuali (legittimamente espletate) e diverso essendo il bene giuridico protetto dalle due norme: l'art. 6, legge n. 104/2003 tutela la riservatezza e l'immagine pubblica della persona che rivesta la qualifica di parlamentare, e non, come la norma costituzionale, il fisiologico funzionamento delle assemblee legislative. Delineati, in tal modo i confini della «ratio» dell'art. 6, legge n. 140/2003; precisato, alla stregua di quanto evidenziato dalla Corte, che con siffatta disposizione non si e' inteso predisporre uno strumento di controllo parlamentare sulle violazioni surrettizie della norma costituzionale - poiche' anche le c.d. intercettazioni « ...delle conversazioni del membro del Parlamento effettuate ponendo sotto controllo le utenze dei suoi interlocutori abituali...» gia' rientrano nell'alveo di tutela predisposto dall'art. 68, terzo comma, Cost. e dalla relativa disposizione attuativa dell'art. 4, legge n. 140/2003 -, e' ragionevole ritenere che lo strumento di controllo previsto dall'art. 6, comma 2, legge n. 104/2003, concretizzandosi in un sindacato parlamentare sull'utilizzabilita' di intercettazioni legittimamente eseguite», si colloca al di fuori della copertura costituzionale fornita dall'art. 68, terzo comma, Cost. introducendo una «forma speciale di tutela della riservatezza parlamentare», che rimette alla Camera di appartenenza del Parlamentare la valutazione sulla utilizzazione nei suoi confronti delle intercettazioni c.d. «accidentali», ritenute «necessarie» dall'autorita' giurisdizionale. Come, sostanzialmente, puntualizzato dalla Consulta nella citata pronuncia, il caso eccezionale disciplinato dalla norma in questione, e' estraneo non solo al contenuto precettivo dell'art. 68, terzo comma - non risultando espressamente previsto dall'art. 68, terzo comma, Cost. (che si riferisce esclusivamente all'autorizzazione «preventiva», a monte, delle intercettazioni c.d. «dirette» e «indirette») - ma anche alla sua ratio (da ravvisarsi nel fumus persecutionis, a fronte della tutela della «riservatezza» apprestata dall'art. 6, legge n. 140/2003) mirando la disposizione costituzionale ad «... impedire che l'ascolto di colloqui riservati da parte dell'autorita' giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell'attivita» e non potendo in alcun modo asserirsi, ne' argomentarsi, che, attraverso le intercettazioni fortuite oggetto della disciplina di cui all'art 6, legge n. 140/2003, possa darsi accesso a condotte persecutorie e/o ad un uso distorto del potere giurisdizionale sul libero esercizio della funzione rappresentativa che e' esclusa, a priori, proprio «dall'accidentalita' dell'ingresso del parlamentare nell'area di ascolto». Evidente, pertanto, che le medesime argomentazioni poste a fondamento della pronuncia di parziale illegittimita' costituzionale, impone la declaratoria di illegittimita' dell'intera disciplina dell'art. 6, legge n. 140/2003 in palese contrasto con l'art. 68, terzo comma Cost. Si aggiunga che essendo l'art. 68, Cost. norma eccezionale che deroga al principio di uguaglianza, da quanto sin qui evidenziato discende, l'ulteriore profilo di doglianza, rappresentato dalla violazione del «principio di eguaglianza» (art. 3, primo comma, Cost.), intesa in termini di «parita' di trattamento davanti alla Giurisdizione»: il sistema delle immunita' e delle prerogative dei membri del Parlamento deve e puo' venire in rilievo solo come «eccezione» e valere unicamente per i casi «espressamente» considerati o, comunque, almeno forniti di «copertura» costituzionale, in quanto ritenuti dal costituente idonei ad interferire sulla libera esplicazione della funzione parlamentare. Ne consegue, che una disciplina differenziata rispetto al «principio della parita' di trattamento dinanzi alla giurisdizione», - principio, immanente al nostro ordinamento che si pone alle origini dello Stato di diritto -, ovvero una deroga a tale principio, dovrebbe provenire solo da una fonte di rango costituzionale e non gia' da una legge ordinaria o, quantomeno, dovrebbe trattarsi di legge ordinaria, dotata di «copertura» costituzionale vale a dire sussumibile nella ratio della norma costituzionale. Cio' non appare in contrasto con quanto sovente si rimarca in dottrina e, piu' volte, e' stato ribadito dalla Corte costituzionale, allorche' si e' precisato che non qualsivoglia regime differenziato in ordine all'esercizio della giurisdizione implica un contrasto della norma con l'art. 3 Cost. atteso che «Il principio di eguaglianza comporta infatti che, se situazioni eguali esigono eguale situazioni diverse possono implicare differenti normative. (Cons in dir. della sent. della Corte cost. n. 24 del 2004). Cionondimeno tanto puo' accadere - senza confliggere con il principio costituzionale in esame - sempre che (e solo se) i valori sottesi alla disciplina differenziata, siano di valenza superiore o pari a quelli che attraverso l'art. 3, primo comma, Cost. si intende tutelare, vale a dire se puo' fondatamente ritenersi che il legislatore ordinario abbia operato un ragionevole (ed, in quanto tale «consentito») bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco. La qual cosa non appare seriamente sostenibile nel caso de quo, ove la norma della cui conformita' alla costituzione si dubita, tutela il diritto alla riservatezza del parlamentare che non solo trova presidi a tutela nell'ambito dell'ordinamento, ma non puo' giustificare trattamenti differenziati e veti all'esercizio delle prerogative giurisdizionali, non essendo riconducibile alla ratio della garanzia predisposta dall'art 68, terzo comma, Cost. Sotto il primo profilo vale la pena unicamente ribadire che, al cospetto di comunicazioni casualmente captate che vedono protagonista il membro del parlamento, se il contenuto di esse e' ritenuto «irrilevante», l'ordinamento prevede l'attivazione del generale rimedio di cui agli artt. 268, comma 6 e 269, commi 2 e 3 c.p.p. ( non a caso richiamato dallo stesso art. 6, comma 1, legge n. 140/2003); se e' invece ritenuto «necessario», allora la tutela operativa per il Parlamentare dovrebbe essere quella di cui agli artt. 114 c.p.p. - 326 c.p., alla pari di qualsiasi altra persona. La previsione di un trattamento differenziato per i membri del Parlamento - non supportato dalla esigenza di tutela delle prerogative di esercizio delle funzioni parlamentari - non puo' che risolversi che in un ingiustificato, irragionevole e ridondante «privilegio», sproporzionato anche rispetto alla esigenza ( parimenti dignitosa) di efficacia delle indagini ed ai limiti indotti alla attivita' di valutazione del giudice. L'estensione delle garanzie parlamentari al di la' dell'ambito stabilito dall'art. 68, terzo comma Cost., determinando un trattamento differenziato che non trova giustificazioni in una diversita' di posizioni costituzionalmente apprezzabili e rilevanti, legittima il dubbio sul carattere sovraordinato (o pari-ordinato) del bene della «riservatezza» del Parlamentare, rispetto a quello della «parita' di trattamento davanti alla Giurisdizione», e, conseguentemente, sulla possibilita' che, per tutelare il primo, possano introdursi deroghe a quest'ultimo come quella prevista dall'art. 6 della legge n. 140/2003. In ultima analisi puo' dirsi che il legislatore del 2003 e' caduto in un vizio di eccesso di potere per irragionevolezza, categoria quest'ultima elaborata dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale come manifestazione del principio di eguaglianza, inteso nella sua natura di principio di chiusura al quale deve attenersi ogni manifestazione della funzione legislativa. E nel caso in esame, per i motivi esposti, proprio tale categoria risulta violata, non essendovi corrispondenza tra la legge n. 140/2003 e le prescrizioni costituzionali di riferimento, ed avendo, inoltre, il legislatore deviato dallo scopo costituzionale delineato nell'art. 68, terzo comma, attraverso la predisposizione di mezzi procedimentali non pertinenti ed incongrui rispetto a tali fini. Tali i motivi per cui questo Giudice rimette la presente questione di legittimita' costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale ritenendo l'art. 6 della legge n. 140/2003, per quanto esposto, in contrasto con l'art. 68, terzo comma Cost. e con l'art. 3 Cost., laddove prevede un trattamento ingiustificatamente differenziato per il Parlamentare coinvolto, le cui comunicazioni intercettate sarebbero utilizzabili subordinatamente all'autorizzazione della Camera di appartenenza, senza che tale trattamento differenziato rinvenga giustificazione in una diversita' di posizioni costituzionalmente apprezzabili e meritevoli di rilevanza. Alcuni passaggi salienti della sentenza della Corte costituzionale n. 390 del 2007 suscitano, altresi', il dubbio che la norma in questione, attribuendo al Parlamento l'esercizio di un potere tipicamente giurisdizionale, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla norma di bilanciamento costituzionale di cui all'art. 68 Cost., si ponga in contrasto con il «principio di separazione dei poteri» immanente al nostro assetto costituzionale ed in particolare con gli artt. 102 e 104, primo comma, Cost. il cui combinato disposto attribuisce ai Giudici l'esercizio delle funzioni giurisdizionali, tra le quali sicuramente rientra il «sindacato sull'utilizzabilita' di prove gia' legittimamente formatesi» che, per contro, la norma della cui conformita' alla Costituzione si dubita - pur ponendosi al di fuori della lettera e della ratio della norma, eccezionale, di «bilanciamento dei poteri» di cui all'art. 68, commi secondo e terzo, Cost. - inopinatamente trasferisce al Parlamento. Che quelli attribuiti al Parlamento da tale norma siano poteri (il cui esercizio e' riservato dall'art. 102 Cost. a soggetti diversi) di natura giurisdizionale, e' la stessa Corte costituzionale a precisarlo, laddove, nel precedente intervento piu' volte citato, ha evidenziato che il sindacato riservato dall'art. 6, terzo comma legge n. 140/2003 al Parlamento, e' di carattere prettamente giurisdizionale, a tutela della «riservatezza» del Parlamentare «occasionalmente» intercettato e non, certo delle prerogative di esercizio del mandato parlamentare, come sarebbe previsto e imposto dall'art. 68 Cost.: il Parlamento, in caso di intercettazioni casuali - anche ove la ratio della norma fosse ravvisata nella necessita' di tutela del parlamentare da indebite intrusioni dell'autorita' giudiziaria nella sfera delle comunicazioni riservate dell'esponente politico - non e' chiamato a vagliare i presupposti di esecuzione delle intercettazioni ma, piuttosto a verificare la correttezza della valutazione giudiziale sulla rilevanza processuale dei risultati di tale mezzo di prova (legittimamente eseguito e liberamente utilizzabile contra-alios) ( cfr. Cons. in dir. 5.4 della sent. Corte cost. n. 390/2007). Anche sotto tale profilo, tenuto conto della rafia dell'art. 68 Cost., che - funzionale a «... a porre al riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo; a proteggerlo, cioe', dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasivita' o atti coercitivi delle sue liberta' fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione» - prevede e disciplino un'eccezionale e ben delimitata ipotesi di intromissione del potere legislativo in quello giurisdizionale, appaiono chiari i motivi per cui nella tutela costituzionale apprestata dall'art. 68 Cost. non sia stata inclusa la autorizzazione «postuma» introdotta dalla legge ordinaria del 2003 per le intercettazioni «accidentali» rispetto alle quali il periculum persecutionis non puo' ontologicamente sussistere, stante la natura meramente «episodica» ed «occasionale» della captazione delle comunicazioni del rappresentante del Parlamento. Ne consegue che l'estensione dell'ingerenza del Parlamento su prerogative proprie della Giurisdizione in funzione di tutela della «riservatezza» del Parlamentare, operata dal comma 2 dell'art. 6 in questione, ben al di la' dei confini delimitati dall'art. 68 Cost., non solo non trova, alcuna copertura costituzionale, ma si pone addirittura in netto contrasto con gli artt. 102 e 104, primo comma Cost., determinando un'incrinatura dei fondamentali principi posti a presidio della «separazione dei poteri», consentendo ad un ramo del Parlamento un ingiustificato ed inedito potere di sindacato - in funzione di tutela di un bene diverso da quello salvaguardato dall'art. 68 Cost. - sull'utilizzabilita' di prove gia' acquisite, che ha la sua sede naturale ed invulnerabile all'interno delle dinamiche proprie del procedimento penale. Pertanto, in considerazione dei motivi esposti, si richiede che la Corte costituzionale voglia risolvere la questione sottopostale pronunciando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2, 3, 4, 5, 6 della legge 140 del 2003, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 68, terzo comma, 102 e 104 primo comma, della Costituzione.