LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 4997/07, depositato il 9 novembre 2007, avverso la sentenza n. 134/02/2006 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Varese contro Agenzia Entrate Ufficio Luino proposto dal ricorrente: Fortunato Michele, via Sasso Morone, 11 - 21035 Cunardo (Varese), difeso da Minorini Sonia, via Battaglia San Martino, 42 - 21030 Cuveglio (Varese). Atti impugnati: Avviso diniego rimborso IRAP 1998; Avviso diniego rimborso IRAP 1999; Avviso diniego rimborso IRAP 2000; Avviso diniego rimborso IRAP 2001. Con atto d'appello regolarmente depositato il dott. Fortunato Michele, medico, impugnava la decisione del 7 aprile 2006 della Commissione tributaria provinciale di Varese che aveva respinto il suo ricorso avverso il provvedimento con il quale l'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Luino, gli aveva negato il rimborso della IRAP versata per gli anni dal 1998 al 2001. Si costituiva l'ufficio che eccepiva in via preliminare la inammissibilita' dell'appello ai sensi dell'art. 53 del d.lgs. n. 546/1992 per essere stata copia dell'atto stesso depositata presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale di Varese solo in data 19 novembre 2007 e cioe' oltre i trenta giorni dalla data di notifica dell'appello all'ufficio avvenuta il 17 ottobre 2007. Acquisito il fascicolo del primo grado inviato dalla segreteria della Commissione a qua, si constatava che non risultava avvenuto nei termini di legge il deposito, da parte dell'appellante, della copia dell'appello, come previsto a pena di inammissibilita' del gravame, dall'art. 53, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546/1992. Ne' l'appellante ha allegato di aver adempiuto all'onere, ne' tantomeno in qualche modo fornito la dimostrazione del proprio adempimento. Tutto cio' premesso questa Commissione tributaria regionale osserva quanto segue. La norma appena citata appare illegittima nella parte in cui commina la sanzione processuale piu' grave, la inammissibilita' della impugnazione, per il mancato adempimento di un onere che non trova alcuna ragione di essere, sia per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, sia per la irragionevolezza della sanzione processuale ivi comminata, vizio questo che inficia per incostituzionalita' la norma, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale. Nel sistema processuale vigente, e' dato ravvisare altri casi di comunicazione alla cancelleria del giudice a quo della intervenuta impugnazione. Nel procedimento disciplinato da codice di procedura civile, tale previsione si rinviene in tre casi. a) nell'appello. L'art. 342 c.p.c. prevede che l'ufficiale giudiziario debba notificare avviso della avvenuta impugnazione alla cancelleria. Nessuna conseguenza deriva dalla mancata notificazione all'ufficio. b) nel ricorso per Cassazione. Non e' previsto specificamente alcun tipo di notizia alla cancelleria dell'avvenuta impugnazione. Vero si e' che il comma 3 dell'art. 369 prevede l'onere di produrre, al momento della costituzione davanti alla corte, copia della avvenuta richiesta alla cancelleria del giudice a quo di trasmettere il fascicolo di ufficio alla cassazione. b) nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Anche in questo caso, l'onere di avviso alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento grava sull'ufficiale giudiziario che ha eseguito la notificazione dell'atto di opposizione. Nessuna conseguenza e' prevista in caso di omissione. II Si potrebbe a questo punto ipotizzare che, scopo delle comunicazioni di cui alle precedenti lettere a) e c) del § I, possa essere quello di evitare declaratorie di esecutivita' di provvedimenti assoggettati a impugnazione. Ma questa supposizione non resiste a una attenta disamina, per tre ordini di motivi. 1) La eventualmente indebita declaratoria di esecutivita' sarebbe comunque revocabile. 2) Alla notificazione dell'atto di citazione potrebbe non seguire la rituale costituzione in giudizio dell'appellante o opponente a decreto ingiuntivo, circostanza questa che comporterebbe la irrevocabilita' del provvedimento impugnato. 3) Nella ipotesi del ricorso per cassazione, vero si e' che il comma 3 dell'art. 369 c.p.c. prevede l'onere di produrre, al momento della costituzione davanti alla corte, copia della avvenuta richiesta alla cancelleria del giudice a quo di trasmettere il fascicolo di ufficio alla cassazione. La ragione, pero', di questo onere risiede nel fatto che non e' previsto, a differenza di quanto avviene per l'appello (art. 123 Disp. att. del c.p.c.), che la richiesta di trasmissione avvenga ad opera della cancelleria della cassazione. Evidentemente, per la mole di lavoro che la richiesta ai singoli uffici richiederebbe alla cancelleria dell'unico, per tutto il territorio nazionale, giudice di legittimita'. Senza contare che per il deposito della istanza di trasmissione del fascicolo alla Corte non e' prevista alcuna dimostrazione dell'avvenuta impugnazione. 4) All'interno dell'intero sistema processuale, quando il legislatore ha voluto evitare infondate declaratorie di esecutivita' ha dettato la regola generale che la impugnazione venga proposta davanti al giudice a quo (artt. 582, comma 1, c.p.p.). Tornando alla norma in sospetto di illegittimita' costituzionale, si rileva che il comma 3 dell'art. 53 d.lgs. n. 546/1992 dispone che «Subito dopo il deposito del ricorso [evidentemente notificato] in appello, la segreteria della commissione tributaria regionale chiede alla segreteria della commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo ......». Anche in questo caso, quindi, una attivita' dell'ufficio tempestiva (subito dopo) eviterebbe indebite declaratorie di esecutivita'. Ne discende che il deposito a cura dell'appellante del ricorso in appello nella segreteria della commissione a qua non e' finalizzato allo scopo di evitare indebite esecutivita' del provvedimento. A ulteriore dimostrazione, va sottolineato che questo obbligo di deposito, la cui violazione e' colpita dalla piu' grave delle sanzioni processuali, la inammissibilita' della impugnazione (art. 53, comma 2, secondo periodo, d.lgs. n. 546/1992), e' previsto solo nel caso in cui la impugnazione venga notificata direttamente dalla parte secondo le modalita' di cui all'art. 20, comma 3, d.lgs. n. 546/1992, mentre per la notifica a mezzo di ufficiale giudiziario, non e' prevista alcuna notificazione dell'avvenuta impugnazione alla segreteria della commissione provinciale. Come dovrebbe essere in caso in cui la notizia della impugnazione alla segreteria del primo giudice dovesse avere una qualche rilevanza. Ne consegue che nessuna finalita' e nessuna rilevanza ha l'onere di deposito del ricorso previsto dall'art. 53, comma 2, secondo periodo, come modificato dall'art. 3, comma 7, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203. III La violazione degli art. 3 e 24 della Costituzione. Da quanto fin qui detto, sembra che la norma denunciata violi gli articoli 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui prevede la inammissibilita' dell'appello qualora copia del ricorso che lo contiene non sia stata depositata nella segreteria della commissione provinciale. Art. 3. a) La violazione del principio di eguaglianza appare consistere in una duplice diversita' di trattamento fra situazioni giuridiche uguali, ancorche' verificantisi in differenti ordinamenti processuali. Nel processo civile, infatti, la omessa notifica dell'atto di impugnazione alla cancelleria del giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato non produce nessuna conseguenza, mentre l'onere di notifica non e' in alcun modo previsto per il ricorso per cassazione. b) Una ulteriore diversita' di trattamento, non supportata da alcuna giustificazione, la si riscontra nella diversa disciplina a cui sono assoggettati gli appellanti che si avvalgano delle due forme delle notificazioni, equivalenti ed equipollenti in quanto tali previste dallo stesso d.lgs. n. 546/1992: aa) nel caso di notifica dell'appello a mezzo di ufficiale giudiziario (art. 16, comma 2), ne' questi ne' l'appellante sono onerati di comunicare l'avvenuta notifica alla segreteria della commissione provinciale; bb) nel caso di notifica cosiddetta «diretta», a mezzo di plico raccomandato con avviso di ricevimento o mediante consegna all'ufficio del Ministero delle finanze o all'ente locale (art. 16, comma 3), l'appellante ha l'ulteriore onere di depositare copia dell'appello nella segreteria della commissione provinciale. Il che potrebbe anche apparire privo di senso, se non addirittura una bizzarria, se dalla sottrazione all'onere non conseguisse la sanzione processuale della inammissibilita' dell'appello. Art. 24. Dalla violazione del principio di uguaglianza contenuta nella norma denunciata, e fatto salvo quanto sara' detto nel successivo paragrafo IV, discende la ulteriore violazione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. Violazione ravvisabile nell'impedimento all'esercizio del diritto di agire per la tutela dei propri diritti (comma 1), difendendosi in ogni stato e, quel che qui rileva, grado del procedimento in tutti i gradi del giudizio (comma 2). Cio' si rileva ulteriormente dalla lettura combinata della norma in questione con il disposto dell'art. 11 Cost., per cui si puo' affermare che la garanzia non e' circoscritta a un generico diritto di accesso alla giurisdizione, ma si espande fino a ricomprendere il diritto alla sentenza, vale a dire all'atto che ristabilisce la situazione giuridica che nella quale avrebbe potuto versare l'interessato con il rispetto della norma sostanziale. Diritto il cui rilievo e' stato rafforzato dal costituente con la previsione di interventi statali in favore dei non abbienti (comma 3). IV La irragionevolezza della norma. L'ulteriore vizio, costituzionalmente rilevante, che appare inficiare la norma di cui all'art. 53, comma 2, e' la sua irragionevolezza, quale si evince sia con riferimento ai contrasti con la carta fondamentale sopra denunciati, sia con un esame critico della norma per se' sola considerata. Fermo restando che e' riservato alla discrezionalita' del legislatore il dettare le norme che regolano lo svolgimento del processo, anche con riferimento alle singole attivita' delle parti e alle sanzioni, quale appunto la inammissibilita' del gravame, per il mancato rispetto delle procedure, alla Corte costituzionale e' demandato il compito di verificare che l'uso di tale discrezionalita' nella materia regolata rispetti il limite della ragionevolezza. Nel senso che dalle condotte, commissive o omissive, prescritte o vietate dalla norma, derivino conseguenze proporzionate al bene, o all'interesse, al la cui tutela la norma e' posta. Nel caso della norma in esame, la inammissibilita' dell'appello, massima delle sanzioni processuali, viene comminata per il mancato compimento di una attivita' processuale che, come abbiamo sopra visto (§ II, in fine) non ha alcuna ragione di essere, ovvero, e ad essere benevoli, ma l'assunto e' contraddetto da disposizioni collaterali proprie di altri ordinamenti processuali, nonche' dallo stesso disposto del comma 2 dell'art. 53, potrebbe avere la funzione di evitare improprie dichiarazioni di esecutivita' della sentenza impugnata. Evento questo da reputarsi impossibile piu' che improbabile, in quanto, a prescindere dalla notoria lentezza della macchina che muove gli uffici giudiziari, la notizia alla segreteria della commissione provinciale della avvenuta impugnazione viene data «senza ritardo» tramite la richiesta del fascicolo di primo grado da parte della segreteria della commissione regionale. La circostanza poi che la norma di cui all'art. 53, comma 2, secondo periodo, non detti un termine alla parte per il deposito di copia dell'appello nella segreteria della commissione provinciale, e' ulteriormente sintomatica della inesistenza di un interesse da proteggere. Palese appare essere la sproporzione fra l'interesse che si possa ipotizzare, e solo ipotizzare, voler tutelare e la conseguenza che la norma fa discendere nella sfera giuridica della parte inadempiente e conseguentemente permeata di irragionevolezza la norma da demandarsi al giudizio della Corte costituzionale. Tanto vale anche sotto un altro profilo, che assume rilevanza se considerato anche alla luce della violazione del dettato dell'art. 3 Cost. La cause di estinzione del giudizio, quale e', appunto, la inammissibilita' dell'impugnazione, nell'intero sistema processuale hanno a presupposto il sopraggiunto disinteresse della parte al giudizio stesso, rilevabile da dichiarazioni esplicite (ad esempio, la rinuncia agli atti) o da condotte incompatibili con la persistenza della volonta' di ottenere la decisione, quali le omissioni agli atti di impulso entro la scadenza dei termini dettati per il loro compimento. Nel caso della norma in esame, sarebbe irragionevole pretendere di attribuire alla omissione di un adempimento, del quale non e' dato ravvisare alcuna utilita' concreta o ipotetica, la manifestazione della volonta' di desistenza dal processo. Volonta' quest'ultima che sarebbe incompatibile con la gia' verificatasi instaurazione del contraddittorio nel grado di appello, e con concreto investimento della cognizione del giudice del gravame, verificatosi con il deposito del ricorso alla commissione regionale. V La rilevanza della eccezione. La soluzione del dubbio di costituzionalita' della norma processuale e' pregiudiziale alla definizione del processo. Infatti, qualora si dovesse applicare il dettato della normativa vigente, questa Commissione regionale potrebbe soltanto dichiarare la inammissibilita' dell'appello, astenendosi dall'esaminare, e tanto meno dal pronunciarsi, sul merito delle questioni di fatto e di diritto sottopostele con l'atto di impugnazione. Per la ipotesi in cui, invece, la norma fosse ritenuta contraria ai principi della Costituzione, questa Commissione regionale si pronuncerebbe sulla fondatezza, o meno, delle doglianze dell'appellante, con le evidenti ripercussioni nella sfera giuridica e patrimoniale delle parti. Pertanto si ritiene che il procedimento in corso davanti alla commissione non possa essere definito nella attesa della pronuncia della Corte costituzionale.