Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 267,  comma
4 lettere a) e c), 269, commi 2, 3, 7 e 8, 271, 281, comma  10,  283,
284 e 287 del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152  (Norme  in
materia  ambientale),  promossi  dalle  Regioni  Calabria,  Piemonte,
Emilia-Romagna e Puglia con ricorsi notificati l'8, il  10  e  il  13
giugno 2006, depositati in cancelleria il 10, il 15, il 16 ed  il  20
giugno 2006 ed iscritti ai nn. 68, 70, 73 e 76 del  registro  ricorsi
2006. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri, nonche' gli atti di intervento  dell'Associazione  italiana
per il World Wide  Fund  for  Nature  (WWF  Italia)  -  Onlus,  della
Biomasse Italia s.p.a. ed altre; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  19  maggio  2009  il  Giudice
relatore Ugo De Siervo; 
    Uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile  per  la  Regione
Calabria, Fabio  Lorenzoni  per  la  Regione  Piemonte,  Giandomenico
Falcon e Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna, Fabrizio
Lofoco per la Regione Puglia, Alessandro Giadrossi per l'Associazione
italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia)  -  Onlus,  e
gli avvocati dello Stato Fabrizio Fedeli e Sergio Fiorentino  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con il ricorso iscritto al n. 68 del  registro  ricorsi  del
2006, la Regione Calabria  ha  impugnato  il  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) nel suo  complesso,
nonche' in relazione a numerose specifiche disposizioni. 
    La ricorrente, preliminarmente, riferisce che il  citato  decreto
costituisce  l'esercizio  da   parte   del   Governo   della   delega
conferitagli dal Parlamento con la legge 15  dicembre  2004,  n.  308
(Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione
della  legislazione  in  materia  ambientale  e  misure  di   diretta
applicazione).  Illustra,  quindi,  il   procedimento   seguito   per
l'emanazione del citato d.lgs. n. 152 del 2006, affermando come  esso
avrebbe  disatteso  i  principi  ispiratori  della   delega   e,   in
particolare, il principio di leale cooperazione tra Stato, Regioni ed
enti locali. 
    Dopo aver censurato l'illegittimita'  costituzionale  dell'intero
decreto delegato proprio in conseguenza dei vizi del procedimento  di
formazione, la Regione Calabria, impugna le singole disposizioni. 
    Tra queste, vengono  censurati  alcuni  articoli  inseriti  nella
parte  quinta  del  decreto,  recante  norme  in  materia  di  tutela
dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera. 
    La ricorrente sostiene che  in  tale  materia  sussisterebbe  una
compenetrazione di titoli di competenza dello Stato e  delle  Regioni
da ravvisarsi, in via prevalente, nella  «tutela  dell'ambiente»,  ma
anche nella «tutela della salute». 
    L'esigenza  di  tenere  in  adeguato  conto  anche  tale   ultima
competenza e di garantire un ruolo di primo piano alle Regioni  nella
tutela dell'aria dall'inquinamento era ben presente  nella  normativa
anteriore al decreto impugnato  e,  in  particolare,  nel  d.P.R.  24
maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive  CEE  numeri  80/779,
82/884, 84/360 e 85/203 concernenti  norme  in  materia  di  qualita'
dell'aria,  relativamente  a  specifici  agenti  inquinanti,   e   di
inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi  dell'art.
15 della L. 16 aprile 1987, n. 183), ora abrogato dall'art.  280  del
d.lgs. n.  152  del  2006.  L'art.  4  del  citato  d.P.R.,  infatti,
prevedeva che tale tutela spettasse alle Regioni che la  esercitavano
nell'ambito  dei  principi  posti  dalla   legislazione   statale   e
attribuiva loro una serie di competenze. 
    «Anche in considerazione di  questo  riferimento  "storico"»,  la
ricorrente censura  le  disposizioni  con  le  quali  il  legislatore
delegato avrebbe introdotto una disciplina procedimentale di  estremo
dettaglio non giustificata dall'esigenza di predisporre  standard  di
tutela uniformi. 
    In particolare, l'art. 269 regolerebbe il rilascio al gestore  di
un impianto, da parte dell'autorita' competente,  dell'autorizzazione
alle emissioni in atmosfera in modo cosi'  dettagliato  da  vincolare
sotto ogni profilo la  legge  regionale  che  disciplina  l'attivita'
dell'autorita' competente. 
    Il  comma  2   della   censurata   disposizione   individuerebbe,
addirittura, lo schema  di  un  modulo  per  la  presentazione  delle
istanze. Il comma  3  regolerebbe  nel  dettaglio  le  attivita'  che
presiedono al rilascio dell'autorizzazione, privando  le  Regioni  di
ogni margine di modulazione e prevedendo  l'esercizio  di  un  potere
sostitutivo da  parte  dello  Stato  senza  le  garanzie  predisposte
dall'art.  120  Cost.  e  senza  contemplare  la  previa  diffida  ad
adempiere. 
    Il  comma  7,  poi,   stabilirebbe   termini   eccessivamente   e
«inutilmente» rigidi per  il  rilascio  dell'autorizzazione;  infine,
detterebbe una  disciplina  di  estremo  dettaglio  per  il  caso  di
modifiche  all'impianto,  vincolando  in  modo  assoluto  l'attivita'
normativa e amministrativa delle Regioni. 
    Analogamente, anche l'art. 284 regolerebbe in modo  analitico  la
denuncia di installazione o modifica di un impianto  termico  civile,
privando le Regioni della possibilita' di calibrare i procedimenti in
relazione alle peculiarita' dei propri territori e alle  esigenze  di
tutela   della   salute   degli   abitanti.    Cio'    determinerebbe
l'illegittimita' costituzionale della  citata  disposizione,  nonche'
dell'Allegato IX alla parte quinta a cui l'art. 284 rinvia e «che  ne
costituisce una ulteriore specificazione». 
    L'art. 267, comma 4, lettera a),  contrasterebbe  con  gli  artt.
117, terzo e quarto comma, e 119, quinto comma, Cost., nonche' con il
principio di leale collaborazione. Infatti  esso,  nel  prevedere  la
possibilita' per il Ministro dell'ambiente di promuovere misure  atte
a favorire la produzione di energia da fonti rinnovabili e sviluppare
tecnologie pulite, consentirebbe allo Stato - oltretutto senza alcuna
partecipazione regionale  -  di  realizzare  «interventi  diretti  di
ordine  finanziario  sul  territorio»  in   materie   di   competenza
concorrente, quali il governo del territorio, la tutela della salute,
nonche' di competenza residuale, quale la  «produzione  non-nazionale
di energia». 
    E' censurato, altresi', l'art.  281,  comma  10,  per  violazione
degli artt. 3, 117, terzo comma, e 118 Cost., sotto il profilo  della
ragionevolezza, nella  parte  in  cui  subordina  all'intesa  con  il
Ministro  dell'ambiente  e  con   il   Ministro   della   salute   la
possibilita', per le Regioni, di adottare provvedimenti  generali  in
presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che
richiedano particolare tutela ambientale. L'imposizione  dell'intesa,
secondo  la  ricorrente,  priverebbe   le   Regioni   della   propria
responsabilita' di governo del territorio e di  tutela  della  salute
dei cittadini, accentrando in capo allo Stato compiti di cui esso non
e' piu' titolare a seguito della costituzionalizzazione del principio
di sussidiarieta'. 
    Infine, la Regione Calabria deduce illegittimita'  costituzionale
dell'art. 287 per contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost. e,  «a
monte», con l'art. 76 Cost., in relazione all'art. 1, comma 8,  della
legge  n.  308  del  2004.  La  disposizione   censurata   disciplina
l'abilitazione del personale addetto alla conduzione  degli  impianti
termici civili di potenza termica superiore a 0.232 MW. In tal  modo,
essa  sottrarrebbe  alle  Regioni   una   competenza   di   dettaglio
riconducibile alla  materia  della  "tutela  della  salute"  e  della
"tutela e sicurezza del lavoro". 
    Inoltre, si priverebbero le  Regioni  di  una  funzione  ad  esse
conferita dall'art. 84, lettera b), del decreto legislativo 31  marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali,  in  attuazione  del  capo  I
della L. 15 marzo 1997, n. 59). 
    2. - Anche la Regione Piemonte, con il ricorso iscritto al n.  70
del 2006 del registro ricorsi, ha impugnato il d.lgs. n. 152 del 2006
nel  suo  complesso  -  per  le  modalita'  di   emanazione   e   per
l'impostazione della  disciplina  in  esso  contenuta  -  nonche'  in
relazione a singole disposizioni. 
    La ricorrente censura, tra l'altro, la parte quinta  del  decreto
per violazione degli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117,  118,  119  e  120
Cost., nonche' per violazione «dei principi di leale  collaborazione,
ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione,  sussidiarieta',  buon
andamento della  P.A.  anche  sotto  l'aspetto  della  violazione  di
principi  e  norme  del  diritto   comunitario   e   di   convenzioni
internazionali». 
    L'impostazione di tale disciplina incorrerebbe  in  tre  rilievi.
Innanzitutto, disattenderebbe il criterio fissato dalla legge  delega
di operare una revisione della normativa concernente le emissioni dei
gas inquinanti in atmosfera alla luce della disciplina comunitaria e,
in particolare,  della  direttiva  2001/81/CE  del  23  ottobre  2001
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai  limiti
nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici). Il  decreto
rispetterebbe solo alcuni profili della normativa comunitaria  e  non
prevedrebbe il necessario  aggiornamento  delle  prescrizioni  e  dei
valori  limite  rispetto  all'evoluzione  tecnologica.  Inoltre,  non
sarebbe adeguatamente considerata la relazione tra tutela  ambientale
e disciplina dell'energia e degli impianti termici,  che  sarebbe  di
competenza concorrente. Infine, subirebbero una generale compressione
le competenze pianificatorie e programmatorie delle Regioni. 
    Con  specifico  riferimento   alle   singole   disposizioni,   la
ricorrente censura, innanzitutto, l'art. 267, comma  4,  lettera  a),
del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto,  nel  prevedere  le  attivita'
volte alla adozione di misure per la produzione di energia  elettrica
da fonti rinnovabili, non contemplerebbe alcun  coinvolgimento  delle
Regioni. 
    La lettera c)  del  medesimo  comma,  inoltre,  prevederebbe  uno
specifico utilizzo dei  "certificati  verdi"  non  contemplato  dalla
legge delega che, all'art. 1, comma 9, lettera g),  n.  2),  indicava
solo il prolungamento del loro periodo di  validita'.  In  tal  modo,
inoltre, sarebbero precluse  eventuali  diverse  politiche  regionali
incentivanti dell'uso delle fonti energetiche rinnovabili. 
    L'art. 269, comma 7,  nell'introdurre  un  periodo  di  validita'
dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera,  ne  fisserebbe  una
durata   sproporzionata   (15    anni)    la    quale    bloccherebbe
ingiustificatamente la possibilita' di un adeguamento degli  impianti
in relazione al progresso tecnologico certamente piu' rapido. 
    Al  contempo,  non  sarebbe   prevista   la   possibilita',   per
l'autorita'    competente,    di    modificare    le     prescrizioni
dell'autorizzazione in relazione all'evoluzione delle tecnologie, con
cio' determinando una limitazione dei poteri pubblici di controllo  e
di miglioramento della qualita' dell'aria, in violazione del criterio
direttivo fissato dall'art. 1, comma 8, lettere d) ed h), della legge
delega. 
    In tal modo sarebbe, altresi', pregiudicata la possibilita',  per
le  Regioni,  di  modulare  l'attivita'  amministrativa  relativa  al
rilascio delle autorizzazioni e ai programmi di tutela  in  relazione
alle  differenti  realta'  locali,  in  violazione  dei  principi  di
sussidiarieta', leale collaborazione e buon andamento della p.a. 
    La disciplina dettata dall'art. 271 e dai relativi  allegati  con
riguardo  alla  fissazione  dei  valori  limite  di  emissione  degli
impianti e alle prescrizioni sarebbe del  tutto  carente,  in  quanto
rinvierebbe a provvedimenti da emanarsi  successivamente  all'entrata
in vigore del decreto  delegato.  Inoltre,  i  valori  fissati  negli
allegati al decreto medesimo  riproporrebbero  quelli  stabiliti  nel
1988, da ritenere oramai del tutto superati. La  loro  riproposizione
vanificherebbe le attivita' di maggior tutela nel frattempo poste  in
essere dalle Regioni, non essendo previsto che esse possano mantenere
in vigore le proprie specifiche discipline piu' restrittive, con cio'
determinando un peggioramento delle condizioni ambientali. 
    In tal  modo,  sarebbero  del  tutto  trascurati  i  principi  di
differenziazione   e   sussidiarieta'   «nella   loro   potenzialita'
evolutiva»,  nonche'  il  principio  di  leale   collaborazione,   in
contrasto con la finalita' di tutela dell'ambiente. 
    L'art. 281, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel subordinare
il potere delle Regioni di introdurre valori  limite  e  prescrizioni
piu' severi di quelli fissati dal decreto alla previa intesa  con  il
Ministro  dell'ambiente  e  con  il  Ministro  della  salute  e  alla
condizione che «cio' risulti necessario al conseguimento  dei  valori
limite  e   dei   valori   bersaglio   della   qualita'   dell'aria»,
comprimerebbe  ingiustificatamente  la  competenza   delle   Regioni,
impedendo loro di attuare  interventi  migliorativi,  per  soddisfare
esigenze ulteriori rispetto a quelle fissate a livello statale  (come
previsto dalla sentenza n. 407 del 2002 di questa Corte). 
    La ricorrente denuncia poi gli artt. 284 e 287 per contrasto  con
l'art. 76 Cost., in quanto violerebbero il criterio  direttivo  posto
dall'art. 9, lettera g), della legge delega il quale  poneva  tra  le
finalita' della nuova regolamentazione quella della semplificazione e
della   certezza   normativa.    Entrambe    le    norme    censurate
contrasterebbero, altresi', con l'art. 117, terzo  comma,  Cost.,  in
quanto introdurrebbero una  disciplina  di  dettaglio  nella  materia
dell'energia, «senza peraltro  pervenire  ad  aggiornata  ed  univoca
regolamentazione di settore». 
    Infatti, nel caso di installazione  o  modifica  di  un  impianto
termico civile  di  potenza  termica  nominale  superiore  al  valore
soglia,  e'   prevista   la   trasmissione   di   apposita   denuncia
all'autorita' competente, perpetuandosi le disposizioni  poste  dalla
legge 13 luglio 1966, n.  615  (Provvedimenti  contro  l'inquinamento
atmosferico), senza prevederne l'integrazione  con  quelle  derivanti
dalla normativa energetica di cui al d.P.R. 26 agosto  1993,  n.  412
(Regolamento recante norme  per  la  progettazione,  l'installazione,
l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai
fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art.
4, comma 4, della L. 9 gennaio 1991, n. 10), il quale richiede, oltre
al   libretto   di   centrale,   anche   la   scheda   identificativa
dell'impianto.   Mancherebbe,    inoltre,    il    coordinamento    e
l'integrazione con il decreto legislativo  19  agosto  2005,  n.  192
(Attuazione  della  direttiva  2002/91/CE  relativa   al   rendimento
energetico nell'edilizia), che recepisce la normativa comunitaria  in
materia di rendimento  energetico  nell'edilizia  e  prevede  che  le
Regioni legiferino in  materia  di  certificazione  energetica  e  di
ispezioni sugli impianti. 
    2.1 - Si e' costituito in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato,  il
quale ha eccepito l'inammissibilita' del ricorso per tardivita' della
notifica  del  medesimo,  nonche'   l'infondatezza   delle   censure,
riservando a  successive  memorie  la  completa  illustrazione  della
posizione del Governo. 
    2.2 - E' intervenuta l'Associazione italiana per  il  World  Wide
Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus  a  sostegno  delle  censure  di
legittimita' costituzionale prospettate dalla Regione Piemonte.  Dopo
aver sostenuto l'ammissibilita' del proprio intervento nel  giudizio,
il WWF svolge  articolate  argomentazioni  sulle  varie  disposizioni
censurate. 
    2.3 - Sono,  altresi',  intervenute  ad  opponendum  la  Societa'
Italiana Centrali Termoelettriche - SICET s.r.l., la Biomasse  Italia
s.p.a., la Ital Green Energy s.r.l. e la  ETA  -  Energie  Tecnologie
Ambiente s.p.a, in persona dei rispettivi rappresentanti legali, «per
resistere  al  ricorso»  presentato  dalla  Regione  Piemonte.   Tali
societa', dopo  aver  argomentato  sulla  propria  legittimazione  ad
intervenire nel giudizio,  hanno  contestato  in  modo  analitico  le
censure svolte dalla Regione ricorrente. 
    3. - La Regione Emilia-Romagna, con il ricorso iscritto al n.  73
del registro ricorsi del 2006, ha censurato numerose disposizioni del
d.lgs. n. 152 del 2006, contestandone la legittimita' costituzionale. 
    La ricorrente premette di aver gia' proposto un ricorso (il n. 56
del 2006) avverso talune disposizioni del citato decreto per le quali
riteneva urgente chiedere la sospensione. In sede di delibera di tale
ricorso, tuttavia, la  Regione  si  era  espressamente  riservata  di
impugnare  altre   disposizioni   ritenute   lesive   delle   proprie
attribuzioni costituzionali. 
    Cio' posto, la ricorrente, dopo aver richiamato le censure svolte
nel precedente atto  introduttivo  avverso  i  vizi  procedurali  che
inficerebbero  l'intero  decreto  delegato,  censura  alcune  singole
disposizioni del medesimo. 
    Con particolare riguardo alla  parte  quinta,  recante  norme  in
materia di  tutela  dell'aria  e  di  riduzione  delle  emissioni  in
atmosfera, la Regione Emilia-Romagna sostiene  che  l'art.  281,  nel
subordinare alla previa intesa con il ministero  l'adozione  di  atti
generali che stabiliscono valori limite di emissione  e  prescrizioni
piu' severi  rispetto  a  quelli  fissati  dalla  normativa  statale,
invaderebbe   le   competenze   regionali   di    programmazione    e
pianificazione. Infatti, secondo quanto  affermato  dalla  Corte,  la
tutela dell'ambiente costituirebbe  un  «valore  costituzionale»  che
delinea una "materia trasversale" in ordine alla quale ben potrebbero
manifestarsi competenze diverse di spettanza  regionale.  Se  compete
allo Stato fissare il  punto  di  equilibrio  tra  diversi  interessi
costituzionalmente protetti, cio' dovrebbe avvenire con normative  di
principio e non gia' imponendo alle Regioni l'adozione  di  specifici
strumenti pianificatori o di dover sottostare al nulla osta da  parte
dell'autorita'  amministrativa.  Cio'  costituirebbe   una   indebita
restrizione degli strumenti della Regione per perseguire obiettivi di
miglioramento dell'ambiente - «con indiretta violazione  dell'art.  9
Cost.»  -  attraverso  l'esercizio  delle  competenze  legislative  e
amministrative  riconosciute   dalla   Costituzione   alle   Regioni,
determinando anche una compressione delle  funzioni  loro  attribuite
dall'art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998. 
    Cio' sarebbe confermato anche dal decreto legislativo 18 febbraio
2005, n. 59 (Attuazione integrale della direttiva  96/61/CE  relativa
alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento), il  quale,
all'art. 8, consente di prescrivere, nelle  autorizzazioni  integrate
ambientali, misure piu'  rigorose  per  assicurare  la  tutela  della
qualita' dell'aria. Inoltre le Regioni, nel rispetto della  normativa
comunitaria e, in particolare, della direttiva 2001/80/CE relativa ai
grandi impianti di combustione e non  ancora  recepita  dallo  Stato,
potrebbero adottare provvedimenti volti a  restringere  i  limiti  di
emissione. 
    La ricorrente impugna, inoltre, l'art. 287 il quale, nel disporre
che il "patentino" di cui deve essere  munito  il  personale  addetto
alla  conduzione  di  impianti  termici  civili  di  potenza  termica
nominale  superiore  a  0.232  MW  sia  rilasciato   dall'Ispettorato
provinciale del lavoro, contrasterebbe con  l'art.  118  Cost.  Esso,
infatti, priverebbe le Regioni di una  competenza  amministrativa  ad
esse conferita dall'art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998. 
    Violerebbe, inoltre, l'art. 76 Cost., in quanto disattenderebbe i
limiti  della  delega  che  prescrive  il  rispetto  del  riparto  di
competenze fissato dal decreto da ultimo citato. 
    L'art. 287, nella parte in cui  dispone  che  la  disciplina  dei
corsi e degli esami per cui e' subordinato il rilascio del  patentino
sia stabilita con decreto ministeriale, lederebbe l'art. 117,  quarto
comma, Cost. in quanto  invaderebbe  la  competenza  residuale  delle
Regioni in materia di formazione professionale. 
    Infine, la Regione censura l'Allegato IV alla  parte  quinta  del
decreto e, in particolare, la parte  I,  punto  4,  lettera  z),  del
medesimo. 
    Tale     parte     dell'allegato,     infatti,     nell'escludere
l'autorizzazione  di  cui  all'art.  272  per  determinati  impianti,
utilizzerebbe, con riguardo agli allevanti di bestiame,  un  criterio
irragionevole  privo  di  alcuna  relazione  con  le   emissioni   in
atmosfera. Esso, infatti, farebbe riferimento non al numero  di  capi
di bestiame  presenti  nell'azienda,  ma  solo  alla  estensione  del
terreno di cui essa dispone e in cui sono utilizzati  gli  effluenti,
comportando che anche gli allevamenti di ingenti dimensioni, i  quali
producono  un  significativo  impatto  sull'ambiente  in  termini  di
emissioni  in   atmosfera,   non   sarebbero   soggetti   ad   alcuna
autorizzazione. 
    La disposizione impugnata, pertanto, contrasterebbe con gli artt.
3 e 9 Cost., in quanto il  criterio  derogatorio  utilizzato  sarebbe
irragionevole e  lesivo  degli  interessi  ambientali  in  cura  alla
Regione; con l'art. 76 Cost., in quanto,  per  le  medesime  ragioni,
contrasterebbe con i criteri  direttivi  della  delega;  infine,  con
l'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,  in  quanto  vanificherebbe   le
politiche   di   tutela   ambientale   della   Regione    nell'ambito
dell'agricoltura e della zootecnia. 
    3.1 -  Anche  in  tale  giudizio  e'  intervenuta  l'Associazione
italiana per il World Wide Fund for  Nature  (WWF  Italia)  -  Onlus,
chiedendo  che  sia  dichiarata   l'illegittimita'   delle   medesime
disposizioni impugnate dalla Regione Emilia-Romagna. 
    4. - Anche la Regione Puglia, con ricorso iscritto al n.  76  del
registro ricorsi del 2006, ha  impugnato  numerose  disposizioni  del
d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Tra gli altri, la ricorrente censura l'art.  281,  comma  10,  il
quale prevede, per l'adozione dei piani o programmi e per il rilascio
delle autorizzazioni da parte delle Regioni o Province  autonome,  la
necessita' di un'intesa  con  il  Ministro  dell'ambiente  e  con  il
Ministro della salute allo scopo di fissare limiti  piu'  restrittivi
alle emissioni. Tale disposizione violerebbe l'art. 76 Cost., perche'
contrasterebbe con i  principi  e  criteri  direttivi  della  delega,
nonche' gli artt. 117, terzo comma, e  118  Cost.  per  la  «assoluta
preponderanza dei poteri riconosciuti» al Ministro  dell'ambiente  al
quale sarebbe assegnato un ruolo preminente anche  con  finalita'  di
controllo sulle competenze regionali, in violazione del principio  di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. 
    La Regione chiede, pertanto, che sia dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale di tale disposizione,  previa  sospensione  della  sua
esecuzione, ai sensi dell'art. 9 della legge 5 giugno  2003,  n.  131
(Disposizioni per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica
alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). 
    4.1 - E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana  per  il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia) -  Onlus,  a  sostegno  delle
censure svolte dalla ricorrente. 
    5. - In prossimita' dell'udienza pubblica, le  Regioni  Calabria,
Emilia-Romagna e Puglia, nonche' il  WWF,  hanno  depositato  memorie
conclusive. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Le Regioni Calabria, Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia hanno
impugnato numerose disposizioni  del  decreto  legislativo  3  aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), tra cui l'art. 267, comma
4, lettera a) (Regioni Calabria e Piemonte);  l'art.  267,  comma  4,
lettera c) (Regione Piemonte); l'art. 269, commi 2, 3, 7 e 8 (Regioni
Calabria  e  Piemonte);  l'art.  271  «in  relazione  agli  Allegati»
(Regione Piemonte); l'art. 281, comma 10 (Regioni Calabria, Piemonte,
Emilia - Romagna e Puglia); l'art. 283 (Regione Piemonte); l'art. 284
(Regioni Calabria e Piemonte); l'art. 287 (Regioni Calabria, Piemonte
ed Emilia - Romagna); la Parte I, punto 4, lettera z),  dell'Allegato
IV alla Parte quinta (Regione Emilia - Romagna); l'Allegato  IX  alla
Parte V (Regione Calabria). 
    Le ricorrenti lamentano la  violazione  degli  artt.  3  (Regioni
Calabria  ed  Emilia-Romagna),  5  (Regione  Piemonte),  9   (Regione
Emilia-Romagna), 76 (tutte le ricorrenti),  114  (Regione  Piemonte),
117, terzo comma (tutte le  ricorrenti,  con  riguardo  alla  Regione
Regione Emilia-Romagna senza espressa indicazione), 117, quarto comma
(Regioni Calabria ed Emilia-Romagna), 118 (tutte le ricorrenti), 119,
quinto comma (Regione Calabria), e 120  della  Costituzione  (Regione
Calabria); sono altresi' evocati i principi di  leale  collaborazione
(tutte le ricorrenti), sussidiarieta'  (Regioni  Calabria,  Piemonte,
Puglia) e buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  (Regione
Piemonte). 
    E' opportuno riservare a separate decisioni l'esame delle censure
che le ricorrenti hanno mosso ad altre disposizioni del d.lgs. n. 152
del 2006, per  affrontare  in  questa  sede  le  sole  doglianze  che
investono, secondo quanto  appena  precisato,  la  parte  quinta  del
decreto impugnato, con riguardo  alle  norme  in  materia  di  tutela
dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera. 
    L'omogeneita' della materia trattata  consente  la  riunione  del
ricorsi, perche' essi siano decisi con un'unica sentenza. 
    2. - L'Associazione italiana per il World Wide  Fund  for  Nature
(WWF Italia) Onlus e' intervenuta nei giudizi promossi dalle  Regioni
Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia. 
    Nel  ricorso  promosso  dalla  Regione  Piemonte  sono   altresi'
intervenute  Biomasse  Italia  s.p.a.,  Societa'  Italiana   Centrali
Termoelettriche-SICET s.r.l., Ital Green Energy s.r.l. e ETA  Energie
Tecnologie Ambiente s.p.a. 
    Questi interventi sono inammissibili. 
    Il giudizio di costituzionalita'  delle  leggi  promosso  in  via
d'azione e', infatti, configurato come svolgentesi esclusivamente tra
soggetti titolari di potesta'  legislativa,  fermi  restando,  per  i
soggetti privi di  tale  potesta',  i  mezzi  di  tutela  delle  loro
posizioni  soggettive,  anche  costituzionali,  di  fronte  ad  altre
istanze giurisdizionali ed eventualmente anche  di  fronte  a  questa
Corte in via incidentale (fra le molte sentenze n. 405 del 2008 e  n.
469 del 2005). 
    3. - In via preliminare  deve  essere  rigettata  l'eccezione  di
inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura dello Stato  con  riguardo
al ricorso promosso dalla Regione Piemonte in ragione della  asserita
tardivita' della notifica dell'atto introduttivo. Premesso,  infatti,
che anche nei giudizi in  via  principale  vige  il  principio  della
scissione fra il momento in  cui  la  notificazione  deve  intendersi
effettuata nei confronti del notificante rispetto al momento  in  cui
essa si perfeziona per il destinatario dell'atto (sentenze n. 300 del
2007 e n. 477 del 2002), e' agevole rilevare che, nel caso di specie,
la notifica e' stata effettuata  tempestivamente  dalla  Regione,  in
quanto il ricorso risulta spedito a mezzo posta  in  data  12  giugno
2006, e dunque nel termine  di  60  giorni  dalla  pubblicazione  del
decreto legislativo impugnato, avvenuta il 14 aprile 2006. 
    4. - Ancora in via preliminare, va dichiarata  l'inammissibilita'
delle censure formulate dalla Regione Piemonte avverso gli artt. 267,
comma 4, lettera a), 269, comma 7, 271, 281, comma 10, 284 e 287  del
d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento agli artt. 5 e  114  Cost.  e
«con riguardo a  principi  e  norme  del  diritto  comunitario  e  di
convenzioni internazionali», poiche' del tutto prive  di  motivazione
(tra le molte, sentenze n. 25 del 2008 e n. 430 del 2007). 
    Per   la   medesima   ragione,   e'   palesemente   inammissibile
l'impugnazione, sempre da parte  della  Regione  Piemonte,  dell'art.
283, che viene meramente indicato  tra  le  disposizioni  oggetto  di
ricorso, senza che ne consegua lo svolgimento di alcuna censura. 
    Il ricorso della  Regione  Piemonte  e',  inoltre,  inammissibile
quanto all'impugnazione dell'art. 271 «in relazione  agli  Allegati»,
poiche' tale disposizione non e' espressamente indicata tra le  norme
che la Giunta regionale, per mezzo di apposita delibera, ha  ritenuto
di sottoporre al controllo di questa  Corte,  adempiendo  al  proprio
onere a tale riguardo (sentenze n. 98 del 2007 e n. 533 del 2002): il
generico riferimento all'intera Parte quinta del d.lgs.  n.  152  del
2006, contenuto in tale  delibera,  assume,  infatti,  il  necessario
grado di  determinatezza  ai  fini  dell'individuazione  dell'oggetto
delle censure (sentenza n. 367 del 2007) solo grazie allo  «specifico
rilievo» subito dopo riservato all'elenco delle disposizioni  oggetto
di doglianza, tra le quali  non  figurano  ne'  l'art.  271  ne'  gli
allegati. Tale disposizione risulta pertanto selezionata dalla difesa
tecnica della Regione, anziche' dall'organo politico a cio' preposto. 
    Parimenti,  le  censure  proposte  dalla  Regione  Emilia-Romagna
avverso l'art. 287 sono ammissibili con esclusivo riguardo al comma 1
di tale disposizione, al quale soltanto si riferisce,  espressamente,
la delibera della Giunta regionale. 
    Infine, sono inammissibili, in quanto basate su parametri che non
attengono al riparto delle competenze tra Stato  e  Regioni  (tra  le
molte, sentenze n. 216 del 2008 e n. 116 del 2006), le censure svolte
dalla Regione Piemonte avverso l'art. 269, comma 7, con  riguardo  al
"principio di buon andamento della pubblica  amministrazione";  dalla
Regione Calabria  avverso  l'art.  281,  comma  10,  con  riferimento
all'art. 3 Cost.; dalla Regione Emilia Romagna  avverso  il  medesimo
art. 281, comma 10, con riferimento all'art. 9  Cost.;  ancora  dalla
Regione Emilia-Romagna avverso la  Parte  I,  punto  4,  lettera  z),
dell'Allegato IV alla Parte quinta, con riferimento  nuovamente  agli
artt. 3 e 9 della Costituzione: in nessuno  di  tali  casi  la  parte
ricorrente provvede ad illustrare in modo specifico per quale via  la
denunciata lesione di tali parametri costituzionali si risolva in una
menomazione delle proprie competenze. 
    4.1. - Tale conclusione va ribadita  con  riguardo  alle  censure
regionali basate  sull'art.  76  Cost.,  le  quali  a  propria  volta
richiedono, per essere ammissibili, che la lamentata  violazione  dei
principi e dei criteri direttivi enunciati  dalla  legge  delega,  da
parte del legislatore delegato, sia  suscettibile  di  comprimere  le
attribuzioni regionali (sentenza n. 503 del 2000). 
    Detto requisito di ammissibilita' non e' soddisfatto dal  ricorso
della Regione Piemonte nella parte  avente  ad  oggetto  l'art.  267,
comma 4, lettera c). La disposizione  stabilisce  che  i  certificati
verdi maturati a fronte di energia prodotta  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239  (Riordino  del  settore
energetico,  nonche'  delega  al  Governo  per  il  riassetto   delle
disposizioni  vigenti  in  materia  di  energia),   «possono   essere
utilizzati per assolvere  all'obbligo  di  cui  all'articolo  11  del
decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, solo dopo che  siano  stati
annullati tutti  i  certificati  verdi  maturati  dai  produttori  di
energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili cosi'  come  definite
dall'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n.  387
del 2003». 
    La ricorrente contesta che  tale  disposizione  ecceda  i  limiti
imposti dall'art. 2, comma 9,  lettera  g),  n.  2,  della  legge  15
dicembre 2004,  n.  308  (Delega  al  Governo  per  il  riordino,  il
coordinamento  e  l'integrazione  della   legislazione   in   materia
ambientale e  misure  di  diretta  applicazione),  il  quale  avrebbe
consentito il solo prolungamento fino a dodici anni  del  periodo  di
validita'  dei  certificati  verdi,  e  non  l'introduzione  di  «una
modalita'  di  utilizzo»  di  essi.  Tuttavia,  la  censura  non   si
accompagna alla necessaria  indicazione  della  specifica  competenza
regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione,
sicche'   essa   va    ritenuta    inammissibile,    a    prescindere
dall'intervenuta abrogazione dell'art. 1, comma 71,  della  legge  n.
239 del 2004 da  parte  dell'art.  1,  comma  1120,  della  legge  27
dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007). 
    Il medesimo vizio di inammissibilita' colpisce la censura  mossa,
ai sensi dell'art. 76 Cost., dalla Regione Piemonte con riguardo agli
artt. 284 e 287 in tema di impianti termici, sulla base  del  rilievo
per   cui   tali   disposizioni   tradirebbero   le    esigenze    di
«semplificazione e certezza normativa» imposte dalla legge delega. La
suddetta doglianza, oltre ad  avere  carattere  generico,  nuovamente
manca di configurare una lesione della sfera di competenza regionale:
il mero richiamo all'omesso coordinamento della norma  impugnata  con
il decreto legislativo 19  agosto  2005,  n.  192  (Attuazione  della
direttiva    2002/91/CE    relativa    al    rendimento    energetico
nell'edilizia), in tema di rendimento  energetico  nell'edilizia  non
vale a chiarire per quale ragione la pretesa lacuna formale  potrebbe
menomare le attribuzioni regionali. 
    Priva   di   motivazione,   e    pertanto    inammissibile,    e'
l'impugnazione, da parte della Regione Emilia-Romagna, della Parte I,
punto  4,  lettera  z),  dell'Allegato  IV  alla  Parte  quinta   per
violazione dell'art. 76 Cost., motivata dalla asserita lesione  degli
«interessi ambientali in cura alla Regione» e  dal  contrasto  con  i
principi  direttivi  fissati  dalla  legge  di  delega:  la   mancata
specificazione di quali principi enunciati dal legislatore  delegante
sarebbero stati violati  impedisce  di  scrutinare  il  merito  della
censura. 
    Parimenti inammissibile  e',  infine,  l'impugnazione,  da  parte
della  Regione  Puglia,  dell'art.  281,  comma  10,  in  riferimento
all'art.  76  Cost.,  atteso  che  la  ricorrente  non  indica  quali
«principi generali richiamati dalla  legge  delega»  sarebbero  stati
violati nel caso di specie. 
    5. - Passando ad  esaminare  il  merito  delle  censure,  vengono
innanzitutto in considerazione quelle relative all'art. 267, comma 4,
lettera a), il quale stabilisce che, al fine di promuovere  l'impiego
di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, «potranno  essere
promosse dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio  di
concerto con i Ministri delle attivita' produttive e per lo  sviluppo
e la coesione territoriale misure atte a favorire  la  produzione  di
energia elettrica tramite fonti rinnovabili ed al contempo sviluppare
la base produttiva di tecnologie pulite, con particolare  riferimento
al Mezzogiorno». 
    La Regione Calabria sostiene che tale disposizione  consentirebbe
allo Stato di realizzare «interventi diretti di  ordine  finanziario»
sul territorio regionale, in violazione dell'art. 119, quinto  comma,
Cost., nonche' della competenza concorrente regionale in  materia  di
governo del territorio e di tutela  della  salute  (art.  117,  terzo
comma, Cost.) e di quella residuale in  materia  di  «produzione  non
nazionale di energia» (art. 117, quarto comma, Cost.);  peraltro,  il
difetto «di ogni coinvolgimento regionale»  comporterebbe,  altresi',
la lesione del principio di leale cooperazione. 
    A  propria  volta,  la  Regione  Piemonte  lamenta   il   mancato
«coinvolgimento    esplicito»    dell'istanza     regionale     nella
determinazione del contenuto di tali misure. 
    Le questioni non sono fondate. 
    Esse si basano, infatti, sull'erroneo presupposto  interpretativo
per il quale la disposizione censurata  prevederebbe  l'adozione,  da
parte dello Stato,  di  atti  che  si  sovrappongano  alla  sfera  di
competenza  regionale  e  ne  ledano  l'autonomia  finanziaria.  Tale
lettura  non  e'  in  alcun  modo  confortata  dalla  lettera   della
disposizione oggetto di ricorso, che si limita ad impegnare lo  Stato
alla promozione dell'energia da fonti rinnovabili per  mezzo  di  non
meglio determinate «misure», la cui  natura  e  il  cui  contenuto  -
allorche' vengano adottate - non potranno che conformarsi all'attuale
assetto delle competenze costituzionali di Stato e Regioni. 
    Tra  queste,  non  vi  e'  dubbio  che  spicchi   la   competenza
concorrente  regionale  in  materia  di   produzione,   trasporto   e
distribuzione nazionale dell'energia, mentre la Corte ha gia' escluso
la configurabilita' di una competenza residuale concernente l'assetto
asseritamente locale del sistema  energetico  (sentenza  n.  383  del
2005); parimenti non si puo' escludere che le misure "promosse" dallo
Stato possano lambire l'ambito riservato al governo  del  territorio,
piuttosto che  l'autonomia  finanziaria  della  Regione,  pur  in  un
contesto finalistico che parimenti attiva le competenze nazionali  in
tema di tutela dell'ambiente e di tutela della concorrenza  (sentenza
n. 88 del 2009): sara', percio', necessario  che  l'intervento  dello
Stato  sia  rispettoso  di  siffatti  limiti,  anche   con   riguardo
all'introduzione di forme di coinvolgimento  della  Regione.  In  tal
modo interpretata, la disposizione impugnata si sottrae alle  censure
sopra esposte. 
    6. -  L'art.  269  disciplina  l'autorizzazione  di  cui  debbono
munirsi gli impianti che producono emissioni in atmosfera. La Regione
Calabria impugna i commi 2, 3, 7 ed 8 di tale disposizione, che viene
censurata anche dalla Regione Piemonte, ma con  riferimento  al  solo
comma 7. 
    Con una prima doglianza, che investe tutti i commi impugnati,  la
Regione Calabria lamenta che essi  recherebbero  norme  di  dettaglio
nelle materie della tutela della salute e del governo del territorio,
ove, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.,  e'  riservata  allo
Stato la sola determinazione dei principi fondamentali. 
    La questione non e' fondata. 
    L'art. 269, dopo avere enunciato, al comma 1, il principio per il
quale gli impianti  che  producono  emissioni  sono  soggetti,  salvo
specifiche  eccezioni,  ad  un  regime  autorizzatorio,  provvede   a
disciplinare, tra l'altro, il procedimento di rilascio del  titolo  e
la sua efficacia nel tempo. Si tratta di disposizioni  riguardo  alle
quali, accanto  alla  tutela  dell'ambiente  -  finalita'  verso  cui
converge  l'intero  impianto  del  codice  -  possono  ravvisarsi  le
competenze   relative   alla   tutela   della   salute,   in   quanto
potenzialmente  compromessa  dagli  agenti  inquinanti  che   vengono
rilasciati dagli  impianti,  e  quelle  concernenti  il  governo  del
territorio, con riferimento  all'installazione  ed  al  trasferimento
degli impianti sul territorio regionale: del resto,  non  si  e'  mai
dubitato  del  ruolo  particolarmente  significativo  che  la  stessa
legislazione  nazionale  ha  attribuito  alle  Regioni  ai  fini  del
contrasto dell'inquinamento atmosferico, fin dagli artt.  101  e  102
del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione  della  delega  di  cui
all'art. 1 della L. 22 luglio 1975, n.  382),  e  successivamente  in
forza del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione  delle  direttive
CEE numeri 80/779, 82/884,  84/360  e  85/203  concernenti  norme  in
materia di  qualita'  dell'aria,  relativamente  a  specifici  agenti
inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai
sensi dell'art. 15 della L. 16 aprile 1987,  n.  183),  ora  abrogato
dall'art. 280 del d.lgs. n. 152 del 2006, con i limiti ivi  indicati.
Tale ruolo trova conferma nella conservazione, in capo alla Regione o
all'ente da essa indicato, del potere di rilasciare  l'autorizzazione
prevista dall'art. 269 (art. 268, comma 1, lettera o). 
    Se, tuttavia, la riconduzione della disposizione  censurata  alla
competenza esclusiva dello Stato in materia di  tutela  dell'ambiente
esclude in radice che  la  Regione  possa  contestarne  il  carattere
dettagliato, in ogni caso i commi  impugnati  di  tale  disposizione,
quand'anche inquadrati nella prospettiva delle competenze concorrenti
sopra ricordate, appaiono espressivi di principi  fondamentali  della
materia:  secondo  tale  linea  di  giudizio  questa  Corte  ha  gia'
riconosciuto che le corrispondenti disposizioni del d.P.R. n. 203 del
1988 determinavano i soli «presupposti minimali» per il rilascio  del
titolo,  ne'  la  normativa   oggetto   dell'odierno   controllo   di
costituzionalita' si discosta da siffatto limite. 
    In particolare, il comma  2  non  tratteggia,  come  vorrebbe  la
ricorrente, «un modulo da  predisporre  per  la  presentazione  delle
istanze», ma determina  i  requisiti  dai  quali  non  e'  consentito
prescindere in sede di domanda di autorizzazione, ciascuno dei  quali
finalizzato a garantire  la  necessaria  verifica  delle  condizioni,
determinate dal legislatore nazionale, che consentono l'installazione
o il trasferimento dell'impianto; il comma 3 formula il principio per
il   quale   l'autorita'   competente,   ai   fini    del    rilascio
dell'autorizzazione, indice una conferenza di servizi e ne  scandisce
le fasi, per il tramite dell'indicazione di  termini  rispondenti  ad
esigenze di semplificazione amministrativa e di celerita', anche  «al
fine  di  evitare  (...)  che  nel  territorio  nazionale  si  creino
disparita' di trattamento fra impresa e impresa» (sentenza n. 101 del
1989). 
    Per tale ragione  le  disposizioni  ora  richiamate  non  possono
ritenersi di mero dettaglio (sentenza n. 364 del 2006). 
    Le medesime considerazioni  appena  svolte  concernono  anche  il
comma 8, che, disciplinando il  procedimento  da  osservarsi  ove  si
intenda modificare l'impianto, appare speculare  al  procedimento  di
rilascio dell'autorizzazione e risponde  alla  medesima  esigenza  di
articolare  unitariamente  tale  attivita'   secondo   principi   che
assicurino  l'osservanza  dei  criteri  stabiliti   dalla   normativa
nazionale. 
    Il  comma  7,  infine,  determina  in  quindici  anni  la  durata
dell'autorizzazione, cosi' esprimendo un'evidente scelta di principio
che sintetizza l'interesse dell'impresa a  proseguire  nell'attivita'
con la necessita' di una nuova verifica  circa  la  ricorrenza  delle
condizioni a tal fine richieste. 
    6.1. -  La  Regione  Calabria  impugna,  poi,  il  solo  comma  3
dell'art. 269, in relazione all'art.  120  Cost.,  poiche'  esso,  in
assenza  della  diffida  ad  adempiere,  consentirebbe  al   Ministro
dell'ambiente di sostituirsi alla  competente  autorita'  locale  nel
rilascio dell'autorizzazione, quando,  scaduti  i  termini  assegnati
alla  prima  per  provvedere,  l'interessato   ne   faccia   espressa
richiesta, senza assicurare idonee garanzie  procedimentali  all'ente
sostituito. 
    La questione non e' fondata. 
    Occorre, innanzitutto, rilevare che la censura  si  incentra  non
gia' sulla configurazione del  potere  sostitutivo  in  se',  ma  sul
preteso difetto di  siffatte  garanzie.  Per  tale  ragione,  non  e'
necessario in questa sede interrogarsi sulla effettiva applicabilita'
dell'art. 120 Cost. al potere sostitutivo previsto dalla disposizione
impugnata, posto che tale norma costituzionale attiene  all'esercizio
straordinario di tale funzione da parte del Governo,  mentre  «lascia
impregiudicata l'ammissibilita' e la  disciplina  di  altri  casi  di
interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di  settore,
statale o regionale» (sentenza n. 43 del 2004): infatti, in  entrambi
i  casi,  la  legge  e'  tenuta  ad   apprestare   congrue   garanzie
procedimentali per l'esercizio del potere sostitutivo, in conformita'
al principio  di  leale  collaborazione,  sicche',  pur  prescindendo
dall'espresso richiamo dell'art. 120 Cost. operato dalla  ricorrente,
la censura deve ritenersi comunque rivolta a contestare la carenza di
tali garanzie. 
    Sotto questa  prospettiva,  un  analogo  meccanismo  sostitutivo,
regolato dall'art. 7 del d.P.R.  n.  203  del  1988,  e'  gia'  stato
ritenuto da questa Corte non contrastante con la Costituzione con  la
citata sentenza n. 101 del 1989. Nell'attuale  quadro  costituzionale
di  riparto  delle  competenze,  e  con  riguardo  alla  disposizione
censurata, va ugualmente osservato che essa puo' e deve interpretarsi
in un senso rispettoso dell'autonomia decentrata, dal momento che  vi
si prevede espressamente che il gestore  notifichi  la  richiesta  di
intervento  sostitutivo  all'autorita'  locale  competente,  e   che,
comunque, il Ministro  dell'ambiente  provveda,  «sentito  il  Comune
interessato». Tali adempimenti debbono ritenersi finalizzati a  porre
l'ente sostituito in grado di evitare la sostituzione  attraverso  un
autonomo adempimento, ed in ogni caso di partecipare ed  interloquire
nel procedimento di sostituzione. 
    6.2. - La Regione Piemonte impugna il solo comma 7 dell'art. 269,
nella   parte    in    cui    stabilisce    un'efficacia    temporale
dell'autorizzazione  di   quindici   anni   ritenuta   «assolutamente
sproporzionata» alla luce dell'accelerato «processo  di  rinnovamento
tecnologico degli  impianti»,  senza  nel  contempo  disciplinare  il
potere decentrato, originariamente attributo dall'art. 11 del  d.P.R.
n. 203 del 1988, di modificare le prescrizioni dell'autorizzazione in
seguito all'evoluzione della migliore tecnologia disponibile, nonche'
all'evoluzione della situazione ambientale. 
    Sarebbero cosi' compromesse le attribuzioni regionali in punto di
rilascio del titolo, in violazione dei principi di  sussidiarieta'  e
leale collaborazione. Per altro profilo, la  ricorrente  denuncia  la
difformita' della  disposizione  impugnata  rispetto  ai  principi  e
criteri direttivi enunciati  dalla  legge  delega  (art.1,  comma  8,
lettere d ed h), in quanto essa comporterebbe «una limitazione e  non
un accrescimento dei poteri pubblici di controllo e  degli  obiettivi
generali  di  miglioramento  della  qualita'   dell'aria   attraverso
l'adozione delle migliori tecnologie disponibili». 
    Le censure non sono fondate, giacche' si  basano  su  un  erroneo
presupposto interpretativo. 
    La ricorrente muove, infatti, dal convincimento  secondo  cui  il
legislatore delegato, nel determinare l'arco temporale esauritosi  il
quale l'autorizzazione necessita di  essere  rinnovata,  avrebbe  nel
contempo e per cio' stesso privato l'amministrazione  competente  del
potere   di   vigilare,   durante   tale   periodo,    sull'esercizio
dell'impianto,   allo   scopo   di   assicurarne   costantemente   la
corrispondenza a quanto reso possibile dall'evoluzione della migliore
tecnologia disponibile e a  quanto  reso  necessario  dall'evoluzione
della situazione ambientale. 
    Tale  lettura,  senza  venire   imposta   dalla   lettera   della
disposizione impugnata, renderebbe incongrua la disciplina  normativa
dell'autorizzazione alle  emissioni  in  atmosfera  rispetto  ad  una
marcata  linea  di  tendenza,  maturata  sul  terreno   del   diritto
comunitario, volta a garantire un costante e progressivo  adeguamento
delle prescrizioni concernenti gli impianti inquinanti all'evoluzione
tecnologica: in  tema  di  autorizzazione  integrata  ambientale  (la
quale, pur sostituendosi all'autorizzazione di cui all'art.  269,  ai
sensi dell'art. 267, comma  3,  concerne  anch'essa  la  tutela,  tra
l'altro, dall'inquinamento atmosferico), l'art. 13 della direttiva 15
gennaio 2008, n. 2008/1/CE, che ha sostituito l'analogo art. 13 della
direttiva 24 settembre 1996, n.  96/61/CE  (Direttiva  del  Consiglio
sulla  prevenzione  e  la  riduzione  integrate   dell'inquinamento),
prescrive un riesame delle condizioni del titolo, ogni qual volta  le
migliori  tecniche   disponibili   abbiano   registrato   sostanziali
cambiamenti che consentano di ridurre notevolmente le emissioni senza
imporre costi eccessivi. 
    Ugualmente,  l'art.  13  della  direttiva  28  giugno  1984,   n.
84/360/CE  (Direttiva  del  Consiglio  concernente  la  lotta  contro
l'inquinamento atmosferico  provocato  dagli  impianti  industriali),
abrogata con effetto dal 30 ottobre 2007, ma vigente al  tempo  della
promulgazione del d.lgs. n. 152  del  2006,  comporta  l'adozione,  a
livello nazionale, di misure adeguate per  adattare  progressivamente
gli impianti esistenti  alla  migliore  tecnologia  disponibile,  pur
tenuto conto dell'opportunita' di evitare  costi  eccessivi  per  gli
impianti. 
    Stanti tali premesse, ed entro un contesto normativo  finalizzato
ad assicurare un adeguato grado di tutela dell'ambiente,  apparirebbe
manifestamente  irragionevole  il   congelamento   delle   condizioni
dell'autorizzazione, quanto alle prescrizioni relative  all'impianto,
per un periodo  di  quindici  anni,  quando  la  sempre  piu'  rapida
evoluzione della tecnologia avrebbe invece consentito, nel frattempo,
di ricorrere ad adattamenti  tecnici  idonei  ad  una  piu'  efficace
salvaguardia  dell'ambiente,  senza  nel  contempo  implicare   costi
sproporzionati   rispetto   all'utilita'   conseguita.   Del   resto,
l'esigenza di tutelare l'affidamento dell'impresa circa la stabilita'
delle condizioni fissate dall'autorizzazione e' certamente  recessiva
a fronte di un'eventuale compromissione,  se  del  caso  indotta  dal
mutamento  della  situazione  ambientale,  del  limite  «assoluto   e
indefettibile rappresentato dalla tollerabilita' per la tutela  della
salute umana e dell'ambiente in cui l'uomo vive» (sentenza n. 127 del
1990). Essa, inoltre, non puo' prevalere  sul  perseguimento  di  una
piu' efficace tutela di tali  superiori  valori,  ove  la  tecnologia
offra soluzioni i cui costi  non  siano  sproporzionati  rispetto  al
vantaggio ottenibile: un certo grado di flessibilita' del  regime  di
esercizio dell'impianto, orientato verso tale  direzione,  e'  dunque
connaturato  alla  particolare  rilevanza  costituzionale  del   bene
giuridico che, diversamente, ne potrebbe venire offeso, nonche'  alla
natura inevitabilmente,  e  spesso  imprevedibilmente,  mutevole  del
contesto ambientale di riferimento. 
    Difatti, il solo potere dell'autorita'  competente  a  rilasciare
l'autorizzazione, che viene espressamente riservato  dal  legislatore
alla fase del rinnovo della  stessa  (art.  271,  comma  9),  attiene
all'introduzione  di  valori  limite  di  emissione  piu'   rigorosi,
rispetto a quelli fissati  dall'Allegato  I  alla  Parte  quinta  del
d.lgs. n. 152 del 2006, da parte della normativa regionale di cui  al
comma 3 dell'art. 271 e dai piani e programmi relativi alla  qualita'
dell'aria. 
    La   disposizione   censurata   non   deve,   pertanto,    essere
interpretata, come ritiene invece la ricorrente, nel senso  che  essa
reca   un   divieto,   per   l'autorita'   competente   al   rilascio
dell'autorizzazione, di modificare, durante il periodo  quindicennale
di validita' del titolo, le prescrizioni della stessa concernenti gli
impianti,  in   base   all'evoluzione   della   migliore   tecnologia
disponibile e della situazione  ambientale:  entro  tali  limiti,  la
questione avente ad oggetto l'art. 269, comma 7, non e' fondata. 
    7. - L'art. 281, comma 10,  impugnato  da  tutte  le  ricorrenti,
stabilisce che «fatti salvi i poteri stabiliti dall'articolo  271  in
sede di adozione dei piani e dei programmi ivi previsti e di rilascio
dell'autorizzazione, in presenza di particolari situazioni di rischio
sanitario o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale,
le Regioni e le Province autonome, con provvedimento generale, previa
intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio  e
con il Ministro della  salute,  per  quanto  di  competenza,  possono
stabilire valori limite di emissione e prescrizioni,  anche  inerenti
le condizioni di costruzione o  di  esercizio  degli  impianti,  piu'
severi di quelli fissati dagli allegati al presente  titolo,  purche'
cio' risulti necessario al conseguimento  del  valori  limite  e  dei
valori bersaglio di qualita' dell'aria». 
    La Regione Calabria ritiene lesi gli artt. 117,  terzo  comma,  e
118  Cost.,  poiche'  la  Regione  sarebbe  stata  «spogliata   della
(propria) responsabilita' di governo del territorio  e  della  salute
dei consociati». 
    La Regione Piemonte lamenta che si sia compressa la  possibilita'
di  interventi  regionali  di  carattere  migliorativo  dei   livelli
statali. 
    La Regione Emilia-Romagna stima lesi gli artt. 117 e  118  Cost.,
poiche' la necessita' dell'intesa restringe i poteri della Regione di
tutelare l'ambiente, anche derogando in melius ai livelli determinati
dallo Stato. Tali poteri sarebbero stati  riconosciuti  dall'art.  84
del d.lgs. n. 112 del 1998, dall'art. 8 del  decreto  legislativo  18
febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della  direttiva  96/61/CE
relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento), e
dalla  direttiva  comunitaria  n.  2001/80/CE  del  23  ottobre  2001
(Direttiva del Parlamento europeo  e  del  Consiglio  concernente  la
limitazione  delle  emissioni  nell'atmosfera  di  taluni  inquinanti
originati dai grandi impianti di  combustione),  in  tema  di  grandi
impianti di combustione. 
    La Regione Puglia, la quale avanza anche istanza  di  sospensione
della disposizione in esame, deduce la violazione  degli  artt.  117,
terzo comma, e 118 Cost.,  con  riferimento  anche  al  principio  di
sussidiarieta', a causa  «della  assoluta  preponderanza  dei  poteri
riconosciuti al Ministro dell'ambiente». 
    Le questioni non sono fondate. 
    Il d.lgs. n. 152 del 2006 riconosce alle Regioni un ampio margine
di intervento, al fine di conferire esecuzione e  talora  di  rendere
eventualmente  piu'  severa   la   disciplina   statale   concernente
l'inquinamento atmosferico: in  particolare,  l'art.  271,  comma  3,
affida a Regioni e Province autonome  la  determinazione  dei  valori
limite di emissione all'interno di quelli  indicati  dalla  normativa
nazionale; l'art.  271,  comma  4,  ammette  l'introduzione  in  sede
decentrata di valori limite  di  emissione  e  di  prescrizioni  piu'
restrittivi rispetto agli standard statali, per mezzo dei piani e dei
programmi previsti dall'art. 8 del decreto legislativo 4 agosto 1999,
n. 351 (Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione
e di gestione della qualita' dell'aria ambiente), e dall'art.  3  del
decreto  legislativo  21  maggio  2004,  n.  183  (Attuazione   della
direttiva 2002/3/CE relativa all'ozono nell'aria), purche'  cio'  sia
necessario al conseguimento dei valori limite e dei valori  bersaglio
di qualita' dell'aria. Inoltre,  la  disposizione  da  ultimo  citata
stabilisce  che  «fino  alla  emanazione  dei  suddetti   programmi»,
continuano ad applicarsi i valori  di  emissione  e  le  prescrizioni
contenute nei piani di cui all'art. 4 del d.P.R. n. 203 del 1988. 
    L'art. 271, comma 9, infine, legittima l'imposizione  al  singolo
impianto di condizioni ancora piu' rigide in sede di  rilascio  e  di
rinnovo dell'autorizzazione. 
    Il ruolo e l'ampiezza delle funzioni affidate alle Regioni  vanno
percio' apprezzati alla luce  dell'assetto  complessivo  del  decreto
legislativo impugnato e non possono viceversa divenire oggetto,  come
vorrebbero le ricorrenti, di una valutazione parcellizzata sulla base
di una sola tra le disposizioni di cui esso si compone. 
    L'art. 281, comma 10, si inserisce in tale piu' ampio contesto di
valorizzazione delle competenze regionali, aprendo un ulteriore campo
di intervento alle Regioni, in  presenza  di  situazioni  di  rischio
sanitario o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale,
ma nel contempo ne subordina la relativa  azione  all'intesa  con  il
Ministro dell'ambiente e con il Ministro della salute. 
    Nel concorso della competenza esclusiva dello Stato in materia di
tutela dell'ambiente con quella  concorrente  in  materia  di  tutela
della  salute,  la  disposizione  censurata  provvede   ad   allocare
l'esercizio della funzione in sede regionale,  dimostrandosi  in  tal
modo rispettosa dell'art. 118 Cost., mentre la previsione dell'intesa
agisce da strumento di raccordo idoneo a soddisfare il  canone  della
leale collaborazione, in presenza di una  concorrenza  di  competenze
dello Stato e della Regione (sentenze n. 88 del 2009  e  n.  219  del
2005). 
    Quanto alla normativa richiamata  dalla  Regione  Emilia-Romagna,
mentre la ricorrente omette di indicare quale funzione gia'  prevista
dall'art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998 le  sarebbe  stata  sottratta
dalla disposizione censurata, sono  da  ritenersi  male  evocati  sia
l'art. 8 del d.lgs. n. 59 del 2005, che concerne il diverso  istituto
dell'autorizzazione integrata ambientale (art. 267, comma 3), sia  la
direttiva  n.  2001/80/CE  relativa  alle  emissioni  di   inquinanti
originati dai grandi impianti di combustione: non si  vede,  infatti,
ne'  e'  specificato  dalla  ricorrente,  quale  sia  il  margine  di
sovrapposizione che possa intercorrere tra tali norme  ed  il  potere
regolato dall'art. 281,  comma  1,  e  cio'  a  prescindere  dal  pur
decisivo rilievo per il quale le modalita' dell'intervento  regionale
ben possono essere distintamente modulate dal legislatore, a  seconda
del peculiare ambito materiale cui esso si riferisce. 
    8. - L'art. 284 disciplina la  denuncia  di  installazione  o  di
modifica di impianti termici civili di potenza superiore al valore di
soglia, stabilendo che essa vada trasmessa  all'autorita'  competente
mediante il modulo riportato nella  Parte  I  dell'Allegato  IX  alla
Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    La  Regione  Calabria  impugna  tale  disposizione,  che  giudica
dettagliata, perche' lesiva della competenza regionale concorrente in
materia di tutela della salute, estendendo la censura all'Allegato IX
alla Parte quinta, in quanto «oggetto di rinvio» da  parte  dell'art.
284: e' pertanto da ritenere che tale  estensione  concerna  la  sola
porzione dell'Allegato concernente il "modulo di denuncia". 
    Anche la  Regione  Piemonte  censura  la  disposizione  in  esame
riconducendola, invece, alla competenza  concorrente  in  materia  di
energia e sostenendone, a propria volta, il carattere dettagliato. 
    Le questioni non sono fondate. 
    Le disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 relative agli impianti
termici civili perseguono un obiettivo di prevenzione  e  limitazione
dell'inquinamento   atmosferico   (art.   282)   che   si    inquadra
nell'esercizio della competenza esclusiva statale in tema  di  tutela
dell'ambiente; quand'anche si ritenesse che ad essa si congiunga  una
sfera di  competenza  concorrente  regionale,  come  sostenuto  dalle
ricorrenti, tuttavia l'art. 284, nell'imporre l'obbligo di denuncia e
nel definire, tramite il rinvio all'Allegato, le  modalita'  di  tale
denuncia,  deve  ritenersi  comunque  espressivo  di   un   principio
fondamentale della materia: il  "modulo  di  denuncia",  infatti,  si
limita a selezionare gli elementi tecnici necessari per constatare la
corrispondenza  dell'impianto  ai  requisiti  richiesti,  e  in  tale
prospettiva fa naturalmente corpo  con  la  previsione  stessa  della
denuncia,  che  verrebbe  svuotata  di   significato   ove   non   si
accompagnasse all'indicazione di un determinato contenuto. 
    9. - L'art. 287 prevede che il personale addetto alla  conduzione
di impianti termici civili di potenza superiore ad una  certa  soglia
debba  munirsi   di   un   patentino   di   abilitazione   rilasciato
dall'Ispettorato provinciale del lavoro, al termine  di  un  corso  e
previo superamento dell'esame finale: presso ciascun  Ispettorato  e'
compilato ed aggiornato un registro degli abilitati. Il  comma  6  di
tale disposizione aggiunge che la disciplina dei corsi e degli esami,
nonche' delle revisioni dei patentini, sia  determinata  con  decreto
del  Ministro  del  lavoro  e  delle  politiche   sociali,   trovando
attualmente applicazione il decreto ministeriale 12 agosto 1968. 
    Le Regioni Calabria ed Emilia-Romagna eccepiscono  la  violazione
dell'art. 76 Cost., poiche' il legislatore delegato, cosi'  operando,
non avrebbe osservato l'obbligo di  conformarsi,  tra  l'altro,  alle
attribuzioni regionali regolate dal d.lgs. n. 112 del  1998,  secondo
quanto stabilito dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308  del
2004. 
    Denunciano invece il carattere dettagliato della norma la Regione
Piemonte, con conseguente lesione  della  competenza  concorrente  in
materia  di  energia,  e  la  Regione  Calabria,  con  riguardo  alle
competenze ripartite in materia di tutela della  salute  e  tutela  e
sicurezza del lavoro. 
    Infine, la Regione Emilia-Romagna lamenta, con riguardo al  comma
1, la violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.,  poiche'
la disposizione  impugnata  inciderebbe  sulla  competenza  regionale
residuale in materia di formazione professionale. 
    La  Corte  osserva  che  la  previsione,  imposta   dalla   norma
censurata, di consentire la conduzione di impianti termici civili, di
potenza superiore al valore di soglia, al solo personale  maggiorenne
abilitato,  non  si  esaurisce  certamente  in  un  aspetto  di  mero
dettaglio della normativa dettata «ai fini della prevenzione e  della
limitazione dell'inquinamento atmosferico» (art. 282, comma 1), ma ne
costituisce piuttosto un cardine, dal momento che affida tale compito
solo a chi disponga di una  formazione  professionale  che  lo  renda
idoneo a prevenire, e comunque a gestire nel migliore dei  modi,  gli
effetti pregiudizievoli per l'ambiente e  la  salute  che  potrebbero
derivare sia da un  errore  umano,  sia  da  un  guasto  tecnico:  la
riconducibilita' di tale scelta normativa alle materie  della  tutela
dell'ambiente  e  della  tutela  della  salute,  quest'ultima  quanto
all'articolazione  di  un  principio  fondamentale,  rendono  percio'
infondate le  censure  delle  Regioni  Calabria  e  Piemonte  che  ne
contestano il carattere dettagliato. 
    Altro  e',  invece,  cio'  che  segue  all'introduzione  di  tale
generale   previsione,   per   quanto    in    particolare    attiene
all'attribuzione all'Ispettorato provinciale del lavoro  del  compito
di rilasciare il patentino di abilitazione, all'esito di un  corso  e
del superamento di un esame finale. 
    Tale funzione, originariamente disciplinata  dall'art.  16  della
legge 13 luglio 1966, n.  615  (Provvedimenti  contro  l'inquinamento
atmosferico), era stata da ultimo prevista dall'art. 84, lettera  b),
del d.lgs. n. 112 del 1998, il quale aveva conferito alle Regioni  il
«rilascio  dell'abilitazione  alla  conduzione  di  impianti  termici
civili compresa l'istituzione dei relativi corsi di formazione». 
    Cio'  posto,  questa  Corte  rileva   che   l'addestramento   del
lavoratore,  per  iniziativa  di  un  soggetto   pubblico   e   fuori
dall'ordinamento     universitario,     finalizzato     precipuamente
all'acquisizione delle cognizioni  necessarie  all'esercizio  di  una
particolare attivita' lavorativa, rientra nella materia,  oggetto  di
potesta'  legislativa  residuale  della   Regione,   concernente   la
formazione professionale (sentenze n. 425 del 2006; n. 51 e n. 50 del
2005),  sicche'  appare  fondata  la  censura  mossa  dalla   Regione
Emilia-Romagna alla luce degli artt. 117, quarto comma, e  118  della
Costituzione. 
    La disposizione censurata, infatti, pretende illegittimamente  di
allocare presso lo  Stato  una  funzione  amministrativa  in  materia
riservata alla competenza regionale (sentenze n. 166 del 2008 e n. 43
del 2004), e nel contempo di disciplinare, in rapporto  ad  essa,  le
modalita' della formazione  professionale  per  mezzo  dei  corsi  di
abilitazione e del conseguente esame (art. 287, comma 1). 
    Si deve, pertanto, dichiarare l'illegittimita' costituzionale  di
tale comma 1 della disposizione impugnata, nella sola  parte  in  cui
esso  invade  quella  regionale,  ossia  limitatamente  alle   parole
«rilasciato dall'ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un
corso  per  conduzione  di  impianti  termici,   previo   superamento
dell'esame finale». 
    L'ulteriore previsione concernente la compilazione di un registro
presso l'Ispettorato, acquisendo  in  tal  modo  una  mera  finalita'
notiziale, non comporta lesione delle attribuzioni regionali. 
    Benche'  l'impugnativa  della  ricorrente  sia  ammissibile   con
riguardo al solo comma 1 dell'art. 287, tuttavia, ai sensi  dell'art.
27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte deve  provvedere  a
dichiarare  l'illegittimita'  consequenziale  anche  del   comma   4,
limitatamente alle parole «senza  necessita'  dell'esame  di  cui  al
comma 1», del comma 5, limitatamente  alle  parole  «dall'Ispettorato
provinciale  del  lavoro»  e  dell'intero  comma  6,  trattandosi  di
disposizioni intrinsecamente collegate a quella di cui  al  comma  1,
per la parte in cui esso e' stato dichiarato incostituzionale. 
    Restano assorbite le censure relative all'art. 76 Cost. 
    10. - La parte I, punto 4,  lettera  z),  dell'Allegato  IV  alla
Parte quinta, impugnato dalla Regione Emilia-Romagna, colloca tra gli
impianti e attivita' in deroga di cui  all'art.  272,  comma  1,  gli
allevamenti di bestiame con riferimento all'estensione dei terreni su
cui si esercita l'utilizzazione agronomica degli effluenti, anziche',
come vorrebbe la ricorrente, con  riferimento  «al  numero  dei  capi
ospitati». 
    La Regione sostiene che con cio' sarebbe stata  lesa  la  propria
competenza  residuale  in  materia  di   agricoltura   e   zootecnia,
nell'esercizio della quale sarebbe permesso perseguire «obiettivi  di
migliore qualita' dell'aria  e  di  minore  impatto  delle  attivita'
dell'industria zootecnica su di essa»:  in  tale  direzione,  sarebbe
necessario attribuire importanza al numero  dei  capi  ospitati,  per
evitare che allevamenti ad alto  potenziale  inquinante  sfuggano  al
regime autorizzatorio. 
    La censura non e' fondata. 
    La premessa da cui muove il rilievo della ricorrente, ovvero  che
la    disposizione    impugnata    cada     nell'ambito     materiale
dell'agricoltura, e' erronea. 
    E' evidente, infatti, che la norma non si  propone,  ne'  ha  per
effetto, di disciplinare l'attivita' degli allevamenti di bestiame, o
comunque di interferire con il processo di produzione di vegetali  ed
animali destinati all'alimentazione,  che  costituisce  il  "nocciolo
duro" della materia residuale dell'agricoltura (sentenza  n.  12  del
2004). Essa va invece assunta nella sola  prospettiva  del  controllo
delle emissioni in atmosfera, con riguardo ad impianti  ed  attivita'
«scarsamente rilevanti agli effetti  dell'inquinamento  atmosferico»:
in tale ottica, la competenza invocata dalla ricorrente nel  caso  di
specie appare del  tutto  inidonea  a  giustificare  un  qualsivoglia
intervento legislativo regionale in materia. La questione, alla  luce
del parametro costituzionale prescelto, e' percio' non fondata. 
    11. - Poiche' la Corte ha deciso il merito del ricorso, non vi e'
luogo a procedere in ordine alla  istanza  di  sospensione  formulata
dalla ricorrente Regione Puglia.