IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 725 del 2008,  proposto  da:  Valeria  Ramacciotti,
rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Emanuele Gallo, con  domicilio
eletto presso Carlo Emanuele Gallo in Torino,  via  Pietro  Palmieri,
40; 
    Contro il  Ministero  dell'istruzione  dell'universita'  e  della
ricerca, in persona del Ministro pro tempore, e  l'Universita'  degli
studi di Torino,  in  persona,  del  rettore  pro  tempore,  entrambi
rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale  dello  Stato  di
Torino, presso cui domiciliano  per  legge  in  Torino,  corso  Stati
Uniti, 45; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia,  del
decreto emanato dal rettore dell'Universita' degli studi di Torino il
27 marzo 2008, n. 1833, comunicato successivamente, con il  quale  la
ricorrente,     professore     associato     per      il      settore
scientifico-disciplinare LIN/03 -  Letteratura  francese,  presso  la
Facolta' di lingue e letterature straniere, e' stata collocata  fuori
ruolo a decorrere dal 1° novembre 2008 e fino  al  31  ottobre  2009;
degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e  comunque
connessi  del   relativo   procedimento,   e   per   ogni   ulteriore
consequenziale statuizione. 
    Visto il ricorso, con i relativi allegati; 
    Vista la comparsa di costituzione del  Ministero  dell'istruzione
dell'universita' e della ricerca e dell'Universita'  degli  studi  di
Torino, con la relativa documentazione; 
    Vista l'ordinanza cautelare di questa Sezione n.  504/08  del  13
giugno 2008; 
    Vista la memoria della ricorrente; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  12  febbraio  2009  il  primo
referendario Ivo Correale e uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel relativo verbale; 
    Con ricorso a questo tribunale, notificato il 29  aprile  2008  e
depositato il successivo 20 maggio,  la  prof.  Valeria  Ramacciotti,
nata a Rovereto il  22  luglio  1941,  professore  associato  per  il
settore  scientifico  disciplinare  LLIN/03  -  Letteratura  francese
presso la Facolta' di lingue e letterature straniere dell'Universita'
degli studi di Torino, evidenziava di aver chiesto, ed  ottenuto  con
relativo decreto rettorale, il prolungamento  biennale  del  servizio
attivo, dal 1° novembre 2006  fino  al  31  ottobre  2008,  ai  sensi
dell'art. 16, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503. 
    La ricorrente precisava anche  che,  ai  sensi  della  disciplina
vigente in quel momento, di cui alla legge 28 dicembre 1995, n.  549,
che modificava sul punto il d.P.R. 11 luglio 1980,  n.  382,  avrebbe
avuto titolo a permanere in  attivita',  sia  pure  in  posizione  di
«fuori ruolo», per un ulteriore triennio, e quindi sino al 31 ottobre
2011 e che, sulla base di tale situazione  legislativa,  aveva  anche
organizzato i successivi momenti di impegno accademico. 
    A mutare tale stato di fatto  interveniva,  pero',  la  legge  24
dicembre 2007, n. 244 (c.d. «Legge Finanziaria 2008»), il cui art. 2,
comma  434,  sopprimendo  il  regime  «fuori  ruolo»  dei  professori
universitari a far data dal 1° novembre 2010, ne disponeva anche  una
sua applicazione anticipata per coloro  che  erano  stati  collocati,
appunto, in «fuori ruolo» negli anni antecedenti. 
    In  particolare,   tale   disposizione   legislativa,   rubricata
«Riduzione progressiva della durata del collocamento fuori ruolo  dei
professori universitari e  abolizione  del  fuori  ruolo  dal  2010»,
stabiliva che, a decorrere dal 1° gennaio 2008, il periodo di  «fuori
ruolo» dei  professori  universitari  precedente  la  quiescenza  era
ridotto a due anni accademici e coloro che alla medesima  data  erano
in servizio come professori nel terzo  anno  accademico  fuori  ruolo
erano posti in quiescenza al termine dell'anno  accademico  medesimo.
In piu', a decorrere dal 1° gennaio 2009, il periodo di «fuori ruolo»
dei professori universitari precedente la quiescenza era ridotto a un
anno accademico e coloro che alla medesima  data  erano  in  servizio
come professori nel secondo anno accademico fuori ruolo  erano  posti
in quiescenza al termine dell'anno  accademico  medesimo.  Infine,  a
decorrere dal 1° gennaio  2010,  il  periodo  di  «fuori  ruolo»  dei
professori universitari precedente la quiescenza era  definitivamente
abolito e coloro che  alla  medesima  data  erano  in  servizio  come
professori nel primo anno  accademico  fuori  ruolo  erano  posti  in
quiescenza al termine dell'anno accademico stesso. 
    In applicazione della suddetta disposizione, quindi,  il  rettore
dell'Universita' degli studi di Torino adottava il decreto  27  marzo
2008, n. 1833, con il quale era previsto che  il  periodo  di  «fuori
ruolo» della ricorrente avesse la durata di  un  solo  anno,  dal  1°
novembre 2008 al 31 ottobre 2009. 
    La   ricorrente,   quindi,   chiedeva   l'annullamento,    previa
sospensione, di tale provvedimento, lamentando quanto segue. 
    1. - Violazione  di  legge  in  riferimento  con  riferimento  al
disposto dell'art. 2, comma 434,  della  legge  statale  24  dicembre
2007, n. 244. 
    La ricorrente specificava che, essendo nata il 22 febbraio  1941,
era stata trattenuta in servizio attivo sino al 31  ottobre  2008  in
forza di decreto rettorale adottato a suo tempo  e,  ai  sensi  della
legislazione prima vigente, dopo il servizio attivo,  avrebbe  dovuto
essere collocata fuori ruolo per una durata  triennale,  sino  al  1°
novembre 2011. 
    Invece il provvedimento rettorale impugnato, in base alla  «Legge
Finanziaria 2008» sopra ricordata, le  attribuiva  un  solo  anno  di
periodo «fuori ruolo», dal 1° novembre 2008 al 31 ottobre 2009 ma,  a
tenore della stessa  disposizione,  la  ricorrente,  collocata  fuori
ruolo, come detto, a partire dal  1°  novembre  2008,  doveva  essere
invece destinataria di tale periodo di «fuori  ruolo»  per  due  anni
accademici, fino al 31 ottobre 2010, posto che  a  decorrere  proprio
dal 1° gennaio 2008 il periodo di fuori ruolo era appunto  ridotto  a
quella durata. 
    Ne conseguiva che per una corretta applicazione  della  norma  la
ricorrente doveva essere trattenuta fuori ruolo sino  al  31  ottobre
2010, perche' il collocamento «fuori ruolo» e' stato comunque assunto
precedentemente al 1° gennaio 2009, data di vigore della riduzione ad
un  anno  di  tale  collocamento,  in  data  27  marzo  2008  con  il
provvedimento appunto impugnato nella presente sede che non era stato
rispettoso, quindi, del principio generale secondo cui  tempus  regit
actum, non derogato da alcuna norma di legge esplicita  nel  caso  di
specie, come si evinceva anche da una lettura integrale e  coordinata
di tutte le disposizioni in argomento di cui alla  richiamata  «Legge
Finanziaria» 2008. 
    In realta', concludeva  la  ricorrente,  la  durata  annuale  del
«fuori ruolo», nelle  intenzioni  del  legislatore,  dovrebbe  essere
applicata soltanto a coloro che saranno collocati in questa posizione
dal 1º novembre 2009 con provvedimenti adottati dopo  il  1°  gennaio
2009,  mentre  i  professori  collocati  in  «fuori   ruolo»   l'anno
precedente, dal 1° novembre 2008, dovevano vedersi assegnati due anni
di  «fuori  ruolo»,  senza  alcuna   possibilita'   di   applicazione
retroattiva della norma, come invece operata dal rettore nel caso  di
specie con il provvedimento impugnato. 
    2. - Illegittimita' derivata, per l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 2, comma 434, della legge 24 dicembre  2007,  n.  244,  con
riferimento agli  artt.  3,  4,  36,  97  della  Costituzione  ed  al
principio di ragionevolezza. 
    La ricorrente precisava che se con il primo  motivo  aspirava  ad
ottenere che il periodo di «fuori ruolo» assegnato fosse  conteggiato
in due anni accademici e non soltanto  in  uno,  con  la  censura  in
questione, invece, intendeva contestare «in radice»  la  legittimita'
costituzionale  dell'intera  disposizione   normativa   che   aboliva
l'istituto del «fuori ruolo», disponendone una disciplina transitoria
in senso riduttivo, e cio' al fine di conseguire il mantenimento  del
fuori ruolo per  la  durata  di  tre  anni  accademici  come  era  in
precedenza. 
    In virtu' delle peculiarita'  che  contraddistinguono  l'istituto
del «fuori ruolo», infatti, teso a preservare energie per l'attivita'
scientifica tralasciando l'attivita' didattica caratterizzata  da  un
dispendio maggiore di energie  fisiche,  era  ragionevole,  anche  ai
sensi dell'art. 97 Cost., consentire ai  professori  universitari  di
dedicare la parte finale del servizio in favore dell'universita' alla
continuita' della  sola  attivita'  scientifica,  con  necessita'  di
accedere alle strutture universitarie, di scambiare  opinioni  con  i
colleghi, di aggiornare e aggiornarsi sulla ricerca nella materia  di
insegnamento ma cio' con un margine di tempo idoneo ad organizzare al
meglio tali attivita', anche al fine della prospettiva del  passaggio
in quiescenza, che la disposta riduzione ad un periodo  inferiore  al
triennio non poteva garantire. 
    A cio' si aggiungeva il danno economico dato dalla riduzione  del
trattamento pensionistico, con violazione degli artt. 4 e 36 Cost., e
la violazione del principio di eguaglianza e  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 Cost., in relazione al diverso trattamento riconosciuto ai
dipendenti privati, ove nel caso in cui  e'  ridotto  il  periodo  di
attivita' pre-pensionistico sono previsti meccanismi premiali  e  non
peggiorativi come invece nel caso di specie,  ove  la  ricorrente  e'
destinataria di un'eta' di  collocamento  a  riposo  piu'  bassa  (65
anni), elevata a 67 anni, che, con il  «fuori  ruolo»  triennale,  si
sarebbe estesa ai 70 anni di eta'. 
    Si  costituivano  le  Amministrazioni  intimate,   chiedendo   la
reiezione del ricorso. 
    Con l'ordinanza cautelare indicata in epigrafe  era  respinta  la
domanda di sospensione del provvedimento impugnato, in relazione alla
insussistenza del paventato pregiudizio grave e irreparabile. 
    In prossimita' dell'udienza pubblica la ricorrente depositava una
memoria in  cui  insisteva  nelle  sue  tesi  difensive,  richiamando
recente giurisprudenza conforme. 
    Alla pubblica  udienza  del  12  febbraio  2009  il  ricorso  era
trattenuto in decisione. 
    Ritiene il Collegio la questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art  2,  comma  434,  della  legge  24  dicembre  2007,  n.  244
(Finanziaria per il 2008), secondo quanto prospettato con il  secondo
motivo di ricorso, sia rilevante e non manifestamente infondata. 
    La questione e' rilevante, in quanto il  provvedimento  impugnato
si basa su tale norma e,  anche  se  il  provvedimento  e'  in  parte
annullato da questa Sezione con separata sentenza parziale per quanto
dedotto con il primo motivo di ricorso in relazione  all'applicazione
del periodo corretto di riduzione del «fuori  ruolo»,  per  quel  che
riguarda   l'applicazione   della   disciplina    transitoria    tale
provvedimento  esplica  ancora  i  suoi  effetti  in  relazione  alla
generale riduzione comunque sussistente, in base alla norma di  legge
richiamata,  del  periodo  di  «fuori  ruolo»  rispetto  al   sistema
previgente. 
    Inoltre, la disposizione non puo'  essere  interpretata  in  modo
conforme   ai   principi   costituzionali,   avendo   un    contenuto
assolutamente cogente ed  una  disciplina  espressa  per  i  rapporti
pendenti. 
    Ai sensi dell'art. 2, comma 434, della legge  n.  244  del  2007,
infatti, si prevede che a decorrere dalla data del 1°  gennaio  2008,
il  periodo  in  c.d.  «fuori  ruolo»  dei  professori   universitari
precedente la quiescenza, e' ridotto a due anni accademici  e  coloro
che alla medesima data sono in servizio  come  professori  nel  terzo
anno accademico «fuori ruolo» sono posti  in  quiescenza  al  termine
dell'anno accademico; a decorrere dalla data del 1° gennaio 2009,  il
periodo di «fuori ruolo» dei professori  universitari  precedente  la
quiescenza e' ridotto a un anno accademico e coloro che alla medesima
data sono in servizio come professori  nel  secondo  anno  accademico
«fuori  ruolo»  sono  posti  in  quiescenza  al   termine   dell'anno
accademico; a decorrere dalla data 1° gennaio  2010,  il  periodo  in
«fuori ruolo» dei professori universitari precedente la quiescenza e'
definitivamente abolito e coloro  che  alla  medesima  data  sono  in
servizio come professori nel primo anno accademico «fuori ruolo» sono
posti in quiescenza al termine dell'anno accademico. 
    L'unica interpretazione della norma che possa  dare  un  senso  a
tutte le disposizioni porta a ritenere  che  solo  per  i  professori
collocati in «fuori ruolo» nel novembre 2005 sia mantenuto il periodo
triennale fino alla fine dell'anno  accademico  di  cui  al  novembre
2008, i quali, altrimenti, avendo compiuto gia' i due anni  sarebbero
dovuti andare in quiescenza  con  l'entrata  in  vigore  della  nuova
disciplina. 
    Per i professori «fuori ruolo» dal novembre 2006, non sussistendo
alcuna disposizione derogatoria che facente salvo  l'intero  periodo,
si deve ritenere immediatamente applicabile la riduzione a  due  anni
accademici, con conseguente collocamento a riposo nel novembre 2008. 
    Progressivamente  il  periodo  di  «fuori  ruolo»  e'  ridotto  e
destinato ad essere soppresso del tutto nel 2010. 
    Infatti dal 1° gennaio 2009 esso e' ridotto ad  un  anno  facendo
salva la posizione solo di coloro che, collocati fuori ruolo  dal  1°
novembre 2007, il 1° gennaio  2009  si  troverebbero  ad  avere  gia'
compiuto  tale  anno;   pertanto   e'   espressamente   previsto   il
completamento del secondo anno accademico  fuori  ruolo  fino  al  1°
novembre 2009. Analogo regime riguarda il  1°  gennaio  2010  quando,
venendo meno il periodo di «fuori ruolo» ex lege,  tutti  coloro  che
sono  collocati  in  tale  posizione  dovrebbero  essere   posti   in
quiescenza. La norma fa salve le posizioni dei professori che essendo
stati collocati  in  «fuori  ruolo»  dal  novembre  2009,  dovrebbero
cessare  dal  servizio  al  1°  gennaio  2009,  permettendo  loro  il
completamento dell'anno accademico. 
    Tale interpretazione assolutamente obbligata dell'art.  2,  comma
434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244  e'  l'unica  in  grado  di
attribuire alla norma  un  significato  in  relazione  alla  indubbia
volonta' del legislatore di prevedere la  riduzione  progressiva  del
periodo «fuori ruolo» dei professori universitari. 
    La questione di legittimita' costituzionale e'  quindi  rilevante
rispetto al presente  giudizio  poiche',  professore  ricorrente,  e'
proprio  direttamente  applicabile  tale   norma,   con   conseguente
riduzione di un anno del periodo di fuori ruolo. 
    Il Collegio  ritiene  anche  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale prospettata  e'  non  manifestamente  infondata  sotto
diversi profili. 
    Lo e'  con  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione  ed  al
principio  di  ragionevolezza,  in  quanto  risulta   dimentica   del
particolare  significato  del  periodo  di   «fuori   ruolo»,   della
distinzione fra  attivita'  didattica  e  attivita'  di  ricerca  dei
professori  universitari,   dell'incidenza   che   questa   attivita'
differenziata  e  questa  specifica  disciplina  ha  sul  loro  stato
giuridico. 
    Appare, inoltre, costituzionalmente illegittima  con  riferimento
all'art. 97 della Costituzione, in quanto contrasta con il  principio
di buon andamento dell'Amministrazione (universitaria), privandola di
studiosi  ancora   in   grado   di   fornire   contributi   rilevanti
all'Amministrazione stessa alla quale appartengono. 
    Ritiene il Collegio che la disposizione in esame sia sospettabile
di violazione dell'art. 3 della Costituzione, in primo luogo, per  la
retroattivita' dei suoi contenuti precettivi, in secondo luogo per la
sua irragionevolezza, apprezzata  con  riferimento  alla  particolare
attivita' svolta  dai  professori  universitari  nel  periodo  «fuori
ruolo»   e   alla   tendenza   dell'ordinamento   al    prolungamento
dell'attivita' lavorativa, apparendo la scelta in esame in palese  ed
irragionevole controtendenza con le scelte legislative  in  argomento
operate per altri settori lavorativi. 
    La  Corte  costituzionale  ha  affermato  piu'   volte   che   la
irretroattivita'  della  legge   e'   un   principio   di   carattere
costituzionale solo per le norme penali, in quanto sancito  dall'art.
25 della Costituzione. 
    Per le norme «non penali», la retroattivita' della e' ammessa  ma
nel rispetto dei principi di ragionevolezza ed ugualianza.  Pertanto,
sono costituzionalmente legittime le norme  retroattive  che  trovino
adeguata  giustificazione  sul  piano  della  ragionevolezza  e   non
contrastino con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti
(sul punto, Corte cost. 26 giugno 2007, n. 234). 
    In questo quadro sono,  in  primo  luogo,  ammissibili  le  norme
retroattive di carattere interpretativo che danno una delle possibili
letture che gia' emergevano dalla norma interpretata;  in  tal  caso,
infatti,  non  sussiste  la  lesione  dei  canoni  costituzionali  di
ragionevolezza, di tutela del legittimo  affidamento  e  di  certezza
delle situazioni  giuridiche  (sul  punto,  Corte  costituzionale,  7
luglio 2006, n. 274). 
    Poiche' il divieto di retroattivita' della legge, pur costituendo
fondamentale  valore  di  civilta'  giuridica  e  principio  generale
dell'ordinamento, cui il  legislatore  ordinario  deve  in  principio
attenersi, non ha dignita' costituzionale, salvo che per  la  materia
penale, il legislatore ordinario puo'  emanare  sia  disposizioni  di
interpretazione autentica, che determinano, chiarendola,  la  portata
precettiva  della  norma  interpretata  fissandola  in  un  contenuto
plausibilmente gia' espresso dalla stessa, sia norme  innovative  con
efficacia  retroattiva,  purche'  la  retroattivita'  trovi  adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e  non  contrasti  con
altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, tra i quali il
rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza  e
la tutela dell'affidamento legittimamente sorto  nei  soggetti  quale
principio  connaturato  allo  Stato  di  diritto  (sul  punto,  Corte
costituzionale, 15 luglio 2005, n. 282). 
    Nel caso di specie, la norma in  esame,  contenuta  nella  «Legge
finanziaria  2008»,  ha   introdotto   una   nuova   disciplina   del
collocamento «fuori ruolo» dei professori universitari, dando  luogo,
quindi, ad una norma di carattere innovativo per la  quale -  ritiene
il Collegio - che vi  sia  motivo  di  sospettare,  nel  senso  sopra
prospettato, una violazione  dei  principi  di  ragionevolezza  e  di
affidamento che le norme retroattive devono rispettare. 
    E' pur vero che la retroattivita'  puo'  essere  giustificata  in
relazione al fatto che la norma ha inciso  sul  «futuro»  svolgimento
del periodo «fuori ruolo»,  purche'  tale  periodo  sia  disciplinato
unitariamente. 
    Tuttavia, la Corte costituzionale (sent. n. 393/2000),  anche  in
argomento, ha gia' affermato che l'affidamento  del  cittadino  nella
sicurezza giuridica non impedisce al  legislatore  di  emanare  norme
modificatrici della  disciplina  dei  rapporti  di  durata  in  senso
sfavorevole  per  i  beneficiari,  purche'  tali   disposizioni   non
trasmodino in un regolamento irragionevole di situazioni  sostanziali
fondate su leggi precedenti. 
    Con riferimento all'art. 3 della Costituzione ed al principio  di
ragionevolezza, la  legge  sospetta  di  incostituzionalita'  risulta
immemore, quindi, del particolare significato del periodo  di  «fuori
ruolo», della distinzione fra  attivita'  didattica  e  attivita'  di
ricerca  dei  professori  universitari,  dell'incidenza  che   questa
attivita' differenziata e questa specifica  disciplina  ha  sul  loro
stato giuridico. 
    Il  «fuori  ruolo»,  infatti,  e'   un   periodo   di   attivita'
riconosciuto ai professori universitari sin  dal  1958,  allorche'  e
stato introdotto un limite di eta' per il collocamento a riposo. 
    Si e' trattato di una scelta del legislatore che  ha  considerato
come  nell'attivita'  del   professore   universitario   si   debbano
individuare due specifiche  funzioni,  distinte  ancorche'  connesse:
l'attivita' di ricerca e l'attivita' didattica. 
    Per questa ragione, l'iniziativa della «Legge Finanziaria  2008»,
che ha prima ridotto e poi del tutto eliminato il periodo  di  «fuori
ruolo»,  appare  irragionevole,  poiche'   contrastante   anche   con
l'orientamento della legislazione odierna, che e' volta a  prolungare
il periodo di permanenza in servizio e  non  a  ridurlo.  A  cio'  va
aggiunto che, comunque, la  riduzione  o  l'eliminazione  del  «fuori
ruolo» ha anche per il  professore  universitario  delle  conseguenze
economiche negative, poiche' riduce il periodo di servizio  rilevante
ai  fini  dell'indennita'  di  buonuscita,  riduce   il   trattamento
pensionistico usufruibile  al  termine  del  servizio,  impedisce  il
conseguimento  dei  benefici  economici  ordinari  (scatti  biennali;
adeguamenti annuali) e dei miglioramenti eventualmente  previsti  nel
periodo in cui non si sara' piu' presenti nell'Amministrazione. 
    Anche sotto tale profilo la  disposizione  legislativa  in  esame
appare, dunque, irragionevole, dal  momento  che,  per  i  dipendenti
privati,  ai  quali   ormai   peraltro   il   pubblico   impiego   e'
sostanzialmente assimilato, nel caso in cui venga ridotto il  periodo
di attivita' sono previsti dei meccanismi premiali, volti ad  evitare
il danno economico che questo anticipato pensionamento provoca. 
    La opposta scelta della «Legge Finanziaria 2008» e' dal punto  di
vista della legittimita'  costituzionale,  percio',  in  maniera  non
manifestamente infondata censurabile con riferimento all'art. 3 della
Costituzione ed al principio di ragionevolezza. 
    Essa  appare,   inoltre,   costituzionalmente   illegittima   con
riferimento all'art. 97 della Costituzione, in quanto  contrasta  con
il principio di buon andamento dell'Amministrazione  (universitaria),
privandola  di  studiosi  ancora  in  grado  di  fornire   contributi
rilevanti all'Amministrazione di appartenenza. 
    Tali contributi si esplicano in vari aspetti della attivita'  che
il professore compie nel periodo in «fuori ruolo». 
    In primo luogo,  in  relazione  allo  svolgimento  dell'attivita'
scientifica. 
    In particolare, infatti, l'attivita' di' ricerca, prevalente  nel
periodo in «fuori ruolo», necessita di programmazione e di  un  tempo
lungo di svolgimento e tale attivita' puo' restare incompleta a causa
del collocamento a riposo entro breve termine. 
    Ne' la retroattivita'  puo'  essere  giustificata  dalla  riforma
complessiva della disciplina dei professori universitari operata  con
la legge 4 novembre 2005, n.  230,  che  ha  abolito  il  periodo  di
collocamento «fuori ruolo» e previsto il limite di eta'  di  settanta
anni  per  il  collocamento  a  riposo,  perche',  come   chiaramente
specificato dall'art 1, comma  17,  della  legge  n.  230  cit.  essa
applica, infatti, solo ai professori universitari nominati  ai  sensi
della nuova legge. 
    Infine, irragionevole appare  la  stessa  previsione  di  diritto
transitorio. 
    Se, da una parte, tale previsione denota  la  consapevolezza  del
legislatore  di  non  potere  incidere  in  maniera  immediata  sulle
situazioni in corso, facendo decorrere  la  completa  abolizione  del
«fuori ruolo»  solo  dal  1°  gennaio  2010,  dall'altra  prevede  la
riduzione del «fuori ruolo» sia per coloro  che  sono  gia'  in  tale
posizione da uno o due anni (prevedendo per entrambe le categorie  la
riduzione a due anni), sia per coloro, che al momento di  entrata  in
vigore della legge sono ancora in servizio in ruolo, essendo previsto
il periodo di «fuori  ruolo»  di  un  anno  per  coloro  che  saranno
collocati in tale posizione nel novembre 2008 e nel novembre  2009  e
tale conclusione appare in contrasto, altresi', con il  principio  di
buon andamento della Amministrazione di cui  al  richiamato  art.  97
della Costituzione. 
    Infatti, anche in relazione alla efficienza  organizzativa  della
universita', la  previsione  della  immediata  riduzione  del  «fuori
ruolo» per tutti i professori ordinari comporta  l'immediata  perdita
di risorse intellettuali, l'interruzione di programmi di ricerca,  la
dispersione dell'attivita' scentifica. 
    La programmazione della attivita' universitaria trova un espresso
riscontro normativo nell'art.  1-ter  del  decreto-legge  31  gennaio
2005,  n.  7,  che  prevede  a  decorrere  dall'anno  2006   che   le
universita', anche al fine di perseguire  obiettivi  di  efficacia  e
qualita' dei servizi offerti,  entro  il  30  giugno  di  ogni  anno,
adottino programmi  triennali  coerenti  con  le  linee  generali  di
indirizzo  definite  con  decreto   del   Ministro   dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, sentita la Conferenza  dei  rettori
delle universita' italiane, il Consiglio universitario nazionale e il
Consiglio nazionale  degli  studenti  universitari,  tenuto  altresi'
conto delle risorse acquisibili autonomamente. I  predetti  programmi
delle universita' individuano, quindi, in particolare tra  gli  altri
obiettivi,  proprio  il   programma   di   sviluppo   della   ricerca
scientifica. 
    I programmi delle universita' di cui  al  comma  1,  fatta  salva
l'autonoma  determinazione  degli  atenei  per  quanto  riguarda   il
fabbisogno     di     personale     in     ordine     ai      settori
scientifico-disciplinari,     sono     valutati     dal     Ministero
dell'istruzione, dell'universita' e della  ricerca  e  periodicamente
monitorati  sulla  base  di  parametri  e  criteri  individuati   dal
Ministro, avvalendosi del Comitato nazionale per la  valutazione  del
sistema  universitario,  sentita  la  Conferenza  dei  rettori  delle
universita' italiane. Sui risultati  della  valutazione  il  Ministro
dell'istruzione,  dell'universita'  e  della  ricerca  riferisce   al
termine di ciascun triennio, con apposita relazione, al Parlamento  e
dei programmi delle Universita' si tiene conto nella ripartizione del
fondo per il finanziamento ordinario delle universita'. 
    A tale attivita' di programmazione  fa  riferimento  altresi'  la
legge 4 novembre 2005, n. 230,  per  cui  l'Universita',  sede  della
formazione e della trasmissione critica del «Sapere», coniuga in modo
organico ricerca e didattica, garantendone la completa liberta'. 
    La gestione delle universita', quindi, si ispira ai  principi  di
autonomia e di responsabilita' nel quadro degli indirizzi fissati con
decreto  del  Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e   della
ricerca. I professori universitari hanno il diritto e  il  dovere  di
svolgere attivita' di ricerca e di didattica, con piena  liberta'  di
scelta dei temi e dei metodi delle  ricerche  nonche',  nel  rispetto
della  programmazione  universitaria  di  cui  all'art.   1-ter   del
decreto-legge   31   gennaio   2005,   n.   7,   dei   contenuti    e
dell'impostazione culturale dei propri corsi di insegnamento. 
    La cessazione contemporanea dal  servizio  in  «fuori  ruolo»  di
numerosi professori  ordinari  sembra  quindi  comportare  una  grave
inefficienza del  sistema  con  inutile  dispendio  di  risorse  gia'
destinate a  progetti  di  ricerca.  Il  collocamento  «fuori  ruolo»
determina per il docente  universitario  soltanto  la  perdita  della
titolarita'  dell'insegnamento  e  una  proporzionata  riduzione  dei
connessi compiti didattico scientifici, ma gli conserva il compimento
di rilevanti  attivita'  scientifica  di  ricerca  ai  fini  del  suo
contributo al dibattito accademico. 
    In conclusione, per quanto sopra illustrato, il Collegio  ritiene
che il giudizio debba essere sospeso sotto tale  profilo  e  che  gli
atti vadano trasmessi alla Corte costituzionale, attesa la  rilevanza
e la non manifesta infondatezza della questione di  costituzionalita'
dell'art. 2, comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244  («Legge
finanziaria» per il 2008).